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lunedì 4 giugno 2012

i film 31 - Giarrettiera Colt


1967 GIARRETTIERA COLT
di Gian Andrea Rocco con Nicoletta Rangoni Machiavelli, James Martin, Walter Barnes, Yorgo Voyagis, Claudio Camaso, Gaspare Zola

"Spaghetti" che può concorrere tranquillamente al premio di western all'italiana più squinternato di sempre. E avere buone possibilità di piazzarsi ai primissimi posti. La tipica pellicola che può risultare affascinante o irritante a seconda da cosa ci si aspetta e dal come la si prende. Se si cerca un western classico, ancorché all'italiana, meglio subito lasciar perdere. Se lo si vede come un film pop, figlio del clima della Summer Of Love (il film fu girato in Sardegna proprio nell'estate del 1967), allora è più fresco, divertente e genuinamente “figlio dei fiori" di tanti film militanti, sperimentali e contestatari dell'epoca oggi ormai quasi inguardabili.


A livello stilistico è un film in cui raffinatezza e cialtroneria si mescolano senza possibilità di capire dove iniziano e finiscono le reali intenzioni degli autori (non che la cosa importi nel giudizio finale su un film). 
Girato in evidente fretta e furia e con pochi mezzi negli splendidi e credibilissimi paesaggi sardi, è un film che riesce a fare della sua trasandatezza una cifra stilistica. La regia è allo stesso tempo naif e ricercata, con più di un debito verso il cinema terzomondista all'ora molto in voga, da cui sono ripresi l'utilizzo di un montaggio sconnesso e straniante, l'espediente di usare gli attori prima di tutto come facce e tipi (come faceva Pasolini, per capirci) e il frequente ricorso all'improvvisazione. La mancanza di una trama e i continui scarti di tono finiscono per diventare quasi un pregio, visto che rendono lo sviluppo degli eventi imprevedibile e simpaticamente balordo. Anche i dialoghi sgangherati sono resi accettabili da un'ironia disincantata. Infine, nonostante la povertà del budget, il film può contare su una colonna sonora molto bella e una fotografia coloratissima ed elegante.

Nani travestite da bebè, pappagalli intelligenti, bandoleros e cavalli coicanomani, pistole con la canna a forma di cuore, personaggi che amoreggiano in mezzo alle sparatorie, balordissimi tentativi di stupro, stravaganti linciaggi, laide baldraccone, ballerine sciroccate, spie francesi menefreghiste, sceriffi imbranati, candide fanciulle un po' puttane. L'ironia è grottesca e nerissima. Nel bel prologo si vedono dei soldati francesi legati a dei pali, qualcuno prega, qualcun altro mormora, sembrerebbe la premessa per una drammatica fucilazione, invece li fanno saltare in aria con la dinamite! Nel paesino americano si impiccano a caso i messicani perché "fanno tutti la rivoluzione" e i bravi cittadini sono appunto "contro la violenza". Bello e inaspettato anche il finale amaro e triste. È insomma un west in preda al caos più assoluto, come avrebbe potuto immaginarlo e metterlo in scena anni dopo un Kusturica.



Il film è ovviamente un inno all'insolita e strepitosa bellezza di Nicoletta Macchiavelli. Che fa la parte di Lulù, giocatrice di poker e sedicente nipote della Signora delle Camelie(!) in trasferta nel West. Avventuriera apparentemente indifferente, ma dagli slanci romantici, personaggio dall'aria aristocratica e beffarda, che sarebbe piaciuto vedere in una storia di Corto Maltese.
Qui trovate un interessante approfondimento sull'attrice, con una lunga testimonianza della Macchiavelli riguardante la sua esperienza (dal suo punto di vista disastrosa) sul set di "Giarrettiera Colt".

A rubargli la scena ci riesce solo un irresistibile Claudio Camaso, che è il Rosso, scimmiesco bandolero messicano vestito da pirata delle Antille, sadico, maniaco sessuale, piromane, che usa e frusta le donne come muli da soma, ma che è capace di attardarsi ad accarezzare un cane mentre infuria la battaglia o di accontentarsi di una pecora dopo una razzia dove ha perso tutti i suoi uomini. Al confronto l'Indio interpretato dal fratello in "Per qualche dollaro in più" era un modello di equilibrio mentale.

mercoledì 16 maggio 2012

i film 27 - Silent Tongue


1992 SILENT TONGUE
di Sam Shepard con Richard Harris, Sheila Tousey, Alan Bates, River Phoenix, Dermot Mulroney, Velada McCree

Bellissimo e affascinante western dalle atmosfere arcane e sospese, purtroppo mai arrivato in Italia e poco visto anche in America. Seconda ed oggi ultima regia del grande Sam Shepard, che girò il film nel 1992, probabilmente a ridosso del coevo e affine (almeno come ambientazione) Cuore di tuono, ma scarsamente distribuito solo due anni dopo. Per anni se ne è parlato quasi esclusivamente in relazione alla morte di River Phoenix, essendo l'ultimo film interpretato dall'attore morto nel 1993 ad essere stato distribuito.

Impazzito per la morte della moglie indiana un giovane ne veglia morbosamente il cadavere. Per strapparlo all'albero su cui giace il corpo, il padre rapisce la sorella della morta, sperando che la ragazza riesca a farlo ragionare. Sulle loro tracce si mettono il premuroso fratellastro bianco della ragazza e il padre, laido capocomico di un Medicine Show, che aveva violentato la madre delle due sorelle, una donna sacra (la Silent Tongue del titolo). A complicare le cose ci sono le inquietantissime apparizioni del fantasma della defunta.


Non è certo un film d'azione, non ci sono sparatorie o scazzottate, ma è un film attraversato da una bella tensione e da un grande senso di inquietudine. Sam Shepard scrive e dirige un film crudo e poetico, dai ritmi dilatati, ma dallo stile asciutto. C'è un grande senso del folclore dell'epoca, con una splendida e sentita ricostruzione dei Medicine Show ambulanti, popolati da freak, comici scalcinati e immancabili nani.
Un'opera profondamente malinconica, narrativamente divagante e dai ritmi meditativi, che si muove sul difficile confine tra poetico e poetizzante, ad esempio dispiegando a livello visivo rischiose immagini di meravigliosi crepuscoli e di paesaggi mozzafiato, ma che non diventa mai un esercizio di stile fine a se stesso o di bella e vuota calligrafia. Shepard non perde mai di vista i suoi personaggi e riesce a raccontare una fiaba crudele, dove anche i momenti più esplicitamente metaforici conservano un sapore acre e concreto. Se Bergman avesse mai girato un western probabilmente sarebbe venuto fuori qualcosa di molto simile. D'altra parte il maestro svedese è esplicitamente citato nel bel finale (lo stesso de "Il settimo sigillo") e anche le scene di vita del Medicine Show ricordano molto i suoi film.


Riuscitissima anche la mescolanza tra western e inquietanti squarci fantastici, con il personaggio dello spettro femminile probabilmente influenzato dalla tradizione cinematografia giapponese. Nonostante il film sia un chiaro atto d'amore verso la cultura dei nativi americani, non si scade mai nella facile idealizzazione dello spiritualismo e spiritismo indiani. Il tema centrale è piuttosto l'ossessione per il possesso dei bianchi, esemplificata dall'orrido e dickensiano personaggio del capocomico interpretato da Alan Bates (la cui cattiveria fin troppo sottolineata è forse l'unico grosso limite del film) e anche dall'attaccamento morboso del ragazzo alla moglie defunta, che in fondo altro non è che una continuazione del fatto che la donna le era stata comprata come un oggetto dal padre. 

Shepard tira fuori la sua esperienza teatrale e fa un gran lavoro anche con gli attori. Del resto il cast è semplicemente straordinario, con al centro un grandissimo Richard Harris, che in quello stesso periodo bissava  nel genere con Gli spietati di Eastwood. L'unico un po' monocorde è proprio il povero Phoenix, che però qui ha il non trascurabile merito, almeno agli occhi dei cultori del western, di ricordare il Jeffrey Hunter di "Sentieri Selvaggi". 

giovedì 19 aprile 2012

le monografie 4 - Il Weird Western 3

I western stramboidi usciti negli ultimi anni. Parecchi titoli come si può notare. Anche se da quel che si è potuto vedere e da quel che si può capire la qualità media è tutt’altro che entusiasmante. È evidente che in un blog come questo c'è tutta la simpatia possibile per i film poveri di mezzi e ricchi d’inventiva, ma la deriva amatoriale e dilettantesca verificatasi nel cinema a basso costo degli ultimi anni è abbastanza sconcertante. D’altra parte le poche grosse produzioni, come "Jonah Hex" e "Cowboys & Aliens", nonostante le camionate di dollari spesi, non si può dire abbiano ottenuto risultati molto più brillanti.

Le due puntate precedenti:

Il Weird Western, parte 3


2006 After Sundown
di Michael W. Brown con Susana Gibb, Reece Rios, Natalie Jones, Christopher Abram

Pellicola poverissima, ai limiti dell’amatoriale, come sempre più spesso capita per i film nati direttamente per il mercato video. Prodotti spesso girati da volenterosi dilettanti e in seguito acquistati da qualche casa di produzione in vena di risparmiare. Questo è un tipico film di zombi ambientato nel west moderno (a parte un flashback in bianco e nero ambientato un secolo prima). A dare il via al solito contagio è però una vampira trovata in un cimitero dai soliti incauti e c’è di mezzo pure un vampirone cowboy suo amante. Probabilmente, oltre che come film di zombi, sono più godibili anche come western gli ultimi film di Romero, soprattutto “Survival of the dead”, che è un vero e proprio western travestito.


2006 The Quick and the Undead
di Gerald Nott con Clint Glenn, Toar Campbell, Dion Day, Nicola Giacobbe

Un altro zombie-movie in salsa western. Ai limiti dell’amatoriale pure questo, anche se, rispetto al precedente, girato con relativa maggior professionalità e una virgola più di mezzi. Stavolta l’ambientazione sarebbe quella di un selvaggio west situato in un ipotetico futuro, con la terra dominata dagli zombi, le moto al posto dei cavalli e il protagonista che è una specie di bounty killer uscito da uno spaghetti western, ovviamente specializzato nel far fuori cadaveri deambulanti. Potabile filmetto, che ha il merito di non prendersi troppo sul serio, ma anche quello di non sbracare nel trash più fastidioso. L’idea di fondo anticipa il decisamente più divertente e riuscito “Benvenuti a Zombieland” con Woody Harrelson, del 2009: a volte, forse più spesso di quanto si voglia ammettere, che un film sia un ricco prodotto hollywoodiano non è un demerito.


2007 Shiloh Falls
di Adrian Fulle con John Bader, Steve Bannos

Se per i film precedenti c’era il dubbio, per questo si può tranquillamente parlare di una pellicola realizzata con un budget amatoriale, sempre a favore del mercato dei dvd in affitto. Nel 1892, dei fuorilegge in fuga, inseguiti da uno sceriffo e il suo vice (padre e figlio), capitano in una strana città semi-abbandonata, abitata da cittadini zombie e governata da un’entità soprannaturale che si nutre di anime. Da quel che si legge in giro, lo spunto è simile a quello del già soporifero "Purgatory" e anche qui pare si chiacchieri troppo, inoltre la trasandatezza dilettantesca della messa in scena dovrebbe essere oltre i limiti del sopportabile. Dal trailer che si trova in rete non sembrerebbe così terribile, ma non sembra comunque molto interessante in generale, anche al di là dei limiti produttivi. 


2007 Sugar Creek 
di James Cotten con Dustin Alford, Jeff Bailey, Jackson Burns, James Cotten 

Ennesima pellicola dalla messa in scena sempre pericolosamente al limite dell'amatoriale. Stavolta però niente zombi e vampiri, va di scena invece un racconto oscuro e pentecostale dagli echi addirittura biblici, tra il simbolismo dei racconti Hawthorne e la fiaba crudele alla “Sleepy Hollow” di Washington Irving. Siamo nel periodo della Guerra di Secessione (molto gettonato nel filone) e il protagonista, Adam, viene misteriosamente trascinato in giro in una bara non si da chi. Dopo essere stato liberato dal suo stesso aguzzino scopre di essere minacciato da un’inquietante figura, quella di un misterioso cavaliere mascherato armato di ascia, che lo caccerà per tre giorni e ucciderà chiunque lo aiuterà. Oltre a fuggire Adam dovrà fare i conti con la sua coscienza, scoprendo di dover espirare qualcosa riguardante quello che ha fatto, o non ha fatto, nel suo passato. Chissà… sulla carta sembrerebbe parecchio interessante e dal trailer non sembrerebbe fatto neanche male, nonostante gli evidentissimi limiti di budget. Sicuramente qualcosa di diverso. 


2007 Left for Dead
di Albert Pyun con María Alche, Soledad Arocena and Andres Bagg 

Alla ricerca di suo marito, la pistolera Clementine (sic) incontra un gruppo di prostitute assassine, che hanno addirittura sterminato tutto un paese, compreso un predicatore e sua moglie incinta. Insieme entrano in una città deserta dove ad attenderle c'è lo spettro del predicatore in cerca di vendetta. Dopo una serie di film amatoriali, o quasi, un film girato da un regista professionista. Solo che Albert Pyun è considerato da molti uno dei peggiori registi esistenti. In effetti quando uno gira quasi cinquanta film e l'unico vagamente noto è una comunque poco ricordata pellicola con Jean-Claude Van Damme ("Cyborg"), non lo si può definire un gran talento. Questo film è stato presentato come un "horror spaghetti", un incrocio tra i western di Corbucci e "Saw", girato in notevoli location argentine con attori locali, con lo stile cool di film come "Man on Fire" di Tony Scott (montaggio sincopato, colori desaturati, filtri, sfocature, fermi immagini, rallenty) e più che una storia mette in scena un lungo gioco al massacro per spettatori dallo stomaco forte. Mah, più probabile che sia una porcata sadica e misogina, roba per mistici del trash, che non un western gotico dal fascino malato, ma non si può mai dire. 


2007 Undead or Alive - Mezzi vivi, mezzi morti (Undead or Alive)
di Glasgow Philips con Chris Kattan, James Denton, Navi Rawat, Matt Besser 

Ancora zombi nel vecchio west, in un film il cui tono è facilmente immaginabile dal demenziale sottotitolo italiano. E ancora una produzione a basso budget, cosa che si nota dalla povertà delle scenografie, ma stavolta per fortuna ci troviamo di fronte ad prodotto normale e professionale, infatti giunto anche dalle nostri parti. Un cowboy vagabondo, un disertore e una sexy indianina sul sentiero di guerra (la notevole Navi Rawat) devono far fronte comune ad una maledizione zombesca lanciata contro l’uomo bianco nientemeno che da Geronimo. Esordio alla regia di uno sceneggiatore di South Park, che combina western e horror sulla scia demenziale (e deleteria) de "L'alba dei morti dementi" e il trash consapevole e rivisitato dell’accoppiata Tarantino e Rodriguez. Il risultato della miscela è un film superficiale ma divertente, popolato da simpatiche macchiette. L’ironia e le gag sono di grana grossa, ma è per fortuna evitata la volgarità fine a se stessa di tanti prodotti analoghi. Un sano vecchio b-movie. 


2007 BloodRayne II: Deliverance
di Uwe Boll con Natassia Malthe, Zack Ward, Chris Coppola, Michael Eklund, Michael Parè 

Col cappottone nero di pelle, delle armi da taglio tamarre, l'ombelico in vista e la tipica inespressività da fotomodella dell’attrice che la interpreta, una bonissima dampyr capita nel vecchio West in cerca di vampiri e si imbatte niente poco di meno che in un Billy the Kid vampiro (e pedofilo), a capo di una banda di vampiri che terrorizza il villaggio di Deliverance. Per sconfiggerlo costituirà un suo mucchio selvaggio, comprendente l’immancabile Pat Garrett (un irriconoscibile Michael Paré), un prete cialtrone e un buzzurro. Potrà sembrare incredibile, ma il film è molto meno peggio di quel che si può immaginare. Il primo BloodRayne è un horror transilvanico traboccante cattivo gusto e tratto da un videogame. Questo non c’entra praticamente niente, ha un'attrice protagonista completamente diversa e a conti fatti è proprio un western. Con la sua sobria povertà da filmaccio d'altri tempi sembra roba girata quarantacinque anni fa, magari in Italia. La parte action e vampiresca viene quasi trascurata (anche per ragioni di budget) ed è messo in scena un West innevato, grigio e notturno di una certa efficacia. Certo non si corre il rischio di confonderlo con "Pat Garrett e Billy The Kid", ma non è neppure "Billy the Kid vs. Dracula"


2007 Inferno Bianco
di Emiliano Ferrera e Stefano Jacurti con Emiliano Ferrera, Alessandro Grande, Eleonora De Bono, Stefano Jacurti 

"Western-horror realizzato con pochissimi mezzi ed enorme passione. Va da sé che si tratta di un film amatoriale, senza attori professionisti e senza pretese commerciali (è costato la bellezza di 6.000 euro!), quindi qualsiasi giudizio critico sarebbe ovviamente fuori luogo. Mi limito a dire che la cosa che mi è sembrata più notevole è la bella fotografia in bianco e nero di Cosimo Fiore (che figura anche attore, come tutta l’altra dozzina di persone coinvolte nella realizzazione della pellicola), che riprende benissimo l’ambiente invernale e gli scenari innevati del Gran Sasso d’Italia, che a loro volta trasmettono efficacemente l’idea dell’Oregon della fine dell’ottocento, periodo nel quale il film è ambientato, con un processo non dissimile da quello effettuato da Sergio Corbucci con le Dolomiti ne Il grande silenzio. I riferimenti storici del resto sono curati e precisi, e anche i costumi e le armi sono autentici e d’epoca, anche perché appartengono alla collezione privata dello stesso Jacurti, grande appassionato del genere. Molto interessante anche la sceneggiatura dello stesso Stefano, che mescola il western, realistico e spogliato da ogni connotazione romantica, con l’horror delle leggende indiane e del windigo, con delle atmosfere che ricordano un po' "L’insaziabile"di Antonia Bird. La storia è quella di un eterogeneo gruppo di scout e pistoleri sperduto nelle montagne, guidato da un archeologo alla ricerca di una misteriosa valle piena di fossili, ma dove c’è anche “qualcosa” di pauroso che lo attende. Lo script di Jacurti non lesina sui colpi di scena, che diventano forse addirittura troppi nel convulso finale. Anche certi dialoghi appaiono un po’ forzati e innaturali, quasi volutamente sopra le righe. La cosa che mi ha convinto di meno, invece, è senza dubbio il doppiaggio, o meglio la mancanza dello stesso (credo che il film sia stato girato in presa diretta): le voci di molti degli interpreti sono infatti abbastanza inadeguate e contribuiscono a non togliere, durante la visione, la sensazione del piccolo film indipendente a low budget. La recitazione degli attori, tra cui gli stessi registi Stefano Jacurti e Emiliano Ferrera - quest’ultimo un sosia praticamente perfetto di Clint Eastwood - del resto è molto teatrale (cosa inevitabile visto che quasi tutti gli interpreti provengono appunto dall’ambiente del teatro) e ovviamente un po’ improvvisata, ma un doppiaggio professionale avrebbe senza dubbio contribuito a migliorarla e a dare al film una resa più “cinematografica”, anche perché le facce invece sono quelle giuste. Quasi interamente girato in esterni, nei fine settimana e nei ritagli di tempo e in condizioni proibitive a dieci gradi sotto zero, il film dura quasi un’ora e mezza e in pratica è il primo lungometraggio western realizzato in Italia da parecchi anni a questa parte. Sarebbe da applaudire a scena aperta e a prescindere solo per il grande lavoro e l’enorme passione che lo sottintende." (Mauro Mihich) 


2008 Copperhead di Todor Chapkanov con Brad Johnson, Keith Scaduto, Brad Greenquist, Wendy Carter, Billy Drago

L'abituale cavaliere solitario arriva nell'abituale paesino isolato, dimostrando subito di essere un eroe. Gli toccherà organizzerà la difesa da un'invasione di serpenti assassini. Piacevole l’atmosfera western della prima parte, anche se c’è una tale abbondanza di cliché da sfiorare la parodia. Le produzioni televisive western di questo tipo in genere si distinguono per una certa sciatteria nelle scenografie e nella cura dei dettagli, invece in questa l’ambientazione e i costumi sono credibili e ben curati. Molto meno curata la seconda parte, tutta basata sulla lotta tra i cowboy e i serpenti. I rettili sono in tutta evidenza un dozzinale effetto computerizzato e nel finale compare un terribile serpentone gigante. Comunque, se si sta al gioco, è un tale profluvio di botti e spari che ci si può divertire. Il modello è "Tremors" e come ne "Gli uccelli" di Hitchcock non viene data nessuna spiegazione sul comportamento degli animali. 


2008 Six Reasons Why
di Jeff e Matthew Campagna con Dan Wooster, Colm Feore 

Un altro prodotto praticamente amatoriale, ma con velleità artistiche. Esteticamente si rifà ai western nostrani, ma con suggestioni da opere fantasy come "L'ultimo cavaliere" di Stephen King, da cui forse riprende l’idea di un western ambientato in un futuro post-apocalittico. Un misterioso pistolero, oscuramente legato ad una città in rovina e ad un cavallo bianco di cui sembra schiavo, uccide tutti quelli che cercano di attraversare il deserto, di cui è una sorta di custode. Farà la conoscenza con un uomo nerovestito che lo aiuterà a fuggire dal cavallo e accetterà di guidare attraverso il deserto due viaggiatori. Tutti contro tutti nella sfida finale. Film dalle ambizioni mistiche, dai molti simboli e dai tempi dilati, punteggiato da flashback enigmatici e citazioni importanti (Leone soprattutto). Ambizioni che cozzano contro la miseria del budget, con attori non professionisti piuttosto imbarazzanti e palesemente fuori parte, una regia che alterna raffinatezze d’autore ad espedienti da morti di fame. Mai come in questo caso il giudizio del film dipende tutto dal grado di disponibilità di chi guarda. 


2008 The Burrowers
di J.T. Petty, con Karl Geary, Jocelin Donahue, Clancy Brown 

Dopo tanti filmetti, finalmente un film che meriterebbe di diventare un cult, non solo del filone in preso in esame. Un film di genere intelligente e serio, dalla regia raffinata e sinuosa, che nobilita una trama apparentemente poco interessante, una specie di variante cupissima e dark di "Tremors", ambientato in un West sospeso e rarefatto, alla "L'assassinio di Jessie James per mano del codardo Rober Ford". 
"Davvero una bella sorpresa: un buonissimo western-horror, che si inserisce nel cross-genre ora molto di moda, ma che quasi mai dà risultati decenti. Particolarmente interessante soprattutto perché è la cornice western a essere predominante rispetto a quella horror: per tutta la prima ora, infatti, è un western vero e proprio, peraltro molto duro e violento, con tutti gli elementi deputati del genere, come la ricerca dei rapiti (solo che i rapitori, come si scoprirà, non sono indiani, ma qualcosa di ben più terrificante), il territorio ostile, il plotone di soldati (dipinti come tanti pazzi sanguinari), gli esperti frontierman, gli scontri a fuoco e i bivacchi notturni."
"Ma anche il finale horror è gestito molto bene, tanto che il film regge benissimo fino alla conclusione, il momento di solito in cui le operazioni di questo tipo si squagliano come neve al sole. Il senso di minaccia e suspense, invece, è molto ben costruito e non accusa cedimenti. Il regista, tal JT Petty, insomma, sembra avere una buona mano. Altre cose apprezzabili il fatto che nessuno dei protagonisti sia particolarmente piacevole o eroico, ma anzi risultino tutti più o meno antipatici, e un far west ottimamente fotografato in toni plumbei e angoscianti. Notevole anche il finale non consolatorio, anzi decisamente pessimista, che per un film presumibilmente indirizzato al pubblico dei teenagers non è poco. In pratica una specie di "Sentieri selvaggi" in versione horror, che sposa anche un punto di vista filoindiano (i Burrowers si cibano di carne umana a causa dello sterminio dei bisonti ad opera dei bianchi). L’idea originale ricorda vagamente Tremors, un geniale filmetto anni ottanta. Tutti sconosciuti, ma assai efficaci, gli attori." (Mauro Mihich)


2009 The Donner Party
di T. J. Martin con Crispin Glover, Clayne Crawford, Michele Santopietro

Per una volta l'orrore non è di origine soprannaturale, ma nasce dalla cronaca storica. In questo caso quella delle sinistre vicende riguardanti la carovona Donner, tragedia che in America fa parte dell’immaginario collettivo ed è conosciuta con il cinico nomignolo del titolo. Ecco quindi la storia di quella carovana di pionieri disgraziati, che nel 1846 rimasero bloccati dalla neve sulle montagne e che la fame spinse al cannibalismo. Girato nei veri luoghi in cui accadde il fattaccio, è un fosco docu-dramma storico che corre continuamente il rischio di sembrare una di quelle ricostruzioni edulcorate e posticce dei programmi divulgativi. Anche perché - lo dobbiamo notare e scrivere per l’ennesima volta - il budget è visibilmente misero, nonostante la presenza di un attore di un certo nome come Crispin Glover. Comunque di tipicamente western non c'è quasi nulla. 


2009 Dead Walkers 
di Spencer Estabrooks con Michael Shepherd, Cheryl Hanley, Brendan Hunter

Non è un vero film, ma un cortometraggio candese di un quarto d’ora. Ma visto che chi scrive se n’è accorto solo dopo aver perso un bel po' di tempo cercando di procurarselo e cerandone notizie ed immagini, lo cito comunque. Ancora zombi nel West e confezione amatoriale quindi, ma sulla corta distanza dei 14 minuti la cosa potrebbe avere un suo senso e suscitare maggior simpatia. 


2009 High Plains Invaders
di K. T. Donaldson con James Marsters, Cindy Sampson, Sebastian Knapp

Probabilmente realizzato per anticipare e vivere del riflesso di "Cowboys & Aliens", poi uscito un paio d’anni dopo, è un filmetto dalla mesta aria televisiva, con quell’aria fasulla stile "Signora del west" nell’ambientazione e nella caratterizzazione dei personaggi. Eppure tutto sommato divertente nel suo essere completamente votato all'azione, con le più classiche situazioni da film d’invasione e assedio che si mescolano con gli altrettanto classici cliché del western. Con la sua aria povera, ma dignitosa, e i suoi tentativi di recupere il clima di certi b-movie degli anni 50, si segnala in fondo come l'ennesima variante di "Tremors", un piccolo film che ha evidentemente avuto una notevole influenza sul cinema fantastico degli ultimi anni. Gli alieni si presentano come un misto tra gli insettoni di "Starship Troopers" e i cosi volanti de "La guerra dei mondi" degli anni 50. 


2010 GalloWWalker
di Andrew Goth con Wesley Snipes, Tanit Phoenix, Riley Smith, Parick Bergin

Sul misterioso pistolero Aman pesa nientemeno che una maledizione divina, chiunque uccide torna come zombi (uff…), tutto perché la mamma suora aveva rinunciato alla sua fede facendo arrabbiare Dio. Boiate pseudo-bibliche a parte, l’idea di fondo era anche piuttosto carina, ma il film sembra la solita solfa di trash "postmoderno", quindi uno di quei film in cui gli autori sembrano mettere continuamente le mani avanti per rassicurare lo spettatore che è solo uno scherzo, che è tutto finto e niente va preso sul serio. Così, per non prendere nulla sul serio, Wesley Snipes ha un pizzo sbiancato che fa più club gay di Ibiza che non pistolero maledetto, i mostri hanno pettinature e costumi che sembrano usciti da un anime giapponese, le scene d’azione il probabile tripudio delle peggiori assurdità. Film dalla produzione tormentatissima, girato nel 2007, rimasto bloccato per anni e poi vittima di una distribuzione fantasma. 


2010 Jonah Hex
di Jimmy Hayward con Josh Brolin, John Malkovich, Megan Fox

"Ovvero come buttare nel cesso la bellezza di 47 milioni di dollari. Uscito la scorsa estate (cioè nel periodo dei grandi blockbuster) in ben 2800 sale degli Stati Uniti il film ne ha raggranellati poco più di 5, conquistandosi l’ambito titolo di western più fallimentare della storia del cinema insieme a I cancelli del cielo. Difficile dire cosa possa spinto il pubblico a disertare in massa le sale visto che il film è si brutto, ma non più di tante altre boiate tratte dai fumetti che invece incassano miliardi. 
Probabile che il micidiale intruglio composto da western, horror, pulp, steampunk, cinecomics e chi più ne ha più ne metta si sia rivelato un minestrone troppo difficile da digerire anche per la bocca buona del pubblico di mangiatori di popcorn a cui il film era evidentemente destinato, oppure che il fatto che il protagonista oltre che orrendo sia pure antipatico abbia impedito qualsiasi possibilità di empatia ed identificazione da parte dei suddetti spettatori. Potrebbe aver influito anche il divieto ai minori di 13 anni (che per un film tratto dai fumetti deve essere una mazzata mica da poco) affibbiatogli dalla MPAA, a causa delle “intense sequences of violence and action, disturbing images and sexual content” (ma dove???). Certo, bisogna dare conto che la pellicola ha avuto anche delle vicissitudine produttive mica da ridere, visto che sono stati cambiati registi, sceneggiatori e anche gli autori della colonna sonora, che inizialmente dovevano essere la band heavy metal dei Mastodon, poi rimpiazzata a causa dei continui rimontaggi del film. In effetti la pellicola è molto breve (nemmeno un’ora e un quarto), anche se a causa dello stile videoclipparo con cui è diretta pare duri tre ore, proprio per le difficoltà dovute al riuscire a montare in maniera coerente e accettabile il materiale girato. Non che quello che ne è venuto fuori sia comunque molto coerente, accettabile ancora meno... Josh Brolin, con il viso devastato da un trucco assurdo, recita come può, costretto a tenere la bocca perennemente semiaperta in un ghigno non molto bello da vedersi, e certo il personaggio non gli permette grandi sfoggi di bravura interpretativa, ma è comunque l’unica cosa da salvare del film, e quando sibila qualche battuta tra i denti alla Clint Eastwood riesce addirittura ad essere piuttosto efficace. Megan Fox, non c’è bisogno di dirlo, è la solita gnocca da paura, ma le capacità di recitazione della signorina sono abbondantemente sotto il livello di guardia (del resto con quel corpo probabilmente non ne ha bisogno...). Pietoso velo su Johm passa alla cassa Malkovich, ormai diventato il peggior marchettaro di Hollywood. Girato in Louisiana, mentre la parte iniziale a fumetti se le mie competenze fumettistiche non mi ingannano mi pare disegnata dall’argentino Marcelo Frusin. Non è nemmeno il caso di scandalizzarsi troppo sui numerosi tradimenti operati al fumetto,visto che dopotutto nemmeno quest’ultimo era granché." (Mauro Mihich) 


2011 Cowboys & Aliens
di Jon Favreau con Daniel Craig, Harrison Ford, Sam Rockwell, Olivia Wilde, Noah Ringer, Clancy Brown, Wes Studi

Perché sprecare parole quando qualcuno ha già scritto meglio quello che si vorrebbe scrivere? Il "senso del cappello" per sintetizzare lo sbando del cinema americano di genere (e no) è una metafora che meriterebbe grande fortuna. 


2011 Exit Humanity
di John Geddes con Mark Gibson, Jordan Hayes, Dee Wallace

Ancora zombi (e ancora l'ambientazione durante la guerra civile americana) però stavolta in versione serissima e d’autore. Basta per evitare l'effetto di saturazione creato dalla miriade di film sui morti viventi usciti negli ultimi anni? 1865, a guerra appena finita un reduce torna alla sua casa nelle campagne del Tennessee, ma trova la moglie già trasformata in zombi e il figlio scomparso. Inizierà a cercarlo in un territorio devastato dalla guerra e dall'invasione dei non morti. Racconto pessimista e cupissimo, fin dal titolo sorretto dall’idea che dopo una guerra le persone dovrebbero ritrovare la propria umanità non dimenticando, ma affrontando i propri e altrui morti... in questo caso non metaforicamente. Diretto, scritto e prodotto dal semi esordiente Geddes, è un film curatissimo, con una fotografia raffinata e un bel senso dei paesaggi, un’efficace colonna sonora, costumi credibili e curiosi effetti grafici. Il tutto sorretto da un ottimo cast all’altezza della situazione. Geddes si rifà agli zombi "metaforici" di Romero, ma rischia di superare in serietà anche il maestro, dando al film un ritmo lentissimo e meditativo, presentando degli zombi dal make-up molto sobrio e sacrificando a volte i meccanismi della suspense, in favore dell'approfondimento dei personaggi. Non per tutti i gusti ma sicuramente interessante.

venerdì 13 aprile 2012

le monografie 4 - Il Weird Western 2

Prima di riprendere la rassegna in ordine cronologico, torniamo un po' indietro per rimediare a due dimenticanze legate agli anni 70 e 80. Non si tratta però di due titoli western, neanche "weird", ma di un film di fantascienza e di un film fantasy-horror. Parliamo del celebre Il mondo dei robot (Westworld, 1973) di Michael Crichton e del molto meno noto e molto meno riuscito La casa di Helen (House I: The Second Story, 1987) di Ethan Wiley. In realtà nel contesto di questo blog non ci interessa citare tanto i film in sé, quanto piuttosto i due rispettivi villain, personaggi che era doveroso segnalare in una rassegna come questa.


Per quanto riguarda “Il mondo dei robot” parliamo ovviamente del pistolero robot interpretato da un inquietante Yul Brynner. Interpretando questa specie di precursore di Terminator, l’attore ripropone lo stesso personaggio nerovestito de "I magnifici sette" e da vita ad un'icona entrata se non nell’immaginario collettivo quantomeno nell’immaginario di molti appassionati di cinema.


Molto meno noto il cowboy zombie de "La casa di Helen". Il film è un modesto fantasy di serie B a base di buchi spaziotemporali, attraverso i quali protagonisti vengono proiettati in varie epoche e luoghi. Ovviamente finiscono anche nel vecchio west, dove devono fare i conti con un temibile cowboy zombi, personaggio dal riuscito make-up, forse ispirato a Yosemite Sam dei cartoni della Warner Bros e caratterizzato dalla trovata delle pallottole sparate direttamente dall'indice della mano.

Il Weird Western, parte 2


1990 Tramonto (Sundown: The Vampire in Retreat)
di Anthony Hickox con David Carradine, Bruce Campbell, John Ireland

Horror western che anticipa parecchie idee di "Dal tramonto all’alba". Nato sulla scia giocosa e demenziale degli “Evil Dead” di Sam Raimi, da cui è ripreso l’attore simbolo Bruce Campbell, qui nelle vesti di un erede (ovviamente cialtrone) del cacciatore di vampiri Van Helsing. Ai giorni nostri una famigliola si trasferisce in una città nel deserto che si rivela una comunità di vampiri, guidata per loro fortuna da un Dracula pacifista (David Carradine), ma che un cattivo vampiro (John Ireland, veterano di decine di western americani e italiani) vuole riportare alle vecchie cattive abitudini. Gli omaggi al camp di "Billy the Kid vs. Dracula" si mescolano a citazioni dei film di Leone, paesaggi alla John Ford si accompagnano ad un'estetica da video musicali anni 80 stile ZZ Top. Divertente o insopportabile a seconda dei punti di vista.


1990 Grim Prairie Tales
di Wayne Coe con James Earl Jones, Brad Dourif

Film ad episodi, formula per un po' tornata di moda sul finire degli anni 80 in campo horror. Due personaggi, uno scrittore e un cacciatore di taglie (i due grandi caratteristi James Earl Jones e Brad Dourif), si raccontano quattro storie paurose davanti al falò. Tutti i racconti hanno più o meno a che fare con il razzismo e la sopraffazione sociale, e sono basati sul sempre efficace espediente narrativo che mette in scena un sopruso e la conseguente vendetta soprannaturale. Meccanismo tipico dei fumetti horror degli anni 50. Film a basso budget, ma ben fatto e più interessante rispetto a prodotti analoghi, grazie all’insolita ambientazione western e alla carica sociale dei racconti.


1991 Terre desolate (Into the Badlands)
di Sam Pillsbury con Bruce Dern, Mariel Hemingway, Helen Hunt, Dylan McDermott

Rarissimo film televisivo, sulla carta parecchio interessante. È un altro horror western ad episodi, con tre racconti legati dalla presenza di un cacciatore di taglie interpretato da Bruce Dern. Notevole dovrebbe essere la rappresentazione di un west brutto, sporco e fatalista, che anticipa la visione del Clint Eastwood de “Gli spietati” dell’anno successivo. Una sorta di “Ai confini della realtà” in salsa western, dai toni parecchio crudi e disperati e dalle atmosfere cupe e necrofile molto ben rese, che racconta di un amore disperato tra un fuggitivo e una prostituta da saloon, di due donne assediate nella loro capanna da dei lupi famelici e delle difficoltà che deve affrontare un cacciatore di taglie per conservare il cadavere di una sua preda.


1992 Mad at the Moon
di Martin Donovan con Mary Stuart Masterson, Hart Bochner, Fionnula Flanagan, Stephen Blake

Altro raro film piuttosto interessante, anche se il west dovrebbe solo fare da sfondo a questa storia un po' stile sorelle Bronte, con una donna (Mary Stuart Masterson, ai tempi sulla cresta dell'onda) innamorata di uno scontroso pioniere che si rivelerà essere un lupo mannaro. Romanticismo, sessuofobia e paure raccontate con un ritmo lento, lunghi silenzi e atmosfere ipnotiche. Budget permettendo un film più dalle parti di certo cinema d’autore europeo, che non di un classico western. Basato sulle performance attoriali, non disdegna trovate surreali e ambigue.


1993 The Uninvited
di Michael Derek Bohusz con Jack Elam, Christopher Boyer, Bari Buckner

Raro pure questo. Strano notare come questi film dei primi anni 90 sembrino più introvabili e misteriosi di pellicole di serie Z degli anni 50. È l’ultimo film di Jack Elam, celeberrimo caratterista dall'inconfondibile sguardo strabico, la cui partecipazione al film si limita però ai tre minuti iniziali. Una male assortita compagnia di personaggi si contende una miniera d’oro, che purtroppo per loro è anche un sepolcro indiano. Gli spiriti non la prenderanno bene. Un film lento, ambientato tra montagne nebbiose, che si rifà all’iconografia dei film sulla febbre dell’oro, popolato da personaggi sgradevoli, su cui pesa un senso di meritato castigo.


1993 Grey Knight o Ghost Brigade o The Killing Box
di George Hickenlooper con Adrian Pasdar, Cindy Williams, Martin Sheen

Eh già… interessante ma raro e quasi introvabile pure questo. Per di più quando un film gira con più di due titoli o è una ciofeca che i produttori tentano di piazzare dove capita, o è un film “maledetto” di cui girano più versioni. Pare che questo sia un caso del genere. “Killing Box” dovrebbe essere la versione piattamente televisiva sforbiciata dai produttori, “Grey Kinight” la versione più ambiziosa voluta dal regista e montata nientemeno che da Monte Hellman, “Ghost Brigade”... boh. Nel 1860, durante la guerra civile americana, un reggimento confederato viene massacrato, ma i cadaveri vengono posseduti dagli spiriti voodoo, che formano così un esercito di vampiri-zombie e terrorizzano sia nord che sud. Il regista è lo stesso di “Hearts of Darkness: A Filmmaker's Apocalypse”, il celebre documentario sulle riprese di "Apocalypse Now!". E infatti la storia dovrebbe avere più di un debito con il film di Coppola, oltre che con “Sierra Charriba” di Peckinpah. Martin Sheen appare in un cameo come Generale Lee.


1993-1994 Le avventure di Brisco County (The Adventures of Brisco County, Jr.)
Telefilm in 27 episodi con Bruce Campbell, Julius Carry, Christian Clemenson

Un piedidolci dell'est (Bruce Campbell) diventa un cacciatore di taglie del West per vendicare la morte del padre, ma nel corso del suo vagabondare avrà a che fare con ogni sorta di stramberia: fantasmi, extraterrestri, civiltà perdute, superuomini, cavalli telepatici, sceriffi sosia di Elvis Presley. Tentativo di aggiornare lo spirito di “Wild Wild West” con lo spirito demenziale e ultra-citazionista degli anni 90. Quel che manca rispetto al modello è un'atmosfera credibile che renda coerente il mix spericolato di generi.



1995 Legend Telefilm in 12 episodi con Richard Dean Anderson, John de Lancie

Un altro telefilm che vorrebbe rinverdire le bizzarrie di "Wild Wild West", dando maggior spazio alle invenzioni steampunk. Piuttosto cervellotica l’idea di fondo: uno scrittore avventuriero scrive una serie di romanzi fantastici ambientati nel west, con protagonista l’immaginario Nicodemus Legend, ma troppi ammiratori prendono sul serio i suoi racconti e lo identificano con il personaggio. Tra i sui fan c’è anche uno scienziato squinternato, che grazie alle sue folli invenzioni può rendere reali molte delle trovate dei romanzi. Afflitto dal blocco dello scrittore, il protagonista accetta suo malgrado di vivere avventure come quelle del suo personaggio per trarne ispirazione. Flop in America, mai arrivato credo in Italia. Non sembra molto interessante.


1996 Lazarus Man (The Lazarus Man)
Telefilm in 22 episodi con Robert Urich

Serie cospirazionista ambientata sul finire della guerra di secessione. Lazarus di nome e di fatto il protagonista si risveglia in una tomba, riesce miracolosamente ad uscirne vivo, ma con parecchi buchi nella memoria. Il suo ultimo ricordo è l'assassinio di Lincoln. Western “weird” senza elementi fantastici, ma pieno di misteri e dalla struttura a thriller insolita per il genere. La serie è stata interrotta per una grave malattia che colpì l’attore protagonista sul set.


1997 Blood Trail
di Barry Tubb con Raoul Trujillo, Barry Tubb, R.J. Preston

Mentre saccheggiano delle tombe indiane, una coppia di cowboy si imbatte in un corpo sepolto in modo insolito. Neanche a dirlo liberano così il demone Bloody Hands, che prende possesso di uno degli uomini e che per rendere giustizia al suo nome inizia a lasciarsi dietro una scia di sangue e cadaveri. Una posse di sceriffi e una guida indiana dovranno fronteggiare la terribile minaccia. Horror western piuttosto sanguinario, pur nei limiti di un film nato per il mercato home-video, quindi con i massacri lasciati prudentemente appena fuoricampo. Girato quasi come un western normale, con più attenzione ai momenti di caccia e alla resa degli ambienti naturali che non all’elemento soprannaturale. Difficile dire se per limiti di budget o per scelta stilistica.


1999 Purgatory
di Uli Edel con Sam Shepard, Eric Roberts, Donnie Wahlberg, Randy Quaid, Brad Rowe

Una banda di fuorilegge capita in uno strano paesino, dove gli abitanti sono tutti pacifici e non violenti e chi usa la violenza finisce all’inferno. E non in senso figurato. Una specie di episodio di “Ai confini della realtà” dilatato molto oltre il doppio della sua naturale durata. L’idea di fondo non era male, ma ne è uscito un film TV piatto e verboso, che si sveglia troppo tardi ed è diretto dal tedesco Uli Edel (salito brevemente alle cronache negli anni 80 per il “Christiane F. - Noi ragazzi dello zoo di Berlino”) con la consueta mancanza di verve. L’ambientazione western è falsa e posticcia, stile “Signora del west”. Al solito sprecato Sam Shepard.


1999 L'insaziabile (Ravenous)
di Antonia Bird con Robert Carlyle, Jeffrey Jones, Guy Pearce

Il relativamente più noto dei film finora trattati. Curioso e nerissimo horror-western che unisce il mito del Windigo alle cronache cannibali del West tipo Carovana Donner. Inizia all'insegna di un ghignante antimilitarismo, continua con una parte avventurosa tesissima e spiazzante, si trasforma in un thriller intriso di humour nero e si conclude nell'horror più satirico e grandguignolesco. Nonostante i molti squilibri, dovuti probabilmente a grossi problemi produttivi (il film fu iniziato dal macedone Milko Manchevski, autore di Dust, e poi affidato all'inglese Antonia Bird), un film malsano di notevole impatto, sorretto da un gran cast e una splendida ambientazione naturale. Qualche metaforone politico di troppo nel finale e un’idea di fondo che a tratti mette a dura prova la sospensione d'incredulità. Prendere lontano dai pasti.


1999 Wild Wild West
di Barry Sonnenfeld con Will Smith, Kevin Kline, Salma Hayek

Dopo tanti piccoli film indipendenti e a basso budget un colossal hollywoodiano. Versione cinematografica dell’omonimo telefilm anni 60 semplicemente insostenibile. La leggerezza e l’understatement dell’originale lasciano il posto ad un'estetica da baraccone e un’ironia cialtrona che non fa mai ridere, neanche per sbaglio. Ancor più che il telefilm, a livello visivo il modello sembrerebbe essere “La grande corsa” di Blake Edwards, sempre di quegli anni, ma è un confronto ancora più imbarazzante. Com'è imbarazzante lo spreco di soldi che si vede dietro ad ogni fotogramma di questa assurda pacchianata miliardaria. Fino ad allora il regista Sonnenfeld (La famiglia Addams, Get Shorty, Men in Black), se non un fuoriclasse, almeno era sembrato un buon artigiano.


2000 Dal tramonto all’alba 3: la figlia del boia (From Dusk till Dawn 3: The Hangman's Daughter)
di P.J. Pesce con Ara Celi, Marco Leonardi, Michael Parks

Questo film inaugura una curiosa tendenza di alcune saghe horror degli ultimi anni: il prequel western. In questo caso gli autori si limitano a trasporre nel vecchio west la stessa formula di “Dal tramonto all’alba” di Rodrìguez e Tarantino. Se nell’originale dal noir on the road si passava all’horror, qui il passaggio è logicamente dal western all’horror. Il protagonista è nientemeno che lo scrittore Ambrose Bierce, realmente scomparso in Messico nel 1914, che viene rapito insieme alla figlia del boia del titolo da un fuorilegge sfuggito al patibolo. Insieme finiranno nel solito postribolo gestito da vampiri. Anonima produzione dal basso budget ma, fatto il callo alle solite e prevedibili rodomontate di Rodrìguez (soggetto suo, sceneggiatura di un suo cugino), abbastanza divertente.


2002 Legend of the Phantom Rider o Trigon: The Legend of Pelgidium
di Alex Erkiletian. Con Denise Crosby, Robert McRay, Stefan Gierasch

Inizia come un classico western di vendetta, con il solito sopravvissuto ad una strage famigliare che vuole farla pagare ai cattivi. Senonché ad un certo punto si rivolge ad uno stregone indiano che evoca per lui un demone-pistolero. Il demone, tal Pelgidum, sembra Jonah Hex interpretato dal sosia capellone del Klaus Kinski de "Il grande silenzio" (grazie al trucco: in realtà l’attore che lo impersona, Robert McRay, non somiglia per nulla al tedesco) e farà piazza pulita stile Clint Eastwood ne "Lo straniero senza nome”. A parte la riuscita e inquietante presenza del demone tutto dovrebbe svolgersi come in un canonico western. Non sembrerebbe male, ma è un film praticamente invisibile, su cui è difficile trovare persino notizie.


2004 La casa maledetta (Dead Birds)
di Alex Turner con Henry Thomas, Patrick Fugit

Durante la guerra di secessione una banda di fuorilegge si rifugia da una tempesta in una casa abbandonata. Abbandonata dagli uomini, ma non da alcune terrificanti presenze. Ennesimo prodotto a basso budget che cerca di mescolare il western con una trama alla Lovecraft. Intriga parecchio che per farlo adotti i ritmi e le atmosfere degli horror orientali, quindi cercando la suspense grazie ad apparizioni inquietanti e ambientazione sinistre, piuttosto che ai soliti mostri. Serio e tetro, più goticheggiante che western. Notare che né il titolo italiano (che ci ammorba con l’ennesima “casa” in un titolo horror), né quello originale segnalano l’ambientazione ottocentesca, come nemmeno manifesti e locandine.


2004 Licantropia (Ginger Snaps Back: The Beginning)
di Grant Harvey con Katharine Isabelle, Emily Perkins, Nathaniel Arcand

Terzo e ultimo capitolo di una saga sulla licantropia poco nota in Italia, incentrata su personaggi femminili e adolescenziali. Dopo due capitoli ambientati a giorni nostri questo è il prequel ambientato nel 1815. Più che nel western siamo quindi dalle parti dell’avventuroso settecentesco stile “L’ultimo dei mohicani”, incrociato con il gotico ottocentesco. Nonostante l’assoluta esiguità del budget, molto riuscita l’ambientazione con boschi innevati e nebbiosi, fortini sperduti, indiani misteriosi e branchi di lupi affamati. Certo il clima è più quello di una fiaba crudele che di un film d’azione. Pare sia considerato il migliore della trilogia.


2004 Tremors 4 - Agli inizi della leggenda (Tremors 4: The Legend Begins)
di S. S. Wilson con Michael Gross, Sara Botsford, Billy Drago

Ennesimo prequel in salsa western di una fortunata saga horror. Il primo “Tremors” nel 1990 era stata una gustosa sorpresa, ma la formula “simpatici burini americani contro i mostri” aveva già mostrato la corda nei due capitoli successivi. La variante western non migliora di molto le cose e il film non va molto al di là di un potenziale cazzeggio televisivo pomeridiano. Però qualche gag e qualche personaggio non sono male, a cominciare dal pistolero vigliacco interpretato dal caratterista Billy Drago. I superstiti del cast originale interpretano gli antenati/sosia dei loro personaggi, come nelle storie di Topolino.

lunedì 9 aprile 2012

le monografie 4 - Il Weird Western 1

Il Weird Western, parte 1

Anche se in Italia arriva molto poco, negli ultimi anni c’è stata una curiosa proliferazione di film che intrecciano il western con l’horror e più sporadicamente la fantascienza. Un autentico piccolo filone ormai quasi più fertile di quello dei western tradizionali (non che ci voglia molto, data la scarsità delle uscite) e una tendenza piuttosto sorprendente, se non nei risultati almeno per quanto riguarda la fertilità, dato che non ci sembra che i riscontri commerciali di questi film siano entusiasmanti. Questa moda recente è servita da spunto a questa speriamo agile rassegna in tre parti sul weird western, come lo chiamano in America (e che ci sembra il termine più azzeccato) o il fantawestern come qualcuno lo chiama in Italia.


1935 The Phantom Empire
Serial di 12 episodi da 20 minuti l’uno con Gene Autry

In un'epoca in cui i generi cinematografici erano molto meno codificati, o comunque nessuno si faceva troppi problemi nel trasgredirne le regole, capitava spesso che anche nei serial western ci fossero episodi dal carattere gotico o con elementi fantastici. Ma anche ai tempi nulla batteva in originalità questo celebre serial, in cui un cowboy deve vedersela con robot, regni segreti e armi avveniristiche. Follia per follia, non solo la serie miscelava con nonchalance l’ambientazione western con scenografie e trame alla Flash Gordon, ma il protagonista era Gene Autry il cowboy canterino, il che garantiva anche dei momenti da musical country!


1956 La valle dei disperati (The Beast of Hollow Mountain)
di Edward Nassour e Ismael Rodríguez con Guy Madison, Patricia Medina, Carlos Rivas

Un vaccaro ha dei problemi con un vicino messicano prepotente, ha dei guai sentimentali con una bella mora e, a tempo perso, se la deve pure vedere con un dinosauro che gli vuole mangiare le mucche. Il guaio dello spettatore è invece che le tre linee narrative citate sono in ordine d'importanza decrescente. Il film era un progetto di Willis O’Brien, il mago degli effetti speciali che aveva dato vita a King Kong, ma che per problemi con la produzione fu praticamente messo alla porta. Ne è uscito un film tirchio, che risparmia sugli effetti speciali quanto sull’azione, rimandando all'infinito la vera e propria entrata in scena del dinosauro. Godibile per gli appassionati di colori e ingenuità anni 50, appena una curiosità per il resto del mondo.


1958 Teenage Monster (o Meteor Monster e Monster on the Hill)
di Jacques R. Marquette con Anne Gwynne, Stuart Wade

Ragazzino rimasto esposto alle radiazioni di un meteorite crescendo si riempie di peli, diventando una specie di licantropo assassino. La mamma per proteggerlo lo tiene nascosto in cantina. Sottintesi sessuofobici e freudiani come se piovesse. Molti film fantahorror anni 50 erano ambientati in cittadine del vecchio west , questo di western ha anche l’ambientazione cronologica a cavallo tra l’800 e il 900. Il titolo si rifà a tutto un filone di horror dell'epoca con la parola teenager nel titolo, anche se a ben vedere in questo film il protagonista è un adolescente solo nelle prime scene. Filmetto poverissimo e in bianco e nero, le cui goffaggini e ingenuità oggi possono suscitare tenerezza o risultare patetiche, a seconda di come gira a chi guarda. 


1959 L'uomo senza corpo (Curse of the Undead)
di Edward Dein con Eric Fleming, Michael Pate, Kathleen Crowley

Per vendicare il padre forse ucciso dal solito allevatore prepotente, una ragazza assolda un lugubre pistolero, che altro non è che un vampiro, quindi immune alle pallottole. Almeno finché qualcuno non ci incide una croce sopra. Curioso piccolo film, sorretto dall’idea davvero niente male del vampiro che fa il pistolero prezzolato. Quando è giorno dominano i toni da western classico, tra dialoghi nel saloon e duelli nella mainstreet, nelle scene notturne il film diventa un horror gotico tra bare, ragnatele e candelabri. Faccia da cattivo in decine e decine di b-movie, il caratterista Michael Pate con la sua aria da beccamorto è perfetto nella parte del non morto. 


1965 Quel selvaggio west (The Wild Wild West)
serie televisiva in 104 episodi trasmessi dal 1965 al 1969. 

Il celebre telefilm anni 60... magari non troppo in Italia dove è sempre stato trasmesso saltuariamente e in orari ingrati. I due protagonisti, gli agenti segreti Gordon e West, hanno a che fare con ogni sorta di stramberia, tra cui anche avversari armati di armi fantascientifiche e ambientazioni lugubri che rimandano all’horror. Ancora oggi una godibile, ingegnosa e autoironica miscela di western, spionaggio e fantascienza, secondo lo spirito più bizzarro e pop di quell’epoca. I meccanismi della serializzazione televisiva si prestavano meglio del singolo film alla convivenza tra elementi narrativi tanto eterogenei. 


1966 Billy the Kid vs. Dracula 
di William Beaudine con Chuck Courtney, John Carradine, Melinda Plowman

Dracula in persona arriva in diligenza nel vecchio west e ipnotizza una giovane e bella fanciulla facendogli credere di essere suo zio. Ma in casa della ragazza gira in incognito un altro mito dell’immaginario collettivo, il fuorilegge Billy The Kid. Probabilmente è uno di quegli infimi filmetti la cui relativa fama è dovuta al fatto che è divertente raccontarne la trama e citarne il titolo, più che vederli. Infatti insieme al film gemello successivo è il titolo più citato quando si parla di tentativi di mettere insieme horror e western. Il grande John Carradine aveva già interpretato Dracula vent’anni prima in “House of Dracula”, ma in fondo anche il suo celebre gambler di “Ombre rosse” aveva già un che di funereo e cadaverico. 


1966 Jesse James Meets Frankenstein's Daughter
di William Beaudine con John Lupton, Narda Onyx, Estelita Rodriguez

Film gemello del precedente, con cui condivide la stessa idea di fondo: tizi famosi dell’horror gotico che emigrano nel selvaggio west e incontrano tizi famosi autoctoni. In questo caso sono due nipoti (niente figlia) del celebre barone Frankenstein, che pensano bene di seguitare nel vizio di famiglia e creano un’altra creatura assassina e scervellata. A fargli da cavia stavolta è una specie di culturista, amico fraterno del leggendario Jesse James. Al delirio della storia si aggiunge la trasandatezza non meno delirante del regista, qui al suo ultimo film dopo una carriera che assomma 366 titoli. Ad Hollywood era noto come William “Buona La Prima” Beaudine. 


1969 La vendetta di Gwangi (The Valley of Gwangi)
di Jim O'Connolly con James Franciscus, Gila Golan, Richard Carlson

Per amore della padrona di un circo, un avventuriero cattura un tirannosauro in una valle restata alla preistoria. Quel che segue è facile da immaginare avendo visto King Kong. Il vero autore del film è il mago della stop motion Ray Harryhausen, che realizza un vecchio progetto del suo maestro Willis O’Brien, già mezzo abortito con la “La valle dei disperati”. Peccato che anche questo film sia sbilanciato da una troppo ingombrante parte sentimentale e sembri una pellicola nata vecchia, fuori tempo massimo sia come western, con la sua aria da film per ragazzi, sia come film fantastico, con la sua ingenua spettacolarità circense (in tutti i sensi). Ovvio che sono difetti che possono ribaltarsi in pregi, se ci si lascia affascinare dal fascino vintage della confezione. 


1970 Five Bloody Graves 
di Al Adamson con Robert Dix, Scott Brady, Jim Davis, John Carradine

Tipico prodotto americano da Drive In dei primi anni 70, con l’immancabile John Carradine. Pellicole che promettevano sensazionali overdosi di violenza, sangue e sesso, ma che spesso si rivelavano molto più innocue del previsto, anche per banali ragione di budget, che spesso limitavano i trucchi sanguinolenti. Anche nel caso di questo film, il cattivo apache sarebbe una specie di maniaco scalpatore di donne, ma pare che le scene di sangue al risparmio lo facciano sembrare poco più di una specie di brutale parrucchiere. Prodotto e distribuito come un horror è invece un canonico western molto violento. L’unica tocco fantasioso dovrebbe essere la Morte in persona che, fuori campo, commenta le gesta del protagonista. Il regista Al Adamson, una specie di Roger Corman di serie Z specializzato in pellicole horror a bassissimo costo, è morto assassinato nel 1995.


1974 The Hanged Man
di Michael Caffey con Steve Forrest, Cameron Mitchell, Sharon Acker

Gli spaghetti western avevano introdotto una vaga aria spettrale nella caratterizzazione dei cavalieri solitari, fino ad arrivare a casi come "Django il bastardo" di Sergio Garrone, dove il protagonista è a tutti gli effetti descritto come un fantasma. Questo elemento soprannaturale verrà ripreso e approfondito soprattutto da Clint Eastwood nei suoi western. E proprio ad un film con Eastwood (“Impiccalo più in alto”) è ispirato questo pilot di una serie poi mai prodotta. Anche se il suo cuore non batte e il suo corpo è freddo, un impiccato torna in vita per proteggere una vedova dai soliti prepotenti. A parte la trovata iniziale è un western tradizionale, ennesima e probabilmente non brillantissima versione de “Il cavaliere della valle solitaria”.


1979 Cliffhangers: "The Secret Empire"
con Geoffrey Scott 

Bizzarro telefilm che si rifaceva ai serial degli anni 30, proponendo ad ogni puntata tre episodi di venti minuti l’uno di genere diverso. Tra questi il western fantascientifico “Secret Empire”, sorta di omaggio e remake di “The Phantom Empire”. Gli altri erano il feuilleton avventuroso e l'horror gotico. Eccentrica curiosità durata solo dieci episodi. 


1982 Timerider: una moto contro il muro del tempo (Timerider: The Adventure of Lyle Swann)
di William Dear con Fred Ward, Peter Coyote, Belinda Bauer, L. Q. Jones 

Anticipando il terzo “Ritorno al futuro”: a causa di un esperimento scientifico un inconsapevole motociclista torna indietro nel tempo con la sua moto e finisce nel vecchio west. Prevedibili gag, guai e paradossi temporali. Il film potrebbe essere letto come una specie di allegoria della situazione del western negli anni 80, con il motocilista simbolo di un modernità ruspante (neanche si accorge di aver viaggiato nel tempo, ma crede solo di essere finito in mezzo a una comunità di fricchettoni arretrati) che getta scompiglio nella polverosa e inamidata realtà di un villaggio west. Piccolo film a bassissimo budget, che vive della simpatia di Fred “Remo Williams” Ward. 


1985 Alien Outlaw 
di Phil Smoot con Stephen Winegard, Kimberly Mauldin

Serie Z ai limiti dell’amatoriale. Non è chiaro dove inizi l’ironia volontaria e inizi quella involontaria. Una serie di burini del west odierno devono fronteggiare la minaccia rappresentata da alcuni alieni: vecchie colt contro pistole laser. Visto che i mostri sembrano i fratelli scemi di Predator i nostri eroi non incontreranno molte difficoltà nel sbaragliarli. Anche la sexi eroina protagonista è al risparmio: una normalissima ragazza carina con due belle gambe.


1988 Ghost Town - La città maledetta (Ghost Town) 
di Richard Governor con Franc Luz, Catherine Hickland

Praticamente il primo titolo interessante dai tempi de “L’uomo senza corpo” di esattamente trent'anni prima. Ai giorni nostri una donna sparisce nel deserto. Sulle sue tracce uno sceriffo capita in una città fantasma (letteralmente), dove oltre a salvare la donna deve fare i conti con una banda di banditi spettri. Un piccolo, misconosciuto gioiellino, che riesce a miscelare in modo convincente e con la giusta ironia le più classiche situazioni da film western con i cliché dei film di zombie e fantasmi tipicamente anni 80. Serie B, ma curata e ben girata. Da recuperare. 


1990 Ritorno al futuro parte III (Back to the Future Part III)
di Robert Zemekis con Christopher Lloyd, Michael J. Fox, Mary Steenburgen

Anticipando una tendenza degli ultimi anni, al terzo e ultimo capitolo la celebre saga dei viaggi del tempo cerca le proprie radici ai tempi del vecchio west. Viene però così a mancare il fattore nostalgia che aveva caratterizzato i due capitoli precedenti legati agli anni 50, dato che il passato remoto del vecchio west è troppo remoto per suscitare simpatie nostalgiche confrontandolo con il presente (degli anni 80). E infatti si vedono più o meno le stesse gag scemotte di “Timerider”, mescolate ai soliti tormentoni della serie, che al terzo giro cominciavano però a stufare.