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martedì 18 novembre 2025

Eddington (2025)

Ho rimandato per via della Nuovi Incubi Halloween Challenge, ma alla fine sono riuscita a guardare Eddington, diretto e sceneggiato dal regista Ari Aster, solo per scoprire che io e lui ormai non andiamo più d'accordo.


Trama: durante la pandemia del COVID, lo sceriffo Cross e il sindaco Garcia si scornano a causa di dissidi sentimentali mai sanati. Le cose precipitano quando Cross decide di candidarsi come nuovo sindaco...


"Ad Aster servirebbe qualcuno di vessante e intimidatorio come la madre di Beau, che lo portasse a fermarsi e dubitare, invece di dare sfogo a tutto ciò che gli passa per la testa convinto che sia sempre cosa buona e giusta. Anche perché (diciamoci la verità senza timore di scatenare l'ira degli dèi) tre ore del pur bravissimo Joaquin Phoenix con la faccia triste del cane bastonato, che sciorina una lamentela dopo l'altra quando non è impegnato ad uggiolare o a balbettare scuse incomprensibili, sono un po' pesanti da sopportare." Apro il post con la citazione di un grande critico, ovvero la sottoscritta, che già ai tempi di Beau ha paura aveva le idee chiare relativamente alla logorrea cinematografica di Ari Aster e sperava che, nel frattempo, l'autore si sarebbe un po' ridimensionato. Aster mi ha ascoltata, in effetti, perché Eddington dura ben venti minuti meno di Beau ha paura. Peccato che, a differenza della sua penultima opera, che comunque non mi aveva spinta tra le braccia di Morfeo se non durante la sequenza dello spettacolo teatrale, Eddington sembri durare quanto un lockdown. Credo e spero fosse una cosa voluta, in quanto il film è ambientato proprio durante i primi tempi della pandemia mondiale, quando ancora pensavamo che non ne saremmo mai usciti e quando lo scontro tra le varie fazioni era all'apice della ferocia, tra mascherine, distanziamenti, decreti, paranoia, dubbi, complotti e quant'altro. Ci ricordiamo tutti (forse) com'era la situazione solo cinque anni fa, anche se sembra passato un secolo, e ricordiamo bene come ogni piccolo problema fosse esacerbato da un orribile clima di incertezza e nervosismo. Eddington parla proprio di questo, di piccole ma ben radicate antipatie e fastidi tutto sommato superabili, che si ingigantiscono fino a trasformare la cittadina di frontiera in una polveriera avente come fulcro due poli opposti. Da una parte c'è lo sceriffo Cross, un conservatore con moglie traumatizzata e suocera complottista a carico, il quale si oppone strenuamente a ogni prevenzione perché asmatico e perché convinto che il COVID non esista; dall'altra c'è lo sceriffo Garcia, sindaco democratico con mani in pasta ovunque e fautore di un progresso comunitario che in realtà porterà denaro solo a lui e pochi altri. Dopo una vita di reciproca diffidenza, alimentata da una (presunta?) passata relazione tra Garcia e Louise, la moglie di Cross, i due si scontrano definitivamente quando lo sceriffo, stufo della politica del rivale, decide di candidarsi sindaco, cominciando un'imbarazzante campagna elettorale a base di frasi fatte e scioccanti video su Facebook.


In mezzo a questo "duello" western 2.0, che avrebbe condotto John Wayne nella tomba tanto i contendenti sono molli, Aster infila le proteste per il black lives matter, il terrorismo, le derive estremiste di buona parte della popolazione americana, la questione delle armi, la pedofilia, gli imbonitori del web e chi più ne ha più ne metta. Un sovraccarico di informazioni e criticità che, sulla carta, sarebbe anche molto interessante, ma che preso così, a spizzichi e bocconi, si traduce in una pluralità di "spunti" assimilabile al bombardamento di informazioni da social e, allo stesso modo, fa poca presa sul cervello dello spettatore. Anche in questo caso, probabilmente, l'effetto era voluto. Per quanto mi riguarda, però, se l'aspetto portante della trama si perde in tanti piccoli punti appena accennati, trovo faticoso continuare a provare interesse per i protagonisti, ancor più se detti protagonisti sono ritratti come persone di rara antipatia, privi di spina dorsale, incapaci di esercitare anche un minimo controllo sulla propria vita. Tanti piccoli Beau, insomma, che non arriveranno ad avere paura di tutto, ma che non trovano altra risposta se non affidarsi alla violenza (che sia verbale, psicologica o fisica) ogni volta che si sentono messi con le spalle al muro. E pensare che Eddington non è privo di momenti coinvolgenti, anche perché Ari Aster, come ha già ampiamente dimostrato, ha un occhio di rara finezza per la messa in scena. Penso al prefinale del film, angosciante e concitato come quello dei migliori horror, alle ampie panoramiche sul grottesco finale, alla perfetta imitazione delle dinamiche che intercorrono all'interno dei social, alla rappresentazione della lucida follia dello sceriffo, a quel doppio, silenzioso schiaffo sulle note di Baby, You're a Firework, che fa crollare l'intera situazione. In quest'ultimo caso particolare, fanno molto Pedro Pascal e Joaquin Phoenix, che trasmettono in maniera incredibile la valenza grottesca e drammatica della sequenza; c'è da dire, purtroppo, che io ormai ho un problema enorme con Joaquin Phoenix e coi suoi "vinti", dopo una lunga serie di interpretazioni che, a mio avviso, hanno ulteriormente appesantito delle storie già non proprio leggere, Beau ha paura in primis. Come ho detto, problema mio, per carità, ma potrei anche aggiungere che avere tra le mani Austin Butler e, soprattutto, Emma Stone e sottoutilizzarli come ha fatto Ari Aster è un crimine punibile per legge. Io aspetto con ansia il momento in cui Aster lascerà un po' da parte la sua strabordante voglia di mostrare "quanto ne sa", per tornare alla carica con un'opera più asciutta e concentrata, magari rientrando nei ranghi dell'horror, a lui più congeniali. Insomma, gli servirebbe un bel trattamento Shyamalano, quella doccia di umiltà che potrebbe farmelo di nuovo amare. Non per augurargli il male, ma aspetto con fiducia.  


Del regista e sceneggiatore Ari Aster ho già parlato QUI. Joaquin Phoenix (Joe Cross), Emma Stone (Louise Cross), Pedro Pascal (Ted Garcia), Luke Grimes (Guy Tooley), Clifton Collins Jr. (Lodge) e Austin Butler (Vernon Jefferson Peak) li trovate invece ai rispettivi link.


Micheal Ward
, che interpreta Michael Cooke, era il coprotagonista del film Empire of Light, mentre Amélie Hoeferle, ovvero Sarah, era nel cast di Night Swim. ENJOY!

martedì 8 ottobre 2024

Joker: Folie à Deux (2024)

Venerdì sono andata al cinema a vedere Joker: Folie à Deux, diretto e co-sceneggiato dal regista Todd Phillips.


Trama: Arthur Fleck è rinchiuso in carcere, ma l'influenza di Joker è ben lungi dall'essersi estinta nelle strade di Gotham City.  Le cose si complicano ulteriormente quando Arthur si innamora, ricambiato, di Lee, una paziente del Manicomio Arkham...


E' ormai qualche giorno che parlo di Joker: Folie à Deux (da qui in poi Joker 2) con Mirco e altri amici che lo hanno visto. Più che una recensione, quindi, scriverò una raccolta di riflessioni nate a seguito di queste conversazioni. Tralasciando per un istante la bravura dei due attori principali, iniziamo col dire che Joker 2 non è un film brutto nel senso stretto del termine. Non può esserlo in virtù dello sforzo produttivo infuso e dell'enorme budget a disposizione di Todd Phillips, il quale è riuscito a confezionare un film gradevole alla vista e all'orecchio, senza sbavature a livello di regia, con alcune sequenze musical assai notevoli; l'idea di ampliare il concetto di un Arthur Fleck "malato" di cinema e televisione, già introdotto in Joker, dà vita a fantasie a tempo di musica dove immaginazione e realtà si fondono in omaggi ai film musicali della vecchia Hollywood, tra momenti più glamour e altri in cui il mondo reale muta impercettibilmente (deliziosa la scena in cui gli ombrelli cambiano colore senza uno stacco di montaggio percettibile), filtrato dalla malattia mentale del protagonista. In generale, tutto il film segue cliché che inquadrano i vari eventi in generi cinematografici ben definiti, dal dramma carcerario alla commedia d'amore, fino ad arrivare al courtroom drama, al punto che ogni snodo di sceneggiatura, salvo un paio di colpi di scena nel prefinale e sul finale, sono ampiamente prevedibili. Credo e spero fosse una cosa voluta, così come voluto era l'omaggio a Scorsese nel primo Joker, purtroppo il risultato stavolta è stato ben diverso, e Todd Phillips è caduto vittima di quella sofisticata semplicità che ha parlato alla pancia della maggior parte degli spettatori e dei critici nel 2019. Buona parte dell'empatia provata verso un personaggio oggettivamente sgradevole, derivava dalla scelta (condivisibile ma paracula) di affiancargli un parterre di comprimari ancora più sgradevoli, pronti a rendergli la vita un inferno anche e soprattutto per motivi futili, come se Arthur fosse la perfetta valvola di sfogo di stronzi da primato, riccastri con la puzza sotto il naso e madri inadatte al ruolo. Questo "trucco" era talmente tanto efficace che lo spettatore arrivava non solo a plaudere la violenta rivalsa di Arthur verso i suoi aguzzini e la società corrotta, con conseguente rivoluzione proletaria nelle strade di Gotham, ma persino a disprezzare chi, come la vicina di casa Sophie, risultava immune al suo fascino.


In Joker 2, come ho scritto, Phillips inciampa nelle sue stesse premesse facendo il passo più lungo della gamba. Attorno ad Arthur, infatti, si muovono personaggi che lo trattano comunque con rispetto ed attenzione, come l'avvocatessa e il giudice, davanti ai quali ogni rimostranza del protagonista risulta palesemente il frutto della mente di un pazzo; peggio ancora, durante il processo ad Arthur Fleck viene messo in evidenza proprio il suo narcisismo allucinato da parte di due personaggi già presenti nel primo film, due testimonianze che mettono i brividi per il tragico realismo che veicolano. Non è che la guardia carceraria Jackie e i suoi colleghi siano "simpatici", così come non lo sono il giornalista Paddy Meyers o il procuratore Harvey Dent, ma torno a dire che sono costruiti come dei cliché, probabilmente esasperati dalla percezione alterata di un punto di vista inaffidabile. Senza mostri a giustificarne le azioni, Arthur Fleck perde di credibilità, l'empatia viene meno, il disgusto che veniva messo a tacere durante il primo film qui riemerge veemente, e lo stesso Joker risulta una caricatura priva di fascino o carisma. La Folie à Deux che tanto ha fatto palpitare i cuori di chi pensava all'amore folle tra Joker e Harley Queen, con un ragazzo e una ragazza che si incontrano e incendiano il mondo, si riassume facilmente con un "tira più un pelo di Lee che un carro di buoi", e risulta molto più cringe quando tornano alla mente le immagini porno che inframmezzavano il diario di Arthur nel primo film. Non si può nemmeno dire che Lee sia la Bedelia (chi legge Ortolani sa) della situazione, poiché gli intenti della bionda sono chiari e palesi fin dall'inizio, ed è proprio la sua presenza a sgretolare il mito di Arthur Fleck e di Joker, rendendo il film ancora più inutile perché, nonostante l'aggiunta di questo agente del Caos al femminile, Joker 2 non racconta nulla di nuovo. 2 ore e 18 di film servono a ripercorrere più volte le vicende della prima pellicola secondo diversi punti di vista, il personaggio principale non solo non evolve ma ricompie errori già commessi, Todd Phillips ripropone persino le stesse sequenze e gli stessi snodi di Joker con un paio di piccolissime varianti.


A farne le spese per primo, purtroppo, è Joaquin Phoenix. Premesso che quest'ultimo potrebbe interpretare un sasso e sarebbe comunque affascinante e convincente, il problema subentra quando il regista non è all'altezza e questo, purtroppo, salta all'occhio ancor più dopo aver riguardato il primo Joker. Lì il modello era il primo De Niro, un po' Travis Bickle in Taxi Driver un po', soprattutto durante la transizione da Fleck a Joker, Max Cady de Il promontorio della paura (per intenderci: Cady era una creatura repellente e razionalmente nessuna donna lo avrebbe toccato con un dito. Infatti subentrava il senso di colpa nel pensarlo affascinante e in Joker accadeva la stessa cosa). Qui Phoenix è perfetto negli atteggiamenti dimessi di Arthur, che mi hanno ricordato a tratti l'intensità di Daniel Day Lewis, ma quando veste i panni di Joker la mente corre inevitabilmente all'ultimo De Niro, quello con la faccia da "mecojoni" che ormai non crede più nemmeno in quello che recita, che va avanti solo per il nome e il suo passato glorioso. A maggior ragione, in un paio di duetti con Lady Gaga ho pensato a Sandra e Raimondo, forse perché Sbirulino era un clown a sua volta, e per quanto mi riguarda la scena di sesso in carcere può tranquillamente vincere l'Oscar per la sequenza più imbarazzante del 2024, a pari merito con quelle di Napoleon (c'è sempre Phoenix di mezzo. Coincidenze? Noi del Bollalmanacco, e Giuseppina, pensiamo di no). Lady Gaga, bella stella, è una cantante divina. Ogni sua performance musicale in Joker 2 mette i brividi, con quella voce splendida che riesce a modulare come vuole e il carisma naturale che le fa divorare ogni scena. Ma toglile il canto, santa creatura, e mettila accanto a uno come Phoenix, e mi fa la figura di un comodino impagliato, occhio spento e viso di cemento compresi, col risultato che tra Arthur e Lee non c'è la minima alchimia, quindi neppure coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore. Per tutti questi motivi, posso serenamente dire che Joker: Folie à Deux è un film inutile. Non bello, non brutto, ma sicuramente uno spreco di tempo, denaro e talenti. Ma d'altronde non mi aveva convinta neppure Joker, un'opera migliore sotto tutti i punti di vista, quindi non sono rimasta né sorpresa né delusa. 


Del regista e co-sceneggiatore Todd Phillips ho già parlato QUIJoaquin Phoenix (Arthur Fleck), Lady Gaga (Lee Quinzel), Brendan Gleeson (Jackie Sullivan), Catherine Keener (Maryanne Stewart), Zazie Beetz (Sophie Dumond), Steve Coogan (Paddy Meyers) e Ken Leung (Dr. Victor Liu) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Joker: Folie à Deux  vi fosse piaciuto recuperate, ovviamente, Joker. ENJOY!

mercoledì 6 dicembre 2023

Napoleon (2023)

Finalmente riesco a trovare il tempo di scrivere due righe su Napoleon, diretto da Ridley Scott. Astenersi cinèfili seriosi, fanboys et similia.


Trama: il giovane ufficiale dell'esercito Napoleone Bonaparte riesce, grazie alle sue doti di stratega e approfittando della tumultuosa realtà politica della Francia, ad ottenere sempre più fama e prestigio, fino ad assurgere al ruolo di imperatore. Sua compagna nel cammino, la nobildonna decaduta Giuseppina...

Eravamo in sala a vedere, mi pare, C'è ancora domani, quando è partito il trailer di Napoleon. "Uuuuh, questo dobbiamo venirlo a vedere!" urliamo, come tre sgallettate qualsiasi, io e due mie colleghe. Mi giro verso l'amico Toto: "Toto, tu vieni, vero?" "Col cazzo." Ecco. Io me lo immagino Toto, quel martedì sera funesto, sdraiato sul letto al caldo di una coperta, a leggere un libro con una tazza di tisana in mano, felice nella sua bolla dorata, mentre noi tre eravamo ad ammorbarci con quell'incredibile palla al cazzo che è Napoleon. Sì, Ridley, se vuoi te lo ripeto, poi sfanculami pure: an unbeliavable ball hanging from the cock. Non ti basta?  Une boule incroyable accrochée à la bite. Potrei andare avanti per ore a giocare con google translate e dizionari online per trovare mille altre traduzioni di "palla al cazzo", sicuramente mi divertirei di più che a guardare Napoleon, ma poi sarei scortese e anche poco equilibrata a livello critico, perché non è che il film sia una ciofeca immonda. Anzi, durante i primi minuti mi sono quasi commossa. E' palese, infatti, che quasi ogni scena di Napoleon sia ispirata agli stupendi quadri di Jacques-Louis David, ai quali si rifanno la morbidezza della fotografia, le geometrie dell'inquadratura, le ombre ed i colori, ma fosse solo quello. Le battaglie mostrate nel film sono epiche, splendidamente brutali: nel primo attacco al castello, durante la gioventù di Napoleone, si percepisce tutta la paura (prima ancora del fomento della guerra) di chi rischia di morire per un colpo vagante, ma l'apoteosi si ha durante quell'inferno ghiacciato che è Austerlitz, dove ogni sequenza racchiude in sé una spietatezza, un tale disgusto per la vita del nemico, da mettere i brividi, e non di freddo, e anche la famosa battaglia di Waterloo è notevole. Insomma, Ridley Scott non è un cretino e, all'età di 86 anni, con la macchina da presa riesce ancora a meravigliare ed affascinare. Peccato che le emozioni veicolate dalla sceneggiatura siano pari a zero e che l'imbarazzo regni sovrano (o, per essere più calzanti, imperi).


Va bene, abbiamo visto tutti la versione di due ore e mezza, e ormai lo sanno persino le mie zie che su Apple TV+ uscirà un director's cut di più di quattro ore, quindi voglio sperare che ci sarà maggiore coesione e un approfondimento dei fatti storici che permetta anche a chi non conosce a menadito Napoleone di capire rapporti di causa/effetto che qui sono lasciati cadere come pere cotte. Lungi da me insegnare a David Scarpa come si scrivono le sceneggiature, ma io mi sarei concentrata di più su un periodo circoscritto della vita di Napoleone, perché così si consegna al pubblico un elenco di fatti storici (più o meno verosimili, ma questa è un'altra storia, ché la mia conoscenza a menadito della storia francese si limita alla Rivoluzione) a mo' di bignami e, soprattutto, un personaggio che non si capisce come dovrebbe venire interpretato. A tal proposito, e con tutto il bene che posso volere a Joaquin Phoenix, non lo sa nemmeno lui: l'attore sembra essere uscito dal set di Beau ha paura per entrare direttamente in quello di Napoleon, e io capisco che quello con Aster dev'essere stato un tour de force, ma sarebbe stato gradevole un cambiamento di espressione, un guizzo di vitalità, un afflato di carisma. Il Napoleone del film è un fine stratega e un generale amatissimo perché sì, perché "è Napoleone", ma nulla nel film riesce a convincere lo spettatore di questa cosa, anzi. Spesso, lo spaesato Phoenix dà l'idea di un imperatore minchione, di un cretino dall'ego enorme capace solo di combattere, ma basta una parola o il pensiero di mammà per gettarlo nello sconforto come un Principe Giovanni qualsiasi. E mica solo mammà, attenzione. Solo Dio sa perché, Scarpa ha deciso di basare buona parte del film sul legame tra Napoleone e Giuseppina, toccando momenti di imbarazzo talmente alto da farmi rivalutare il "eeeehhhhbuff!" di Jared Leto in House of Gucci. Anche in questo caso, vuoi per un minutaggio "corto", vuoi per altro, non si capisce dove volesse andare a parare questo focus: la storia d'amore tra Napoleone e Giuseppina nasce come l'attrazione tra due animi affini, una scintilla come tante nella storia del Cinema, poi si sviluppa nel rapporto più tossico e mal interpretato visto negli ultimi decenni, con la Kirby bloccata tra espressioni perenni di dolore e disgusto (Giuseppina la darebbe a cani e porci e sta con Napoleone solo per non finire in mezzo a una strada ma oh, lo amo tanto, mi sacrifico per la patria, ogni tanto invito in casa lo zar di Russia, perché?, mah!) e Phoenix impegnato in coiti scult, caricato a "mmm-mmm-mmm-mmmm", voglioso di patata ma anche un po' intimidito dalla stessa, padre padrone di assoluta gelosia ma anche un po' vermicello strisciante che non vale una cicca senza la sua Giuse. L'ho detto e lo ripeto: ridatemi il trash volontario dello Scott impegnato a screditare i Gucci, tenetevi 'sta mattonata cringe spacciata per autorialità.


Del regista Ridley Scott ho già parlato QUIJoaquin Phoenix (Napoleone Bonaparte), Vanessa Kirby (Giuseppina Bonaparte) e Rupert Everett (il duca di Wellington) li trovate invece ai rispettivi link.



venerdì 5 maggio 2023

Beau ha paura (2023)

Un altro dei titoli che più aspettavo quest'anno al cinema era Beau ha paura (Beau is Afraid), diretto e sceneggiato dal regista Ari Aster. Niente spoiler, più o meno.


Trama: Beau, uomo di mezza età buono ma tremendamente ansioso, cerca di raggiungere casa di sua madre. Il viaggio si rivelerà una terribile odissea...


Siccome, ovviamente, Beau ha paura non è stato programmato al comodo "multisala" a quindici minuti di macchina da casa mia, martedì sera sono dovuta andare a Genova (in soli, miracolosi 30 minuti) per assistere allo spettacolo delle 21.30 presso il Fiumara. Come ben sanno gli aficionados, 21.30 vuol dire come minimo 22, quindi la visione è finita più o meno all'una, dopodiché, tra una chiusura autostradale e un ininterrotto susseguirsi di semafori che va da Sampierdarena a Prà, sono riuscita ad arrivare a casa alle DUE. Poiché mi sveglio alle 6.45 ogni mattina e sono una vecchia di 42 anni, oggi non so più nemmeno come mi chiamo, questo per dire che non so cosa riuscirò a scrivere del film, soprattutto perché questa via crucis genovese ha aizzato un po' il mio odio verso l'ultima creatura di Ari Aster. La quale, come ho scritto nella trama, è invece un'odissea, quella di un uomo buonino come Lupo de' Lupis e talmente ansioso da sfociare nel patologico. Il titolo del film riassume perfettamente la situazione: Beau ha paura di tutto. E' terrorizzato, a ragione, dal quartiere in cui vive, dalle malattie e dalla morte ma, in particolare, ha una fifa blu di mammina e di ogni scelta a cui viene costretto, da lei o da altri, ché non sia mai la gente resti delusa dal goffo, inetto Beau. La sua paura, c'è da dire, è comprensibile se si pensa che il protagonista ha sempre vissuto all'ombra della madre. Figura soffocante che è stata addosso al figlio come un falco sin dalla nascita, la signora Mona Wasserman è l'incarnazione dell'apprensione e dell'autocommiserazione, tanto da aver fatto un lavoro della prima, mettendo in piedi una sorta di casa farmaceutica di cui, da bambino, Beau era l'addolorato volto. Questo è il quadro generale offerto da Aster allo spettatore per orientarsi, per quanto possibile, all'interno della sua ultima opera, e non andrei a ricamarci sopra ulteriormente, in quanto si tratta solo dell'aspetto superficiale di Beau ha paura


Come direbbe il Vate, Beau ha paura "nun va visto, va vissuto". Il che non vuol dire che Ari Aster abbia fatto le cose a membro di segugio o che non esista un significato univoco, legato strettamente alla visione dell'Autore, per ciò che viene mostrato sullo schermo, quanto piuttosto che Beau ha paura può parlare in modi diversi allo spettatore e io di sicuro non li conosco tutti. Si può vivere l'ordalia di Beau come una lunga seduta psichiatrica trasposta in immagini, durante la quale il protagonista parte da ciò che lo terrorizza per cercare di guardare dentro se stesso e capirsi (il che, ahimé, non necessariamente deve portare ad una rinascita, ma può anche accadere che i problemi non si risolvano); si può guardare al film come a una distopia fantascientifica, magari facendosi solleticare da un paio di rimandi a The Truman Show, e vivere le avventure di Beau come se si avesse davanti un burattino mosso da un'eminenza grigia spietata e folle, che lo illude, da sempre, di avere il controllo della propria misera esistenza (questa è l'interpretazione che mi piace di più, anche perché molti indizi lo lascerebbero supporre); ci si può sedere in poltrona e lasciarsi trasportare dal delirio, sposando entrambe le idee di volta in volta o creandone altre, per esempio pensare a un angosciante circle of life, alla rappresentazione della stupida banalità della nostra vita moderna, dentro la quale siamo tutti dei Beau spaventati in attesa di una fantozziana ed illusoria rivalsa su coloro che ci vessano, perennemente ostacolati da eventi più o meno assurdi, a prescindere che siano negativi o positivi. Potete letteralmente pensare ciò che volete di Beau ha paura, tanto la verità la sa solo Ari Aster


Il regista, questo è sicuro, guarda a grandi modelli, come Aronofsky, Charlie Kaufman o Lynch, senza limitarsi a copiare pedissequamente, bensì infondendo nell'opera la sua personalità, magari senza riuscire a raggiungere un risultato perfetto o coeso, ma almeno provandoci. Volendo dividere il film in segmenti (neanche fosse un'antologia ad episodi), per quanto mi riguarda Beau ha paura è come quella puntata dei Simpson in cui Boe ha aperto la sua Mangiatoia per famiglie e all'inizio canta tutto entusiasta "Qui per te, sai chi c'è, lo Zio Boe, guarda un po'": le prime due, lunghissime disavventure del protagonista sono un agghiacciante mix di immagini angoscianti e grottesche, realizzate con inquadrature e movimenti di macchina inconsueti che aumentano ancora di più il disagio dello spettatore, in sincronia con quello crescente di Beau. E' lì che Aster si riconferma maestro dell'horror inusuale, vissuto persino alla luce del giorno, dove tutto ciò che è "normale" rischia in un attimo di diventare mostruoso e terrificante, e lo stesso stile si ripropone verso il finale, che tuttavia si fa ancora più onirico e assurdo, con una sequenza in particolare che mi ha causato delle risate isteriche con lacrime annesse di cui Florence Pugh andrebbe fierissima. Se Beau ha paura fosse stato tutto così avrei probabilmente urlato al capolavoro. Purtroppo, c'è quella menosissima parte ambientata nel bosco, che per me è stata l'equivalente del Boe scoglionato che lancia i piatti ai bambini bofonchiando "Sai che c'è? Lo zio Boe, prendi un po'". Per carità, la sequenza animata è bellissima e poetica, e l'intero "episodio" serve ad inquadrare ancor meglio il carattere pavido di Beau e il nocciolo di tutti i suoi problemi ma, giusto per assecondare la qualità onirica del segmento in questione, mi sono ritrovata un paio di volte con gli occhi semichiusi e non mi vergogno a dirlo.


Ad Aster servirebbe qualcuno di vessante e intimidatorio come la madre di Beau, che lo portasse a fermarsi e dubitare, invece di dare sfogo a tutto ciò che gli passa per la testa convinto che sia sempre cosa buona e giusta. Anche perché (diciamoci la verità senza timore di scatenare l'ira degli dèi) tre ore del pur bravissimo Joaquin Phoenix con la faccia triste del cane bastonato, che sciorina una lamentela dopo l'altra quando non è impegnato ad uggiolare o a balbettare scuse incomprensibili, sono un po' pesanti da sopportare. Molto meglio Patti LuPone, cazzutissima madre che avrei voluto vedere di più sullo schermo, col suo fastidio a malapena trattenuto verso quella larva di figlio che lei stessa ha contribuito a rendere anche più mollo del lecito, oppure i terribili sposini interpretati da Amy Ryan e
Nathan Lane, il lato vezzoso e "carino" di una realtà da incubo. Lungi da me lamentarmi troppo, comunque. Beau ha paura è un film ostico, elefantiaco (e il prossimo che osa lamentarsi di Babylon verrà legato alla poltrona e costretto a guardare sei ore di Phoenix piangente in loop) eppure terribilmente interessante e sfaccettato, qualcosa di raro in quest'epoca cinematografica di rapido consumo sia a livello di visioni che di recensioni, che merita sicuramente più di una visione o di un giudizio tranchant. Il mio consiglio è quello di andare al cinema a vederlo, magari non a un tardo orario serale come ho fatto io, e godersi lo spettacolo senza troppe pippe mentali né aspettative, nel bene e nel male. Poi fatemi sapere cosa ne pensate, che se c'è un film in grado di alimentare discussioni a non finire questo è proprio Beau ha paura.


Del regista e sceneggiatore Ari Aster ho già parlato QUI. Joaquin Phoenix (Beau Wasserman), Nathan Lane (Roger), Amy Ryan (Grace), Stephen McKinley Henderson (Terapista), Zoe Lister-Jones (Mona da giovane), Julian Richings (l'uomo strano) e Bill Hader (fattorino UPS) li trovate invece ai rispettivi link. 

Patti LuPone interpreta Mona Wasserman. Americana, la ricordo per film come 1941: Allarme a Hollywood, Witness - Il testimone, A spasso con Daisy e serie quali Will & Grace, Penny Dreadful, Hollywood e American Horror Story; come doppiatrice ha lavorato in BoJack Horseman e I Simpson. Anche cantante, ha 74 anni e parteciperà all'imminente serie Marvel Agatha: Congrega del Caos.  


Richard Kind interpreta il Dr. Cohen. Americano, ha partecipato a film come Stargate, Confessioni di una mente pericolosa, Hereafter, Argo, Sharknado 2, Bombshell - La voce dello scandalo, ... tick, tick, Boom! e serie quali La tata, That '70s Show, Scrubs e Due uomini e mezzo. Come doppiatore ha lavorato in A Bug's Life - Megaminimondo, Toy Story 3 - La grande fuga, Inside Out, Kim Possible, Phineas e Ferb, I Simpson, I Griffin e American Dad!. Anche sceneggiatore, ha 67 anni e quattro film in uscita. 


Uno dei figli di Beau è Michael Gandolfini (immaginate quindi quanto fossi bollita in quel momento per non averlo nemmeno riconosciuto) mentre il regista David Mamet interpreta il rabbino. Il film è l'"espansione" del corto Beau, diretto e sceneggiato da Ari Aster nel 2011. Se Beau ha paura vi fosse piaciuto recuperatelo e aggiungete Madre!, Strade perdute e Mulholland Drive. ENJOY! 

lunedì 10 febbraio 2020

Oscar 2020

Buon lunedì a tutti! Stanotte ero bella pimpante ma ora ho un sonno boia, quindi spero di non scrivere troppe belinate sul recap della notte degli Oscar da poco conclusa, che ha visto il giusto trionfo di Parasite, la triste "punizione" a un Maestro del Cinema che ha osato andare contro lo strapotere della Disney/Marvel e tanto diludendo per un altro snobbato, il povero Quentin. Ma andiamo con ordine e... ENJOY!


Penso che nessuno si sarebbe aspettato, dopo l'Oscar a Parasite come miglior Film Straniero, quello per la regia e quello per la sceneggiatura originale a Bong Joon Ho, che l'intero cast del film più amato dell'anno salisse sul palco per ritirare anche la statuetta per il Miglior Film. Giusto riconoscimento alla pellicola più particolare dello scorso anno e a un regista bravissimo, che probabilmente ora starà girando ubriaco per le strade di Los Angeles e a cui va tutto il mio amore (ha ringraziato, giustamente, Martin Scorsese, di cui si studiano i film persino in Corea, scatenando una standing ovation che mi ha spezzato il cuore, ché Martino meritava TUTTO, alla faccia dell'Academy di merda, ignorante e bieca; e, giusto per sottolineare la bieca ignoranza, ha ringraziato Tarantino, altrimenti col cazzo che in America avrebbero saputo dell'esistenza di una cinematografia coreana), però, se posso dire, agli Oscar o si fanno minchiate o si stroppia: a questo punto, l'Oscar per il Miglior Film Straniero FORSE potevano assegnarlo a un altro film, no? Pazienza, è andata come andata, la fortuna è avere al mondo Bong Joon Ho e il suo Parasite


E per un quartetto di premi inaspettati, ce ne sono due sui quali non c'erano dubbi, da settimane. Joaquin Phoenix vince l'Oscar per il Miglior Attore Protagonista con Joker, infilando nel suo spiazzante discorso di ringraziamento rimbrotti vegani, giustizia per i vitelli e una citazione del fratello morto. Poteva concludere sparando alla Zellweger, invece no, ahimé. Joker, ringraziando il cielo, porta a casa solo un altro premio, quello per la migliore colonna sonora originale. Per carità, Hildur Guðnadóttir è stata carinissima, ma quel premio sa tanto di contentino per le quote rosa, altrimenti abbastanza sacrificate quest'anno.


La terrificante (e non in senso buono) Renée Zellweger vince invece come Miglior Attrice Protagonista per Judy, film freddissimo salvato, in parte, dalla sua interpretazione, valida solo nelle parti cantate. Dispiace, e molto, per Saoirse Ronan e Scarlett Johansson, che con due nomination non ha vinto una cippa.


Laura Dern vince la statuetta di Miglior Attrice Non Protagonista per Marriage Story. Mi spiace storcere il naso davanti a Laura Dern, che adoro da sempre, però quest'anno avrei visto meglio come vincitrici Margot Robbie oppure Kathy Bates. Certo, in un mondo migliore, Florence Pugh si sarebbe contesa con Lupita Nyong'o il premio di Attrice Protagonista, l'una per Midsommar e l'altra per Noi, ma questo è un mondo brutto, e dobbiamo vedere nomination date a caso da gente che 99 su 100 non guarda film. Ah, a proposito di Laura Dern, David Lynch ha ottenuto, assieme a Lina Wertmuller e Wes Studi, l'Oscar alla carriera, mentre Geena Davis si è presa quello "umanitario".


Va a Brad Pitt l'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista, e vabbé. Ogni Oscar che, indirettamente o meno, finisce a Quentin (purtroppo C'era una volta a... Hollywood ha vinto solo un altro premio, quello per la Migliore Scenografia, probabilmente quello meno adatto) è un Oscar ben speso, ma lasciatemi dire che Joe Pesci e Al Pacino meritavano molto ma molto di più. Gli Oscar non vanno dati "perché era l'unico rimasto ancora senza", ma per l'effettiva bravura, dai.


JoJo Rabbit vince invece il premio per la Miglior Sceneggiatura Non Originale, ahimé l'unico Oscar portato a casa dal film di Waititi, che se non altro non è rimasto a bocca asciutta.


Assieme a Scorsese, ad uscirne con le ossa rotte è stato il favoritissimo 1917, premiato "solo" con un Oscar importante, quello per la Fotografia (bravissimo Roger Deakins, che ha fatto un lavoro della Madonna percepibile persino da un'ignorante come me, ma non riconoscere la superiorità e l'eleganza di una mano come quella di Jarin Blaschke in The Lighthouse è davvero da stronzi), e quelli tecnici per gli effetti speciali e il missaggio sonoro. A proposito di vilipendio continuo e reiterato a Scorsese, la povera Thelma Schoonmaker è stata battuta dal montaggio di Le Mans '66, che ha vinto anche il premio per il miglior montaggio sonoro. Alle piccole gioie per le vittorie dei costumi di Piccole Donne, di Elton John con la miglior canzone originale e del make-up/acconciature di Bombshell, si accompagna invece l'incredula tristezza per la marchettona gigante alla Pixar: davanti a ottimi esempi di animazione non banale come Dov'è il mio corpo?, Missing Link e Klaus, si è preferito premiare Toy Story 4, che per quanto abbia trovato molto carino è il meno bello della quadrilogia. Insomma, questi Oscar non sono andati male, ma potevano andare molto, molto meglio. Andrò ad ubriacarmi assieme al nuovo eroe di Hollywood, Bong Joon Ho, dandovi appuntamento all'anno prossimo. ENJOY!

martedì 7 gennaio 2020

Golden Globes 2020

Con un ritardo dovuto a un inizio anno già non dei migliori, ecco a voi due opinioni sugli ultimi Golden Globes assegnati domenica notte. Potevo anche evitare, ma sono pignola, Tarantino andava celebrato e la programmazione rimpolpata quindi... ENJOY!


Miglior film - Drammatico
1917 (USA, 2019)
A sorpresa, quatto quatto, l'ultimo film di Sam Mendes (che in Italia arriverà il 23 gennaio) si è portato a casa i premi per miglior film drammatico e miglior regia, con sommo scorno di chi, come me, sperava in una vittoria di The Irishman di Scorsese, grandissimo snobbato della serata. Sono molto curiosa, a questi punti, di vedere un film che già mi attirava dal trailer e più che felice di aver visto rimanere a bocca asciutta sia Joker che Storia di un matrimonio.

Miglior film - Musical o commedia
C'era una volta a... Hollywood  (USA, 2019)
Gioia, gioia, gioia. Il primo dei tre premi a firma del mio aMMore Tarantino, uscito trionfante dalla serata. Non ho ancora visto JoJo Rabbit ma, onestamente, direi che con gli altri candidati non c'era gara, per quanto alcuni mi siano piaciuti parecchio.


Miglior attore protagonista in un film drammatico
Joaquin Phoenix in Joker
Vittoria telefonatissima e meritata, anche perché l'interpretazione di Phoenix è di quelle che non si dimenticano, anche se io stavolta tifavo per Adam Driver.

Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Renée Zelweger in Judy
Da noi uscirà il 16 gennaio e io non vedo l'ora di vederlo, a prescindere dall'interpretazione della Zelweger che ha sbaragliato una concorrenza assai agguerrita. Ovvio, il mio cuore va a prescindere a Piccole donne ma non essendo ancora uscito non posso davvero giudicare le varie interpretazioni.

Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
Taron Egerton in Rocketman
Dispiacere grande per Leonardo Di Caprio, a mio avviso fenomenale nel film di Tarantino e ben più meritevole del pur bravo collega Brad Pitt, però Egerton in Rocketman è favoloso. Non vincerà mai l'Oscar ma almeno il Globe è meritato!


Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Awkwafina  in The Farewell - Una bugia buona
Onestamente, è un'attrice che non conosco ma devo ammettere che quest'anno non c'era molto di che essere entusiasti tra le varie candidature. Forse, tra tutte le performance viste, la migliore era quella di Ana de Armas ma visto l'argomento di The Farewell immagino che Awkwafina portasse un po' più di spessore.

Miglior attore non protagonista
Brad Pitt in C'era una volta a Hollywood
Ebbravo Bradano ma questo, con tutto il rispetto, era l'unico Globe che davvero non avrei consegnato, non quando c'erano Joe Pesci e Al Pacino da premiare in coppia per le magnifiche interpretazioni in The Irishman. Eddai, su.


Miglior attrice non protagonista
Laura Dern in Storia di un matrimonio
E' l'unica che ho potuto vedere ed è meravigliosa, quindi ben venga un Globe alla sempre amatissima Laura!


Miglior regista
Sam Mendes
Maddai, affanculo. Non a Mendes, al quale voglio bene da sempre, ma a chi assegna i Golden. Grazie a Dio non hanno dato premi a Todd Phillips, ma almeno quello a Scorsese!! Dai, cazzo!

Miglior sceneggiatura
Quentin Tarantino per C'era una volta a... Hollywood.
Tutta la vita. Più Globes e Oscar a Quentin vanno, più sono felice, anche perché la sceneggiatura del suo ultimo film è esaltante, commovente, poetica e bellissima.


Miglior canzone originale
I'm Gonna Love Me Again di Elton John e Bernie Taupin, per il film Rocketman
Ottima scelta, anche se a me è piaciuta parecchio anche Into the Unknown di Frozen II.

Miglior colonna sonora originale
Joker di Hildur Guanadottir
E chi se la ricorda? Molto meglio, a mio avviso, quella di Motherless Brooklyn.

Miglior cartone animato
Missing Link (USA 2019)
La Laika è sempre un'enorme garanzia di qualità ma questo film, porca miseria, è missing in action. Speriamo che la vittoria dia un calcio alla distribuzione italiana perché qui urge un pronto recupero!!

Miglior film straniero
Parasite (Corea del Sud, 2019)
Vittoria strameritata per un film bellissimo e attuale. Peccato per Ritratto della giovane in fiamme, di cui parlerò nei prossimi giorni, perché è splendido, particolarissimo e (senza forse) mi ha toccata assai più di Parasite.


Due righe anche sulle serie TV, sulle quali come al solito non posso pronunciarmi visto che ne seguo
pochissime. Stavolta, ho puntato su uno dei cavalli giusti, ovvero Chernobyl, che ha vinto sia come miglior miniserie sia con Stellan Skargard, mentre Emily Watson è stata battuta dalla Patricia Arquette di The Act, serie che non conosco assolutamente, e lo stesso vale per Jared Harris, che ha lasciato il posto a Russell Crowe. Da segnalare, infine, il premio Cecil B. De Mille per la carriera a Tom Hanks e il Carol Burnett Award per la carriera televisiva a Ellen DeGeneres. E con questo è tutto... ci si risente per gli Oscar! ENJOY!

martedì 8 ottobre 2019

Joker (2019)

In ritardo rispetto a tutti coloro che si sono scapicollati a recuperarlo il primo giorno di uscita quando non addirittura alle anteprime, arrivo ad esprimere un'impopolare (e SPOILER FREE) opinione sul Joker diretto e co-sceneggiato dal regista Todd Phillips.


Trama: Arthur Fleck vive solo con la madre, ha problemi neurologici e vorrebbe fare il comico. Il destino lo porterà a diventare invece il Joker.



Fresco della vittoria del Leone d'Oro all'ultimo festival di Venezia, Joker è diventato in tre giorni il film sulla bocca di tutti, facendo sanguinare il cuore di Nolan, bello lui, che credeva di aver creato assieme a Heath Ledger il Joker migliore di sempre. E' bastata l'inquietantissima risata di un Joaquin Phoenix in stato di grazia per convertire migliaia di fedeli che hanno subito calpestato il santino di Nolan, dichiarando pubblicamente che "Joker è l'unico, vero cinecomic" nello stesso periodo in cui Martin Scorsese (che, attenzione, AVREBBE DOVUTO produrre Joker ma alla fine non l'ha fatto) veniva lapidato dai nerd di tutto il mondo i quali, leggendo i titoli dei vari articoli sensazionalisti sul web, si sono ritenuti offesi dalle sue dichiarazioni sgarbate sui loro beniamini del MCU ("I film di supereroi non sono cinema". Martin, che ne sai tu di Cinema, come ti permetti??). La cosa fa un po' ridere, in effetti. Tutti ad osannare Joker e a insultare Scorsese, peccato che il film di Phillips è scorsesiano (almeno nello stile e nella superficie della narrazione) dall'inizio fino a quasi alla fine, ché a un bel momento abbiamo deciso di ispirarci a The Purge e attaccarci con lo sputo il link a Batman, altrimenti giustificare un titolo come "Joker" invece di "Arthur" sarebbe stato un po' difficile. Prima di proseguire col mio ragionamento che non interesserà a nessuno, fatemi mettere le mani avanti. A me Joker è piaciuto non molto, moltissimo. E' uno dei pochi film recenti (gli altri due sono stati C'era una volta a Hollywood e sì, anche Midsommar - Il villaggio dei dannati) ad avermi calamitata allo schermo con un'intensità tale da farmi rimanere a bocca aperta per tutta la durata del film, in virtù dello One Man Show di un Joaquin Phoenix meraviglioso, tragico, squallido e bellissimo, terrificante e vanesio come il Joker di Jack Nicholson e affascinante come quello di Jared Leto non potrebbe mai essere, nemmeno in diecimila anni. Per tutto il film Phoenix ride, preda di un dolore che gli serra la gola ed enfatizza ogni ruga, balla con quel corpo emaciato eppure flessuoso come quello di un ballerino, limona sigarette, corre via dall'orrore della società per farsi orrore lui stesso, arrivando a gioire realmente solo davanti al sangue che scorre e alla violenza di strade che, finalmente, arrivano a considerarlo vivo e reale. Però. Però, però, però.


Qualche giorno fa leggevo un libro molto simpatico ed interessante che consiglierei a tutti: Save the Cat! Manuale di sceneggiatura di Blake Snyder. Il titolo fa un po' ridere ma, riassumendo, Snyder diceva che affinché il pubblico arrivi a tifare per il protagonista, quest'ultimo deve compiere delle imprese eroiche o comunque fare del bene, essere di base "buono" (salvare, per l'appunto, il gatto). Quando ciò non succede (il libro prendeva come esempio Aladdin, il cui protagonista è un ladro, ma io potrei fare l'esempio del Corvo, l'antieroe per eccellenza, oppure, sempre rimanendo in ambito "cinecomic" quando ancora non si chiamavano così, The Mask), bisogna far sì che il protagonista si trovi davanti gente peggiore di lui. Ed effettivamente, guardando Joker domenica, mi ritrovavo a sorridere non solo della semplicità del ragionamento alla base della sceneggiatura di Todd Phillips e Scott Silver, ma anche della facilità con cui noi spettatori moderni ci lasciamo gabbare, privi come siamo di memoria storica e ridotti a reagire con veemenza solo davanti a ciò che ci viene sbattuto in faccia chiaro come il sole, positivo o negativo che sia. Artur Fleck è un mix di due antieroi scorsesiani, Travis Bickle di Taxi Driver e Rupert Pupkin di Re per una notte. Ora, Re per una notte l'ho visto solo una volta e non lo ricordo molto, lo ammetto, benché sia bastato per farmi saltare all'occhio ogni similitudine (scusate ma visto che alcuni sul web scoprono l'acqua calda vantandosi di aver notato SPOILER come la nascita di Joker avvenga in contemporanea a quella di Batman FINE SPOILER io a sti punti mi vanto di aver colto il "contrappasso" imposto a De Niro dopo aver rapito Jerry Lewis) ma Taxi Driver lo conosco bene e più che le similitudini qui si coglie proprio la diversa caratura dei due film in fase di scrittura. Per farci empatizzare con Arthur Fleck, gli sceneggiatori gli scaricano addosso non solo ogni sfiga ma lo rendono la valvola di sfogo di ogni stronzo sul pianeta, spesso in maniera immotivata, un punchball non solo verbale ma anche fisico, al punto che quando il ragazzo sbrocca lo si può anche capire, poverello. Provate un po' a riguardare Taxi Driver. E' vero, Travis viene "preso in giro" dalla bella Cybill Shepherd, trattato come una pezza da piedi dal capo di lei, considerato invisibile dalla maggior parte delle persone che lo circondano, eppure la sete di giustizia che lo porta a farsi purificatore della società parte dalla sua alterata percezione della stessa, non dalla cattiveria altrui: la colpa di Betsy, ad esempio, è solo quella di essersi avvicinata a Travis per il "brivido" di uscire con un working class man ma possiamo biasimarla se, una volta portata in un cinema porno da un uomo incapace di integrarsi nella società proprio a causa della società stessa, la bionda decide di scappare inorridita? Quanto al pappone di Harvey Keitel, perlomeno Travis ci prova a ripulire il mondo non solo per sé ma per gli altri, mentre Arthur Fleck agisce solo per se stesso, per mettere al loro posto quelli che lo hanno trattato male. Più che antieroe, un bimbo che sbatte i piedi per terra, affascinante quanto volete, spesso degno di venire compatito, ma poco apprezzabile.


E qui parte la mia perplessità sulla "morale" finale di Joker. Pur prendendo questo film come un elseworld DC, scollegato dalla continuity ufficiale di Batman o delle pellicole che ne sono state tratte, alla fine della fiera era meglio un Joker misterioso e dimentico egli stesso del suo passato, alterato dalla pazzia, ridicolo quanto l'uomo pipistrello e folle quanto lui, invece di un Travis Pupkin con mommy/daddy issues, giustificato nelle sue azioni da un passato e presente atroci, nemmeno fosse la nuova Maleficent disneyana. E che dire, poi, della svolta populista di una New York (scusate. Gotham City) sporca, povera e squallida, dove il ricco viene visto male "solo" perché ha i soldi e dove basta UN singolo evento casuale per portare alla nascita di uno Sfogo al contrario? Io capisco i dialoghi reiterati a base di "noi siamo i dimenticati, nessuno ci considera, siamo inutili alla società, nessuno ci vede", li abbraccio e spendo anche una lacrima, però Arthur è malato di mente e, come ho detto sopra, in definitiva pensa solo a prendersi una rivincita personale, gli altri che scusa hanno? Insomma, come discesa nella follia Joker è un film da manuale (anche troppo) ma per il resto è di una superficialità che, lo ammetto, trovo più "disturbante" della risata del protagonista. Vero, purtroppo è anche lo specchio dei tempi in cui viviamo, forse per questo Joker è riuscito ad incantare le platee di mezzo mondo, rinnegando la sua natura di cinecomic pur sfruttando, biecamente, il richiamo commerciale del nome che porta. Da parte mia, credo che il Cinema potrà continuare a esistere anche dopo il film di Phillips e sono convinta che prima o poi arriveranno altri autori che preferiranno abbandonare la serialità di un progetto alla MCU per concentrarsi su uno one shot dalle atmosfere particolari (diciamo che è quello che succede già nei comics, nulla di nuovo sotto il sole, e ricordo che è successo anche con Logan - The Wolverine, anche se lì il film era comunque inserito all'interno di un progetto più ampio), basta solo che ci siano Studios e produttori lungimiranti in grado di permetterlo. Allora, forse, smetteremo di inneggiare al miracolo per un film come Joker: bello, anzi, bellissimo, ma troppo pigro e debitore delle atmosfere della New Hollywood per poter essere veramente innovativo, anche se probabilmente la Academy mi darà torto come hanno fatto quasi tutti gli spettatori.


Del regista e co-sceneggiatore Todd Phillips ho già parlato QUI. Joaquin Phoenix (Arthur Fleck), Robert De Niro (Murray Franklin), Frances Conroy (Penny Fleck), Shea Whigham (Detective Burke) e Brian Tyree Henry (Carl, l'impiegato dell'Arkham) li trovate invece ai rispettivi link.

Brett Cullen interpreta Thomas Wayne. Americano, ha partecipato a film come Apollo 14, Qualcosa di cui... sparlare, Ghost Rider, Il cavaliere oscuro - Il ritorno, Paradise Beach - Dentro l'incubo e a serie quali L'incredibile Hulk, MASH, Uccelli di rovo, Visitors, Freddy's Nightmares, Alfred Hitchcock presenta, I racconti della cripta, Ally McBeal, Oltre i limiti, Walker Texas Ranger, Cold Case, Desperate Housewives, Monk, CSI:Miami, Ghost Whisperer, Lost, Criminal Minds, CSI - Scena del crimine, Under the Dome e True Detective. Anche produttore, ha 63 anni e un film in uscita.


Zazie Beetz, che interpreta Sophie Dumond, aveva già partecipato a Deadpool 2 nei panni di Domino. Viggo Mortensen ha rifiutato il ruolo di Thomas Wayne e Frances McDormand quello di Penni Fleck, mentre Alec Baldwin ha rinunciato a interpretare Wayne per impegni pregressi; una fortuita serie di coincidenze ha permesso invece a De Niro di partecipare, laddove sia Martin Scorsese che Leonardo di Caprio hanno dovuto rinunciare al film perché impegnati rispettivamente con The Irishman e C'era una volta a Hollywood. Detto questo, se Joker vi fosse piaciuto recuperate i pluricitati Re per una notte, Taxi Driver e anche You Were Never Really Here. ENJOY!

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