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sabato 31 ottobre 2020

Pillole di recensioni per Halloween: Bianco (Laura Bonalumi) | Le parole che non posso dirti (Tommy Wallach)

Bianco, di Laura Bonalumi.
Piemme, € 16,50, pp. 239
★★★
Il freddo brucia. Lo ha realizzato Isabella, diciannove anni, davanti alla catastrofe che ha paralizzato il mondo sotto un manto candido. La neve si è palesata a ottobre. Felicissimi, grandi e piccini l'hanno scambiata per un miracolo. Poi ha preso il cielo e la terra. Infine ha mietuto vittime. Sopravvissuta ai familiari, la protagonista vive con l'unica famiglia che le resta in una chiesa vuota: cinque sconosciuti di età diverse, a cui si è aggiunto di recente Giovanni, pasticciere che nel mezzo dell'apocalisse la tenta con qualche sospiro d'amore. Abbagliante, ma non per questo meno spaventoso, il futuro immaginato da Laura Bonalumi ha cieli d'acciaio e lacrime di ghiaccio: i cadaveri di uomini, donne e bambini, a causa delle basse temperature, sono cristallizzati come in una cella frigorifera. È un futuro più vicino che mai. Scritto qualche anno fa ma pubblicato all'alba di una seconda quarantena, Bianco racconta le convivenze forzate e i rari momenti di distensione vissuti lo scorso marzo: quando una festicciola tra le mura domestiche, sporcarsi le mani d'acqua e farina, aiutavano a sconfiggere l'angoscia. Sempre fedele a sé stessa ma sempre diversa, l'autrice affronta per la prima volta un genere internazionale – ho pensato a Snowpiercer – e risulta sorprendentemente attuale. In maniera convincente, ci racconta le tensioni e le relazioni. Nonostante i termometri al collasso, poi, sa come risultare calorosa; come emozionare. Vittima della nostalgia e dell'incertezza, la sua Isabella è una protagonista interessante nel suo continuo interrogarsi: l'autrice conta le sue cicatrici, una per una, e le confronta con quelle degli altri superstiti. Più attratta dal lato psicologico che dalla componente thriller, però, la Bonalumi si concede lunghe riflessioni e brevi incursioni esterne. Ambientato prevalentemente nella chiesa-rifugio, Bianco ha atmosfere brillanti e interrogativi importanti sul senso di Dio, ma altresì il difetto di risultare una lunga introduzione. È previsto un seguito? I messaggi scritti con la cenere troveranno un lettore? Isabella e gli altri sono la speranza di un nuovo inizio? Al pari del pilot di una serie TV, Bianco intriga e suggestiona – perfino in queste pagine, infatti, i colpi di tosse preoccupano –, ma per ora lascia a digiuno di avventure al cardiopalma. Arriveranno nella prossima puntata?

Le parole che non posso dirti, di Tommy Wallach.
Piemme, € 16,50, pp. 272
★★★½
In cima all'armadio custodisco una pila altissima di romanzi per ragazzi. Al liceo hanno rappresentato la mia comfort zone per eccellenza. La pila, purtroppo, è ferma da un po'. Qualche settimana fa sull'armadio se n'è aggiunto un altro. Una storia d'amore e morte, truce e adorabile insieme, scritta da un autore già apprezzato in passato. Ambientato tra Halloween e il due novembre, il nuovo romanzo del bravo Tommy Wallach mi è parso leggero e saggio: un riappropriarmi di uno spazio che in fondo è sempre stato mio. L'incipit, da commedia indie, coglie i due protagonisti nella hall del Palace Hotel. Parker, diciassettenne chiuso dietro una cortina di silenzio, ha marinato nuovamente la scuola: è nell'albergo di lusso in cerca di qualche pollo da spennare. Lei, Zelda, siede da sola con una cascata di capelli argentati e tutt'intorno un'aura di tristezza perfetta: ha una borsa piena di soldi, e nel derubarla Parker finisce per smarrire il taccuino con i suoi pensieri più intimi. Zelda gli fa una proposta: spendere insieme tutto il denaro; dopodiché, a fine giornata, lei si suiciderà gettandosi dal Golden Gate. La ragazza giura di avere 246 anni. Novella Benjamin Button, usa un linguaggio antiquato, balla il Charleston, si fa scortare in limousine. È possibile restituire la voglia di vivere a chi ormai è stanco? Il risultato è uno spassoso tour de forze all'insegna del consumismo, delle prime volte e delle ultime occasioni. Una riflessione agrodolce sul senso del tempo, della gioventù e della vita. Entrambi stufi di stare al mondo, i ragazzi hanno un'inquietudine che li rende unici nel loro genere: peccato che le tappe della loro storia siano convenzionali e comuni, per esempio, ai romanzi on the road di John Green. Ma l'epilogo, insieme alla scrittura dell'autore, per fortuna è tutto fuorché scontato. È forse la scrittura a trasfigurare l'amore in magia? La ragazza tentata dall'abisso resterà la storia più bella mai inventata da Parker? A fine lettura resta il mistero. Resta la speranza. Restano le parole: speciali soprattutto quando non dette.

lunedì 23 novembre 2015

Recensione: Fino alla fine del mondo, di Tommy Wallach

Guardò il cielo, cercò la scintilla implacabile e vide che erano impegnati in uno scontro di volontà. In quell'istante smise di averne paura, anzi, la sfidò ad arrivare, sicura che quel sasso non potesse avere fame di morte più di quanto lei avesse fame di vita.

Titolo: Fino alla fine del mondo
Autore: Tommy Wallach
Editore: Piemme – Freeway
Numero di pagine: 388
Prezzo: € 17,00
Sinossi: L'asteroide Ardor ha il 66 per cento di probabilità di colpire la Terra, distruggendola. Potrebbe accadere entro due mesi. Potrebbe accadere sul serio. Due mesi è un tempo irrisorio oppre eterno. Dipende. Può essere impiegato per disperarsi oppure per commettere ogni sorta di nefandezza, oppure per ridefinire ciò che siamo, liberandoci dalle etichette che abbiamo lasciato che ci appiccicassero addosso. A Seattle quattro ragazzi stanno aspettando la fine del mondo. C'è lo sportivo, la puttana, lo sfigato, la studentessa brillante. Hanno due probabilità su tre che quei mesi siano l'ultima occasione per fare qualcosa che abbia un senso. Non per essere degli eroi e nemmeno per dimostrare niente a nessuno, ma solo per diventare se stessi, trasformando le proprie vite in qualcosa che abbia avuto senso vivere.
                       La recensione
Qualunque cosa sia, non ne vale la pena. A metà della scorsa settimana, di sera, ho ricevuto una chiamata inaspettata. Il cellulare ha vibrato e, sullo schermo, ho letto il numero di una persona con cui, faccia a faccia, credevo di non avere mai parlato prima. Giusto per messaggio. Magari era partita una chiamata per sbaglio: con il touch, spesso capita. Una volta, due... Alla terza, ho risposto, ricordandomi che tra noi c'era una questione in sospeso: a quella ragazza, infatti, avevo promesso delle dispense, ma quando avevamo detto di incontrarci, in settimana, era caduto il discorso; non mi aveva fatto sapere altro. Alle ventidue spengo la tivù e, un po' imbarazzato, rispondo: odio parlare al telefono. Non so quando i miei silenzi siano troppi o troppo pochi, quando è giusto spezzare parola oppure no. Con gli sconosciuti, a volte evito: mi si deve conoscere per interpretarmi. Ma quella sconosciuta alla cornetta, d'un tratto, non lo è stata più, sconosciuta. Mi sono ricordato di averla incontrata una mezza volta - amici in comune e lei, più grande di me, parlava dei suoi viaggi –, mentre mi raccontava di come, in Italia per gli errori della segreteria didattica, aveva preferito tornare a Parigi, da un giorno all'altro, all'indomani della tragedia. Lì ha una casa, un impiego – ho capito che scrive, che lavora in ambito umanitario – e al suo paese originario, in Abruzzo, non poteva starci, con il pensiero che vola altrove. Al concerto, quella sera, c'era il primo ragazzo che aveva conosciuto in Francia e la memoria del cellulare conservava ancora le sue promesse: doveva andarla a prendere in aeroporto. Ma quel ragazzo era morto, e adesso lei si scusava con me per i libri, per il ritardo. Ma la voce tremava, e tremavo anch'io. Lo avrà capito, si è subito scusata, ma aveva bisogno di parlare. E così abbiamo parlato. Di parigini che si fanno in quattro per la loro amica italiana, che di giorno si stanca, a lavoro, per non pensare, ma che quando è sera ha paura. Dei tanti feriti e, in particolare, di un'amica che è sopravvissuta alla sua compagna – e con la naturalezza che nel nostro Paese non ci sarà forse mai, senza dovere specificare sai, lei è lesbica, perciò aveva una compagna. Dei suoi inevitabili e se lì ci fosse stata anch'io; della preoccupazione di andare in ufficio in metropolitana, ché cosa ne so se quello di fronte a me, dal nulla, mi spara in fronte. Ho riattaccato un'ora dopo, ma non sono riuscito a dormire. Solo rigirandomi tra le coperte, pietrificato, mi sono scoperto realmente scosso dalla drammatica notizia che, quante volte, un centinaio?, avevo sentito al TG. Non erano le frasi fatte della televisione a parlarmene, non i titoli dei giornali. Il racconto di quella ragazza, per la prima volta, mi aveva fatto sentire Parigi vicina, e la preoccupazione – incancellabile - mi voleva sveglio. Così ho iniziato a leggere Fino alla fine del mondo
Il libro giusto nel momento sbagliato, a tal punto che non riesca a dirvi, su due piedi, quanto sia effettivamente bello e quanto, quella notte, sia sembrato bello a me. Ma non è la stessa cosa, dopo tutto? In uno young adult – il più illuminante letto quest'anno – dove si parla di scienza e fede, si muovono significativi protagonisti in cerca di un senso, in un'annunciata apocalisse che somiglia un po' all'estate delle grandi scelte. Metteteci però le rivolte in piazza, la legge marziale, una festa spaziale. Una seconda parte dura, cupa, in cui l'isteria collettiva miete ingiuste vittime e il salvataggio di una sorella che frequenta brutte compagnie porterà i personaggi in un covo di tossici, a giocare con il fuoco. L'autore, giovane e colto – ne sa infatti di musica, filosofia, letteratura -, cita Vonnegut e con uno stile profondo, buffo, assolutamente originale nello spirito, scrive un romanzo che non è una lista di cose da fare. I diciotto anni e i buoni propositi di ogni dove – perdere la verginità, inseguire un sogno, trovare l'amore – somigliano, in Wallach, a quelle immagini veloci, frammentate, in cui nei film si vide un'umanita che, nel profondo, emoziona. Peter, sportivo e popolare, ha il successo in pugno, ma inizia a domandarsi se il suo scontato futuro – una borsa di studio, una fidanzata sciocca e possessiva – non sia l'equivalente di una vittoria di Pirro, come gli ha suggerito il prof a lezione.
Eliza, nuova a Seattle, ha dato un bacio al ragazzo sbagliato, sotto lo sguardo di un'osservatrice indiscreta e, in un lampo, il pettegolezzo l'ha dipinta come una poco di buono. Sul petto ha una lettera scarlatta. Si è perciò adeguata in fretta. E' diventata la ragazza disinibita e sfacciata che tutti, sbagliando, pensavano che fosse. Ma ritrova se stessa nella camera oscura, quando l'unico lampo positivo – il flash della macchina fotografica – le permette di immortalare attimi irripetibili. Andy, punk e skater, indossa jeans troppo stretti e fuma troppe canne, invece: innamorato pazzo di Eliza – che anche Peter ama, tra l'altro -, è autore di testi intensi e di dichiarazioni d'amore brille nelle segreterie telefoniche. Anita, afroamericana, è ricca e precisa: avrebbe Princeton nell'imminente futuro, ma c'è questa voce potentissima, da cantante soul, che non riesce a zittire. Perché cantare nel proprio armadio, se c'è una folla che vuole sentirsi dire, e cantare, un'ultima cosa buona? L'esordio di Tommy Wallach – cantante e compositore che, all'interno della sua opera prima, mette tutta la musica che può – parla della vita, essenzialmente, che non si ferma mai. Che siano i terroristi, che sia un'asteroide che ha il 66 per cento di possibilità di ridurre in cenere la Terra. Ma la vita continua, anche senza di noi, e ci sono i giovani, per fortuna, che non smettono di proiettarsi a domani. Come l'amico della ragazza di cui vi ho parlato, che aveva promesso di andarle incontro, domenica, e a domenica non ci è arrivato. Quante le promesse infrante? Quanti gli appuntamenti mancati? A colpire, qui, soprattutto il concetto di karass. La social catena di Leopardi; lo splendido momento di Sense8, in cui gli otto protagonisti, in città lontane, si ritrovano a canticchiare sovrappensiero la stessa canzone. Persone che operano per uno stesso fine e che, ovunque siano, qualsiasi cosa facciano, si ritrovano a guardare la stessa asteroide che incombe. Siamo sotto lo stesso cielo - e non è sempre più blu, ma, a tratti, nerissimo. 
Sono a sentirti piangere, una sera, dall'altro capo del filo.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio: The Smiths – There Is A Light That Never Goes Out


To die by your side
is such a heavenly way to die.”