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lunedì 26 marzo 2012

Giulio Petroni 3 - Tepepa

1968 TEPEPA di Giulio Petroni, con Tomas Milian, Orson Welles, John Steiner, Luciano Casamonica, Angel Ortiz, Anna Maria Lanciaprima, José Torres, Paloma Cela, George Wang



Il capolavoro rivoluzionario di Giulio Petroni.
Girato in pieno sessantotto si inserisce in quel particolare sottofilone del genere denominato Tortilla Western, inaugurato da Quién sabe? di Damiano Damiani e caratterizzato dalla collocazione storica nella rivoluzione messicana di inizio novecento e la forte connotazione politica.
Anche il film di Petroni gioca sulla rivalità-amicizia tra un peone messicano (Tomas Milian in una delle sue migliori interpretazioni, che per la prima volta si doppia da sé con quella particolare inflessione romano-cubana un po’ strana ma di gran fascino) e un gringo borghese e civilizzato (un teatrale e bravissimo John Steiner, ottimo attore che non ha avuto la fortuna che meritava) e sposa la formula dell’avventura picaresca in bilico tra ideologia e spettacolo, tipiche del filone.
Al di là delle evidenti simpatie terzomondiste, la sceneggiatura di Franco Solinas, specialista in western politici (Queimada, Il mercenario), e Ivan Della Mea, celebre – al tempo – cantautore di sinistra, getta però anche uno sguardo piuttosto cinico e disilluso sulla Rivoluzione, sottolineato dall’ambiguità di fondo del personaggio di Tepepa, risultando uno degli esempi meglio bilanciati del genere sotto il punto di vista storico e ideologico.
Un’opera dichiaratamente ambiziosa (a cominciare dalla durata, 2 h e 15’) e di assoluto rilievo per la ricostruzione storica, le grandi scene d’azione, la narrazione complessa (modernissimo l’uso narrativo del flashback), le sottili psicologie dei personaggi e il bellissimo utilizzo del paesaggio desertico dell’Almeria (nella zona del Parco Naturale di Cabo de Gata-Níjar, dove lo scenario puntellato da agavi ricorda davvero da vicino quello messicano, come pure la città di Guadix, che anche Sergio Leone utilizzerà per Giù la testa).
La pellicola sarebbe da ricordare anche solo per il fatto di essere l’unico western interpretato da Orson Welles, che tratteggia magnificamente la più grande figura di colonnello sanguinario di tutti i western italiani: la prima scena in cui appare, mentre tentano di ucciderlo ubriaco al tavolo tra il cibo e le prostitute, ricorda da vicino quella con il Generale Mapache (Emilio Fernández) ne Il mucchio selvaggio, girato l’anno successivo.
Ottima e molto particolare la fotografia dai toni olivastri di Francisco Marin, operatore spagnolo imposto dalla produzione, e ormai consegnata alla Storia l'immortale colonna sonora di Morricone.



"Il suo western rivoluzionario o tortilla western. La trama vede ancora una volta il rivoluzionario cialtrone e banditesco messo al confronto con il gringo intellettuale ed elegante, come in praticamente tutti i film del sottogenere. Ma ancora una volta Petroni fa la differenza con una messa in scena impeccabile e con la grande cura per i personaggi, ricchi di risvolti psicologici che mescolano parecchio i soliti ruoli del western rivoluzionario. Se al Tepepa di Milian va al solito la simpatia del pubblico, non mancano però parecchi lati oscuri nel personaggio, inoltre per una volta il personaggio del “gringo” (interpretato dal perfetto John Steiner) non è antipatico, anche perché non è mosso da fini economici, ma dal desiderio (giustificato) di vendetta. Il bellissimo e tristissimo finale non ha nulla di ideologico o “rivoluzionario”, ma molto di crepuscolare. Nella parte di un generale nientemeno che Orson Welles, al suo primo ed ultimo western spaghetti". (Tommaso Sega)

mercoledì 1 febbraio 2012

le monografie 3 - Gli eredi di Sartana

Gli eredi di Sartana
...come una risata seppellì il western all'italiana 

Avevano sempre le facce di George Hilton e Gianni Garko, giravano il West sempre vestiti in modo elegante, erano sempre cinici e pieni di trucchi, ma fin dai nomi non avevano più nulla di diabolico: Camposanto, Alleluja e Spirito Santo sono stati la versione bonacciona di Sartana. Regista, attori, sceneggiatori e cast tecnico dei film di cui stiamo per scrivere erano praticamente gli stessi della serie ufficiale del gambler-becchino, il che garantiva una confezione sempre di una certa classe, ma i risultati furono molto diversi. Perché i tempi erano ormai molto diversi.


1971 GLI FUMAVANO LE COLT... LO CHIAMAVANO CAMPOSANTO
di Giuliano Carnimeo con Gianni Garko, William Berger, Chris Chittell, John Fordyce, Ugo Fangareggi, Nello Pazzafini, Rick Boyd

La lugubre ironia dei film di Sartana inzia a stemperarsi in quella più innocua dei Trinità. Infatti è messa in scena una vecchia sceneggiatura di Clucher/Barboni, il creatore del celebre dittico con Bud Spencer e Terence Hill. Peccato che l’ironia di Barboni, quando non corretta dalla carismatica presenza della copia Spencer & Hill, tendesse sempre un po’ troppo al bonaccione. Ne esce infatti un simpatico film per ragazzi, comicarolo, non ancora “fagioli” (fortunatamente), pieno di buffonate e scazzottate come di morti ammazzati. Ai tempi fu un grande successo, rivisto oggi è uno dei pochi film nati sulla scia di Trinità ad essere ancora abbastanza godibile. Comunque fatto benissimo a livello tecnico: regia, fotografia, montaggio eccellenti, musiche di Nicolai splendide.
Il film ha ben tre coppie di protagonisti (troppe): quella ironica di due coraggiosi ragazzotti dell’Est, quella decisamente comica dei loro due servitori messicani e quella semiseria formata dai pistoleri nemici-amici Gianni Garko e William Berger. La parte migliore del film è ovviamente quella che vede in scena questi ultimi. Inappuntabile e nerovestito il personaggio di Garko si chiama in realtà Straniero, il soprannome Camposanto salta fuori giusto in un paio di battute evidentemente posticce, tanto per giustificare il titolo. Un sornione William Berger fa invece la parte del Duca, pistolero ugualmente fiero di essere figlio di un aristocratico quanto di una puttana. Il film segnò il ritorno di Berger dopo il vergognoso caso di malagiustizia italiana di cui era stato vittima: arrestato insieme alla moglie e degli amici per qualche spinello ad una festa, furono rinchiusi in manicomio, dove la moglie, convalescente da un’ operazione, morì per un’ infezione non curata.
Sotto le gag e le buffonate, qualche trovata malinconica (molto bella quella di Garko che decide di fare da angelo custode ai due piedidolci dopo averli visti mettere dei fiori sulla tomba della moglie) e degli evidenti riferimenti alla criminalità e omertà nel sud Italia.



1971 TESTA T'AMMAZZO, CROCE SEI MORTO: MI CHIAMANO ALLELUJA
di Giuliano Carnimeo con George Hilton, Charles Southwood, Agata Flori, Roberto Camardiel, Rick Boyd

Primo di una specie di trilogia "tortilla" di Carnimeo, che mette in scena una rivoluzione da barzelletta. Il film parte bene con Alleluja che, servendosi di una macchina da cucire che si trasforma in mitragliatrice, salva il generale rivoluzionario Ramirez dalla fucilazione. Lo vediamo poi serafico che contratta i suoi affari con Ramirez mentre intorno a loro piovono morti. I primi quaranta minuti di film sembrano quasi miracolosi: uno spaghetti commedia DAVVERO brillante, non solo vuotamente spiritoso. Non ci si annoia tra rivoluzionari allegramente cinici, soldati francesi impennacchiati, spie travestite da suore, banditi travestiti da frati, preti veri ma votati alla guerriglia, operazioni chirurgiche con il cavatappi, cadaveri negli armadi e persino un assurdo ussaro in trasferta messicana. Un gran peccato quindi che nella seconda parte gli autori perdano il senso della misura. La brillantezza diventa buffoneria, con scene d'azione esageratissime e cazzotoni alla Trinità. Poche, ma già fastidiosissime, le scivolate nel greve: dei banditi messi fuori gioco con un lassativo, un finto frate che parla il romanesco. Anche così però bisogna dire che il film nel complesso funziona là dove gran parte dei western comicaroli fallivano miseramente, cioè riesce a divertire e ogni tanto persino a far sorridere.



1971 UOMO AVVISATO MEZZO AMMAZZATO... PAROLA DI SPIRITO SANTO
di Giuliano Carnimeo con Gianni Garko, Cris Huerta, Pilar Velázquez, Víctor Israel, George Rigaud, Nello Pazafini, Rick Boyd

Di gran lunga il migliore dei tre film "rivoluzionari". Quello che mescola meglio l'azione comica e quella drammatica. Intediamoci: assolutamente comico, con decine di gag di grana grossa e grossissima (il finale coi rivoluzionari vestiti da puttane), ma se si sta al gioco fa ridere e pure tanto. Già molto che ci vengono risparmiate inflessioni dialettali e gag scatologiche. Funzionano l'ironia grottesca e il ritmo è scatenato, funzionano i personaggi, una folla di colorite macchiette che riesce ad essere picaresca senza scadere (quasi mai) nei personaggi da barzelletta, il Carezza di Cris Huerta, doppiato alla Tuco, è uno delle migliori variazioni del personaggio di Bud Spencer, mentre Pilar Velázquez è brava e simpatica, oltre che spaventosamente bella. Anche se Carnimeo pare preferisse Hilton, Garko aveva ben altra presenza e stile. Se infatti l'Alleluja di Hilton risulta un personaggio un po' incolore, messo spesso in secondo piano dalle macchiette che lo circondano, lo Spirito Santo di Garko ha il carisma surreale di Sartana, pur ribaltandone le caratteristiche estetiche. Soprattutto, pur mollando anche lui tanti cazzottoni, Spirito Santo non rinuncia a molteplici e appaganti stragi di massa.
Notevole l'inizio drammatico, con i soldati che mettono a ferro e fuoco un paesino sulle note di una splendida canzone "rivoluzionaria" di Bruno Nicolai. Se in Trinità si giocava con l'iconografia religiosa solo in qualche battuta, qui si va gustosamente sul pesante. Il film comincia con una madre che invita la figlioletta a confidare in Dio, al che arrivano i soldati e ammazzano il padre. Gli stessi soldati vengono poi inquadrati in una scena che ricorda "L'ultima cena" di Leonardo, arriva Spirito Santo e li fa fuori tutti. Da antologia anche il sermone del solito biondino assassino interpretato da Rick Boyd, nella scena in cui insieme ai fratelli seppellisce un malcapitato che hanno appena ucciso: "Non farlo più Signore! Se continui a mandarci dei ficcanaso, a noi poi tocca ammazzarli, chiaro? Beh, in fondo sono affari tuoi e di questo qua... Amen."



1972 IL WEST TI VA STRETTO AMICO, E' ARRIVATO ALLELUJA
di Giuliano Carnimeo con George Hilton, Lincoln Tate, Agata Flori, Roberto Camardiel, Nello Pazzafini, Riccardo Garrone
 
Raro caso negli spaghetti di autentico sequel, con gli stessi attori a rifare gli stessi personaggi del primo film di Alleluja (solo Agata Flori fa un personaggio diverso). Se i film precedenti si mantenevano però ancora in bilico tra avventura e comicità, in questo gli autori si buttano decisi sul comicarlo spinto, lasciando perdere ogni parvenza di western, ancorché brillante. Anche la rivoluzione messicana stavolta rimane del tutto sullo sfondo, utilizzata giusto come spunto di partenza della vicenda. Quindi quasi niente morti, ma solo gran sganassoni e botte in testa. Il problema non è la scelta del registro comico in sè, ma la materia puerile con cui si cerca di far ridere. Alleluja travestito da taverniere rifila un diuretico ad una pattuglia di soldati prussiani che parlano come le Sturmtruppen. Poi li mette fuori gioco con un'unica frustata sugli attributi mentre stanno facendo i loro bisogni tutti in fila. Dei rivoluzionari assediati rispondono in coro "Merda!" ad una proposta di resa. Un affarista di New York parla come un cumenda milanese e da dei "terroni" ai messicani. Un seduttore messicano geloso (l'ancora notissimo caratterista Riccardo Garrone) parla in siciliano e balbetta. Serve continuare? Bisogna dire che il film, a differenza della stragrande maggioranza dei "fagioli western", è ancora una volta fatto bene e si lascia guardare, avendo un suo ritmo e uno suo stile. Ma più che consolare la cosa mette tristezza al pensiero di tanto talento sprecato.

Al di là del discorso commerciale nato con il successo di Trinità, sembrerebbe quasi che ai tempi tutti quanti - pubblico, registi, attori - fossero felici e contenti di poter buttare finalmente(?) alle ortiche il western e poter fare gli spiritosoni tra capitomboli, smorfie e qualche parolaccia. Come all'asilo.


Infatti in seguito l'accoppiata Carnimeo e George Hilton darà vita ad un ulteriore dittico dedicato ad un pistolero e gambler nerovestito: Tresette, protagonista dei deliranti e francamente inguardabili Lo chiamavano Tresette... giocava sempre col morto (1973) e Di Tresette ce n'è uno tutti gli atri son nessuno (1974), dove dal western comicarolo scivoleranno definitivamente nella peggior commediaccia all'italiana, e dove l'ambientazione western diverrà totalmente pretestuosa e praticamente inesistente.

Tommaso Sega