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4.8.17

Lavorare sopra i 37°


Mi capitò per la prima volta alle elementari, suggestionato da qualche documentario visto in televisione, probabilmente di Folco Quilici. Vedere uomini pesantemente vestiti, issati in cima a cammelli, attraversare il deserto sotto un sole torrido e chiedere al maestro: «Ma non hanno caldo, quegli uomini?». La risposta fu ovvia e tranquilla: «Stanno bene così: quando la temperatura sale sopra i 37° la lana è un buon isolante, anche perché protegge dalla temperatura esterna, qualunque essa sia.».
Già.
Chissà perché domanda e risposta mi sono tornate in mente in questi giorni, mentre tento disperatamente di terminare il racconto per ALIA Evo 3.0 senza sciogliermi davanti al monitor. 
«E perché non ti compri l'aria condizionata?»
Non è certo la prima volta che il mio Alter Ego se ne esce con questa bella idea e ogni volta la mia risposta è la stessa: «Perché l'aria condizionata non fa bene e poi perché contribuisce a riscaldare l'atmosfera subito fuori da mio buchetto fresco. È un gesto antisociale, in sostanza.»
«E poi costa, no?»
«Sì, inf... no, ma questo non c'entra niente»
«Eh, come no.»
È vero, l'aria condizionata costa, ma effettivamente non è questo il problema. Diciamo che installare l'aria condizionata mi ricorda la manovra di chi acquista un motoscafo nella speranza di sopravvivere allo scioglimento dei poli. 
In tutto ciò sono – anzi siamo, Silvia Treves e io – impegnati sul lavoro per ALIA Evo 3.0, ahimé ormai lontani dal fiume Lubljanika e dai deliziosi localini che si affollano lungo le coste, dove si trovava una birra squisita a prezzi ragionevoli... 

A questo punto, dopo esserci presi qualche giorno di riposo e di vacanze, siamo – grazie al cielo – a buon punto. Arrivati anche i racconti di Fabio Lastrucci, di Paolo S. Cavazza e di Vittorio Catani e una volta stabilito che si tratta di buoni racconti sui quali avremo ben poco da fare, non ci rimane che terminare i nostri testi per affrontare l'ultimo giro. 
Come fosse facile arrivare al termine di una pagina con questo clima.
In questi giorni scrivono: «Lo sapete che questo 2017 è peggio del 2003?». Ma va? Vien voglia di rispondere. Che cosa vi aspettavate? Se la temperatura media sta crescendo ed è previsto che a questo ritmo arriveremo ad un incremento di 3,4° entro la fine del secolo, è ragionevole attendersi che mediamente avremo estati più calde e inverni meno nevosi, con primavere e autunni che alterneranno felicemente la siccità con gli uragani. L'Accordo sul Clima sottoscritto (in ritardo) nel 2015 esordisce con: 

Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta

Che cosa non ha capito Trump di questa frase? «Cambiamento climatico» o «minaccia urgente»? O «Società umane»? Ma in fondo Donald Trump è stato eletto da tanta brava gente che si preoccupa esclusivamente degli affari propri, in molti casi di miseri affari propri, in pochissimi casi di grossi affari propri. 

Ma anche qui in Italia siamo sempre di più a preoccuparci esclusivamente degli affari nostri. Come insegna la mafia: «...Ma fatti i cazzi tuoi». Quindi risaliamo sul nostro SUV, diamo gas, molto gas e stramalediamo le ONG che salvano immigrati senza chiedere niente in cambio.
Lo so, è un grosso problema quello degli immigrati, ma date un'occhiata alla situazione nel Corno d'Africa o nell'Africa Subsahariana e comincerete a capire davvero che cosa sta accadendo. Altro che le infinite belinate sui radical chic che stanno a Capalbio e predicano bene razzolando male o che si fanno i soldi in combutta con i trafficanti di schiavi: la realtà è che non esiste più una differenza reale tra immigrati per motivi umanitari e immigrati per motivi economici e che comunque loro non potranno fare altro che tentare di allontanarsi dalla loro patria, secca, arida e incoltivabile.
Che cosa vi ricorda? [*]
Ultima cosa, prima di ritornare a tentare di scribacchiare qualcosa, un paio di giorni fa il nostro beneamato curatore di Urania, Giuseppe Lippi, se n'è uscito con una grossa scritta in campo rosso sulla sua pagina FB con la frase: «Dannate ONG!» accompagnata dall'emoji di una faccia incazzata. E ha trovato pure 13 tapini che gli hanno dato ragione.
Bene.
Sono curiosamente felice di non avere mai vinto il premio Urania. E mi chiedo quale sarà lo sconforto di organizzazioni internazionali come Medici senza Frontiere nell'apprendere che la loro condotta non è apprezzata da Giuseppe Lippi. 
Il vero problema dei social network è quello di trasmettere le idiozie molto oltre i confini del bar sotto casa. Q.E.D.

[*] Il romanzo di Bruno Arpaia, «Qualcosa là fuori», con gli europei che tentano di superare il Baltico, pattugliato da navi svedesi e norvegesi, pur di arrivare in Scandinavia.


20.4.17

L'Invicibile Armada tra Giava e Sumatra


Un post breve, penso, su un tema che ha poca importanza da un punto di vista strettamente militare, ma ne molta di più in senso generale. 
Parlo della flotta americana, ovvero di una sua parte, formata dalla portarei a propulsione nucleare USS Carl Vinson e da uno sciame di unità di scorta, che lo scorso 8 aprile avrebbe teoricamente dovuto abbandonare le manovre militari previste nei pressi dell'Australia per correre «a cinquecento chilometri in linea d'aria dalle basi missilistiche nordcoreane, pronte a colpirle».
A dare man forte alla Invincible Armada ovvero alla flotta america alcune unità militari giapponesi, annunciate su «La Repubblica» pochi giorni dopo. 
Non male, americani e giapponesi, come settant'anni fa.
Fantastico, ho pensato, eccolo qui il neopresidente americano che si cala nei panni di Filippo II di Castiglia, pronto a colpire il nemico della Cristianità Kim Jong Un, peraltro ignaro, in apparenza, della sorte della Invincible Armada spagnola, a suo tempo sconfitta e in buona parte dispersa a largo della Gran Bretagna. 


Ma Donald Trump ha, come tutti sanno, una cultura raccogliticcia e dispersa, e il vero problema era la presenza di alcune grosse unità da guerra pronte a sparare missili e lanciare aerei contro il territorio nordcoreano, in spregio ai rischi possibili di coinvolgimento – in una guerra nucleare – del Sud Corea e del Giappone. 
Fino a qualche giorno fa ho ascoltato con attenzione i notiziari del mattino, augurandomi di non sentire annunciare: «Unità della Marina Militare Americana hanno lanciato N missili contro basi nordcoreane dove si ritengono si trovino missili a testata nucleare. Il governo di Pyongkiang ha reagito annunciando il lancio di...» e così via, come ne La guerra mondiale n. 3 di Jacques Spitz o in Livello 7 di Mordecai Roshwald. Fortunatamente non ho avuto notizie di questo genere ma, solo qualche giorno fa, sono venuto a conoscenza – come milioni di altre persone – di un fatto che è poco definire curioso. 
La Invincible Armada yankee, infatti, nel momento nel quale Donaldone nostro annunciava al mondo che le sue navi erano pronte a bombardare il perfido imperatore Ming, pardon, Kim Jong Un, continuavano a navigare verso l'Australia, in apparenza ignare del destino guerriero che le chiamava in azione a cinquemila chilometri di distanza. 


Spontanea sorge la domanda: «Ma l'Ammiraglio o il Commodoro o quello che volete, non li legge i giornali?» Come faceva, in sostanza, a non sapere che le sue navi dovevano essere in rotta nella direzione opposta a quella che stava bovinamente seguendo? Siamo giunti al punto che la USS Carl Vinson è stata fotografata pochi giorni fa nel Sunda Strait, ovvero lo stretto che separa Giava da Sumatra. Mancava solo l'equipaggio schierato sulla tolda che saluta casa... 
In questi casi inizia una silenziosa e feroce caccia al colpevole che per il momento, non ha ancora trovato qualcuno che possa essere accusato di aver sabotato il presidente. Resta il dato di fatto che mentre Trump annunciava, con i suoi modi da mandriano vilipeso, che la flotta navigava verso i cattivi, l'ordine di invertire la rotta non era arrivato. O era stato ingoiato da un guardiamarina innamorato di Hilary Clinton. 

Gli unici a non avere ricevuto quel messaggio, a quanto pare, sono stati proprio gli ammiragli della U.S. Navy e tutti gli equipaggi della flotta in questione. Che ha continuato per una settimana a navigare nella direzione opposta. Dirigendosi, imperterrita, verso la sua destinazione "normale", puntando cioè verso quei mari dell'Australia dov'era attesa per un'esercitazione.
I primi ad accorgersi della sconcertante situazione sono stati i cronisti dello Huffington Post. Poi la vicenda è stata confermata ai massimi livelli, al punto che il New York Times ne ha fatto il titolo di apertura del suo sito. Tardivamente, la flotta ha finito per seguire gli ordini del presidente. Ma con un tale ritardo, da mettere a dura prova la credibilità della Casa Bianca. Il gesto che doveva intimorire Pyongyang non c'era stato, o non era stato trasmesso "per li rami" ai vari livelli della gerarchia militare? O qualcuno non aveva preso sul serio quell'annuncio, all'interno del Pentagono? (a «La Repubblica»)

Il Pentagono, la U.S.Navy, Sean Spicer, capo dell'ufficio stampa della Casa Bianca, James Mattis, segretario per la Difesa, si sono rimpallati le responsabilità in proposito, con Sean Spicer che è giunto ad affermare che mr. Trump aveva comunque ragione dal momento che gli USA posseggono davvero una grande flotta, anche se non era proprio dove doveva trovarsi. 
La responsabilità di questo risibile incidente è, evidentemente, di mr. president, il nostro P.O.T.U.S., che ha dichiarato, minacciato, tonitruato ciò che non ha voluto controllare personalmente né far controllare ad altri. Come dire, l'ennesima figura di m...
Il problema maggiore resta, però, nostro. 
Un simile demente, seduto su una montagna di armamenti e che intende ulteriormente aumentarli, partigiano del petrolio e del carbone, incapace di non reagire a un qualunque insulto, anche involontario, è un pericolo costante. Non tanto per gli ordini che non riesce – come in questo caso – a trasmettere ma per quelli che sciaguratamente dovesse riuscire a recapitare. 
Ogni giorno in più della presidenza Trump è un pericolo per l'umanità. 
Da ricordare. 


 

31.1.17

Il narcisismo maligno di Donald Trump


Trump ha appena cominciato e già turba i sonni del mondo. 
Con il suo incredibile blocco degli arrivi da sette paesi musulmani, promulgato senza escludere le green card ovvero chi lavora negli States da tempo – da cui infinite grane per i poliziotti – e non includendo paesi altrettanto musulmani ma presso i quali Donaldo ha proprie rappresentanze commerciali o diretti interessi, paesi come l'Arabia Saudita, la Turchia, l'Egitto, gli Emirati del Golfo, il Pakistan o l'Indonesia, ovvero la nazione con la maggior percentuale di seguaci del Corano, ha immediatamente dimostrato che cosa si intende con la locuzione «Interesse privato in atti pubblici».
D'altro canto, con il genero Jared Kushner divenuto consigliere senior della Presidenza, direi che i nostri ricordi di un certo Silvio Berlusconi e delle sue ridicole «uscite» dalle sedute del governo quando si doveva discutere di temi che in qualche modo lo riguardavano, sono divenute innocue storielline da raccontare la domenica pomeriggio in un ricovero per anziani. 
Trump – da vero padrone delle ferriere – non ha la più pallida idea di come funziona una democrazia e, in definitiva, se ne frega di saperlo. L'importante per lui è il gesto marinettiano o l'osare d'annunziano, l'auto-lanciarsi sul mercato, pronto a essere fruito da un pubblico ingenuo, entusiasta, provinciale e desideroso di un qualche genere di consolazione dopo aver perso il lavoro, i risparmi e la possibilità di mandare il figlio al College. Trump in realtà non si preoccupare realmente che i suoi ukase entrino definitivamente a far parte della legislazione statunitense, l'importante è che appaiano e che provochino un'adeguata quantità di rumore e di polemiche. Lo scontro è la vera passione di Trump, la trasformazione dello polemica politica in guerra più o meno violenta. Poter annoverare avversari e alleati e schierarsi contro i primi. 


I nemici di Trump – divenuti nemici dell'America – sono (alla rinfusa): i cinesi, i radical-chic, i paesi musulmani (quelli che non commerciano con lui), i poveri che sperano in un sistema sanitario efficiente, i newyorkesi, i californiani, i mangiacrauti (tedeschi) e i mangiaranocchie (francesi), Michael Moore, i messicani e i canadesi, i giudici non ubbidienti, i sudamericani, i coloured, gli immigrati latinos non cubani, la Silicon Valley... e qui mi fermo non perché ho finito i nemici di Trump ma per non scrivere un elenco interminabile. 

Tra gli amici di Trump si segnala comunque un certo Stephen Bannon, capo strategia della Casa Bianca, ovvero un genuino nazista della Virginia come da scheda linkata. Pare essere sua l'idea geniale di impedire ai musulmani dei sette paesi orfani di imprese trumpesche di accedere negli USA. 
Ma se Bannon ha avuto l'idea è stato Trump a firmare l'ordinanza, quindi la responsabilità è, in ultima analisi, sua. 
Per descriverlo in un suo articolo un giornalista americano, Robert Kuttner, ha utilizzato una categoria tratta dal DSM:

Nel 1984, lo psichiatra Otto Kernberg ha descritto una malattia conosciuta come Narcisismo Maligno. A differenza del narcisismo comune, si tratta di una grave patologia.
È caratterizzata dall'assenza di coscienza, da una patologica ricerca di potere e grandiosità e da un'inclinazione sadica alla crudeltà.

Direi che non c'è molto di più da aggiungere. 
Alla prossima.


10.11.16

In Trump we don't trust


Non ho passato la notte a guardare come andavano le elezioni americane. Rassicurato del New York Times che dava la Clinton con l'80% o già di lì di probabilità di vittoria me ne sono andato beatamente a dormire, soltanto leggermente infastidito per i primi exit-pool che davano Trump vincente in Alabama e in un altro stato del profondo Sud. «Normale» dicevano i presenti nello studio di Rainews 24, «Sono stati repubblicani».
Alle 7.10 del mattino dopo, ieri per la precisione, ho sentito le prime notizie e la prima reazione è stata l'incredulità. Trump aveva vinto. Aveva preso tutti gli stati in equilibrio, i Swinging States,  aggiungendovi un paio di stati di antica tradizione operaia nella zona dei grandi laghi. 
In mente mi è ripassato, disordinatamente, il "programma" – ovvero le promesse sconsiderate, folli, idiote e menzognere – di Trump, concludendone che molti americani, non soltanto i repubblicani, se l'erano bevute, fino in fondo. 
Ma Trump aveva avuto il fiuto di ricordarsi di operai, impiegati, gente che aveva perso il lavoro, ceto medio impoverito e fare loro promesse da pifferaio, convincendoli che la colpa della loro situazione era la globalizzazione – cosa peraltro vera – e che bloccando l'immigrazione e imponendo dazi crescenti sulla produzioni cinesi e messicane avrebbe ridato loro un lavoro. Ha incontrato minatori promettendo loro di far rinascere l'industria del carbone, ha promesso di rilanciare l'industria del petrolio, ha promesso di non mandare più americani in giro per il mondo a farsi accoppare, «che si arrangino europei e giapponesi a difendersi, e comunque non più a spese nostre». Ha promesso, minacciato, lusingato senza fermarsi mai. Nonostante una condotta personale quantomeno discutibile ha convinto i presbiteriani, i cattolici e in generale tutti i cristiani che lui li avrebbe difesi dall'aborto e dalle mille piaghe della società moderna... Insomma, è riuscito a promettere tutto, ma anche il suo contrario a tutti. Ha dato la colpa della situazione a musulmani, ispanici, neri, donne laureate e altre minoranze cercando il voto dei bianchi – maschi e femmine con il grado più basso di istruzione – e ha vinto, giocando sulla loro paura. [*]



In realtà Trump ha preso più o meno un milione di voti in meno di Mitt Romney, il candidato a suo tempo battuto da Barack Obama, ma Hilary Clinton ha perso sette milioni di voti (7.000.000!). Come ha detto un giornalista del NYT: «Nessuno si mobilitava per Hilary Clinton, al massimo la si votava ma senza entusiasmo».
Che si potesse considerare la Clinton come un alfiere della filosofia del Change era ovviamente ridicolo.  Peggio ancora pensare fosse un esponente della sinistra. Hilary Clinton era ed è un esponente della storica classe politica americana, capace di rassicurare al mattino gli esponenti di Goldman & Sachs e promettere al pomeriggio il taglio delle tasse universitarie a un comizio democratico. Capace di parlare di pace e organizzare l'attacco alla Libia in qualità di segretario di stato e votare a favore dell'invasione dell'Iraq. Ripensandoci, davvero un colpo da maestro. Ma sarebbe stata comunque un presidente decente, se non altro per l'esperienza precedente. E sarebbe stata la prima donna presidente. Resta da capire come mai questo elemento non sia stato in qualche modo decisivo. Ma forse in qualche modo lo è stato, visto che il 70% dei maschi americani col grado più basso di istruzione ha votato per il vero macho Trump.
Nota a latere: a rigore la Clinton per numero di voti avrebbe vinto con un vantaggio di 200.000 voti, ma il sistema americano, con la sua divisione per stati, permette di vincere perdendo e viceversa. 


Ciò su cui merita riflettere è la crescente intolleranza – americana ma non solo – verso il ceto politico di mestiere e l'imprevisto favore di cui si trovano a godere individui che non ne fanno parte. Non so a voi, ma il successo di Donald Trump – notoriamente simpatizzante di Benito Mussolini – mi ricorda il singolare (e malaugurato) successo di certi individui eletti negli anni successivi alla crisi del 1929. In Germania, tanto per esemplificare... 
A questo punto, comunque, abbiamo a che fare con un presidente degli Stati Uniti che è un fenomenale ignorante in termini politici, capace di vendere frigoriferi agli Inuit – come un certo B. che in vent'anni ha contribuito a rovinare l'Italia – ma incapace di organizzare una politica a lungo termine, con una mentalità da imprenditore, quindi convinto che i suoi provvedimente debbano piacere, non essere efficaci. 
A questo punto si tratta di capire quali saranno i suoi ministri, Si avvarrà dei repubblicani di seconda fila, i più fanatici e intolleranti, o conterà su personalità perlomeno decenti, sia pure di destra? O utilizzerà senza risparmio esponenti e manager dell'industria petrolifera e carboniera, le cui azioni hanno raggiunto nuovi record di valutazione dopo la sua elezione? Resta il dato di fatto che uno come Donald Trump è abituato a decidere in prima persona e quindi immagino avrà non poche difficoltà a lavorare con personalità non troppo defilate e con pareri occasionalmente diversi dai suoi. Con veri politici, in sostanza, o con altri imprenditori. Il rischio è quello di perdere il favore in qualche modo rubato ai poveretti che l'hanno votato e suppongo che Trump non intenda perderlo.
Sarà interessante vedere – anche se lo sarebbe di più se abitassi su Marte – come governerà Trump. E che cosa lascerà dietro di sé. 
In campagna elettorale abbiamo visto Supertrump contro Gaia, convinto (a parole) che il pianeta non si stia surriscaldando: auguriamoci che le sue promesse rimangano tali.  


[*] Questo il commento di Michael Moore su Donald Trump: «questo miserabile, ignorante, pericoloso pagliaccio part-time e sociopatico a tempo pieno, sarà il nostro prossimo presidente»