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sabato 25 settembre 2021

Recensione: Il nostro meglio, di Alessio Forgione

| Il nostro meglio, di Alessio Forgione. La nave di Teseo, € 17, pp. 288 |

Lo avevamo conosciuto con Napoli mon amour, un romanzo di formazione che omaggiava un capolavoro della Nouvelle Vague ma che brillava per lo sguardo neorealista. Reduce da una candidatura al premio Strega, Alessio Forgione torna in libreria e ritrova, a sorpresa, una vecchia conoscenza: Amoresano, protagonista del suo esordio e suo alter-ego. Dopo avercelo raccontato irrequieto e smarrito, in preda alla disperazioni delle ambizioni frustrate, questa volta fa un passo indietro. Riavvolge il nastro. Il nostro meglio si svolge qualche anno prima.

Riprendo a camminare. Percorro via Benedetto Croce e guardo i vestiti e le facce delle persone che mi vengono incontro e mi superano e continuano per la loro strada. Penso che la cosa che più mi piace di Napoli è che mi somiglia e che Napoli è come me: stanca, che ancora si muove e procede, verso dove non si sa, ma procede.

Ventenne, iscritto a scienze politiche, Amoresano è giovanissimo e ancora all'oscuro degli anni che lo aspettano. Nonostante tutto, però, non appare spensierato. Il romanzo, infatti, racconta a ritroso il suo primo dolore: la malattia della nonna. Si può elaborare un lutto quando non è ancora avvenuto? Malinconico per natura, il protagonista è un novello Holden che sfugge alle lacrime cercando dappertutto distrazioni. Frequenta amici e ragazze, va in gita sui monti abruzzesi e, soprattutto, passeggia per dimenticare: tutt'intorno c'è una città brulicante di turisti, drammi e stranezze, con gente che si schianta dai balconi e matti che fanno il bagno nelle fontane. Si può posticipare l'inevitabile? Strutturato come un implacabile conto alla rovescia, il romanzo mescola passato e presente per ingentilire la tragedia del cancro. Ma mentre il passato è dolcissimo, il presente è di una cupezza intollerabile: la pelle della nonna ingiallisce, aumentano i dosaggi di morfina e la malattia, come nell'ultimo romanzo di Anna Giurickovic Dato, diventa la protagonista assoluta. Mai come in questo caso, allora, mi è possibile dividere il romanzo in due parti: individuare ciò che mi ha appassionato e ciò, invece, che non mi è piaciuto.

Penso che forse, dopo che tutto è finito, delle persone ti mancano pure le case dove le hai vissute.

Il nostro meglio è bello, è vincente, è mio, quando porta in scena la coralità della famiglia: tipicamente napoletana, e perciò popolosa e caotica, accoglie bugie a fin di bene, tenerezze e moine. All'oscuro della sua sorte, la nonna è un vulcano di energia: si vanta della carriera universitaria del nipote, a onor del vero non troppo brillante, e raduna il parentado per quelle festività dall'allegria un po' forzata. Gli andirivieni di Amoresano, invece, mi sono parsi scollati dal resto: appesantito dai suoi pensieri esistenzialisti, il giovane si trascina poco convinto tra le prove della band (con l'amico Angelo che sogna, intanto, di partire per Londra) e due flirt che portano a un nulla di fatto (il primo con Maria Rosaria, tabaccaia con il pallino delle poesie tristi, e il secondo con Anna, barista pronta a svelargli le vedute della bella Procida). Ritratto di famiglia con tempesta, Il nostro meglio mi ha ricordato con emozione le estati dai miei nonni: quando alla controra toccava andare a letto, anche soltanto per riposarsi gli occhi. Ma questo Amoresano più giovane e più errabondo non mi ha ricordato, purtroppo, la bellezza struggente del nostro primo incontro. Sono tornato a salutarlo a Napoli: la città era lo splendore di sempre, ma non è stato amore.
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Pino Daniele - Quando 

mercoledì 4 marzo 2020

Recensione: Giovanissimi, di Alessio Forgione

| Giovanissimi, di Alessio Forgione. NN Editore, € 16, pp. 224 |

Memore del trauma che fu il romanzo d’esordio – il resoconto disperato di un trentenne senza futuro, in una Napoli di amori e incertezze –, mi ero ripromesso che avrei dovuto rileggere Alessio Forgione a tempo opportuno. Quando l’umore era alto. Maestro di arrovellamenti interiori e frustrazioni, nell’ultimo periodo, avrei finito purtroppo col non farlo più. Così l’ho affrontato senza starci troppo a pensare. Ma quant’è affidabile il detto via il dente, via il dolore? Giovanissimi ha fatto male ugualmente.
Siamo in un rione. Questa volta, giocando con l’effetto nostalgia che altrove va per la maggiore, si fa un salto indietro negli anni Novanta. Marco, detto Marocco per la carnagione olivastra e i capelli riccissimi, è un quattordicenne che si domanda come finirà il campionato e quando l’innocenza. Abbandonato dalla madre, vive col papà – un uomo onesto e tutto d’un pezzo – una routine scandita da paste col pesto, tè alla pesca e partite di pallone. È sin dall’infanzia che sogna di diventare un calciatore famoso. Marocco si divide tra sale giochi, sigarette, giornalini pornografici e Dylan Dog; scrocca passaggi in motorino – il padre l’ha iscritto allo scientifico e poi ha infranto la promessa: non gliene ha mai regalato uno – e all’improvviso salta fuori un piccolo traffico di droga a ingrossargli le tasche. Quando il migliore amico, Lunno, gli ha proposto di spacciare nei bagni della scuola, lui subito ha detto di sì: per carattere non sa tirarsi indietro, infatti, e il loro è un giro talmente modesto da non scomodare mai i prepotenti del quartiere.

«Voglio mangiare con te tutte le volte che mi viene fame». «Che significa?».
«Che ti amo?». «E perché non me l’hai detto?». «Perché mi fai paura».
In queste pagine sperimenta: la prima punizione, il primo bacio, la prima volta con una ragazza – Serena, che ha le zizze grandi e rende tutto più meraviglioso. E leggendo, capitolo dopo capitolo, si rischia di volergli un bene esagerato; di affezionarsi troppo. Checché se ne dica, è un bravissimo ragazzo; un’anima fragile. Ferito dalle malelingue, dall’abbandono, dagli avversari rissosi con cui farebbe meglio a non immischiarsi, piange senza far rumore e si allena per non soffrire. Candido, semplice e innocente, cammina suo malgrado in una realtà eternamente sotto assedio: a un appuntamento può incrociare un passante accoltellato, il cui cadavere macchia un lenzuolo all’altezza del petto; sentire scoppiare i fuochi d’artificio fuori stagione, segno che non lontano ci sono traffici illeciti in corso; perdere compagni di squadra da un momento all’altro, dal momento che la loro età anagrafica non è sinonimo di lunga vita.
Giovanissimi non è La paranza dei bambini né La terra dell’abbastanza. Protagonisti e figuranti si sporcano senza puntare al potere, ma soltanto per mantenersi a galla. Sconvolge, allora, constatare quanto sia facile mettersi nei casini fino al collo; e se va male, rovinarsi i migliori anni.  Senza ansia da prestazione, Alessio Forgione mi è parso genuino e immediato come ai tempi del debutto. Il traguardo della pubblicazione e il successo non ne hanno cambiato l’approccio neorealista e la visione del mondo: compreso l’inconfondibile nichilismo di chi vede spesso il bicchiere mezzo vuoto. Lo stimo, e un po’ non lo sopporto. Si comporta con i suoi personaggi e i suoi lettori, infatti, alla maniera spietata di certi scrittori.

Fu così che pensai che nel primo ciao che si dice è compreso anche l’addio e che l’inizio è solo l’inizio della fine e che ogni incontro non è altro che un lungo abbandono, centellinato goccia a goccia, lento.
Inutile aspettarsi un finale tarallucci e vino. Ma questa volta non poteva forse accadere, cogliendoci tutti di sorpresa? Su Marocco e gli altri incombe una nuvola nera, un nuovo tormento. Un fatalismo che mi è sembrato raggirabile. La drammaticità del romanzo, su di me, ha avuto un impatto diverso rispetto a Napoli Mon Amour. Se quello si rivelava essere una escalation inesorabile, questo è una stoccata più rapida; più a tradimento. Meno necessaria? Le eccezione, in storie del filone, sono gli epiloghi quieti: Marocco, senza sbilanciarsi, per me ne avrebbe meritato uno. Perché è un personaggio eccezionalmente atipico. Senza machismo, racconta con commozione le amicizie e i flirt, gli sfottò, il cameratismo da spogliatoio, le sbronze tragicomiche e i reggiseni da slacciare. È un compare fedele, un fidanzato dolce. Apprezza gli abbracci del babbo, stringe i fianchi degli amici in scooter per bisogno di calore umano, e se ne infischia bellamente dei votacci e delle conseguenze. Corre, cade, si rialza, commette fallo. Qualche volta si merita il cartellino rosso, qualche volta fa goal. Giovanissimo, finché dura. 
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Anastasio – Correre

mercoledì 17 ottobre 2018

Recensione: Napoli mon amour, di Alessio Forgione

| Napoli mon amour, di Alessio Forgione. NN Editore, € 16, pp. 223 |

Lo scorso anno, di questi tempi, leggevo dell'esistenza mediocre di William Stoner e mi scoprivo commosso, arrabbiato, punto sul vivo. Si parlava, infatti, delle giornate di un professore universitario vittima della cappa asfissiante della routine. E fra le pagine, differenze a parte, gioivo e soffrivo nello scoprirmi un uomo piccolo proprio come lui – protagonista di una grande romanzo, tuttavia, in cui si parlava anche di beni da acquistare, di matrimoni e figli: il tutto, con l'eleganza insuperabile di quegli anni Cinquanta filtrati dal color seppia. È accaduto lo stesso, qualche giorno fa, con Napoli mon amour: un esordio senza ancore di salvataggio. C'è sempre la vita al centro, nero su bianco, ma al contrario non ci si può permettere un mutuo, un matrimonio o una discendenza, il sogno americano. Siamo infatti in un Sud amato e odiato – qui elevato a simbolo dell'Italia tutta –, che dei sogni dei giovani fa inutilizzabile carta straccia. Coriandoli che suggeriscono a torto l'allegria, quando in realtà insudiciano le strade e intasano le pattumiere della differenziata. Con storie ai limiti della disumanità, purtroppo, in cui il lieto fine è una speranza scartata a priori. Il protagonista, che di cognome fa Amoresano, ha trent'anni e nessuna prospettiva futura. Dopo tre anni da marinaio su una nave da crociera, ha avuto la malsana idea di tornare a casa: così, per cambiare aria.

In piedi, circondato da estranei, pensai che non avevo mai davvero preso in considerazione l'ipotesi di andare via. Che avevo provato a costruire delle cose, a farle crescere per crescerci sopra anch'io, come se mi spuntassero da sotto i piedi, ma che era anche tanto tempo, troppo, che tutto s'era bloccato. Provai orrore al pensiero che forse mi ero seduto sul ciglio della strada ad aspettare che le cose accadessero o che qualcuno si fermasse a raccogliermi.

Le sue due lauree a pieni voti a poco servono, il discreto gruzzolo messo da parte è per forza di cose in rapido esaurimento e, troppo timido per lavorare in un call center, troppo recalcitrante alla prospettiva di due settimane di prova non pagate, vagheggia di abbandonare la Campania per l'Inghilterra – chissà se, nel mentre, la Brexit ha già smantellato i sogni di gloria perfino dei nostri lavapiatti in trasferta – e fa le ore piccole in compagnia di Russo, insospettabile migliore amico dedito al modellismo e al sesso occasionale. Le sue giornate sono un labirinto di ozio e frustrazione in cui, a colpo d'occhio, non si scorge via d'uscita: fra gli aperitivi a basso costo, il Napoli che non segna e qualche immersione all'ombra ingombrante del Vesuvio, Amoresano è suo malgrado il “giovin signore” di Giuseppe Parini con gli sporadici pensieri suicidi del capolavoro generazionale di Goethe. Colleziona porte in faccia, frustrazioni e fallimenti. In segreto, ha paura tanto di vivere quanto di morire. E quanto gli duole l'autostima nel dipendere ancora dai genitori, o nel pretendere cinquanta euro del nonno arteriosclerotico con la scusa dell'onomastico imminente? Cresciuto in una famiglia di donne e mosso da una rispetto reverenziale verso l'intero genere femminile, a un certo punto gli succede di innamorarsi corrisposto di Nina: una studentessa universitaria così irresistibile da distrarlo dalla partita in onda alla tivù e da spingerlo, d'un tratto, a essere spavaldo.

Sei più bella del Napoli che vince 4 a 1 il Bologna.

Quanto lo ringiovanisce, e quanto gli fa davvero bene la sua influenza? Lei, infatti, è in quell'età in cui ci si può ancora permettere di sognare il mondo del cinema, l'Erasmus a Barcellona; lui, invece, ha esaurito in fretta i risparmi e il desiderio di fuggire. Al giorno d'oggi servono i soldi anche per permettersi un briciolo di orgoglio. Anche per garantirsi l'amore: in definitiva, un investimento sbagliato. Il compleanno festeggiato a Roma, il manifesto della Nouvelle Vague visto in un elitario cineforum a San Valentino, un appuntamento galante qui e la spesa per una perfetta carbonara lì: agli equilibri della coppia corrisponde purtroppo l'allarme del conto ormai in rosso, il pericolo fatale di un cuore in frantumi. Lo salveranno magari il sogno di stringere la mano al novantaseienne Raffaele La Capria, la passione per la scrittura, se nell'angusta cameretta di Amoresano le giornate in spiaggia con la nonna, le relazioni a distanza di cui parlottano i pendolari in treno, le lezioni di inglese presso i mormoni si trasformano, con un po' di poesia, in racconto di formazione?

Dicono che i napoletani parlino al passato remoto, ma è un'idea sbagliata […] Secondo me è più che vedono il futuro, il presente e il passato come un'unica striscia dritta, come se esistessero tutti nello stesso istante e quindi sapessero che niente potrà mai davvero cambiare.

L'esordiente Alessio Forgione, napoletano emigrato a Londra per spirito di autoconservazione, si svuota il cuore e le tasche, le scarpe piene di sassi, in una prova narrativa che trasuda urgenza e sincerità. Ci mette un filo di simpatia, cosa che non guasta, e citazioni pop a non finire – le maratone di The Wire in streaming, le commedie nere del primo Martin McDonagh davanti a cui sonnecchiare –, preso a godersi non senza sensi di colpa la monotona indolenza della disoccupazione giovanile e a smantellare i luoghi comuni su una città senza pizza, caffè zuccherato, atteggiamenti truffaldini o dialetti stretti. Milionaria in De Filippo, proletaria in Forgione, è in attesa del candore di una nevicata che continua a negarsi ostinatamente ai suoi abitanti, con gli yacht ormeggiati a largo e le ville per villeggianti precluse ai poveri di spirito. I personaggi di Napoli mon amour, romanzo condannato all'implosione, sprovvisto di risposte consolanti o gioie, hanno il mare a un passo: peccato non sappiano cosa farsene. Dalla tua, grato per il bagno di verità ma profondamente amareggiato a fine lettura, non sai bene se gli perdonerai mai una sincerità che ti ha fatto bene e male insieme. Vedi Napoli, e poi?
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Baustelle - Il futuro