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25.9.17

Guida all'utilizzo del prossimo ALIA Evo 3.0


ALIA esiste da... beh, il primo numero è uscito nel 2004. A questo hanno seguito altri undici numeri per un totale di dodici, undici cartacei e uno elettronico. Alla prima serie di dieci numeri, conclusa con la chiusura della libreria CS, hanno fatto seguito altri due ALIA, ribattezzati ALIA Evo e ALIA Evo 2.0, e quello al quale Silvia e io stiamo lavorando è il terzo della serie Evo: ALIA Evo 3.0. 
Non è facile tirare le somme di una simile mole di lavoro e probabilmente non è il momento per farlo. Possiamo giusto osservare che il passaggio da antologia internazionale a raccolta di autori italiani è avvenuta senza particolari problemi e che il piccolo ma affezionato pubblico di ALIA ha continuato ad apprezzare il risultato del nostro lavoro. 
Le domande che immaginiamo che molti lettori e autori si stiano facendo è: «Ma ALIA è un'antologia di fantascienza o no? Che genere di racconti vi sono raccolti? C'è horror, gotico, fantascienza, fantastico tout cout, fantasy, weird, steampunk?»
Diciamo che a questo punto del lavoro, con i diciannove racconti tutti giunti e in corso di revisione e impaginazione, si può tentare di fornire una breve guida alla lettura, come si faceva un tempo, e a presentare i racconti uno ad uno. 
«Compresi i vostri? Quello di Silvia e il tuo?»
Ehhh… bé, sì. Cercando di essere i più imparziali e compassati possibile. 

Andiamo a incominciare con il racconto di Caterina Mortillaro, Inverno alieno. Lo si può definire un racconto di sf, certo, siamo tutti d'accordo, ma il profondo legame tra umani e alieni, delicatamente descritto nel racconto, gli regala diverse sfumatura in più. Quello di Maurizio Cometto, Il signore del giardino, è un testo ambientato a Torino nel breve periodo della signoria dei Savoia sulla Sicilia, è un racconto epistolare e ha qualcosa di profondamente diabolico. Non aggiungo altro per non creare involontari spoiler, ma diciamo che per un po' eviterò di passare dal Parco della Tesoriera. Racconto gotico? Beh, diciamo di sì. Il destino dei Rehsu, di Fabio Lastrucci, è un gioco serissimo condotto con cronometrica precisione, un felice calco di un racconto di E.A.Poe ambientato nel mezzogiorno italiano, ma guidato da una fantasia scatenata e con un finale sorprendente. Un altro gotico? Diciamo di sì. Il racconto di Danilo Arona, L'ultima veglia, è un puro horror guidato con raffinata intelligenza narrativa, restando in perfetto equilibrio tra la paura e lo humour nero in un'ambientazione poco comune. Vittorio Catani ci ha affidato un racconto quantomeno inusuale, un curioso apologo dal titolo Un terzo di felicità che ha per tema la definizione rigorosa e matematica della felicità e che ha riflessi politici e sociali inattesi. Una fantascienza non comune, direi. 
Māchĭna, concepimento dell'homo novus è un dialogo teatrale condotto da due individui, coinvolti in un misterioso esperimento. Come è abituale per Mario Giorgi non solo non è facile comprendere chi sono i due individui, ma i loro discorsi risultano fuorvianti, assurdi, comicamente strampalati. La sensazione è quella di un fantastico rarefatto, di un grado di realtà approssimata ma perennemente incompleta. Un piccolo gioiello. Gli dei vegliano, di Paolo S. Cavazza è ambientato in un mondo classico con divinità ed eroi che conosciamo molto bene – o che, forse, dovremmo dire che credevamo di conoscere – ma che qui assumono ben altra identità. Diciamo che si tratta di un corso di addestramento per neofiti della civiltà dagli esiti non particolarmente felici. Un buon esempio di sf che può ricordare il meglio di Frederic Brown. 

Il gioco dela masca di Consolata Lanza è una storia ambientata nelle campagne piemontesi durante la prima metà del secolo scorso e racconta di una giovane masca sopravvissuta al Piemonte feudale. Il legame esclusivo che si crea tra un'abitante del villaggio, Ghitona, e la masca ha qualcosa di profondo e racconta di una tragedia che rimane immutabile nella memoria secolo dopo secolo. Un racconto gotico, volendo, ma soprattutto una perfetta favola nera.
Nel Grigio di Silvia Treves risulta, di primo acchito, la cronaca di una malattia mentale. O il procedere di una forma particolare di Alzheimer. Ma proseguendo con la lettura si aggiungono elementi che spostano gradualmente il senso della vicenda fino a dargli un significato profondamente diverso. Un racconto di sf non facile ma realmente agghiacciante. Sempre di sf, anche se di un sottogenere molto diverso Sangue di Famiglia di Davide Zampatori, una space-opera scatenata ambientata in una stazione spaziale nella Fascia di Kuiper. Storia di una faida sanguinosa condotta in un ambiente stretto e claustrofobico, con una frequenza di scontri, agguati, proiettili e detonazioni difficile da eguagliare. Davvero niente male. 
E ancora di sf il racconto di Fabio F. Centamore, Discesa, dove un pilota di un tipo piuttosto particolare ha il compito di scendere sul satellite Encelado. La particolarità del protagonista emergerà gradualmente nel corso della vicenda, attraverso il racconto di un'infanzia e di una giovinezza da emarginato. Anche il racconto di Massimo Citi, Ritorno a casa, parla di un pilota solitario, un cyborg con migliaia e migliaia di anni di viaggio sulle spalle che incontra sulla sua strada un burocrate frustrato, confinato a lavorare su un pianeta solitario, ovvero un corpo celeste oscuro, privato di un sole. Un'altra storia dal ciclo della Corrente, per chi non si è ancora stufato di leggerne. 
Con La confessione di Alberto Costantini ritorniamo all'epoca della Controriforma, con un gesuita mandato a controllare la situazione del culto in una valle tridentina, ma l'incontro del religioso con un misterioso eretico di ignota provenienza muterà completamente la sua visione del mondo. Nota a latere: il confronto dialettico tra il gesuita e l'eretico sono un vero pezzo di bravura. Un racconto di sf, come vedremo, ma sottilmente celato nell'ambientazione seicentesca. 


Si svolgono ai nostri giorni i racconti di Valeria Barbera, Perseguitata, e Il carnevale dell'uomo cervo di Luigi Musolino e si potrebbero definire entrambi di puro horror, ma posseggono caratteristiche assolutamente personali che merita ricordare. Il racconto di Valeria è un incubo interminabile che avanza felpato fino al colmo dell'orrore, lasciando intuire più che qualche simpatia, anche se non dichiarata, per il mostro della situazione, mentre il racconto di Musolino viaggia abilmente sul limite tra l'orrore e il sogghigno e con un finale davvero sorprendente. Due eccellenti testimonianze di una narrativa fantastica dell'Italia del Sud ricchissima di storie e soprattutto di incubi.
Karla di Massimo Soumaré è il prequel al racconto apparso su ALIA Storie del 2011. Abbiamo così l'occasione per conoscere il personaggio dalle sue origini e con lei le sue maestre, instancabili guardiane dell'umanità da innumerevoli mostri spaventevoli e assortiti. Una tipo di weird particolarmente divertente.  
Prima missione di Eugenio R.R. Saguatti è un classico del genere fantascientifico: il primo incontro con gli spazi extradimensionali di un gruppo di burbe guidati da una caposquadra che ha abbastanza esperienza da salvarli tutti. Vivacissimo, divertente e animato, una lettura che non è agevole interrompere.   
Ultimi due racconti ancora nel campo della fantascienza: il breve e suggestivo Le stelle d'inverno di Massimiliano Malerba, racconto enigmatico e struggente condotto con attenzione rara e capace di rappresentare pienamente la dolorosa inesplicabilità degli eventi. Stat sua cuique dies di Francesco Troccoli racconta di una forma particolare di viaggio nel tempo e di un loop temporale apparentemente irresolubile. La via d'uscita al paradosso temporale si troverà, alla fine, ma solo grazie a un sentimento che non soffre del trascorrere del tempo. Omnia amor vicit, in sostanza.


...
Abbiamo provato a descrivere a una piccola parte dei nostri lettori che cosa possono ragionevolmente aspettarsi da ALIA Evo 3.0. Resta da aggiungere che scriveremo presto agli autori per richiedere loro un profilo aggiornato [max 10 righe] di vita e opere e che, come previsto, il nuovo ALIA Evo 3.0 in forma elettronica sarà disponibile per la fine di ottobre / inizio di novembre. 
Ultimissima osservazione: curioso come i racconti si possano (grossolanemente) dividere tra racconti di radice profondamente locale e racconti periferici, intendendo per periferia tutto ciò che si muove al di fuori dei nostri abituali confini spazio-temporali. 
Ma ha un senso questa distinzione? 
Ha un qualche significato celato? 
Voi che cosa ne dite?



14.12.16

Embassytown: qualche riflessione


Già, dopo aver lungamente promesso di parlarne eccomi qui a presentare Embassytown di China Mieville, uscito nel 2011 in Gran Bretagna e tradotto in italiano nel 2016.
Un libro decisamente cospicuo – 440 pagine – che ho letto, riletto, sogguardato, studiato, meditato a lungo, passando praticamente senza soluzioni di continuità a considerarlo un giorno un fiasco galattico sia pure scritto da un indiscutibile genio a pensare il giorno successivo che si trattava di un grande libro, grandissimo libro.
C'è voluto tempo per arrivare a una conclusione – ovviamente del tutto personale e opinabilissima – per decidere il valore per me del libro – e soprattutto per avanzare qualche ipotesi sul significato più profondo del testo. 
Protagonista di Embassytown è Avice Benner Cho, che conosciamo bambina all'inizio del romanzo e che vediamo ritornare alla città della sua infanzia come donna immergente – ovvero dedita a lunghi viaggi spaziali – dopo ben quattro matrimoni. Embassytown è la sola città umana su un pianeta, Arieka, popolato da una specie mooooolto particolare di alieni, gli Ariekei, anche detti Ospiti
Gli Ariekei sono creature decisamente particolari, tanto per usare un eufemismo. Tutto sommato poco descritti nel corso del libro, anche se qualcuno con più pazienza di me è riuscito a farne uno schizzo: 


Oltre a un aspetto non esattamente antropomorfo, gli Ariekei hanno una particolarità: la lingua. La lingua degli "Ospiti" è modulata da due apparati di fonazione che producono rispettivamente l'inciso e l'eco e per loro chi parla con una sola voce è automaticamente escluso dal computo delle creature dotate di intelligenza e in grado di esprimersi. La lingua degli Ariekei, inoltre, è una lingua assolutamente reale, nel senso che qualsiasi oggetto o elemento di un loro discorso hanno la caratteristica di essere assolutamente reali, ovvero visibili e afferrabili. Questo determina l'impossibilità per un Ospite di mentire, cioé elaborare una «bugia», ovvero un insieme di dati non immediatamente verificabili. Ovviamente gli umani in quanto specie non possono essere calcolati come creature senzienti, fatta eccezione per gli «ambasciatori», cloni appositamente creati:

Gli Ambasciatori erano stati creati e allevati per esistere come dei singoli dalle menti unificate. Disponevano tutti dello stesso codice genetico, il codice che educava i loro cervelli, così che gli ospiti potessero comprenderli. Se tirati su nel modo corretto, abituati a pensare a se stessi come due metà simbiotiche, e collegati a dovere, questi potevano parlare la Lingua in modo abbastanza buono da farsi intendere dagli Ariekei.
 
Ma esiste anche un altro modo per essere presi in considerazione dagli Ariekei: diventare parti di un discorso, ovvero similitudini, parti del discorso ai quali gli alieni sono obbligati a fare riferimento per articolare una proposizione: «La ragazza che mangiò ciò che le venne offerto» è la similitudine che Avice Benner Cho è chiamata a rappresentare – o meglio a incarnare – nei discorsi degli Ariekei. 
In sostanza per gli alieni significante e significato costituiscono una coppia inscindibile e inevitabilmente ancorata alla realtà. Ma questo significa che per gli Ospiti il linguaggio è una forma di prigione priva di uscite. L'impossibilità di immaginare forme inesistenti di reale, ovvero l'identità assoluta di significante e significato  si rivelano catastrofici per gli Ariekei. Quando a comunicare con loro appare per la prima volta un ambasciatore proveniente da Bremen – il pianeta dal quale Embassytown dipende – e non dalla comunità umana su Arieka, il delicato equilibrio sul quale si fonda la convivenza tra umani e Ariekei si spezza. L'ambasciatore EzRa, infatti, riuscirà a creare dipendenza negli alieni con la propria voce, un elemento mai verificatosi prima e che getterà nel caos la fino a quel punto ordinata società Ariekei. 

Ez era l'inciso e Ra l'eco. [...] Le due voci insieme ben assortite. Dissero agli ospiti che era un onore fare la loro conoscenza: «suhail | shurasuhail». Davvero un bel saluto. In qull'istante ogni cosa cambiò. Le due metà simbiotiche di EzRa si guardarono a vicenda e si sorrisero. [...] Troppo impegnati a sentirli parlare e a mettere alla prova le loro abilità non ci accogemmo del cambiamento. Nessuno fece caso alle reazioni degli Ospiti.
 
La conseguenza ultima sarà una sanguinosa guerra civile che determinerà una profonda modificazione della lingua (e della psicologia) degli Ariekei. 
...

Questo, in breve e senza spoiler (spero), il tema del romanzo di Mieville. In sostanza il tema del linguaggio e della sua importanza fondamentale nella costruzione di qualsiasi società, anche e soprattutto di una civiltà profondamente aliena. Diciamo che Mieville vuole approfondire un tema, quello linguistico, che è stato raramente toccato dalla fantascienza. Ci riesce? Non completamente, a mio parere, ma abbastanza da aver scritto un libro che merita leggere. E ricordare. E che può far nascere domande scomode anche a distanza di tempo.
Un passo indietro, ora.    
La lingua degli Ariekei è una lingua funzionale, adatta a una società avanzata, basata su una biotecnologia raffinata? 
Di primo acchito verrebbe da dire «No». Sorgono subito alla mente una quantità di difficoltà connesse, per esempio, alla possibilità di progettare qualcosa che non esiste ancora o l'impossibilità di fantasticare su forme sociali o materiali che non siano date. La sensazione più immediata è quella di una società fortemente ritualizzata e sostanzialmente immobile. Ma Mieville ha in mente altro, evidentemente. Dal confronto tra gli Ariekei e gli umani nasce un contrasto violento che obbliga gli alieni a ripensare il proprio linguaggio, a inventare le bugie, a supporre, proporre, discutere, azzuffarsi. E la dipendenza dal linguaggio di EzRa, un clone schizoide inviato da Bremen – un puro caso? – provoca la sostanziale metamorfosi del modo di concepire la realtà e in definitiva di vivere degli Ariekei. 
Si tratta della consueta violenza umana condotta contro una specie aliena come abbiamo visto accadere migliaia di volte? Probabilmente sì: tutti sappiamo come Mieville vede e giudica il mondo, ma si tratta di un confronto condotto con raffinatezza, intelligenza, estro e fantasia, una quantità impressionante di fantasia, a essere sinceri, nella quale non è difficile perdersi. Il problema del linguaggio, in realtà, non riguarda soltanto gli Ariekei ma tocca anche gli umani e il loro modo di comunicare tra loro e con gli altri. Mieville si chiede se possa esistere un linguaggio del tutto privo di ambiguità e di menzogne e prova a immaginare un popolo in questo senso «privo di peccato». La conseguenza fatale non può che essere, a suo parere, un drammatico scacco del quale la peculiarità del linguaggio umano finisce per essere oggettivamente colpevole della «caduta» degli Ariekei.
... 

Alcune peculiarità tutt'altro che secondarie del libro: il testo è organizzato fino alla fine della terza parte, (pag. 209) in modo temporalmente ineguale, con capitoli denominati «Ricordo recente» e «Ricordo datato»,  cui seguono i capitoli che vanno da 9 a 31, organizzati in sezioni
Lettura non troppo agevole, ovviamente. 
Il punto di vista è quello di Avice Benner Cho, in realtà più voce narrante che protagonista in senso proprio. Intorno ad Embassytown esiste un universo complesso e ricco di peculiarità come l'Immer, l'universo primigenio che permette comunicazioni in tempi ragionevoli all'interno dell'Universo e dove le costanti fisiche del nostro universo sono radicalmente mutate. Solo alcuni tra gli umani – tra cui Avice – possono affrontare l'Immer
Altro particolare non secondario: la situazione politica tra Bremen e Embassytown non è affatto una situazione piana e priva di tensione.
Merita leggere la breve prefazione  Carlo Pagetti, posta in apertura del libro, quanto alla traduzione di Federico Pio Gentile non corre sempre come dovrebbe – ma qui, non disponendo dell'edizione originale, non posso avanzare critiche precise –, anche se è probabile che l'inevitabile fretta imposta dall'editore abbia contribuito a rendere meno comprensibili taluni passaggi del testo
Embassytown è il primo testo definibile come di sf in senso proprio di China Mieville, normalmente catalogato come autore Weird [*]. Un autore sicuramente ricco di inventiva e di fantasia che, in questo caso, ha voluto giocare il suo romanzo su un livello non comune. Il risultato è una scommessa non sempre pienamente riuscita, dove il lettore è chiamato a un cimento non facile, obbligato com'è a procedere con calma e attenzione, cercando di non perdere qualcuno dei tanti riferimenti inseriti da Mieville. 
Ma al di là di lungaggini, incomprensioni, equivoci e tentativi non riusciti, Embassytown merita la lettura? Sì, sicuramente, perché è un libro maledettamente interessante, al limite della magia, dotato di un ritmo infernale nelle ultime trecento pagine, capace di mettere in discussione il linguaggio e, tramite quello, il comune modo di ragionare e di giudicare e infine perché, pur non essendo priopriamente un autore di sf, Mieville ha creato un tipo di alieni che è impossibile dimenticare. Leggetelo: merita. 
 

[*] Qui la recensione di Perdido Street Station apparsa su LN-LibriNuovi.

Altre recensioni: 



Da Senzapre7ese

Da Fantascienza.com 

Da Andromeda

Da Gerundio Presente