Colpita da un leggero e momentaneo calo di interesse nei confronti di Alien: Covenant (che andrò alla fine a vedere mercoledì), domenica ho deciso di puntare su King Arthur: Il potere della spada (King Arthur: Legend of the Sword), diretto e co-sceneggiato dal regista Guy Ritchie.
Trama: dopo la morte del padre Uther, re d'Inghilterra tradito dal fratello Vortigern, il piccolo Arthur viene cresciuto dagli abitanti dei bassifondi di Londinium senza alcun indizio sulla sua reale natura, almeno finché non viene costretto ad estrarre la spada Excalibur, diventando immediatamente leggenda...
Pur avendo giocato per parecchi anni ad Extremelot, per di più all'interno di una gilda chiaramente ispirata all'argomento, non sono mai stata una grande appassionata del ciclo arturiano, né ne sono mai stata una conoscitrice, salvo per le nozioni banali da quiz televisivo conosciute dal 90% della popolazione mondiale. Questo è uno dei motivi per cui la rilettura "alla Guy Ritchie" della leggenda di Re Artù ed Excalibur non mi ha offesa nel profondo, anzi, mi ha lasciata inaspettatamente soddisfatta, nonostante un paio di scelte stilistiche di cui parlerò nel prossimo paragrafo. Da zamarra inside e, fondamentalmente, da amante del modo in cui il regista inglese si rapporta da sempre al sottobosco criminale londinese, ho adorato questa versione guascona di Re Artù, cresciuto dalle dipendenti di un bordello fino a diventare una sorta di "capoccia" dei bassifondi, con la sua corte di disperati dediti a truffe e furtarelli e, soprattutto, a proteggere gli abitanti di una città violenta da invasori poco rispettosi delle regole e dal pugno di ferro di un re infernale, che governa con l'ausilio di un esercito fatto di uomini mascherati e di forze oscure vagamente assimilabili alle tre streghe del Macbeth. All'interno di King Arthur si incontrano dunque due anime, la commedia criminale in stile Ritchie e il fantasy cupo che affonda le radici in una leggenda antichissima; queste due facce della stessa medaglia cinematografica convivono e si fondono per buona parte della pellicola, soprattutto quando vengono gettate le basi per una Tavola Rotonda fatta di "merrymen" che non sfigurerebbero né accanto a Robin Hood né all'interno di un Lock & Stock qualsiasi, mentre stridono un po' quando la sceneggiatura va a toccare la leggenda della spada del titolo originale, gettando in un calderone unico maghe, patti col diavolo, torri di Sauroniana memoria, dame del lago e visioni di un passato e futuro da incubo. Il protagonista ha carisma sufficiente per reggere quasi da solo tutta la vicenda ma fortunatamente i suoi allegri compagni lo sostengono per buona parte del minutaggio e riescono a farsi voler bene dallo spettatore toccando anche occasionali vette di commozione e preoccupazione, cosa che non succede, per esempio, con la Maga e Re Vortigern, entrambi molto affascinanti (soprattutto il secondo) ma in qualche modo bidimensionali, figure eteree che paiono quasi scomparire sullo sfondo del bailamme di regia, montaggio, combattimenti e computer graphic messo in piedi da Ritchie.
Dal punto di vista stilistico, Ritchie carica le sequenze all'inverosimile, spingendo l'acceleratore a tal punto che lo spettatore non ha mai un attimo di noia. La colossale guerra dell'inizio, tutta elefanti indemoniati, morte & distruzione, la scena topica ripresa in un infinito numero di flashback, il montaggio che unisce senza soluzione di continuità narrazione e narrato, gli effetti devastanti di Excalibur (l'equivalente di un bazooka, alla faccia della spada, ma bisogna in qualche modo giustificare le proiezioni in 3D, da me fortunatamente evitate), il ralenti durante i combattimenti, le riprese in soggettiva con la steadycam e persino l'arrogante citazione dell'Ofelia di Millais, per non parlare degli omaggi al Signore degli Anelli di Jackson, tutto concorre a rendere il film incredibilmente dinamico senza mai risultare "esagerato", come se Ritchie sapesse quando fermarsi prima di portare lo spettatore al suicidio per sovraccarico sensoriale. L'unica sequenza davvero insopportabile, almeno per quel che mi riguarda, è stata il terrificante pre-finale in cui Arthur è costretto ad affrontare un incrocio tra Skeletor, il Balrog e un pessimo boss di fine livello interamente realizzato in computer graphic, una cafonata di cui avrei fatto volentieri a meno e che mi porta a spendere due parole sugli attori. Per quanto il personaggio di Vortigen sia un po' sui generis, una figuretta monodimensionale che spinge interamente sulla sua malvagità priva di fondamenti (la gelosia e la sete di potere diciamo che mi vanno bene fino a un certo punto), vederlo interpretato da Jude Law cancella immediatamente ogni difetto di scrittura in virtù del carisma e del fascino dell'attore, semplicemente magnetico; se tu però me lo cancelli seppellendolo in una colata di CGI, addio, del suo destino non mi importa più né tanto né poco. Convintissimo e convincentissimo invece Charlie Hunnam nei panni di un Arthur palestrato e linguacciuto e voto dieci al solito cast di caratteristi che, come sempre nei film diretti da Ritchie, sfiora livelli di eccellenza e nel quale spiccano Neil Maskell e "ditocorto" Aidan Gillen, con le loro faccette un po' così da criminali sbruffoni. Quindi, al netto di alcuni trascurabili difetti l'ultima fatica di Ritchie per me è promossa in pieno: al regista chiedo solo di non distrarsi troppo, ché King Arthur mi puzza di prequel lontano un chilometro, e di concentrarsi sul terzo capitolo di Sherlock Holmes (cos'è quell'Aladdin in pre-produzione su Imdb? Per di più con Will "Mollo" Smith nei panni del Genio?? Non t'azzardare, eh!).
Del regista e co-sceneggiatore Guy Ritchie ho già parlato QUI. Charlie Hunnam (Arthur), Jude Law (Vortigern), Djimon Hounsou (Bedivere), Eric Bana (Uther) e Neil Maskell (Mangiagallo) li trovate invece ai rispettivi link.
Aidan Gillen interpreta Bill. Irlandese, ha partecipato a film come 2 cavalieri a Londra, Il cavaliere oscuro - Il ritorno, Sing Street e serie quali Queer as Folk e Il trono di spade. Anche sceneggiatore e produttore, ha 49 anni.
Freddie Fox (vero nome Frederick Fox) interpreta Rubio. Inglese, ha partecipato a film come I tre moschettieri, Pride e Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein. Ha 28 anni e due film in uscita.
Annabelle Wallis interpreta Maggie. Inglese, ha partecipato a film come X-Men - L'inizio, W.E. - Edward e Wallis e Annabelle. Ha 33 anni e un film in uscita, La mummia.
La spagnola Astrid Bergès-Frisbey, che interpreta la Maga, era già comparsa in Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare, nei panni di Syrena mentre tra le altre guest star compaiono il calciatore David Beckham nei panni di una delle guardie e la sorella maggiore di Cara Delevingne, Poppy, nei panni di Igraine, madre di Arthur. Come avevo evinto dal finale "sospeso", King Arthur (uscito al terzo tentativo dopo due progetti falliti, uno dei quali prevedeva Colin Farrell come Re Artù e Gary Oldman nei panni di Merlino) è il primo film di una serie che dovrebbe prevederne almeno sei, ovviamente immagino in caso di successo del film in questione, che tuttavia in America non è andato come si sperava e ha incassato un bel flop. Chi vivrà vedrà insomma. Nell'attesa, se King Arthur: Il potere della spada vi fosse piaciuto recuperate i vecchi di film di Guy Ritchie (alcuni li trovare recensiti QUI) e magari anche la quadrilogia de I pirati dei Caribi. ENJOY!
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martedì 16 maggio 2017
domenica 25 settembre 2016
Alla ricerca di Nemo (2003)
In un mondo ideale questo post avrebbe dovuto essere già scritto e postato prima che io andassi a vedere Alla ricerca di Dory ma purtroppo il mio è un mondo fatto di minuti risicati. Quindi, oggi vi beccate con orrida mancanza di consecutio temporum la recensione di Alla ricerca di Nemo (Finding Nemo) diretto dai registi Andrew Stanton (anche sceneggiatore) e Lee Unkrich, vincitore nel 2003 dell'Oscar come Miglior Lungometraggio Animato.
Trama: a causa dell'attacco di un barracuda, il pesce pagliaccio Nemo si ritrova vedovo e con un unico figlio superstite, il piccolo Nemo dalla pinna atrofica. Quando il pesciolino viene pescato per essere messo in un acquario, Marlin parte alla sua ricerca, accompagnato dalla smemorata Dory...
Non guardavo Alla ricerca di Nemo da qualche anno e, ovviamente, ho tirato fuori dalla libreria il DVD in occasione dell'uscita di Alla ricerca di Dory, uscendo estasiata dalla visione come già era successo la prima volta al cinema. La storia di Marlin e della sua disperata ricerca del figlio Nemo è un emozionante racconto di formazione che tocca più di un personaggio, tra momenti genuinamente tragici, sequenze commoventi e altre di puro, indimenticabile divertimento. La sceneggiatura del film parte da un'esperienza terribile come la perdita dei familiari e mostra un protagonista evidentemente traumatizzato, incapace di vivere per paura che qualsiasi cosa fuori dall'ordinario possa celare mortali pericoli; Marlin prova per Nemo ciò che probabilmente tutti i genitori provano per i propri figli (il timore di lasciarli andare per la loro strada, di permettere loro di vivere esperienze anche negative sulla loro pelle) ma ovviamente il tutto viene esasperato al punto che il pesciolino viene soffocato dall'amore genitoriale anche all'interno della relativa sicurezza di una scuola. Quando Nemo, portato all'imprudenza proprio dall'atteggiamento del padre, viene rapito, Marlin è costretto ad ignorare l'atavico terrore di ciò che sta "oltre" la barriera e a collaborare con altre creature per il bene del figlio, uscendo letteralmente dal guscio in cui si era rinchiuso al momento della morte dell'amata moglie. Allo stesso tempo, il piccolo Nemo scopre il significato della parola fiducia, imparando a credere in sé stesso (oltre che in quel papà troppo noioso e pavido agli occhi di un bambino) grazie ad un gruppo di pesci da acquario che arrivano a considerarlo loro pari, rendendolo la chiave del loro piano di fuga nonostante il suo difetto fisico. Alla crescita di Nemo e Marlin si aggiunge il percorso per nulla banale della "spalla" Dory, pesciolina afflitta da perdita di memoria a breve termine che in Marlin trova il punto fisso dal quale partire per costruirsi quel senso di appartenenza che la malattia le ha sempre precluso: attraverso Dory, gli sceneggiatori intavolano un meraviglioso discorso relativo alla natura di famiglia al di là del nucleo costituito da genitori e figli, innescando riflessioni che si estendono non solo agli spettatori, ma agli stessi personaggi, facendoli maturare.
Ai momenti squisitamente malinconici dei quali Alla ricerca di Nemo è pieno, si affiancano ovviamente sequenze di altissimo umorismo, perfettamente adatte sia ai grandi sia ai piccoli, affidate non solo a personaggi esilaranti quali gli squali "vegetariani", la stessa Dory oppure i gabbiani col loro favoloso verso "Mio! Mio! Mio!", ma anche a piccoli inside joke nascosti abilmente all'interno delle scene o (soprattutto nella versione originale) ai vari accenti e modi di dire dei singoli personaggi, strettamente legati alla loro origine Australiana. L'abilità tecnica della Pixar è in questo caso strabiliante anche dopo tredici anni. Non parlo solo dell'incredibile bellezza delle sequenze ambientate nei fondali marini, un trionfo di colori e forme talmente variegati da far venire voglia di indossare maschera e muta e tuffarsi nella barriera corallina (magari senza macchina fotografica per flashare i poveri pesci...), ma anche per l'espressività dei singoli personaggi e per la commistione perfetta di animazione e colonna sonora. Due esempi su tutti: sfido chiunque a non farsi venire l'ansia prima, e a morire di magone poi, davanti allo sguardo determinato della sfortunata Coral, che soppesa il pericolo del barracuda per poi lanciare un'occhiata determinata ai piccoli ancora nascosti, oppure a non disperarsi assieme a Marlin quando la barca porta via Nemo, accompagnata da un martellante score da film horror. Questi sono ovviamente solo alcuni degli importanti ingredienti della perfetta ricetta Pixar, casa di produzione dotata dell'intelligenza di creare film adatti ai bambini senza prenderli in giro addolcendo la pillola con scene consolanti o happy ending definitivi (obiettivamente, il destino dei pesci nell'acquario non è proprio quello di totale trionfo), offrendo loro film capaci di emozionare e far riflettere l'intera famiglia, magari su diversi livelli. Purtroppo, lo sapete già, questo non è successo con Alla ricerca di Dory che, scivolando nella concessione ai fan, si è rivelato privo di quella complessità che ha reso Alla ricerca di Nemo un capolavoro senza tempo in grado di non sfigurare accanto ai cosiddetti Grandi Classici Disney, che vivono imperituri nella memoria di chiunque abbia avuto la fortuna di vederli.
Del co-regista Lee Unkrich ho già parlato QUI mentre il co-regista e co-sceneggiatore Andrew Stanton lo trovate QUA. Albert Brooks (voce originale di Marlin), Ellen DeGeneres (Dory), Willem Dafoe (Gill/Branchia), Allison Janney (Peach/Diva), Geoffrey Rush (Nigel/Amilcare), Eric Bana (Anchor/Randa) e Bruce Spence (Chum/Fiocco) li trovate invece ai rispettivi link.
La voce originale del dentista è quella dell'attore australiano Bill Hunter, che ha interpretato Bob in Priscilla la regina del deserto, mentre tra i doppiatori italiani figurano invece Luca Zingaretti (Marlin) e Carla Signoris (Dory). William H. Macy aveva prestato la voce Marlin per una prima versione del film ma, dopo le proiezioni negative della stessa per i vertici della Disney, Andrew Stanton ha deciso di far ridoppiare il personaggio ad Albert Brooks (che, per inciso, era sempre stato la prima scelta del regista). Un'altra attrice ad aver perso la possibilità di partecipare al progetto è stata Megan Mullally dopo aver rifiutato di modulare la voce come quella del personaggio per la quale era famosissima all'epoca, la caustica Karen della serie Will & Grace. Il film è stato seguito, dopo la bellezza di tredici anni, da Alla ricerca di Dory: se Alla ricerca di Nemo vi fosse piaciuto recuperatelo e aggiungete Monsters & Co., Il re leone e la trilogia di Toy Story. ENJOY!
Trama: a causa dell'attacco di un barracuda, il pesce pagliaccio Nemo si ritrova vedovo e con un unico figlio superstite, il piccolo Nemo dalla pinna atrofica. Quando il pesciolino viene pescato per essere messo in un acquario, Marlin parte alla sua ricerca, accompagnato dalla smemorata Dory...
Non guardavo Alla ricerca di Nemo da qualche anno e, ovviamente, ho tirato fuori dalla libreria il DVD in occasione dell'uscita di Alla ricerca di Dory, uscendo estasiata dalla visione come già era successo la prima volta al cinema. La storia di Marlin e della sua disperata ricerca del figlio Nemo è un emozionante racconto di formazione che tocca più di un personaggio, tra momenti genuinamente tragici, sequenze commoventi e altre di puro, indimenticabile divertimento. La sceneggiatura del film parte da un'esperienza terribile come la perdita dei familiari e mostra un protagonista evidentemente traumatizzato, incapace di vivere per paura che qualsiasi cosa fuori dall'ordinario possa celare mortali pericoli; Marlin prova per Nemo ciò che probabilmente tutti i genitori provano per i propri figli (il timore di lasciarli andare per la loro strada, di permettere loro di vivere esperienze anche negative sulla loro pelle) ma ovviamente il tutto viene esasperato al punto che il pesciolino viene soffocato dall'amore genitoriale anche all'interno della relativa sicurezza di una scuola. Quando Nemo, portato all'imprudenza proprio dall'atteggiamento del padre, viene rapito, Marlin è costretto ad ignorare l'atavico terrore di ciò che sta "oltre" la barriera e a collaborare con altre creature per il bene del figlio, uscendo letteralmente dal guscio in cui si era rinchiuso al momento della morte dell'amata moglie. Allo stesso tempo, il piccolo Nemo scopre il significato della parola fiducia, imparando a credere in sé stesso (oltre che in quel papà troppo noioso e pavido agli occhi di un bambino) grazie ad un gruppo di pesci da acquario che arrivano a considerarlo loro pari, rendendolo la chiave del loro piano di fuga nonostante il suo difetto fisico. Alla crescita di Nemo e Marlin si aggiunge il percorso per nulla banale della "spalla" Dory, pesciolina afflitta da perdita di memoria a breve termine che in Marlin trova il punto fisso dal quale partire per costruirsi quel senso di appartenenza che la malattia le ha sempre precluso: attraverso Dory, gli sceneggiatori intavolano un meraviglioso discorso relativo alla natura di famiglia al di là del nucleo costituito da genitori e figli, innescando riflessioni che si estendono non solo agli spettatori, ma agli stessi personaggi, facendoli maturare.
Ai momenti squisitamente malinconici dei quali Alla ricerca di Nemo è pieno, si affiancano ovviamente sequenze di altissimo umorismo, perfettamente adatte sia ai grandi sia ai piccoli, affidate non solo a personaggi esilaranti quali gli squali "vegetariani", la stessa Dory oppure i gabbiani col loro favoloso verso "Mio! Mio! Mio!", ma anche a piccoli inside joke nascosti abilmente all'interno delle scene o (soprattutto nella versione originale) ai vari accenti e modi di dire dei singoli personaggi, strettamente legati alla loro origine Australiana. L'abilità tecnica della Pixar è in questo caso strabiliante anche dopo tredici anni. Non parlo solo dell'incredibile bellezza delle sequenze ambientate nei fondali marini, un trionfo di colori e forme talmente variegati da far venire voglia di indossare maschera e muta e tuffarsi nella barriera corallina (magari senza macchina fotografica per flashare i poveri pesci...), ma anche per l'espressività dei singoli personaggi e per la commistione perfetta di animazione e colonna sonora. Due esempi su tutti: sfido chiunque a non farsi venire l'ansia prima, e a morire di magone poi, davanti allo sguardo determinato della sfortunata Coral, che soppesa il pericolo del barracuda per poi lanciare un'occhiata determinata ai piccoli ancora nascosti, oppure a non disperarsi assieme a Marlin quando la barca porta via Nemo, accompagnata da un martellante score da film horror. Questi sono ovviamente solo alcuni degli importanti ingredienti della perfetta ricetta Pixar, casa di produzione dotata dell'intelligenza di creare film adatti ai bambini senza prenderli in giro addolcendo la pillola con scene consolanti o happy ending definitivi (obiettivamente, il destino dei pesci nell'acquario non è proprio quello di totale trionfo), offrendo loro film capaci di emozionare e far riflettere l'intera famiglia, magari su diversi livelli. Purtroppo, lo sapete già, questo non è successo con Alla ricerca di Dory che, scivolando nella concessione ai fan, si è rivelato privo di quella complessità che ha reso Alla ricerca di Nemo un capolavoro senza tempo in grado di non sfigurare accanto ai cosiddetti Grandi Classici Disney, che vivono imperituri nella memoria di chiunque abbia avuto la fortuna di vederli.
Del co-regista Lee Unkrich ho già parlato QUI mentre il co-regista e co-sceneggiatore Andrew Stanton lo trovate QUA. Albert Brooks (voce originale di Marlin), Ellen DeGeneres (Dory), Willem Dafoe (Gill/Branchia), Allison Janney (Peach/Diva), Geoffrey Rush (Nigel/Amilcare), Eric Bana (Anchor/Randa) e Bruce Spence (Chum/Fiocco) li trovate invece ai rispettivi link.
La voce originale del dentista è quella dell'attore australiano Bill Hunter, che ha interpretato Bob in Priscilla la regina del deserto, mentre tra i doppiatori italiani figurano invece Luca Zingaretti (Marlin) e Carla Signoris (Dory). William H. Macy aveva prestato la voce Marlin per una prima versione del film ma, dopo le proiezioni negative della stessa per i vertici della Disney, Andrew Stanton ha deciso di far ridoppiare il personaggio ad Albert Brooks (che, per inciso, era sempre stato la prima scelta del regista). Un'altra attrice ad aver perso la possibilità di partecipare al progetto è stata Megan Mullally dopo aver rifiutato di modulare la voce come quella del personaggio per la quale era famosissima all'epoca, la caustica Karen della serie Will & Grace. Il film è stato seguito, dopo la bellezza di tredici anni, da Alla ricerca di Dory: se Alla ricerca di Nemo vi fosse piaciuto recuperatelo e aggiungete Monsters & Co., Il re leone e la trilogia di Toy Story. ENJOY!
domenica 31 agosto 2014
Liberaci dal male (2014)
Martedì ho onorato la riapertura del multisala savonese andando a vedere l'horror Liberaci dal male (Deliver Us From Evil), diretto e co-sceneggiato dal regista Scott Derrickson e tratto dal libro Beware the Night di Ralph Sarchie e Lisa Collier Cool.
Trama: Nel Bronx si scatena un'inspiegabile epidemia di omicidi, suicidi, violenze e fenomeni paranormali. Il Detective Sarchie si ritrova in mezzo a questa serie di eventi e, per venirne a capo, è costretto a collaborare con il peculiare Padre Mendoza...
Liberaci dal male comincia benissimo e, per un attimo, mi aveva quasi convinto. Lontano dall'essere uno dei soliti horror di ultima generazione a base di case infestate, nonostante si accenni ad esse in più di un'occasione, il film di Scott Derrickson si presenta infatti come un interessante e peculiare mix di horror paranormale e thriller poliziesco dove gli sbirri sono duri e puri, amanti della giustizia inculcata a cazzotti o peggio. All'interno di una realtà normale, per quanto violenta, questi sbirri abituati a trovarsi davanti un male "razionale" (anche nella follia) da sconfiggere a colpi di manette e pugni vengono costretti a fronteggiare IL Male, quello con la M maiuscola e con poteri in grado di possedere le persone e portarle a compiere gesti inenarrabili; chiunque può essere il bersaglio e il veicolo di questo Male che viene da lontano e le indagini per risalire alla sua fonte, comprenderne l'origine e punire i colpevoli sono ovviamente complicate dall'imprevedibilità di quest'apparente epidemia di pazzia e dall'impossibilità di arrestare o uccidere un'entità priva di un suo corpo fisico, tanto che i protagonisti si ritrovano ad essere sempre più impotenti e paranoici, come già accadeva al povero Denzel Washington ne Il tocco del male. Purtroppo, questi intriganti elementi della trama servono a reggere giusto la prima parte del film perché poi Liberaci dal male prende la solita deriva "esorcistica" con un'aggravante che riesce a renderlo particolarmente fastidioso: il didascalismo. Ad un certo punto i tormenti interiori del detective Sarchie e di Padre Mendoza vengono sviscerati con dovizia di parole, ragionamenti ed elucubrazioni (e questo posso anche accettarlo sebbene l'apologia del perdono che la Chiesa ha offerto al prete drogato e libertino mi abbia ricordato anche troppo il frequente insabbiamento di peccati quali la pedofilia, che è tutto meno che apprezzabile) ma l'apice dell'assurdità viene toccato dall'esorcismo finale spiegato passo per passo neanche ci trovassimo di fronte ad un bignami del perfetto purificatore di Demoni. Mezz'ora di "io ti esorcizzo", un po' in italiano e un po' in spagnolo, alternata a sparate come "Questa è la fase uno: la lotta. Questa è la fase due: la stasi. Ecc..". Insopportabile, interminabile e noiosissima nonostante il gran dispendio di ottimi effetti speciali.
Effettivamente, non si può dire che Liberaci dal male non sia girato bene, per carità. La "punta di diamante", se così si può dire, della pellicola sono le inquietantissime sequenze ambientate nella camera della figlia di Sarchie, con quel dannato gufo occhiuto che in un istante mi ha fatto passare ogni amore per queste povere bestiole, la visita dei due poliziotti nella casa infestata e, come ho detto, se non fosse mortalmente noiosa anche la lunghissima scena dell'esorcismo sarebbe stata molto bella da vedere, soprattutto grazie all'intensa interpretazione dell'inglese Sean Harris. Questo attore, vuoi anche per il make up particolarmente convincente, è a dir poco magnetico e riesce a trasformare uno sguardo apparentemente inespressivo nella rappresentazione stessa dell'abisso del Maligno, roba che a trovarsi davanti uno così per strada ci sarebbe da stramazzare di paura senza che lui compia nemmeno un gesto. Il resto del cast è abbastanza anonimo e nella norma, con attori che starebbero meglio in un action/poliziesco piuttosto che in un horror, mentre il prete di Édgar Ramírez, col suo look da fighetto, a lungo andare più che suscitare interesse fa un po' ridere, quasi quanto le mise indossate dalla moglie di Sarchie per andare in chiesa o il fatto che il suo collega vada in giro armato solo di coltelli senza portare con sé nemmeno una pistola (pattugli il Bronx solo con due coltellini? Davvero??? Contento te...). In definitiva, Liberaci dal male è una di quelle pellicole che portano a dire "carino, ma si poteva fare molto di più"; purtroppo il film non riesce a staccarsi dalle storie demoniache che quest'anno hanno invaso i grandi schermi e, incapace di mantenere a lungo la sua peculiare natura ibrida, si adagia a poco a poco su sentieri già battuti e assai poco entusiasmanti. Un vero peccato, soprattutto perché di Scott Derrickson avevo sentito parlare un gran bene ai tempi di quel Sinister che devo ancora vedere e che, spero, riuscirà ad inquietarmi ed entusiasmarmi ben più di quanto abbia fatto Liberaci dal male.
Scott Derrickson è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Hellraiser 5: Inferno sulla terra, The Exorcism Emily Rose, Ultimatum alla Terra e Sinister. Anche produttore, ha 37 anni e due film in uscita, tra i quali dovrebbe esserci anche il Marvelliano Dottor Strange, previsto per il 2016.
Eric Bana (vero nome Eric Banadinovich) interpreta il detective Sarchie. Australiano, ha partecipato a film come Hulk, Troy, Munich e Star Trek, inoltre ha lavorato come doppiatore in Alla ricerca di Nemo. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 46 anni e un film in uscita.
Édgar Ramírez, che interpreta Padre Mendoza, aveva già indossato l'abito talare in The Counselor - Il procuratore. Sempre a proposito di attori, il ruolo di Sarchie era stato offerto a Mark Wahlberg, che però ha rifiutato. Detto questo, se Liberaci dal male vi fosse piaciuto recuperate anche Il rito o Il tocco del male. ENJOY!
Trama: Nel Bronx si scatena un'inspiegabile epidemia di omicidi, suicidi, violenze e fenomeni paranormali. Il Detective Sarchie si ritrova in mezzo a questa serie di eventi e, per venirne a capo, è costretto a collaborare con il peculiare Padre Mendoza...
Liberaci dal male comincia benissimo e, per un attimo, mi aveva quasi convinto. Lontano dall'essere uno dei soliti horror di ultima generazione a base di case infestate, nonostante si accenni ad esse in più di un'occasione, il film di Scott Derrickson si presenta infatti come un interessante e peculiare mix di horror paranormale e thriller poliziesco dove gli sbirri sono duri e puri, amanti della giustizia inculcata a cazzotti o peggio. All'interno di una realtà normale, per quanto violenta, questi sbirri abituati a trovarsi davanti un male "razionale" (anche nella follia) da sconfiggere a colpi di manette e pugni vengono costretti a fronteggiare IL Male, quello con la M maiuscola e con poteri in grado di possedere le persone e portarle a compiere gesti inenarrabili; chiunque può essere il bersaglio e il veicolo di questo Male che viene da lontano e le indagini per risalire alla sua fonte, comprenderne l'origine e punire i colpevoli sono ovviamente complicate dall'imprevedibilità di quest'apparente epidemia di pazzia e dall'impossibilità di arrestare o uccidere un'entità priva di un suo corpo fisico, tanto che i protagonisti si ritrovano ad essere sempre più impotenti e paranoici, come già accadeva al povero Denzel Washington ne Il tocco del male. Purtroppo, questi intriganti elementi della trama servono a reggere giusto la prima parte del film perché poi Liberaci dal male prende la solita deriva "esorcistica" con un'aggravante che riesce a renderlo particolarmente fastidioso: il didascalismo. Ad un certo punto i tormenti interiori del detective Sarchie e di Padre Mendoza vengono sviscerati con dovizia di parole, ragionamenti ed elucubrazioni (e questo posso anche accettarlo sebbene l'apologia del perdono che la Chiesa ha offerto al prete drogato e libertino mi abbia ricordato anche troppo il frequente insabbiamento di peccati quali la pedofilia, che è tutto meno che apprezzabile) ma l'apice dell'assurdità viene toccato dall'esorcismo finale spiegato passo per passo neanche ci trovassimo di fronte ad un bignami del perfetto purificatore di Demoni. Mezz'ora di "io ti esorcizzo", un po' in italiano e un po' in spagnolo, alternata a sparate come "Questa è la fase uno: la lotta. Questa è la fase due: la stasi. Ecc..". Insopportabile, interminabile e noiosissima nonostante il gran dispendio di ottimi effetti speciali.
Effettivamente, non si può dire che Liberaci dal male non sia girato bene, per carità. La "punta di diamante", se così si può dire, della pellicola sono le inquietantissime sequenze ambientate nella camera della figlia di Sarchie, con quel dannato gufo occhiuto che in un istante mi ha fatto passare ogni amore per queste povere bestiole, la visita dei due poliziotti nella casa infestata e, come ho detto, se non fosse mortalmente noiosa anche la lunghissima scena dell'esorcismo sarebbe stata molto bella da vedere, soprattutto grazie all'intensa interpretazione dell'inglese Sean Harris. Questo attore, vuoi anche per il make up particolarmente convincente, è a dir poco magnetico e riesce a trasformare uno sguardo apparentemente inespressivo nella rappresentazione stessa dell'abisso del Maligno, roba che a trovarsi davanti uno così per strada ci sarebbe da stramazzare di paura senza che lui compia nemmeno un gesto. Il resto del cast è abbastanza anonimo e nella norma, con attori che starebbero meglio in un action/poliziesco piuttosto che in un horror, mentre il prete di Édgar Ramírez, col suo look da fighetto, a lungo andare più che suscitare interesse fa un po' ridere, quasi quanto le mise indossate dalla moglie di Sarchie per andare in chiesa o il fatto che il suo collega vada in giro armato solo di coltelli senza portare con sé nemmeno una pistola (pattugli il Bronx solo con due coltellini? Davvero??? Contento te...). In definitiva, Liberaci dal male è una di quelle pellicole che portano a dire "carino, ma si poteva fare molto di più"; purtroppo il film non riesce a staccarsi dalle storie demoniache che quest'anno hanno invaso i grandi schermi e, incapace di mantenere a lungo la sua peculiare natura ibrida, si adagia a poco a poco su sentieri già battuti e assai poco entusiasmanti. Un vero peccato, soprattutto perché di Scott Derrickson avevo sentito parlare un gran bene ai tempi di quel Sinister che devo ancora vedere e che, spero, riuscirà ad inquietarmi ed entusiasmarmi ben più di quanto abbia fatto Liberaci dal male.
Scott Derrickson è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Hellraiser 5: Inferno sulla terra, The Exorcism Emily Rose, Ultimatum alla Terra e Sinister. Anche produttore, ha 37 anni e due film in uscita, tra i quali dovrebbe esserci anche il Marvelliano Dottor Strange, previsto per il 2016.
Eric Bana (vero nome Eric Banadinovich) interpreta il detective Sarchie. Australiano, ha partecipato a film come Hulk, Troy, Munich e Star Trek, inoltre ha lavorato come doppiatore in Alla ricerca di Nemo. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 46 anni e un film in uscita.
Édgar Ramírez, che interpreta Padre Mendoza, aveva già indossato l'abito talare in The Counselor - Il procuratore. Sempre a proposito di attori, il ruolo di Sarchie era stato offerto a Mark Wahlberg, che però ha rifiutato. Detto questo, se Liberaci dal male vi fosse piaciuto recuperate anche Il rito o Il tocco del male. ENJOY!
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