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mercoledì 22 luglio 2020

Relic (2020)

Il blog di Lucia offre, come sempre, moltissime gioie. La più recente è stata Relic, diretto e co-sceneggiato dalla regista Natalie Erika James.


Trama: dopo la sparizione prolungata della madre, Kay e la figlia Sam decidono di trasferirsi a casa sua per starle vicino ma cominciano ad accadere inquietanti fenomeni...


Uno dei film che più mi aveva angosciata, qualche tempo fa, era stato Still Alice, la storia di una donna ancora abbastanza giovane che vedeva la sua vita divorata dall'Alzheimer. Che sia Alzheimer o demenza senile, l'idea di non ricordare più nulla, di vedere gli affetti e la coscienza di se stessi e del mondo scorrere via dalle dita è qualcosa di orribile e se a questo si aggiungono gli acciacchi della vecchiaia, la consapevolezza di un corpo che non risponde più ai nostri desideri, costringendoci ad umiliarci, anche, davanti alle persone a cui vogliamo bene, mi rendo conto che forse non vorrei arrivare ad essere troppo vecchia e che mi piacerebbe molto lasciare questo mondo prima di diventare un peso per gli altri. La condizione fisica di mia nonna, che pure fortunatamente (o sfortunatamente per lei, temo) ha la testa ancora lucidissima, ce l'ho sotto gli occhi ogni giorno e guardando questo Relic ho inevitabilmente trasferito la sua condizione su quella di Edna, anziana ed indipendente signora che comincia a cambiare. La casa in cui ha vissuto per anni le sembra un luogo minaccioso, i volti si confondono, cominciano a spuntare dei post-it per ricordarsi le cose basilari, sul corpo compaiono inquietanti lividi neri e, cosa forse peggiore, la figlia e la nipote, ognuna pronta ad aiutare nonostante la prima sia stata distante per anni, decidono di assistere Edna trasferendosi nella sua casa, facendola involontariamente sentire ancora più invalida, incapace e colma di vergogna. Cosa si celi nella casa di Edna non è dato sapere di preciso, ma non è importante: Natalie Erika James e Christian White hanno dato una "forma" a qualcosa che può annidarsi nel corpo e nell'anima di tutti e trasformare la realtà in un incubo, e lo hanno fatto con una raffinatezza inusuale per un'opera prima, senza ricorrere a jump scare faciloni.


Relic è innanzitutto un horror di atmosfera, e fa un po' effetto che venga dall'Australia, quando parrebbe girato in qualche tristissimo marsh o brughiera inglese, dove non smette di piovere nemmeno per un secondo e la nebbia divora le caviglie nemmeno ci si trovasse a Vinden. Quasi interamente girato all'interno di una casa vecchia, disordinata e piena di luoghi nascosti (il che si rivelerà fondamentale a un certo punto del film), e nell'uggioso bosco che la circonda il film è una cupa riflessione su qualcosa che potrebbe colpire chiunque, sia direttamente che indirettamente, e ha la furbizia di mantenersi abbastanza vago da far sì che sia il singolo spettatore a caricarlo di significati e aspettative derivanti dalla sua esperienza personale. Oggettivamente, ci sono delle sequenze parecchio inquietanti in Relic, assai legate a un certo tipo di iconografia legata al body horror o a quelle opere che parlano di possessioni demoniache, ma la cosa bella del film è che tutti questi elementi vengono riutilizzati, mescolati e rinfrescati per offrire qualcosa di nuovo, claustrofobico e anche in grado di emozionare lo spettatore, di coinvolgerlo grazie anche alla bella prova offerta dalle tre attrici principali, Robyn Nevin in primis. Oserei dire che, guardando Relic, ognuno potrebbe vedere e vivere un film diverso; probabilmente qualcuno di voi si annoierà preferendo qualcosa di più dinamico, altri, come Lucia, lo eleveranno a film del cuore. Io non sono arrivata a definirlo l'horror dell'anno ma mi ha coinvolta parecchio e sul finale mi sono anche commossa, quindi non posso fare altro che consigliarlo spassionatamente.


Di Emily Mortimer, che interpreta Kay, e Bella Heathcote, che interpreta Sam, ho già parlato ai rispettivi link.

Natalie Erika James è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Nata in America, anche produttrice, è al suo primo lungometraggio.


domenica 6 gennaio 2019

Il ritorno di Mary Poppins (2018)

Prima di Natale sono andata a vedere Il ritorno di Mary Poppins (Mary Poppins Returns), diretto e co-sceneggiato nel 2018 dal regista Rob Marshall e tratto dai romanzi di P. L. Travers.


Trama: Nel pieno della crisi economica, Mary Poppins torna ad aiutare i piccoli Banks, ormai cresciuti, e i tre figli di Michael, rimasti orfani di madre.



Chi mi conosce sa che Mary Poppins non è mai stato il mio film Disney preferito ma trattasi comunque di caposaldo della Casa del Topo; inevitabile, quindi, correre al cinema a vedere quello che è, a tutti gli effetti, un sequel del film del 1964. Abbiamo, infatti, gli stessi protagonisti, solo cresciuti o invecchiati (salvo la sempre "perfetta sotto ogni punto di vista" Mary Poppins), oppure qualche passaggio di testimone, come quello tra lo spazzacamino Bert ormai in giro per il mondo e l'acciarino Jack; abbiamo persino la stessa identica struttura, cosa che fa de Il ritorno di Mary Poppins non solo un sequel ma anche un remake aggiornato. Chi conosce un minimo Mary Poppins, infatti, ha di che sorridere. La trama è fondamentalmente la stessa fin dal 1964, con la tata volante che arriva a salvare non tanto i piccoli Banks, quanto piuttosto il padre, un Michael che sembra avere dimenticato l'infanzia passata assieme a Mary ed è diventato disilluso e cupo come il suo genitore. Ciò, ovviamente, si ripercuote sui tre figli, addolorati quanto lui per la scomparsa dell'amata mamma e costretti a crescere come un bambino non dovrebbe mai fare, con l'aggravante di aver per genitore un ex artista svanito che, a furia di dimenticarsi le cose, è persino riuscito a non pagare le ultime tre rate di un prestito chiesto alla banca e a farsi pignorare casa. A Mary Poppins, apparentemente, questa situazione familiare terrificante pare non importare e tutto ciò che fa assieme ai piccoli Banks sembra campato in aria mentre in realtà quello intrapreso dalla tata è un ragionato percorso di crescita e risoluzione di tutti i problemi affettivi ed economici che affliggono la sfortunata famiglia. C'è da dire che, rispetto al passato, il carisma distribuito all'interno della famiglia Banks si è trasferito dai genitori ai figli: tanto erano clueless e dimenticabili i pargoli di George Banks (per contro dotato di una classe e di un fascino tutto british capace di rivaleggiare con quelli di Mary Poppins) tanto i figli di Michael sono carini e intraprendenti, mentre il papà fa la figura del tonno che non si sa bene come sia capitato nella storia e lo stesso vale per la sorella Jane, fotocopia sputata della mamma, un terribile mix di impegno sociale e leziosità.


Si diceva, per l'appunto, di come la struttura del film del 1964 sia stata rispettata, anche troppo. Come nel Mary Poppins originale, anche qui abbiamo un paio di scorribande oniriche di cui una a cartoni animati (splendida perché, tra l'altro, oltre a non ricorrere all'animazione digitale ripropone per un buon 50% il character design dei cartoni del vecchio film, mentre il resto degli animaletti somigliano molto a quelli di Zootropolis) e l'altra, molto meno riuscita, subacquea; c'è la visita ad un parente matto di Mary Poppins, nella fattispecie una folle Meryl Streep con l'accento russo; c'è il balletto degli acciarini laddove in Mary Poppins c'era quello degli spazzacamini, accompagnato da una canzone che, imperniata com'è sul rhyming slang cockney (anche se pare sia stato creato un leery speak apposta per il film), sarebbe forse meglio ascoltata in originale; c'è, infine, il conflitto con la rigida realtà di banche ed avvocati, per non parlare di tutti i piccoli e grandi omaggi a Mary Poppins, tra citazioni e graditi ritorni (sapete che Dick Van Dyke sa ancora ballare? E quant'è bella la Lansbury, che all'epoca era stata "scalzata" da Julie Andrews?). Insomma, una cosa certa de Il ritorno di Mary Poppins è che non tradisce lo spirito dell'originale e non "rovina infanzie" a nessuno perché credo di non avere mai visto nulla di così rispettoso, anzi. Un pregio del film di Marshall è la sua capacità di rinfrescare il materiale di partenza soprattutto a livello visivo, giacché le coreografie, le scenografie e soprattutto i costumi di Sandy Powell sono spettacolari (quelli all'interno della sequenza animata sono fatti in modo tale da sembrare disegnati. E non mi sembrava un effetto speciale quanto proprio un particolare pattern della stoffa), e di non far rimpiangere un'icona come Julie Andrews grazie ad una Emily Blunt spocchiosa ma delicata ed adorabile quanto l'originale. Purtroppo, Lin-Manuel Miranda non è degno di lucidar le scarpe a Van Dyke, così come Ben Whishaw sta a David Tomlinson come Muccino sta a Kubrick, e le canzoni non sono nulla di particolarmente memorabile ma lo stesso Il ritorno di Mary Poppins è stata una visione assai gradita e perfetta per le festività natalizie. Tranquilli, fedeli fan Disney, ché le bestemmie vere arriveranno con Dumbo, Aladdin e Il re leone!


Del regista e co-sceneggiatore Rob Marshall ho già parlato QUI. Emily Blunt (Mary Poppins), Ben Whishaw (Michael Banks), Emily Mortimer (Jane Banks), Julie Walters (Ellen), Meryl Streep (Cugina Topsy), Colin Firth (Wilkins/Lupo), Dick Van Dyke (Mr. Dawes Jr), Angela Lansbury (Signora dei palloncini), David Warner (Ammiraglio Boom) e Chris O'Dowd (voce di Shamus il cocchiere) li trovate invece ai rispettivi link.

Mark Addy è la voce originale del cavallo Clyde. Inglese, ha partecipato a film come Full Monty, I Flintstones in Viva Rock Vegas, Il giro del mondo in 80 giorni e a serie quali Il trono di spade e Doctor Who. Ha 54 anni e un film in uscita. 


Julie Andrews ha rifiutato il ruolo di Signora dei palloncini onde evitare di rubare la scena ad Emily Blunt ma nel film compare però Karen Dotrice, la Jane Banks originale, qui nei panni di una "signora elegante". Ovviamente, se il film vi fosse piaciuto recuperate Mary Poppins e Pomi d'ottone e manici di scopa. ENJOY!


martedì 13 febbraio 2018

The Party (2017)

Nonostante qualche problemino tecnico, ho avuto anch'io la possibilità di guardare The Party, scritto e diretto nel 2017 dalla regista Sally Potter.


Trama: durante una cena fra amici organizzata per festeggiare la sua elezione a primo ministro, Janet si ritrova a dover fare i conti con una miriade di segreti che rischiano di distruggere la sua vita apparentemente perfetta...


Non è passato tantissimo tempo da quando ho guardato il pluripremiato e apprezzatissimo (dagli altri) Perfetti sconosciuti e proprio nei commenti al post in questione l'esperto Giovanni mi aveva consigliato di recuperare The Party, quando sarebbe uscito. Anche nel caso del film di Sally Potter, come in quello di Veronesi, abbiamo un invito a cena che si trasforma nella sagra della cattiveria e delle brutte sorprese ma qui l'atmosfera è parecchio diversa, come si evince fin dal titolo. "The Party" si può infatti intendere come festa ma anche come partito, il fulcro della vita della protagonista Janet, che ad esso ha consacrato la sua esistenza fino a riuscire a diventare Primo Ministro dopo una fulgida carriera. Gli invitati alla festa in suo onore non sono quindi persone semplici ma alti esponenti della società inglese, raffinati, colti e "liberal", ognuno pronto a trasformare una semplice chiacchierata in un confronto di intelletti ben lontano dalle banali preoccupazioni del popolino e per questo ancora più "full of shit" e ridicolo di noi poveri mortali. Accanto alla novella prima ministra abbiamo dunque l'attivista lesbica che dopo una vita di proteste sta vivendo una serena vecchiaia mantenuta da libri e saggi a tema scritti di suo pugno, mentre la giovane compagna (una banalissima cuoca, come sottolineato spesso) fatica a vivere al cospetto di tanta grandezza; abbiamo una cinica e raffinatissima signora accompagnata dall'odiato marito, un life coach autodefinitosi guru; abbiamo il giovane marito della vice di Janet, un parvenu che si occupa di alta finanza e quindi risulta inviso al 90% degli invitati in quanto "triviale"; abbiamo, infine, il marito di Janet, il quale invece di festeggiare con la moglie si ubriaca pesantemente per i motivi che diventeranno la causa scatenante del fallimento della cena. A differenza di film come Perfetti sconosciuti o Cena tra amici l'impressione che si ha fin dall'inizio è che la festa di Janet riunisca forzatamente persone prive di una storia comune alle spalle, conosciutesi giusto perché amiche/colleghe o di Janet o di Bill, e più che di cameratismo o voglia di scherzare si avverte il desiderio di sopraffarsi a vicenda, espresso in una serie di punzecchiature ironiche o false cortesie che gli invitati usano a mo' di scudo così che la loro personale maschera di superiorità e consapevolezza non venga mai scalfita né scoperta.


Immersi in un bianco e nero raffinatissimo che li allontana ancora più dalla bassa società e concentra l'attenzione dello spettatore sugli attori più che sull'ambiente in cui si muovono, i personaggi di The Party sono ognuno emblema di incredibile egoismo ed ipocrisia, troppo occupati a celebrare sé stessi per accorgersi di quello che accade sotto il loro naso e talmente costretti nel loro ruolo da non riuscire a far fronte ad eventuali imprevisti. Emblemi di fredda inglesità, gli ospiti della festa e la loro padrona di casa accolgono le emozioni forti causate da shock e dolore con una sorta di diffidenza che li priva persino della gioia dello sfogo e li spinge a diventare delle bombe ad orologeria che rischiano di fare più danni del dovuto una volta che il meccanismo è innescato; non è un caso che a causare le irreparabili rotture alle quali assistiamo siano due agenti esterni, l'arricchito Tom e qualcosa di infido come la malattia, perché la follia di un sentimento sanguigno e la natura sono gli unici due elementi che i protagonisti non possono controllare, come arriveranno a scoprire tutti a loro spese. Prima ancora di una sceneggiatura e una regia perfette, prive di sbavature, colpiscono gli interpreti di The Party, tutti magistrali, con qualcuno che spicca sugli altri. Timothy Spall per esempio, occhio spento e volto scavato da un bianco e nero impietoso, è un attore grandioso che dovrebbe venire utilizzato un po' più spesso come protagonista principale invece che come caratterista, perché riesce ad entrare nel cuore con poche battute e un'interpretazione tutta fatta di sguardi, silenzi e nervi. Interpretazione opposta la da un'altrettanto stupenda Patricia Clarkson, logorroica e crudele, una raffinatissima "coscienza negativa" pronta ad elargire un insulto creativo a tutti, soprattutto al povero Bruno Ganz che le fa da marito, continuamente colpito dagli strali annoiati della moglie; alla Clarkson è dunque affidato l'umorismo freddo e amaro della pellicola, mentre gli altri personaggi sono tutti ugualmente miserevoli e ridicoli, persino uno apparentemente positivo come la Jinny di Emily Mortimer, ritrovatasi costretta in una situazione probabilmente non proprio desiderata per assecondare i dettami di una moglie importante. Un film come The Party, con la sua aria patinata, i protagonisti antipatici e i dialoghi che talvolta sconfinano anche nel filosofico, potrebbe sembrare uno scoglio a molti spettatori ma (vista anche la brevissima durata) vi invito a guardarlo anche solo per non perdervi il colpo di scena finale più inaspettato dell'anno, che vale da solo il prezzo del biglietto.


Di Timothy Spall (Bill), Kristin Scott Thomas (Janet), Patricia Clarkson (April), Bruno Ganz (Gottfried), Emily Mortimer (Jinny) e Cillian Murphy (Tom) ho già parlato ai rispettivi link.

Sally Potter è la regista e sceneggiatrice del film. Inglese, ha diretto film come Orlando e Lezioni di tango. Anche compositrice, attrice e produttrice, ha 69 anni e film in uscita.


Cherry Jones interpreta Martha. Americana, ha partecipato a film come Erin Brockovich - Forte come la verità, La tempesta perfetta, Signs, The Village, Ocean's Twelve e a serie quali 24, 22.11.63 e Black Mirror. Ha 62 anni e tre film in uscita.


Se il film vi fosse piaciuto recuperate Festen - Festa in famiglia e Cena tra amici. ENJOY!

martedì 7 novembre 2017

Lars e una ragazza tutta sua (2007)

Era in lista da qualche mese e, dopo tanto, sono riuscita a recuperare Lars e una ragazza tutta sua (Lars and the Real Girl), diretto dal regista Craig Gillespie nel 2007.


Trama: Lars è un ragazzo talmente timido ed introverso da sfociare nel patologico e i rapporti con fratello, cognata e colleghi di lavoro sono praticamente inesistenti. La sua vita però cambia con l'arrivo di Bianca, una ragazza molto particolare...



Qualche tempo fa mi è capitato di incappare in una di quelle solite trasmissioni assurde su Fuffa TV (Real Time o Cielo, ora non rammento), nella quale si parlava delle perversioni sessuali degli inglesi. Nel corso di questa trasmissione è stato nominato un distinto signore che da anni vive assieme alla sua bambola gonfiabile, portandola in giro e vestendola come se fosse una persona normale e mi sono così ricordata dell'esistenza di Lars e una ragazza tutta sua, film di cui avevo sempre sentito parlare bene e che ho proposto immantinente al Bolluomo. A dirla tutta, Mirco non ne è rimasto particolarmente entusiasta mentre io sono uscita dalla visione deliziata e con una gran voglia di pizzicare le guanciotte paffutelle di Ryan Gosling, protagonista a dir poco perfetto. Posso però capire che Mirco si sia rotto un po' le scatole guardando questo film, in quanto Lars e una ragazza tutta sua è una di quelle pellicole dal sapore indie molto spiccato, debitrice di atmosfere alla Wes Anderson, Michael Gondry o Spike Jonze, fatta di lunghi silenzi e dialoghi non proprio terra terra, popolata soprattutto da personaggi peculiari e afflitti da problemi apparentemente ben lontani da quelli di noi comuni mortali. Apparentemente, perché il trauma del povero Lars è comprensibile quanto la sua scelta di affrontarlo isolandosi dal mondo e a reagire con sacro terrore ad ogni tipo di relazione sociale, dalla semplice conversazione casuale ad una ben più complicata cena in famiglia; il suo tentativo di crearsi un mondo ideale con una "ragazza" perfetta e completamente dipendente da lui è la naturale risposta alla morte della madre, alla distanza emotiva del padre, ad un fratello che ha scelto di farsi la propria vita, ad un mondo insomma sul quale non ha mai avuto il controllo e che, a quanto pare, non ha mai avuto bisogno di lui. Il percorso affrontato nel corso del film dal personaggio per prendere coscienza non solo di sé ma anche di chi lo circonda passa per momenti surreali di comicità mai greve (nonostante l'argomento trattato), dialoghi introspettivi durante i quali Lars si confronta principalmente con una psicologa, a sua volta "psicanalizzata" da lui, e momenti più commoventi, che innescano nello spettatore un'incredibile empatia non solo con Lars ma anche con "la ragazza tutta sua" del titolo, un po' come succede agli increduli abitanti di una cittadina che ricorda tanto quelle portate su schermo da Lasse Hallström.


E se una delle attrici alle quali ci si affeziona di più proprio tanto attrice non è, la cosa certa è che Ryan Gosling offre un'interpretazione stupenda (Madonna, cosa non è la sequenza dell'orsacchiotto!!), ben lontana da quei ruoli di duro un po' sbruffone o affascinante rubacuori ai quali ci ha abituati nelle pellicole che sarebbero venute dopo Lars e una ragazza tutta sua. Anzi, oserei dire che questo è il Ryan Gosling che ho preferito finora, stralunato, timido e pacioccone, con quei lampi di testarda picca infantile capaci di renderlo ancora più delizioso, al punto che verrebbe voglia di abbracciarlo (o forse meglio di no, lo infastidirebbe!). A fargli compagnia c'è un cast di attori e caratteristi praticamente perfetto, tutti personaggi capaci di bucare lo schermo anche solo per un paio di minuti, anche se il mio cuore è andato alla "bruttina" Margo, invaghitasi dell'uomo più difficile della terra e impossibilitata a competere con una ragazza che, effettivamente, non ha un difetto che sia uno. A completare l'atmosfera un po' malinconica della pellicola concorrono delle musiche molto belle (tra le altre, This Must Be the Place dei Talking Heads è stata scelta da Ryan Gosling proprio per la peculiare scena del ballo) e un gusto per i costumi e le scenografie, naturali e non, capace di trasformare una cittadina canadese in qualche remoto luogo della Svezia o di qualche altra freddissima nazione del nord. Come si sul dire, mani fredde cuore caldo e Lars e una ragazza tutta sua cuore ne ha in abbondanza, non perdetelo assolutamente!


Del regista Craig Gillespie ho già parlato QUI. Ryan Gosling (Lars Lindstrom), Emily Mortimer (Karin) e Patricia Clarkson (Dagmar) li trovate invece ai rispettivi link.

Paul Schneider interpreta Gus. Americano, ha partecipato a film come Elizabethtown e a serie quali Channel Zero. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 41 anni.


Kelli Garner interpreta Margo. Americana, ha partecipato a film come The Aviator, Horns e a serie quali Buffy l'ammazzavampiri, inoltre ha lavorato come doppiatrice in American Dad!. Ha 33 anni e un film in uscita.


Se Lars e una ragazza tutta sua vi fosse piaciuto recuperate Lei, Se mi lasci ti cancello, Lost in Translation e magari anche Harold e Maude. ENJOY!

mercoledì 20 luglio 2016

Harry Brown (2009)

Seguendo la Gilgunmania che mi ha colta in questo periodo, ho deciso di guardare Harry Brown, diretto nel 2009 dal regista Daniel Barber.


Trama: l'ex Royal Marine Harry Brown, da poco vedovo, decide di vendicare l'amico ucciso da un gruppo di giovani delinquenti che terrorizzano gli abitanti di un quartiere popolare.


Giovinastri!! Ve lo buco 'sto sacchetto di droga!! Un film come Harry Brown potrebbe venire riassunto in queste sdegnate esclamazioni se non fosse che, come accade per il 90% delle pellicole a tema "vendetta", la questione viene presa molto più sul serio di così e se continuassi ad usare questo tono rischierei di vedermi arrivare a casa Michael Caine armato di tutto punto e deciso a farmi fuori. Approfondendo maggiormente il concetto, Harry Brown è un angosciante film di denuncia sul degrado della periferia inglese, al confronto della quale il mitico Bronx pare essere un parco giochi e Scampia la versione napoletana di Gardaland; già ne avevo avuto sentore guardando Attack the Block e anche stavolta la sceneggiatura di Gary Young dipinge un luogo dove non esiste legge, all'interno del quale dei ragazzi quasi non ancora maggiorenni fanno il bello e il cattivo tempo passando le giornate tra scippi, spaccio, violenze sessuali e disgustosi riti d'iniziazione all'interno di bande che, neanche a dirlo, sono una costola deviata di quelle formate da genitori/zii/parenti malavitosi. Insomma, in questi sobborghi la vita di giovani mammine e vecchi in pensione è praticamente un inferno in quanto i giovinastri sembrano amare prendere di mira proprio loro, forse spinti dagli sguardi carichi d'indignazione tributati al loro indirizzo, ed è quindi normale che ad un certo punto qualcuno sbrocchi e cerchi di farsi giustizia da sé. In particolare, il povero Harry Brown raccoglie tutte le frustrazioni derivanti dalla recente vedovanza e dalla morte dell'amico per mano di suddetti giovinastri e le focalizza giustamente sul branco di mocciosi delinquenti che terrorizza il quartiere, in virtù del suo passato di Royal Marine: se la polizia, come da copione, ha l'utilità di un porchettaro davanti alla moschea, ci pensa il vecchio Harry Brown ad educare la teppa a son di rivoltellate nelle gengive e commoventi gesti di altruismo. Che poi i ragazzini dovranno aspettare di reincarnarsi per cominciare a mostrare un po' di giudizio e mettere in pratica gli insegnamenti di Harry Brown è un altro paio di maniche ma tanto, se una causa è persa in partenza c'è poco da fare.


In tutto questo, nonostante il tono ironico usato finora, posso dire onestamente che Harry Brown è un film gradevole, ben diretto, cupo e violento quanto basta per tenere desta l'attenzione dello spettatore e interessante per quel che riguarda la scelta delle location, sebbene il messaggio veicolato dalla pellicola sia di un fascismo quasi imbarazzante (ma non mi pare il caso di addentrarmi in discorsi relativi a realtà sociali che non conosco quindi piantiamola qui). Passando ad argomenti più terra terra quindi più gestibili dalla sottoscritta, direi che Michael Caine è abbastanza credibile nei panni del giustiziere dell'ospizio: fortunatamente, la sceneggiatura non esagera (non troppo almeno) nel rendere protagonista il personaggio di atti di supereroismo ultraviolento e il bravissimo attore cerca anche di scavare nella psiche di Harry Brown, mostrandocelo vulnerabile, abbattuto, persino commovente a tratti. Anche il resto del cast non è male. La palma d'oro spetta agli angoscianti ragazzini dall'accento semi-incomprensibile (tra i quali c'è tale Ben Drew, ovvero il rapper Plan B, che canta anche un brano nei titoli di coda. Io non lo conoscevo ma magari chi legge...) che bulleggiano per tutto il film sputando letteralmente in faccia agli sfigatissimi poliziotti mentre il siparietto allucinante tirato su dalla strana coppia Sean Harris/Joseph Gilgun è la giusta concessione weird ad una pellicola anche troppo seria ed ancorata alla realtà. A tal proposito, visto che ho guardato Harry Brown giusto per Gilgun e sarebbe quindi assurdo liquidare la cosa con una breve citazione, mi tocca affermare con tristezza che 'sto bel ragazzo questa volta è stato conciato come un Nongiovane drogato, conseguentemente non si può guardare e almeno per quel che lo riguarda la visione di Harry Brown è stata un diludendo; sempre meglio di un Sean Harris che sembra il cugino tossico di Voldemort ma tanto poco danno, il minutaggio di presenza è davvero scarso purtroppo. Sarà per il prossimo film. Vi capitasse di incappare in Harry Brown dategli comunque un'occhiata, potrebbe piacervi.

Perché?? T___T
Di Michael Caine (Harry Brown), Emily Mortimer (D.I. Alice Frampton), Sean Harris (Stretch) e Joseph Gilgun (Kenny) ho già parlato ai rispettivi link.

Daniel Barber è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto anche un altro lungometraggio, The Keeping Room.


David Bradley interpreta Leonard Attwell. Famoso per avere interpretato il custode Gazza nei film dedicati a Harry Potter, lo ricordo per altre pellicole come L'esorcista - La genesi, Hot Fuzz, Captain America - Il primo vendicatore e La fine del mondo, inoltre ha partecipato a serie quali Doctor Who, The Strain e Il trono di spade. Ha 74 anni e un film in uscita.


Charlie Creed-Miles, che interpreta lo sbirro Hicock, ai tempi de Il quinto elemento era David, giovanissimo assistente di Padre Vito Cornelius mentre Jack O'Connell, che interpreta Marky, era già stato un ragazzino problematico nel terrificante Eden Lake. Se Harry Brown vi fosse piaciuto recuperate i vari "Giustizieri della notte", Viaggio in paradiso e Carter. ENJOY!


sabato 11 febbraio 2012

Hugo Cabret (2011)

E così giovedì sono riuscita ad andare a vedere almeno uno dei tre film che mi ero proposta, lo Hugo Cabret (Hugo) di Martin Scorsese, tratto dal libro La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, pubblicato nel 2007 dallo scrittore e illustratore americano Brian Selznick. Ho dato la precedenza a questo perché tra i tre era quello che assolutamente non volevo perdere, ma mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca.


Trama: Hugo Cabret è un orfano che vive nei tunnel della Gare Montparnasse, facendo di nascosto manutenzione agli orologi della stazione. Un giorno conosce Isabelle, nipote del giocattolaio Papa Georges, e grazie ad una chiave che la ragazzina porta al collo, scopre un mistero sepolto da molti anni…


Doverosa premessa: nonostante mi abbia lasciato l’amaro in bocca, Hugo Cabret è un film visivamente stupendo, nonché un inno di puro amore per il Cinema e la magia che ne è essenza. La sala sarebbe dovuta crollare in testa alle due indegne creature che si sono alzate andandosene annoiate a metà film, di questo sono convinta. Perché anche se il 3D, dopo un inizio spettacolare in cui sembrava di essere immersi nella nevicata parigina, si è rivelato inutile come per tutti gli altri film che ho visto girati con questa tecnica, il film nel suo insieme è un’opera d’arte, curata fin nei minimi dettagli e colma di momenti assolutamente affascinanti ed interessanti, soprattutto per i cinefili. Scorsese ama quello che fa, e il suo amore si percepisce in ogni fotogramma, il rispetto per i nomi illustri che lo hanno preceduto si può quasi toccare in ogni scena, lo spettatore non può fare altro che rimanere a bocca aperta quando davanti ai suoi occhi scorrono spezzoni di film che solo i più fortunati sono riusciti a vedere su uno schermo cinematografico, oppure quando viene ricostruita la realizzazione di quegli stessi film, grandiosi spettacoli di magia creati da un appassionato artigiano che voleva regalare sogni ed emozioni, cercando di portare le persone fuori dalla fredda realtà. Queste sono le parti più belle del film, quelle legate al mistero di Méliès, allo splendido automa che sembra uscito dritto da Metropolis, ai disegni dipinti a mano che prendono vita, agli scheletri, draghi e tritoni che danzano sullo schermo, agli incubi di un bambino che si immagina di diventare lui stesso un automa meccanico, come un ingranaggio all’interno di un ordinato universo, oppure di diventare vittima di uno dei più famosi e grandiosi incidenti ferroviari, realmente avvenuto nel 1895.


E se Hugo Cabret vivesse solo di questo amore puro, se fosse stato un insieme di emozionanti sequenze legate da un filo conduttore come The Tree of Life , credo sarebbe stato il film perfetto. Ma la debolezza dell'ultima fatica di Scorsese, paradossalmente, è proprio il racconto che sta alla base, che non intriga, non emoziona, non commuove. La Gare Montparnasse viene mostrata come un microcosmo assai simile a quello de Il favoloso mondo di Amélie, con personaggi schivi, desiderosi di rapportarsi l'uno all'altro eppure goffi, impossibilitati ad esternare le proprie emozioni, pur essendo dotati di peculiarità a dir poco uniche. Però i siparietti tra questi personaggi sono solo dei riempitivi, qualcosa di messo lì per dare colore; si ride a denti stretti e solo grazie al personaggio dell'ispettore ferroviario, interpretato magistralmente da un Sacha Baron Coen che, assieme a Ben Kingsley, si mangia tutto il resto degli attori, Chloë Moretz in primis, perché la signorina mi aveva abituata a ben altre performance. Anche il piccolo Hugo Cabret è moscerello, incapace di coinvolgere lo spettatore e farlo emozionare per la sua triste storia di orfano, di reietto, di essere umano desideroso di trovare il suo posto nel mondo perché "tutti devono avere uno scopo". Bambin, tu hai ragione, e in questo caso il mio scopo è raccontare la verità: Hugo Cabret, e mi uccide ammetterlo, è una bellissima, cinefila mezza delusione. Da vedere assolutamente, questo è ovvio, ma tenendo a mente che saranno solo gli occhi (e le orecchie, perché la colonna sonora è a dir poco splendida) ad essere coinvolti da questo spettacolo, non il cuore.


Del regista Martin Scorsese (che interpreta anche il fotografo che immortala Méliès e la moglie davanti al loro studio) ho già parlato qui. Ben Kingsley (Papa Georges), Sacha Baron Coen (l’ispettore ferroviario), Chloë Grace Moretz (Isabelle), Emily Mortimer (Lisette), Christopher Lee (Monsieur Labisse), Jude Law (il padre di Hugo) li trovate tutti seguendo i rispettivi link.

Asa Butterfield interpreta Hugo Cabret. Inglese, ha partecipato a film come Il bambino con il pigiama a righe e Wolfman. Ha 15 anni e un film in uscita.


Ray Winstone (vero nome Raymond Andrew Winstone) interpreta lo zio Claude. Inglese, ha partecipato a film come Il gioco di Ripley, Ritorno a Cold Mountain, Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio, The Departed, La leggenda di Beowulf e Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. Anche produttore, ha 55 anni e quattro film in uscita, tra cui l’imminente Biancaneve e il cacciatore.


Helen McCrory interpreta Mama Jeanne. Inglese, meglio conosciuta come la fortunatissima Narcissa Malfoy della saga cinematografica di Harry Potter, ha partecipato anche a Intervista col vampiro e a un episodio della serie Doctor Who. Ha 44 anni e due film in uscita.


Frances de la Tour interpreta Madame Emilie. Inglese, ha partecipato alla saga cinematografica di Harry Potter nei panni della mezza gigante direttrice di Beauxbatons, Madame Maxime e ad Alice in Wonderland. Ha 67 anni e un film in uscita.


Richard Griffiths interpreta Monsieur Frick. Anche lui inglese, anche lui apparso nella saga di Harry Potter come zio Vernon, lo ricordo per altri film come Superman II, Gandhi, Greystoke la leggenda di Tarzan il signore delle scimmie, Shangai Surprise, Una pallottola spuntata 2 1/2: l'odore della paura, Il mistero di Sleepy Hollow, Vatel, Ballet Shoes e Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare. Ha 65 anni e un film in uscita.


Tenete inoltre d’occhio il ragazzino che interpreta Tabard da giovane, ovvero Gulliver McGrath, perché lo ritroveremo nell’imminente Dark Shadows di Tim Burton e in Lincoln di Steven Spielberg. Hugo Cabret ha ottenuto ben 11 nomination agli Oscar di quest'anno: migliore scenografia (sarebbe meritatissimo, perché l'arte di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo è insuperabile), migliore fotografia, migliori costumi, miglior regia (altro Oscar strameritatissimo), miglior montaggio, miglior colonna sonora originale (altro premio che il film dovrebbe vincere), miglior montaggio sonoro, miglior sonoro, migliori effetti speciali, miglior film (mi spiace ma questo dovrebbe invece andare a The Help) e miglior sceneggiatura non originale (idem come prima). Nell'attesa di conoscere i risultati... ENJOY!

venerdì 13 maggio 2011

Scream 3 (2000)

Ed eccoci arrivati anche penultimo capitolo della saga dedicata a Ghostface: Scream 3, diretto nel 2000, sempre da Wes Craven. La parabola discendente è così completata, ma vediamo nel dettaglio.


Trama: sul set di Stab 3, l’ennesimo film tratto dai delitti di Woodsboro, cominciano a morire delle persone, e la cosa costringe la povera Sidney ad uscire dall’esilio forzato e ad affrontare un altro maniaco mascherato che vorrebbe attentare alla sua vita…



Scream 3 tocca davvero il punto più basso dell’intera saga: non c’è paura, non c’è suspance, non c’è ironia, non c’è neppure la curiosità di vedere colpo di scena finale con conseguente rivelazione dell’identità del killer, se proprio vogliamo essere sinceri. A tirare troppo la corda questa si strappa, e non basta introdurre la meraviglia tecnica del convertitore di voce, che questa volta è in grado persino di simulare le reali voci dei singoli personaggi, per fare un bel film. Scream 3 è una sorta di fiacco remake del secondo capitolo, che vorrebbe attirare lo spettatore con rivelazioni relative alla madre di Sidney, Maureen, insinuando addirittura il dubbio che il fantasma, questa volta, potrebbe essere vero e potrebbe addirittura essere lei; inoltre, la componente metacinematografica viene ulteriormente “caricata” perché, se in Scream 2 veniva introdotto il film Stab, questa volta il terzo capitolo viene ambientato proprio sul set di Stab 3, e le vittime sono proprio gli attori, che cadono come mosche seguendo l’ordine previsto dal copione.


Per quanto riguarda i punti di forza dei primi due capitoli di Scream, qui non ce n’è nemmeno uno. La scena iniziale è assurdamente fiacca e priva della tensione della storica introduzione del primo capitolo (anche se toglie di mezzo un personaggio inaspettato) e le morti che seguono non sono migliori, quasi tutte fuori campo o comunque molto sbrigative. Anche l’ironia che la faceva da padrone in Scream e Scream 2 qui viene condensata in qualche imbarazzante comparsata e battuta da avanspettacolo: la stessa presenza di Jay e Silent Bob (che peraltro adoro, non fraintendete…) è indice della tristezza a cui si sono ridotti Craven e gli sceneggiatori, ma il colpo più basso è probabilmente l’uso di un’icona sacra come Carrie Fisher per farle interpretare un’impiegatuccia che le somiglia e che “avrebbe dovuto essere la principessa Leila di Guerre Stellari, se solo quell’altra non le avesse soffiato il posto”. Ahah. Devo ridere? Mah. Certo, c’è da dire che tutti i difetti di Scream 3 sono quasi comprensibili, visto che in fondo il film è frutto di un ricatto. Infatti pare che Wes Craven sia stato praticamente costretto a girarlo per poter avere la possibilità di realizzare un film distante dalla sua usuale filmografia come La musica del cuore, un drammone musicale con Meryl Streep come protagonista. Comprensibile dunque il poco impegno, ma non per questo giustificabile. Speriamo che il quarto capitolo non sia ancora più brutto di questo.


Del regista Wes Craven (che compare anche qui in un cameo, stavolta nei panni di un visitatore degli studios), Neve Campbell, Courtney Cox e David Arquette ho già parlato qui, mentre il post su Liev Schreiber lo trovate qua. Di Lance Henricksen, che interpreta il produttore John Milton, invece, ho parlato qui.

Patrick Dempsey interpreta il detective Kincaid. La fama internazionale per questo attore è arrivata grazie alla serie Grey’s Anatomy, tuttavia aveva già partecipato prima a parecchi film, tra cui il geniale The Stuff – Il gelato che uccide e Virus letale, oltre che ad un episodio di Will & Grace. Originario del Maine, anche produttore e regista, ha 45 anni e un film in uscita.


Jenny McCarthy interpreta Kate. Ex modella e coniglietta di Playboy riciclatasi negli anni ’90 come attrice “comica” per programmi che passavano all’epoca su MTV come The Jenny McCarthy Show, ex fidanzata di Jim Carrey, tra i film a cui ha partecipato ricordo lo splendido Cosa fare a Denver quando sei morto e Scary Movie 3; ben di più le partecipazioni televisive, per serie come Baywatch, Quell’uragano di papà, Streghe, Perfetti… ma non troppo, Una pupa in libreria, My Name is Earl e Due uomini e mezzo. Americana, anche sceneggiatrice e produttrice, ha 39 anni.


Emily Mortimer interpreta Angelina Tyler. Attrice inglese, la ricordo per film come Spiriti nelle tenebre, Il Santo, Elizabeth, Notting Hill, Match Point, The Pink Panther – La pantera rosa, La pantera rosa 2 e Shutter Island, inoltre ha prestato la voce per il doppiaggio inglese de Il castello errante di Howl. Ha 40 anni e quattro film in uscita, tra cui l’Hugo Cabret di Scorsese e Cars 2.


Tra le guest star, oltre alla già citata Carrie Fisher, assieme alla premiata ditta Kevin Smith & Jason Mewes, ci sono anche il regista Roger Corman nei panni di un produttore ed Heather Matarazzo nei panni della sorella di Randy, Martha. Una marea di partecipazioni e una marea di finali: dopo miliardi di riscritture per evitare spoiler in rete, Craven ha girato anche una versione alternativa del finale, con l’unica differenza di Sydney che, prima di provare a colpire il killer, rimane per un po’ nascosta dietro a un mobile. Se siete arrivati a vedere Scream 3, probabilmente avrete visto anche i primi due episodi, in caso contrario cercateli, soprattutto il primo. Vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!

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