A casa arrivò sconvolto, andò diritto in camera sua, si sedette su uno sgabello vicino alla finestra aperta. Si sentiva soffocare, si strappò la camicia di dosso…
La signora Elvira entrò senza far rumore, gli andò alle spalle, gli circondò il petto con le braccia.
Aveva un vestito leggero, scollato. Carlos sentì il suo profumo, qualcosa dal buio delle viscere, dal profondo del suo essere, dov’era custodita la memoria di altro odore e altro contatto, si ribellò, si alzò in piedi e disse, d’impeto:
Tu non sei mia madre.
La donna avvampò, da sempre aveva temuto quella rivelazione, ma si riprese subito:
Carlos, che dici?
Lui insistette, non aveva bisogno di leggere la lettera che gli aveva dato Leila, sapeva:
Sono stato adottato, sono figlio di desaparecidos, vero?
Lei non ritenne di poter continuare a negare:
Io non so niente di queste cose: Ho dovuto sposare un uomo arrogante, che non amavo, non ho avuto figli e quando lui ti ha portato…Non ho avuto niente dalla vita, solo te. Ti ho amato tanto…
Mi hai amato male.
Carlos prese una valigia e cominciò a riempirla:
Vado a vivere a casa di Leila,lei aspetta un figlio nostro.
Farò concorsi, entrerò in un’orchestra, insegnerò…
Lascia che vi aiuti, disse lei supplichevole, potrei venire a tenere il bambino…
Lui ebbe un moto di pietà:
Se cambierai, se non sarai invadente…
La signora Elvira aprì la porta per andarsene, ma prima si voltò:
Ti chiami Miguel, disse.
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giovedì 17 aprile 2008
DESAPARECIDOS fine
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lunedì 14 aprile 2008
DESAPARECIDOS 8a parte
Alla fine della seduta di laurea, aspettò che amici e parenti festeggiassero la neo-dottoressa, standosene in disparte.
Leila a un certo punto lo vide, riuscì a sottrarsi all’assedio delle felicitazioni, lo salutò senza imbarazzo.
Auguri, disse lui nervoso, turbato, quando possiamo vederci?
Oggi alle cinque, nel solito bar, rispose lei serena.
Leila arrivò puntuale all’appuntamento, Carlos era già seduto al loro solito tavolo, in fondo.
Gli sembrò ancora più luminosa, come avesse effettivamente un lumino acceso dentro.
Devo dirti due cose molto importanti, disse lei senza preamboli e ti chiedo di non rispondermi subito, ma di rifletterci seriamente sopra.
La prima è che sono incinta.
Carlos sbiancò:
Qua…quando te ne sei accorta?
Sono già due mesi, rispose lei tranquilla.
La seconda è che a Buenos Aires ho rubato il tuo spazzolino da denti.
E questa che notizia è, domandò lui stranito.
Aspetta il resto…L’ho dato alle Abuelas per l’esame del DNA, in questa busta sigillata c’è la risposta, fanne quello che vuoi.
E gliela ficcò nella tasca del giubbotto.
Poi si alzò, gli fece una rapida carezza sul viso e sparì.
Lui rimase impalato, poi ricordò che doveva ancora pagare le consumazioni…
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domenica 13 aprile 2008
DESAPARECIDOS 7a parte
La signora Elvira aveva capito che era accaduto qualcosa di grave fra i due giovani, con segreta esultanza, ma prudentemente non aveva fatto domande. Gioiva di vedere il figlio sempre in casa, ma poi cominciò a preoccuparsi per il suo umor nero, la disappetenza, l’insofferenza verso le sue premure.
Quando Leila, dopo più di un mese, si laureò, Carlos, che si era informato da Vincenzo, andò ad assistere alla seduta.
Da lontano Leila gli parve più bella, luminosa.
Espose con molta chiarezza la sua tesi: parlò del colpo di stato di Videla, della persecuzione agli oppositori politici, delle torture loro inflitte, dell’orribile pratica di gettare in mare le vittime dagli aerei, delle sofferenze delle ragazze incinte, cui erano stati sottratti i neonati e dati in adozione, a volte agli stessi torturatori…
Riepilogò le interviste ai figli dei desaparecidos, l’ostinazione delle Abuelas de la Plaza de Mayo, che da decenni cercavano i nipoti strappati al ventre materno…
In qualche momento la sua limpida voce si incrinò, e Carlos vide che nella sala molti erano commossi, alcune ragazze si asciugavano gli occhi…
Ascoltò senza perdere una parola,
Sentì che era tutto vero, che era accaduto tutto quell’orrore nel suo paese, il mondo intero lo sapeva, tranne lui, tenuto all’oscuro nella sua comoda gabbia dorata…
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sabato 12 aprile 2008
DESAPARECIDOS 6a parte
Mentre il giovane parlava, Carlos diventava sempre più nervoso, alla fine prese bruscamente congedo, borbottando una scusa qualunque e si precipitò per le scale.
Leila doveva ancora parlare con la nonna, chiese scusa un momento e lo seguì di corsa.
Quando furono giù, Carlos sbottò, agitatissimo:
Che racconto inverosimile! Il colonnello Duarte, una persona così perbene! E’ tutto un complotto, tutta una enorme bugia, come raccontava un amico tedesco di mio padre, a proposito del così detto Olocausto degli Ebrei!
Leila lo guardava muta:
E così, aveva frequentato i nazisti imboscati nel suo paese!
Ritrovò un filo di voce: E perché lo avrebbero fatto?
Ma che ne so! Per seminare odio, per spezzare le famiglie! Scusa, io me ne vado.
Io torno di sopra, e Leila gli voltò le spalle.
Quando si ritirò, sfinita, lo zio le disse che Carlos era dovuto rientrare in Italia, lo avevano convocato per un concerto…
Fu molto discreto, non fece domande.
Leila continuò le sue interviste per un’altra settimana, poi rientrò anche lei in Italia.
Lei e Carlos non si cercarono.
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venerdì 11 aprile 2008
DESAPARECIDOS 5a parte
Una sera che mi ritiravo a piedi alla villa dove abitavo, trovai un gruppo di giovani dimostranti davanti al cancello, con grandi striscioni e cartelli sui quali tra l’altro c’era scritto HIJOS.
Facevano un gran chiasso, capivo poco, ma nelle loro grida ricorreva il nome di mio padre e la parola torturatore, ripetuta più volte.
Mi rivolsi a una ragazza delle ultime file e le chiesi che cosa significava tutto ciò. Lei mi trascinò in un bar poco lontano e mi spiegò che si trattava di un escrache (in italiano: sputtanamento) contro il colonnello Duarte, che era stato in servizio presso il famigerato Garage Olimpo, dove erano stati torturati gli oppositori del regime. Ora infatti è sotto processo.
La ragazza, Isabelita, che ora vive con me, mi consigliò di sottopormi alla prova del DNA.
Non fu facile per me tutto questo.
Dall’esame del sangue scoprii di non essere Raul Duarte, bensì Juanito Lluìs, ritrovai mia nonna che mi stava cercando da più di venti anni, gli zii, i cugini.
Seppi di mia madre, arrestata e fatta sparire poco dopo la mia nascita
e di mio padre, che è primo violino in un’orchestra a Siviglia, in Spagna, dove allora riuscì a fuggire e dove presto lo raggiungerò.
Così mi fu tutto chiaro: i Duarte mi avevano adottato, ma dopo un anno era nata Consuelo, la bambina che era naturalmente la luce dei loro occhi. Tennero anche me perché le facessi da chaperon: dovevo giocare sempre ai giochi che sceglieva lei, cedere ai suoi capricci, più tardi aiutarla nei compiti, accompagnarla. Per fortuna volevano farne una pianista, quindi anch’io prima di lei studiai musica e mi diplomai, lei invece se ne stancò presto.
Devo dire però che mi è rimasta affezionata, viene ancora a trovarmi, i miei genitori adottivi invece hanno accolto con freddezza e malcelato sollievo il mio distacco…
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mercoledì 9 aprile 2008
DESAPARECIDOS 4a parte
Fu come un viaggio di nozze. Lo zio li ospitò in una camera matrimoniale e non chiese altro che la puntualità all’ora di pranzo.
Per il resto erano liberi di andare dove volevano.
Carlos si sentiva trasformato da bruco in farfalla: finalmente volava…
Una settimana dopo, Leila volle cominciare il giro delle interviste, che aveva concordato con le Abuelas de la Plaza de Mayo.
Doveva incontrare alcune nonne, che ancora cercavano i nipoti dati in adozione dalla polizia durante la dittatura di Videla, e alcuni figli di desaparecidos, che, dopo essersi sottoposti alla prova del DNA, si erano trasferiti presso la famiglia d’origine.
Fino a quel momento Leila non aveva mai parlato con Carlos del vero argomento della sua tesi, che era circoscritto agli anni della dittatura (1976-1983), durante la quale erano stati commessi orrendi crimini nei confronti degli oppositori del regime.
Avvertiva che era un tasto molto delicato: Carlos non si era mai occupato di politica, ma era vissuto nella famiglia di un militare, probabilmente devoto al regime sotto il quale aveva servito.
Per la prima intervista Leila si recò in un caseggiato popolare, accompagnata da Carlos.
Aprì la porta un giovane alto e magro, che vedendo Carlos rimase un istante interdetto, prima di salutarlo calorosamente:
Carlos, come mai qui? Quando sei arrivato?
E tu, Raul, che ci fai qui? Sei amico del ragazzo che lei deve intervistare?
Ma sono io quello che deve parlare con lei, e non mi chiamo più Raul, ma Juanito.
Ma che dici? Che significa? incalzò Carlos, che aveva studiato con lui al Conservatorio e conosciuto la sua famiglia, i Duarte, una delle prime della città.
Cominciamo, tagliò corto Leila, col registratore pronto.
Sì, è meglio, così spiegherò tutto.
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sabato 5 aprile 2008
DESAPARECIDOS 3a parte
Carlos si ritirò quasi all’alba. La signora Elvira, che lo aveva aspettato su una poltrona nel salone d’ingresso, cominciò a fargli una scenata, ma inaspettatamente arrivò il marito, svegliato dal vocio, il quale non solo zittì bruscamente la moglie, ma diede lui stesso le chiavi di casa allo stupefatto Carlos.
Passarono mesi. Carlos frequentava assiduamente Leila, la signora Elvira si era dovuta arrendere non solo alle sue assenze prolungate ma anche ai maglioni – per lei orrendi – comprati ai grandi magazzini.
Fece invitare a pranzo Leila, per misurarsi da vicino con la rivale, la ragazza a tavola conversò amabilmente con i padroni di casa, rispondendo con naturalezza a tutte le loro domande:
Era stata allevata dagli zii, essendo i suoi genitori morti in un incidente d’auto quando lei era piccola. Ora viveva sola. No, non aveva paura. Stava terminando la tesi di laurea sulla storia dell’Argentina. Aveva uno zio a Buenos Aires, dove si sarebbe recata di lì a poco, per approfondire certi argomenti. Se Carlos l’avesse potuta accompagnare, sarebbe stato un grande aiuto per lei.
Anche in quest’occasione l’intervento del padre a favore di Carlos fu decisivo. Il giovane ne fu felice, anche se capiva che il padre dava il suo assenso non per lui, ma per sé, per distogliere la moglie da un affetto che si rivelava morboso, asfissiante.
Donna Elvira dovette cedere, ma gli strappò la promessa che le avrebbe telefonato tutte le sere…
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giovedì 3 aprile 2008
DESAPARECIDOS 2a parte
Un giorno, ritirandosi a casa, Carlos trovò la madre che faceva frettolosamente le valigie: avrebbero lasciato al più presto la villa di Buenos Aires e si sarebbero trasferiti in Italia, a Roma, dove il padre si era già avviato, per trovare una casa conveniente.
Sul perché di quell’improvviso trasferimento, la madre fu evasiva e come sempre Carlos accettò, tanto più che il dispiacere di andarsene era compensato dalla curiosità di conoscere posti nuovi.
Dopo qualche mese, si trovò abbastanza integrato nel nuovo ambiente musicale romano, imparò in fretta la lingua, conobbe gente simpatica e ora qualche volta usciva la sera con i nuovi amici, avevano formato un quartetto d’archi e si esercitavano a rotazione ora nella villa di Carlos, ora nell’appartamento di Vincenzo, il più bravo e intraprendente dei quattro.
Una sera, a sorpresa, suonarono un tango argentino e lo invitarono a ballare con Leila, una bella ragazza cugina dell’ospite, presentata come “una patita dell’Argentina”e che parlava correntemente spagnolo.
Si rivelarono tutt’e due bravi ballerini e furono applauditi dai presenti., che pretesero un bis.
Più tardi, quando Leila volle andarsene, Carlos si offrì di accompagnarla. Sotto casa, lei con grande naturalezza lo invitò a salire.
Lui esitò: aveva ventiquattro anni, la macchina e le chiavi del garage, ma non aveva le chiavi di casa. Fu solo un momento.
Si ritrovarono affiatati come e più che ballando il tango.
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mercoledì 2 aprile 2008
DESAPARECIDOS 1a parte
Il padre era stato un ufficiale dell’esercito, adesso era in pensione.
Del militare aveva la rigidità e la supponenza: brusco e di poche parole, non aveva avuto mai un vero dialogo con il figlio.
La madre, donna Elvira, era una donna di statura media, grassoccia, perfetta padrona di casa, sempre col sorriso sulle labbra, sempre pronta a mediare, ricucire, sdrammatizzare. Adorava il figlio, lo aveva fin da piccolo circondato di mille premure, prevenendo ogni suo desiderio, scegliendo per lui tutto: dai mobili della sua camera all’abbigliamento alle letture agli studi agli sport agli amici (abilissima nell’allontanare quelli da lei non graditi).
Carlos non aveva mai preso una decisione in vita sua, la madre lo aveva avviluppato in una tenace ragnatela, di cui rinnovava continuamente i fili, lui nell’adolescenza aveva avuto qualche scatto di insofferenza, presto rientrato di fronte alla reazione di lei, che lo aveva ricattato con i sensi di colpa: alla fine si era lasciato andare, adagiandosi in quella bambagia tiepida e accogliente.
Studiava musica al Conservatorio – suonava il violino – avendo mostrato fin da piccolo spiccate doti musicali e si era lasciato così chiudere in un’altra gabbia dorata, anche se più gradita.
I pochi amici tollerati da donna Elvira lo compativano, ma non osavano dirgli niente, tanto più vedendolo sereno e quasi sempre allegro.
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