Visualizzazione post con etichetta Western inglese. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Western inglese. Mostra tutti i post

venerdì 6 luglio 2012

i film 41 - Lo chiamavano Mezzogiorno



1973 LO CHIAMAVANO MEZZOGIORNO (The man called Noon) 
di Peter Collinson, con Richard Crenna, Stephen Boyd, Rosanna Schiaffino, Farley Granger, Patty Shepard, Ángel del Pozo, Aldo Sambrell, Charlie Bravo, Ricardo Palacio

Malgrado il titolo italiano sia a dir poco assurdo, poiché nella pellicola nessuno si chiama Mezzogiorno e Noon è semplicemente il cognome del protagonista, il film non è male.
Si tratta di un’inconsueta coproduzione anglo-ispano-italiana che segue più l’estetica americana che non quella degli spaghetti western, nonostante la caterva di morti ammazzati e le bellissime riprese del deserto di Tabernas in Almeria (si possono notare il 'Rancho Leone' di C’era una volta il West e il 'Fuerte El Condor' di El Condor).



La sceneggiatura è tratta da un famoso romanzo di Louis L’Amour e la matrice letteraria si vede tutta, poiché la trama è intricatissima e in certi passaggi non facile da seguire. Peccato, perché la storia sarebbe invece molto interessante, con l’eroe che ha perso la memoria e non sa se è davvero un famoso killer, come tutto porterebbe a pensare, oppure no.

La pellicola peraltro regge bene per tutta la prima parte, molto coinvolgente con la sua atmosfera di mistero, accusando però parecchie smagliature quando si tratta di tirare i fili della vicenda, con le giravolte della trama che vengono risolte tramite dei passaggi poco credibili (ad esempio il cattivo travolto da una roccia come nei peggiori peplum), assegnando ai personaggi – la cui personalità all’interno del film cambia di continuo – dei moventi per digerire i quali lo spettatore deve affidarsi a tutta la sua suspension of disbelief e aggiungendo dei colpi di scena ad effetto che sembrano messi lì tanto per stupire il pubblico.
Si svaria troppo, inoltre, tra un registro truce e un altro quasi ironico, che non si legano molto bene tra di loro.



Il film, comunque, ha un suo stile e certe esagerazioni – come la pistolera vestita in un attillatissimo abito nero interpretata da Patty Shepard – lo rendono se non altro interessante.
La regia dell’inglese Peter Collinson (un giovane talento scomparso a poco più di quarant’anni) non è male e visivamente il film è notevole, anche se penalizzato da un montaggio poco incisivo e non scevro da errori (capita, ad esempio, che i cattivi uccisi in una scena siano di nuovo in piedi in quella successiva).

Non è eccezionale nemmeno la colonna sonora di Luis Bacalov, quasi da western classico. Il celebre compositore ha fatto di meglio.



Grande, però, il cast internazionale: ci sono Richard Crenna (il futuro colonnello Trautman di Rambo), molto efficace nella parte del gelido killer, Stephen Boyd, la nostra Rosanna Schiaffino, l’hitchcockiano Farley Granger, Patty Shepard, secondo noi la cosa migliore del film, e numerosi caratteristi spagnoli, come Ángel del Pozo, Aldo Sambrell, Charlie Bravo e Ricardo Palacios.

Il duello finale tra le due donne (la Schiaffino e la Shepard) rimanda direttamente a quello di Johnny Guitar.

lunedì 25 giugno 2012

i film 38 - Io grande cacciatore



1979 IO, GRANDE CACCIATORE (Eagle's Wing)  
di Anthony Harvey, con Martin Sheen, Sam Waterston, Harvey Keitel, Stéphane Audran, John Castle, Caroline Langrishe

Tardo e bellissimo western lirico e paesaggistico, diretto da Anthony Harvey, montatore (per Kubrick) e regista britannico di raffinata eleganza.
Il punto di vista adottato dall’autore sul genere è del tutto originale, soprattutto per la collocazione storica in un West primordiale, precedente alla nascita dei miti (i riferimenti più immediati sono forse a Corvo rosso non avrai il mio scalpo), messa singolarmente in contrasto con l’ambientazione classica nei deserti messicani (il film è stato girato nei dintorni di Durango, in zone peckinpahiane).



La pellicola è del tutto atipica anche per l’esiguità dei dialoghi e la pochissima violenza, oltre che per un montaggio strano e ipnotico, che sovrappone le immagini in maniera piuttosto libera e non sempre consequenziale.

La trama è incentrata sul duello tra un cacciatore di pellicce bianco (Martin Sheen, reduce da Apocalyse Now) e un indiano comanche (Sam Waterston) per il possesso di un bellissimo stallone bianco, che diviene metafora del materialismo e della brama di possesso da parte dei bianchi e di trascendenza spirituale per i pellerossa, e che si chiude con una lezione di vita ai primi da parte di questi ultimi.
Il titolo italiano cita proprio la frase finale “Tu piccolo uomo bianco, Io grande cacciatore”, mentre l’originale Eagle's Wing si riferiva più semplicemente al nome del cavallo.



Il film inizia su ritmi lenti e contemplativi, per poi vivacizzarsi nell’ultima parte con un crescendo emozionante, e non mancano inserti onirici e metafisici, con funerali indiani, preti cattolici, missioni messicane, una diligenza che scorta un carro funebre e quattro donne, tra cui una bionda irlandese (la bellissima Caroline Langrishe), che viene rapita dal comanche per poi essere liberata in un finale altamente simbolico.
E’ chiaro come la sceneggiatura di John Briley, premio Oscar per Gandhi, abbia delle ambizioni e voglia farsi allegoria su concetti come l’incontro/scontro tra culture diverse, la contrapposizione tra tradizioni millenarie e l’avanzare del progresso, l’inseguimento dei sogni e la ricerca della felicità, il desiderio di possesso e la brama di ricchezza, e non mancano nemmeno scoperte metafore religiose.



Molto riuscita la raffigurazione dei pellerossa, tutti circondati da un'aurea metafisica e con il corpo coperto di piumaggio.
La grande e suggestiva fotografia di Billy Williams incornicia magnificamente la bellezza primitiva della natura selvaggia e incontaminata.
C’è anche Harvey Keitel, ma lo fanno fuori dopo nemmeno un quarto d’ora.

 

venerdì 3 febbraio 2012

i film 6 - La texana e i fratelli Penitenza

1972 La texana e i fratelli Penitenza (Hannie Caulder) 
di Burt Kennedy, con Raquel Welch, Robert Culp, Ernest Borgnine, Christopher Lee, Jack Elam, Strother Martin, Diana Dors, Aldo Sambrell, Stephen Boyd


Western di produzione interamente inglese, girato in Spagna e diretto dall’americano Burt Kennedy.
Nonostante l’assurdo titolo italiano (tanto più che anche nel nostro doppiaggio i fratelli si chiamano Clemens e non Penitenza) e il fatto che Kennedy (storico sceneggiatore di Budd Boetticher) sia conosciuto soprattutto per i suoi western-commedia è un film del tutto serio e pure piuttosto violento, e anche il folle trio di fratelli interpretato da Ernest Borgnine, Jack Elam e Strother Martin, che rapinano, stuprano e uccidono, litigando come comari anche nel bel mezzo delle sparatorie, tutto sommato fa ben poco ridere.



Di tipicamente europeo, oltre a qualche caratterista locale come Aldo Sambrell, ci sono il sadismo, l’amoralità, i personaggi sopra le righe e le figure archetipiche dei bounty-killers, mentre l’estetica e la violenza, con gli schizzi di sangue in bella vista, sono sicuramente più vicine ai western di Sam Peckinpah (con Il Mucchio Selvaggio citato esplicitamente nella sanguinosa rapina alla banca iniziale), cosicché risulta davvero curioso vedere quello che sembra in tutto e per tutto un tipico western americano girato in Almeria negli stessi set di quello italiano.


Il film è costruito intorno alle grazie di Raquel Welch, nel ruolo della Hannie Caulder del titolo originale, una vedova che grazie agli insegnamenti di un cacciatore di taglie (Robert Culp) persegue la vendetta sugli assassini del marito e suoi violentatori. Se la cosa vi ricorda Uma Thurman in Kill Bill avete fatto centro: per Quentin Tarantino il film di Kennedy è “definitely of the revenge movies I was thinking about”.
La cosa che Tarantino ama di più del film è il grande Robert Culp, attore sottostimato e purtroppo scomparso di recente, davvero perfetto nel ruolo del maestro iniziatore, anche se nel doppiaggio italiano la sua voce è molto meno cool che in in originale.
Noi, più banalmente, confessiamo di preferirgli la bellissima Welch che, vestita unicamente di uno striminzito poncho, ci pare incarnare la più perfetta icona erotica western possibile, all’epoca infatti di grande successo e popolarità (tanto al suo look si ispirarono anche pubblicazioni a fumetti come la Raquel del nostro Stelio Fenzo).


Piuttosto curiosa, infine, la presenza di Christopher Lee, in uno dei suoi rarissimi ruoli non horror, quello dell’armaiolo messicano che costruisce la pistola su misura per la bella e spietata vendicatrice.

Mauro Mihich

sabato 28 gennaio 2012

i film 5 - Il giorno dei lunghi fucili

1971 IL GIORNO DEI LUNGHI FUCILI (The Hunting Party) di Don Medford, con Oliver Reed, Gene Hackman, Candice Bergen, Simon Oakland, Mitch Ryan, L.Q. Jones, Francesca Tu


Notevole western inglese girato in Spagna, di grande violenza e sensazionalismo, diretto con mano pesante e senza molte sfumature dal regista televisivo americano Don Medford.
Pur avendo contribuito molto marginalmente, e soprattutto sul finire del filone, alla causa dell’Eurowestern bisogna dare atto alla cinematografia inglese di avere saputo produrre quasi sempre dei risultati di medio-alto livello e, particolare non disprezzabile, spesso più vicini al western americano crepuscolare che non allo spaghetti italiano (o meglio ancora operando un’interessante commistione tra le due “correnti”) e a Sam Peckinpah in particolare.
Il riferimento a Peckinpah è quello più immediato riguardo a The Hunting Party, sia a livello estetico, per l’iperrealismo delle scene di violenza, costruite come dei balletti di morte e con l'uso del classico montaggio sincopato e dei ralenty peckinpahiani, sia a livello tematico, per il ribaltamento dell’etica classica della frontiera, con i fuorilegge visti come ultimi rimasugli di un mondo ormai destinato alla scomparsa e sempre più basato sulla sopraffazione capitalistica.


Peccato che nel film, purtroppo, vi sia poca traccia della complessità tematica e della profondità psicologica dei grandi personaggi di Bloody Sam e che sembri costruito più che altro sull’esibizione sadica e compiaciuta di scene forti e ad effetto, sia di violenza che di sesso, con i rapporti con le donne basati unicamente sullo stupro, e strutturato piuttosto linearmente proprio come la battuta di caccia del titolo originale, in cui allo spettatore non resta che rimanere in attesa delle varie carneficine, realizzate benissimo e indubbiamente il pezzo forte del film.


Notevole punto debole, invece, è il protagonista Oliver Reed, che non ha ne’ il carisma ne’ il fisico (troppo appesantito dall’alcool) per sostenere la parte del capobanda in un film western e che in vari momenti scivola nel ridicolo. Candice Bergen, bellissima, è sacrificata in un ruolo banale e che non le consente molti toni di recitazione (la maestrina rapita e violentata che si innamora del suo carnefice). Gene Hackman, invece, tanto per cambiare si mangia il film sguazzando alla grande nella parte del mefistofelico e sanguinario allevatore, che si rivela ben peggiore dei rapitori a cui da la caccia, quasi un’anticipazione del perfido e sadico Little Boy de Gli spietati. C’è anche, in una parte secondaria, il grande caratterista peckinpahiano L.Q. Jones.
L’unica cosa italiana è la musica, lugubre ed epica, di Riz Ortolani.


Mauro Mihich