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1.3.19

Calibano penultimo: eventi imprevedibili


– Mucimucimucipcpcpcthth ma che bel micino, cosa fai lì sulla macchina?
– I cavoli miei, nonna.
Emma Grubessich, insegnante di liceo in pensione si allontana con passo sostenuto e risentito, sollevando l’ala del cappotto cammello per difendersi dalla bora che spazza sostenuta la strada verso Miramare.
I gatti stanno esagerando – pensa – questo pezzato bianco e nero è il quarto della mattinata che la tratta come una vecchia rimbambita e scocciatrice, dopo tanti anni di affettuosi incontri. “Il mondo non é più lo stesso” Medita la signora Emma e la cosa veramente singolare é che ha ragione.



Sara Brandirali, studentessa laureanda in scienze biologiche, si avvicina alle gabbie delle cavie con una siringa in mano.
Nella siringa c’é un adiuvante per lo sviluppo di tumori epatici, il tocco finale dopo un’alimentazione di un paio di settimane condita in abbondanza da sostanze cancerogene. Essendo sabato è abbastanza normale che tutti se la siano svignata dal laboratorio, lasciando lei da sola alle prese con i ratti bianchi dagli occhi rossi che si agitano e tentano di morderla, ma più ci pensa e meno le sembra giusto.
Potrebbe anche non farne niente, andarsene e scrivere un sacco di balle sull’apposito registro, ma Sara non è il tipo. Apre la gabbia numero 5, infila la siringa in bocca per traverso, diventando una versione da guerra batteriologica di un tigrotto della Malesia ed acchiappa uno dei ratti con tutte e due le mani tirandolo fuori dalla gabbia.
– Coraggio, é una cosa da un minuto. – Bofonchia.
– Come hai detto? –
Sara fissa gli occhietti rossi e le labbra rosa del ratto che solleva la testolina inclinandola all’indietro per guardarla.
– Cosa dicevi? – Ripete il ratto.
Sara apre la bocca e la siringa rotola per terra e poi sotto uno dei banconi.
– Lasciami, dai. – Dice il ratto.  


Sara guarda il cartello scritto a pennarello e appeso sul frigofero che recita “Se avete bisogno di tampone fatevelo e non grattatelo agli altri” e per un istante pensa di scriverne uno che dica “Non rispondere alle cavie”.
La bestiola è scesa sul bancone e si guarda intorno con blanda curiosità.
Sara finalmente urla.
Il ratto, una femmina di un anno, la considera con espressione da etologo e quindi comincia a leccarsi flemmaticamente la zampa anteriore destra.
– È sabato Sara, cosa fai ancora qui, perchè non vai a spasso come tutti i tuoi colleghi? – Chiede una voce proveniente da una delle gabbie.
– Ce n’é una dozzina da sistemare prima di te, Sara, in questo dipartimento, lo sai, no? È inutile che ti affanni tanto. Ma non ce l’hai il ragazzo?
Adesso a parlare dev’essere stato Doppiaelica, il ratto più vecchio del laboratorio, sopravvissuto a centinaia di esperimenti ed ormai lasciato in pace e nutrito da tutti.
– Ma Sara é bravina, attenta e coscienziosa. – Osserva un altro ratto, un giovane.
– Pivello, non é quello che li rende scienziati, secondo il boss. “Le donne vanno bene per la routine, é un altro modo per loro per fare le massaie” dice. Più sono ordinatine e scrupolose meno le stima, parola di Doppiaelica.
– Davvero ha detto questo, Doppiaelica?– Sara é sicura di essere vittima di un’allucinazione, probabilmente dovuta a stanchezza, ma le parole del ratto patriarca l’hanno comunque parecchio irritata.
– Come no. Ha detto qualcosa anche sul fatto che hai il culo basso e le tette ipotetiche e che a letto devi essere più o meno come una borsa dell’acqua calda.
Sara prima arrossisce poi diventa livida. – Immagino ne abbiate piene le tasche di stare qui.
– Siiiiì!
– Bene. Adesso vi libero.
Conscia di essere nel pieno di ciò che qualche ora più tardi definirà una crisi isterica, comincia ad aprire le gabbie ed a far uscire le cavie. Queste escono velocemente infilando la porta del laboratorio. Qualcuna la saluta, qualcun’altra si attarda a raccogliere un po’ di cibo prima di uscire.
– Lasciate perdere quel cibo, é avvelenato. – Urla.
Alla fine nel laboratorio rimangono solo Doppiaelica ed un paio di femmine che allattano.
– Volete venire a casa mia? – Chiede loro Sara in preda ad un ulteriore impulso irragionevole.
Le due femmine si guardano e annuiscono. Le sistema in due gabbie più piccole, ben foderate con stracci e paglia. Avrebbe persino voglia di piangere, ma il nodo alla gola glielo impedisce.
– E tu, Doppiaelica?
– No, grazie, penso che mi fermerò qui. Le cose sono cambiate, Sara: la cattedra diventerà mia tra qualche giorno. Ci vediamo quando devi sistemare la tesi. Ciao.
Mentre guida la sua vetturetta verso casa Sara almanacca qualche scusa molto scientifica per indurre i genitori ad accogliere in casa di Ottavia e Sandy, le due femmine, e di tutti i loro piccoli. Nel frattempo le rattesse chiaccherano tra loro di poppate e pipì e popò dei rispettivi pargoli.
– Mia madre diceva… – Sentenzia Sandy a proposito di qualcosa. Sara ride. Si sente irresponsabile e felice come non le capitava da tempo.



– Vogliamo parlare con il vostro presidente. – Dichiara il grosso gatto rosso. Le due guardie si guardano, fissano allibiti i tre mici ed i quattro grossi ratti che accompagnano il felino.
– Ehm, a che proposito?
– Della gestione del pianeta, diciamo. – Spiega uno dei ratti, un esemplare da incubo metropolitano. – Con permesso.
Le guardie si spostano ed il piccolo corteo entra nella sede del governo mondiale.
– Mi scusi, dov’é lo studio presidenziale? – Chiede la minuscola micia nera-bianco-rossa all’impettito usciere seduto ad una scrivania.
– Diddilà- Balbetta l’uomo.
– Grazie. – Gli otto eredi della Terra, rappresentanti delle rispettive razze senzienti, salgono al piano superiore ed entrano nello studio presidenziale.
– Buongiorno. – Dice Russell Poe, il micio rosso, all’indirizzo dei presenti. – Buongiorno signor PRESIDENTE DEGLI UMANI di Mewuirr. 

 
– Ce l’abbiamo fatta, il governo galattico ha riconosciuto mici e ratti come razze senzienti! – Luxiferus, in abito chiaro da colonialista e paglietta entra di corsa nella serra della nave e si ferma di scatto dopo pochi passi.
– Satan? – Chiama.
Il daimone, seduto a contemplare la pagina inferiore delle foglie di una delle sue adorate piante, fa capolino da dietro uno dei banconi e ringhia.
– Cosa vuoi Lux? Sono occupatissimo.
– Abbiamo vinto, Satan. La federazione ha riconosciuto i nostri amici razze senzienti. Vengono domani a firmare il contrattino per lo sfruttamento del pianeta.
– Ah. – Satan, seduto per terra, si gratta il dorso di una mano con una delle corna. – Sei sicuro?
– Sicurissimo. – Il grilloide annuisce con enfasi, soddisfatto.
– Bene. Hai avvisato Ahriman?
– Certo.
– Luxiferus?
– Eh?
– Domani , per la firma del contratto…
– Sì?
– Vestiti da persona seria, almeno una volta in vita tua.
– Ma, non capisco…
– Dammi retta, eh?
Il grilloide si guarda, si toglie la paglietta e se la rigira tra le zampe anteriori incerto.
– Ma cosa c’é che…
– Una cosa sobria, ci siamo capiti, eh Luxiferus? –
– Va bene, per quanto… – Il socio di Satan esce borbottando e si chiude la porta della serra alle spalle. Satan sorride, si guarda intorno e depone un lieve bacio sui fiori di Elvira. 



 
– Che facciamo, Mirella?
– Ma, ti dirò che a me piace di più questa Terra qua. – E. e Mirella mi guardano. Mi stringo nelle spalle.
– Per me… – Dico.
– Potremmo…– Inizia E.
– Fai pure. – Termina Mirella.
– Ma nemmeno per qualche giorno?– Chiede il mio protagonista, ormai prossimo a non esserlo più.
– Fai pure ti ho detto. – Ripete lei.
– Ma l’Umanità? – Mi chiede E. con fare accorato.
– C’é sempre quella che hai conosciuto, esclusi quelli che sono rimasti chiusi nei rifugi ad aspettare la fine del mondo. La Federazione ha concesso agli umani Demetra, un bel pianeta. Ci metteranno almeno qualche secolo a rovinarlo. Intanto hanno già eletto una classe dirigente nuova. Per il momento si tratta di dilettanti, ma tra un po’ impareranno e l’umanità potrà ancora contare sui soliti parassiti corrotti ed inefficienti e su un pianeta inquinato e malsano. Sarà come rimettersi i vecchi panni, anche se brutti sono più comodi. Tanto ci siamo tutti abituati.
– No grazie. – Mirella scuote la testa decisa.
– Eh… – Medita E.– Se il film funziona…
– Ci pensiamo un momento. – Mi dice infine Mirella.
– Va bene. Solo per un paio di pagine che devo chiudere. – Rispondo io.
Eisenstein visiona le riprese su un monitor grande come un campo da tennis e si volta.
– A me pare buono, cosa ne dici D. K.?
Il regista smette per un attimo di baciare Conan ed annuisce. – Ottimo.
– Tu che ne dici, Pelagio?
– Discreto, ma non funzionerà, adesso vanno cose meno spettacolari. 
 

“La guerra di Calibano” ebbe un successo travolgente in tutta la galassia.
Fu visto da un totale di seicento miliardi di spettatori solo nella prima settimana di programmazione e i gadget ispirati al film vendettero per miliardi e miliardi di galattodindi.
Molti furono colpiti dal fascino di Aquila Yò-yò, nonostante fosse apparso solo in poche riprese, e quasi tutti trovarono estremamente esilarante Neurite nei panni del giovane stupidotto, cosa che al suddetto non piacque del tutto.
Ma a giudizio di tutti la parte migliore del film furono gli spezzoni di programmi prodotti dai terrestri sapientemente montati da Eisenstein nel corso della vicenda.
Pubblicità, reality show, dibattiti, incontri tra esperti, telequiz, programmi con l’ospite, scottanti reportage, litigi tra invitati ecc. ecc. avevano l’effetto sicuro di far rotolare giù dalle poltrone a forza di ridere i galattici di ogni razza, forma, dimensione e metabolismo.
E. e Mirella ricevettero come proventi del film una quantità di galattodindi sufficiente a mantenerli per l’eternità o quasi, ragion per cui decidettero di non raggiungere i loro simili su Demetra e continuare la loro carriera di attori.
Il loro secondo film, “Un grido sulla scogliera”, fu un fiasco colossale, distrutto dalla critica e ignorato dal pubblico, segno che le cose stavano tornando alla normalità.
Attualmente vivono su Melone Bianco e trascorrono spesso le serate con Thinbam e Fontainbleu in appassionanti discussioni filosofiche o giocando a monopoli.
Loro ospite é Pelagio, temporaneamente in pensione (la pensione tra i galattici é un periodo di riposo di una trentina d’anni, trascorsi i quali Pelagio dovrà ricominciare a lavorare).
L’ex-pilota, dopo aver assolto ai suoi doveri parentali, trascorre il tempo in compagnia di Theri, una tartoide silenziosa come un gatto ed altrettanto curiosa, leggendo, facendo lunghe passeggiate sul ghiaccio e scrivendo un manuale ad uso di stuntmen principianti.
– Pelagio perchè la tua sala delle lettere era arredata cosí? – Gli ha chiesto una volta Mirella durante una lunga passeggiata.
Il tartoide ha sorriso ed ha scosso la testa.
– Una volta, la televisione terrestre trasmetteva un programma…
– Quale? – Gli chiede Mirella.
– Un programma strano, non ne ho mai visti altri fatti in quel modo. C’era un tizio, un umano bruno, sorridente, che faceva disegni velocissimi su una lavagna dai grandi fogli bianchi…
– Alberto Manzi… – Dice Mirella in un soffio.
– Ecco, era quello il nome. Mi piaceva molto, quel programma, era così simpatico, così bravo quel signore… Io ero spesso solo e mi é sembrata una bella idea arredarmi la sala così. Mi sembrava che quell’umano dovesse entrare nella mia sala e salutarmi. Poi avremmo potuto fare due chiacchiere e bere qualcosa insieme… – Il tartoide scuote la testa. – Che idea stupida. Era colpa della solitudine.
– Non é vero, Pelagio. Il maestro Manzi era davvero simpatico.
Mirella sorride e guarda l’orizzonte incerto e gelido. Non era ancora nata quando Alberto Manzi faceva i suoi schizzi di case ed alberi alla Televisione, gliene ha solo parlato papà. Ma tanto Pelagio quello non lo sa.  


– Buongiorno. Immagino che lei sia del personale del residence.
Il grande magnate della finanza mondiale sbarra gli occhi e si aggiusta la cravatta per un riflesso automatico.
– Vuol essere così gentile da portarci due Daiquiri ben ghiacciati?
Il capitalista, appena sbucato dal rifugio sotterraneo sottostante fissa impalato i due sauroidi in camicia a fiori, comodamente sdraiati su due chaise-longue a godersi il sole mattutino e tossisce leggermente.
I due turisti si guardano interdetti, poi il più vecchio chiede. – Lei lavora qui, vero, su questo pianeta?
– Sì. – Ammette il pezzo grosso.
– Bene, allora ci porti due daiquiri ben ghiacciati. Il bar é di là.
Automaticamente il potente si dirige nella direzione indicata, stordito ed incapace di trovare una spiegazione qualunque a quanto gli accade.
– Li vorremmo per oggi! – Gli urla uno dei due sauroidi.
– Certo. – Dice l’ex- magnate.
– Salve talpa. – Un micio, comodamente sdraiato su una poltrona, pochi metri più in là, lo apostrofa con il nomignolo affibbiato agli ex- potenti del pianeta che pian piano mettono il naso fuori dai loro buchi per scoprire che la Terra ha cambiato padrone. Il felino socchiude gli occhi e aggiunge. – Portami due acciughine, e un piattino di latte.
– Certo signore.
– Veloce.
– Corro.
– Vedi, si abituano subito. – Spiega il micio al compagno, mentre il capitalista trotta rapidamente in direzione del bar.
– È ovvio. – Gli risponde il suo amico. – A loro modo di vedere c’é sempre qualcuno che deve comandare e qualcuno che deve ubbidire. Visto che siamo noi a comandare… – Il micio sbadiglia e si stira. – Saranno loro a dover ubbidire. Non hanno fantasia. 

 
– Doppio Kuemmel, tu sei sempre stato gentile con me, anche più che gentile, ma…
Il sosia di Richard Harris alla guida del suo miniyacht spaziale si volta e sorride. – Cosa c’é che non va, cara?
Conan – Vala Halla guarda fisso di fronte a sè e abbassa gli occhi.
– Ti devo confessare una cosa.
– Dimmi.
– Doppio, io non sono ciò che sembro, non sono una donna come le altre…
– Lo so cara, è proprio questo che mi piace di te.
– Ho un passato burrascoso. – Geme Conan.
– Non importa.
– Non capisci, Doppio. Io non sarò mai una buona compagna per te.
– A me sembra che tu vada benissimo così. – Doppio Kuemmel guida e non smette di sorridere.
– Non potremo mai avere bambini! – Insiste Conan.
– Ne adotteremo uno – Replica il suo compagno.
– Insomma, Doppio, tu non vuoi capire! – Urla Conan. – IO SONO UN ROBOT!
Doppio Kuemmel sorride e si stringe nelle spalle.
– Nessuno é perfetto. 


 
FINE

(o quasi)

20.2.19

Calibano 4ultimo: Truckdriver’s Motel

 
Dove dovrebbe esserci la Terra, almeno secondo il «Grande Atlante Galattico Pestalozzi», c’è invece una serie di luci giallastre e fioche che si accendono in successione e lampeggiando a lungo compongono il profilo di un cowboy che si scola un boccale di birra.
Sotto, corsivo in lettere rosse, c’è scritto «Da Mabel». La M è un po’ più chiara e la “e” è spenta.
Chi fosse molto diffidente o nutrisse una grande fiducia nel Pestalozzi potrebbe arrivare a misurare il campo di gravità della stazione di servizio, tanto per constatare che i valori sono scarsi come probabilmente lo é la sua birra e la sua musica.
Altra sgradevole scoperta per l’ipotetico incredulo sarebbe che l’odore degli hotdog e dell’olio rancido da frittura d’epoca è in grado di impregnare i vestiti anche alla distanza di un milione di chilometri.
Gli ultradiffidenti o gli amanti dei locali di questo genere (molti dei piloti della flotta mangiasabbia sono stati astrocamionisti) potrebbero parcheggiare l’astronave nello spiazzo dietro la stazione di servizio, battuto dai meteoriti e dal vento solare, spingere la porta a vetri coperta da un dito di polvere, dove qualcuno ha scritto a pennarello “Barbie fa godere” ed entrare.
– Buonasera. – Neurite, in jeans macchiati di unto e camicia di tre misure troppo grande saluta i quattro individui che si guardano intorno con aria disgustata e l’olfatto sul chivalà. – Una birra? – Il coniglioide chiude un occhio, annusa il bordo della sua pelliccia, fa una smorfia e dice: – Cerchiamo un posto. La Terra, mai sentita?
Neurite asciuga vigorosamente un boccale e sbircia sotto il bancone per controllare il funzionamento del moderatore di gravitoni, arnese che assorbe il campo gravitazionale emesso dalla Terra riducendolo a quello di un autogrill piuttosto scassato.
– Chiamo il padrone.
– Tu ragazzo non sai niente? – Chiede un’altro dei quattro, un mangiasabbia in smoking di cellophan.
– Io non mi muovo mai da qui, capo. Solo ogni tanto un salto giù in città a comprare qualcosa, capo. Sono ignorante come un barattolo, capo.
– Non ne dubito capo. Chiama il padrone capo.– Replica Aquila Yò-yò.
Neurite assume un’aria più perplessa che irritata e sparisce dietro una tenda costellata di bruciature di sigaretta.
– Io mi farei una birra. – Annuncia Comi Stuntz, un disertore Kerrabbia ex-astrocamionista sulla rotta Durango – Oakland sull’orlo occidentale della Nube di Magellano.
Gli altri tre lo guardano con evidente disgusto.
– Siamo qui per trovare Foxtrot non per sgavazzare. – Puntualizza Somis Ra.
– Non rompermi gli organi. – Replica il Kerrabbia.
– Se ti vuoi avvelenare… – Aquila Yò-yò si stringe nelle spalle.
– Ehi, bambina, portami una birra. – Grida Stuntz.
Mirella smette di pulire il pavimento con uno straccio sporco di segatura e sputa per terra.
– Devo ancora pisciare, poi te la porto, wally.
Comi Stuntz fa una risatona.
Somis Ra impallidisce ed inghiotte a vuoto.
– Con comodo, non abbiamo fretta. – Dice Aquila Yò-yò.
– Allora consumate.
– Tre birre ed un vetro rotto. – Shiddigh’Sh, il luminoso ortosinclino, é uno che non ama le discussioni.
– Vado. – Mirella salpa in direzione del bancone ed incrocia Pelagio nella parte del gestore, in tuta rossaggiallaebblù e scritta «Kotex, il carburante del futuro.»
– Il ragazzo dice che volete parlarmi. 

 
– Certo. Mai sentito parlare di Foxtrot o della Terra, come la chiamano da queste parti?
Pelagio guarda con aria stupita l’ex-speaker del parlamento galattico e fa cenno di no con la testa continuando a masticare uno stuzzicadenti.
– Ho saputo che é stata distrutta.
– Palle. – Il coniglioide inarca un solo sopracciglio, cosa che ritiene sottilmente minacciosa. – Era solo una simulazione con un bel generatore di gravità in mezzo. Le nostre carte ci dicono che Foxtrot dovrebbe essere qui, al posto di questo fottuto buco, hai capito lattugone?
Il Tartoide mastica meditabondo lo stecchino mentre sogna di annodare le orecchie di Aquila Yò-yò che ha usato il nomignolo spregiativo che le altre razze riservano ai tartoidi.
– C’era un pianeta, qui una volta…– Inizia Pelagio.
– E… – Fanno in coro gli ospiti.
– Serviti! – Urla Mirella piazzando una birra ciascuno davanti a Somis Ra, Aquila Yò-yò e Comi Stuntz ed un piattino di cocci di vetro per Shiddgh’Sh. Il Kerrabbia beve la birra d’un sorso e grida: – Un’altra! –
– Allora, c’era un pianeta… – Il mangiasabbia sgranocchia i frammenti di vetro come patatine e commenta: – Potevate anche lavarli.
– Un pianeta messo su da una ditta di pianeti-vacanze, prima che aprissi questa stazione…
– Questo lo sappiamo. – Taglia corto il coniglioide.
– L’hanno demolito, credo, per qualche cacchio di legge galattica.
Aquila Yò-yò non replica, intento a scrutare le scarpe da ginnastica di Mirella ed immaginando i deliziosi piedini che contengono. Shiddig’Sh termina di ingoiare un pezzo di vetro ed ordina un bicchiere di sabbia fine e umida.
– Sicuro? – Chiede poi.
– Abbastanza. Comunque posso chiedere a mio nipote, che é un tipo sveglio.
– Fai così
– Edoardo! – Chiama Pelagio.
E. si presenta al tavolo in giubbotto di finta pelle nera, jeans attillatissimi e foulard cachemire violetto e marrone. Aquila Yò-yò avverte una fitta dolorosa al proprio buon gusto e fa una smorfia.
– Tu che sei un tipo sveglio… – Inizia. Poi lo guarda in faccia e gli crollano le orecchie. – Vabbè. Cosa sai di Foxtrot?
– L’hanno venduto a pezzi, le scogliere, le montagne migliori, le spiagge, alcune isole, ma non hanno nemmeno recuperato i soldi.
I quattro seduti al tavolo si guardano. – Com’é che fino ad una settimana fa la Terra C’ERA?
– Una simulazione pubblicitaria. – Spiega E. – In giro ce ne devono essere a dozzine. Del tipo: “vedete cosa sappiamo fare?”
– Sei capace di parlare senza masticare? – Dice il Kerrabbia.
E. inghiotte il ciclez con un gran movimento di pomo d’adamo.
Aquila Yò-yò solleva gli occhi al soffitto, sospira e beve un sorso di birra annacquata.
Somis Ra si guarda intorno con espressione sospettosa, come se pensasse di vedere la Terra nascosta sotto uno straccio. – Secondo me raccontano un sacco di frottole, dovremmo portarli sulla nave ed interrogarli meglio. – Fa gli occhiacci a Comi Stuntz, autore di un rutto primordiale, ma il Kerrabbia lo ignora e ne ordina un’altra.
Aquila Yò-yò ferma lo sguardo a turno su Pelagio, Neurite, Mirella ed infine sul foulard di E. e scuote la testa.
– Ma cosa vuoi cavare da un lattugone e da questi due imbecilli? Una volta o l’altra gli fregheranno il culo e se ne accorgeranno solo quando tenteranno di sedersi. Andiamo.
I quattro si alzano. Il kerrabbia mette mano al portafoglio ma Shiddigh’Sh lo precede.
– Tenete. – Il mangiasabbia estrae da una tasca un’ametista grossa come un mandarino e la porge a Pelagio. – Resto mancia.
(Due volte su tre i mangiasabbia saldano il conto nei locali con una raffica di disintegratore, ma sono anche noti per lasciare mance principesche e in definitiva sono clienti molto ambiti dai gestori più avidi e più coraggiosi).
– Ragazza! – Chiama Aquila sul punto di uscire.
– Che vuoi?
– Anche tu non sai nulla, vero?
– Al contrario, bello. La Terra la tengo qui, nello slip. Se ti gira di controllarmi… – La cugina di E. ride, il mio protagonista sbianca ed Aquila Yò-yò sorride maliardo guardandole i piedi.
-Se passo un’altra volta, magari…
– Ci conto, gentleman.
Aquila Yò-yò la saluta strizzando l’occhio e raggiunge gli altri, diretti verso il portello aperto della Richard Ginori, con la confortante sensazione di aver nuovamente fatto breccia in un cuore femminile. 
 
– Beh, non é affatto male quel tipo, poi me l’ha detto Doppio Kuemmel di essere esplicita. E togliti quella roba che fai star male solo a guardarti.
– Ma non COSI’ esplicita. – Si lamenta E., con un tono di voce querimonioso che ricorda molto le lamentazioni della mia prozia buonanima sulla diffusione delle minigonne.
– Splendido, Mirella. – E. fa la faccia feroce a Doppio Kuemmel uscito dal retro con la videolocamera a tracolla.
– Sei andato benino anche tu, ragazzo, niente male per un’esodiente. Ma ricordati che il film lo dirigo io e Mirella era perfetta così. – Tutti uguali questi giovani, eh Pelagio? Sempre pronti a litigare sul set e a rubarsi il primo piano.
Pelagio annuisce serio, guarda fuori dalle finestre unte ed impolverate l’insegna della stazione di servizio che lampeggia e pensa ai milioni di persone che accendono e spengono all’ unisono la luci delle città ad un ritmo slow. «Solo Doppio Kuemmel poteva avere un’idea così.» Pensa il tartoide. «Un pianeta camuffato da insegna al neon.»
 

Ebbene sì, il campo Godemichè ha colpito ancora, e alla grande.
Avreste dovuto esserci in quel momento: vi avrebbe cambiato una volta per sempre, cambiato dentro.
Tutti a spegnere e accendere le luci di casa, dei lampioni, far ardere torce, falò, sterco di cammello o grasso di foca. È stato come una OLA di luci: “Accendere il Naso del Cowboy” e zacchete, Mosca si accende, si spegne, poi si accende un altro posto trenta km più in là e così via. È stato come riunire con un matitone un “che cosa apparirà” grande come tutta la Terra. E tutti ci hanno dato dentro senza risparmiarsi, con la lingua tra le labbra e il dito nervoso sull’interruttore.
Avete mai visto quanto è bella la gente, sì proprio bella, quando tutti fanno la loro parte? Quando si funziona come una squadra e si fa quello che si sa fare, poco o tanto che sia. Era questo il comunismo inconscio di certi grandi film di Hollywood, ci avete mai pensato?
Tranquilli, non ci ha mai pensato nemmeno McCarthy (non Paul).




Lavoro in banca / stipendio fisso / così mi piazzo / e non se ne parla più  

Vashtar Kube, emissario della Fondazione per la difesa della Panlingua sgrana gli occhi (spettacolo notevole per chiunque non sia uno pseudogufo di Canto Notturno) e corre verso la sua cabina, ormai definitivamente in veste di tavola calda in prossimità del centro contabile di una grossa banca.
Come il minuscolo strigiforme sia riuscito ad ottenere tale ambiente dal simulatore e soprattutto a chi diavolo possa piacere è un mistero.
Vashtar é ormai giunto alla conclusione che il simulatore nella sua cabina provenga dalla demolizione di un carcere e che quindi buona parte degli ambienti selezionabili siano anche peggiori.
Il manuale di istruzioni del simulatore, rinvenuto nella biblioteca della nave sovracopertinato da Ho fatto solo il mio dovere, dell’Ammiraglio Fatal Novara, non gli è stato di grande aiuto. Constatato che era stampato in due sole lingue: l’Alto Groglandese ed una versione pittografica del Racnu (una razza gioviana: statura media due centimetri per un girovita di due chilometri) a Vashtar non è rimasto che richiuderlo, rimettere a posto la finta copertina e rassegnarsi a condividere la sua cabina con una moltitudine di Bancari affamati.
Entra accolto dal consueto caos scandito dal tintinnio di bicchieri e di stoviglie. Evita per un riflesso incontrollabile il cameriere che serve due bistecche quasi carbonizzate a dei tizi intenti a sfogliare e commentare una rivista di automobili sportive e si sposta per non essere travolto da alcuni quadri di medio livello in gara per offrire il pranzo all’avvenente nuova collega che progettano di farsi nella toilette dei dirigenti.
Vashtar punta verso l’estremità del bancone, dove si trova il suo guardaroba, e tira dritto fendendo le imago dei bancari. Mentre procede é comunque costretto ad udire brani di conversazione dei quali l’ingegnosissima simulazione é farcita.
–… Si é coperto di cambiali ma adesso dovresti vederle le impiegate. Anche se é brutto come un rospo, la coda fanno per scopare sulla sua macchina nuova…
– … È inutile che si affanni tanto, il posto é per il nipote del capo sezione, lo sanno tutti…
– …Madonna che chiappe ha quella, ma é vero che la dà a tutti, basta chiedere?…
– … Assomiglia a suo padre, dormire sempre e pensare mai…
– … Vedi, il fatto é che l’allenatore non va d’accordo col presidente e quindi la formazione cambia anche a metà partita…
– … Quello stronzo é subito corso a dirlo al capo, ma ha beccato il vice che lo odia…
– … Chi, quello? Ma lo sai che gli piace farsi picchiare vestito da donna? Sceglitene un altro cara mia, o ti piace il genere?…
– … Carburatore doppio corpo, cento all’ora in dodici secondi…
– … Quello non é nemmeno capace di contare fino a dieci, gli passano lo stipendio perchè dorma…
Vashtar apre la porticina del guardaroba e ne estrae ciò che a prima vista sembra un costume da Arlecchino robotico, ma che fuori dalla sua cabina torna ad essere una normale tuta di emergenza, fa il percorso in senso opposto fino all’ uscita e scivola fuori. 

 
– Buongiorno! – Dopo la conversazione dei bancari persino la vista di un Kerrabbia é allegra e tonificante.
– Ghhrrr. – Ringhia l’assaltatore e prosegue correndo.
Nel corridoio le luci sanguigne dell’allarme si accendono e si spengono con frequenza ipnotica ed il gufo linguista chiude la terza palpebra infastidito.
Si é giunti alla dodicesima battaglia con i mangiasabbia ed al sesto simulacro di Terra distrutto e Vashtar Kube non é il solo nella flotta ad averne le tasche piene di quella storia.
Oltre a questo la Fondazione lo sta seppellendo di messaggi che esprimono con poche variazioni lo stesso concetto:«Questa missione ci sta costando un pozzo di galattodindi, fai qualcosa», senza accennare minimamente a COSA fare.
Un urlo scuote la nave, attutito dalle pareti imbottite: la flotta kerrabbia ha distrutto il settimo simulacro della Terra, tornando in vantaggio sui mangiasabbia.

Arrivano i nostri!!!

– Bastardo cyber, chi sono i tuoi amici?
Pantaleone guarda Sigrid Wassermann e i suoi compari con la faccia da varano, la camicia bruna, i pantaloni alla cavallerizza e gli stivaloni lucidissimi e mormora: – Non ho amici.
– Non ha amici, poverino, avete sentito? – Sigrid sorride ed i suoi camerati si sbellicano dalle risate come previsto.
– È vero, non ho amici su questa nave.– Insiste il duca di Kroton guardando dritto di fronte a sè.
– E sulle altre?
– Solo Aquila Yò-yò.
Sigrid scambia un’occhiata con il suo vice e poi tira una sberla al povero Pantaleone.
– Impossibile!– Urla – Vuoi confonderci lurido bastardo. – Si china per parlare ad un centimetro dalla faccia di Pantaleone e gli sibila: – Finora sono stato di una gentilezza squisita con te, ma se continui così dovrò dimenticare il galateo. – Il nazisauro si drizza sul busto e lo guarda dall’alto tenendo le mani sui fianchi. – Non capisco come una persona del vostro rango e della vostra importanza possa essere caduta vittima della propaganda cyber. Se ci dimostrate la vostra buona volontà posso anche dimenticare tutto…
Pantaleone non dà segni di aver sentito.
Sigrid si guarda intorno a disagio, si gratta nervosamente la cresta e quindi urla: – È inutile perdere tempo con te, verme sovversivo. Ti farò appendere fuori dalla nave a respirare il vuoto e troverò qualcuno di più… 

 
– Capo, é per Voi. – Grida stentoreo uno dei nazisauri indicando l’imago del Grande Geosinclino immobile accanto alla porta.
– Come va? – Chiede l’immagine del Mangiasabbia.
– Facciamo progressi. – Mente Sigrid Wassermann tanto rigido da scricchiolare.
– Che genere di progressi?
– Rapidi e potenti.
– Sarà meglio. Qualcuno ha scritto nella toilette del mio yacht personale «Viva il Soviet robotico, viva Zobban e viva la farfallina». Cos’é la farfallina?
– Lo ignoro, signore.
– Malissimo. Tenetemi informato.
– Sissignore.
L’imago del mangiasabbia svanisce. Sigrid Wassermann si asciuga il sudore che gli imperla la fronte e ricomincia.
– Cos’é la farfallina, insetto, parla!
Pantaleone tace ostinatamente.
La notizia appena pervenutagli lo ha rincuorato, dandogli la forza per sopportare le minacce e le percosse dei nazisauri. Il Duca di Kroton ultimamente ha talmente parlato di rivoluzione che ha finito per convincere anche se stesso, e si sente da Dio adesso: forte, pieno di dignità, persino bello. Il capo tecnico robot della Katakomba, Dottorwatson, con la sua somiglianza con Clint Eastwood e i suoi modi spicci e burberi, ha fatto breccia nel suo cuore e Pantaleone è ormai disposto a tutto, per l’Ideale e per l’Amore.
– Cos’é la farfallina, stronzo criminale? – E giù una sberla.
– Non lo so.
– Cos’é la farfallina, sacco di letame?– Altra sberla.
– Certo che lei ne sa di insulti.
– NON FARE LO SPIRITOSO!– Sberla seguita da un calcio.
– FERMI TUTTI!
Dalla porta spalancata della sala entrano dozzine di robot dell’equipaggio della “Katakomba” armati di fulminatori, guidati da Dottorwatson.
I nazisauri alzano le mani a tre dita.
– Viva il soviet robotico! Viva Zobban! Viva la Farfallina! – Urlano i robot all’unisono.
È un peccato che Conan non sia presente perché la scena gli piacerebbe moltissimo.
Ricorda Amadestam il Kolossal robotico dove un gruppo di rivoluzionari sintetici rovescia la sanguinaria tirannia che regge l’omonimo pianeta liberando i biomorfi oppressi. Conan l’avrà visto poco poco cinquanta volte, poi qualcuno aveva deciso che proiettare un film per Robot dove i robot fanno una rivoluzione non era una buona idea e il film era sparito dalla circolazione.
Ora, come in Amadestam, il capo della rivoluzione abbraccia il capo dei robot. I due si baciano con un trasporto che nel film sarebbe stato tagliato.
– VIVA KROTON! – Urlano i robot.
– Adesso conquistiamo la flotta! – Urla Pantaleone, sorridente come Erroll Flynn in Capitan Blood