1950 IL PASSO DEL DIAVOLO (Devil's Doorway) di Anthony Mann. Con Robert Taylor, Louis Calhern, Paula Raymond, Marshall Thompson, James Mitchell.
Nello spazio di un solo anno - il 1950 - Anthony Mann realizzò la bellezza di quattro pellicole: un buon noir con Farley Granger (La via della morte), il suo primo western con Jimmy Stewart (Winchester '73), un fosco e impegnativo melodramma di frontiera con Barbara Stanwyck (Le Furie) e, infine, un altro western puro, Il passo del diavolo. Film quest'ultimo generalmente sottostimato dalla critica ufficiale, che di solito lo ricorda solo per aver inaugurato assieme all'Amante indiana di Delmer Daves il filone dei western filoindiani degli anni '50, ma cui in realtà non manca nulla per essere considerato un piccolo gioiello: è splendidamente girato e fotografato, ha un protagonista carismatico e innovativo - un pellerossa costretto a fronteggiare i soprusi dei bianchi - e una seconda parte esplosiva che conduce ad un epilogo memorabile, amaro ed in anticipo sui tempi. Andando maggiormente a fondo si scopre poi che Lancia Spezzata - nell'originale molto piú semplicemente Lance Poole - è l'unico degli eroi manniani a possedere un forte senso di appartenenza al territorio, un autentico spirito stanziale che lo differenzia profondamente dalle anime raminghe - che «vengono da altrove e vanno altrove» per dirla con Jacques Rancière - di cui è costellato il suo cinema. E dal punto di vista stilistico Mann sembra fare le prove generali per i capolavori a venire: emblematica da questo punto di vista la sequenza della rissa nel saloon, dove la tensione claustrofobica viene portata al punto di rottura tramite «riprese leggermente inclinate, che accentuano l'incombere delle cose sugli uomini» [P. Mereghetti], mentre nello spazio esterno infuria, suggerito dal sonoro e dalle improvvise esplosioni di luce, un violento temporale. Una scena che si avvicina molto all'essenza stessa del cinema western e che basterebbe, sola, a cancellare dal Passo del diavolo l'etichetta di film minore. Sguardo fiero e una vena di tristezza, quella di Lancia è anche una delle migliori interpretazioni di Robert Taylor, nonostante il risibile trucco che gli sporca la faccia per farlo assomigliare ad un indigeno; curioso trovarlo, nemmeno tanto piú tardi, a fare il ruolo esattamente opposto del massacratore di indiani nell'Ultima caccia di Richard Brooks. Colonna sonora di Daniele Amfitheatrof, ottimo compositore giramondo nato a San Pietroburgo, educato musicalmente in Vaticano, divenuto famoso in America e morto ottantenne a Roma.
Paolo D'Andrea