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26.1.21

Un incontro on line


Salve a tutti. Sono qui per caldeggiare la vostra presenza a un dibattito on line che andrà in onda sul canale ALIA Evo di You Tube e sulla pagina di ALIA Evo 4.0 su Facebook. 

Tutto ciò avverrà: 


GIOVEDì 28 Gennaio, h. 17.30


Parteciperanno (seriamente) Silvia Treves, Giovanna Repetto, autrice di La mappa dei gesti possibili e Nino Martino, autore di A love supreme, tutti e due editi da CS_libri.

Parteciperà, un po' meno seriamente, anche il sottoscritto, nella veste del risibile regista di tale memorabile evento. Ovviamente vi invito a non mancare: potrebbe non capitarvi più di vedere uno sciagurato che fatica a raccapezzarsi. 

Di seguito la locandina originale: 

 



 

 


 

 

13.4.18

Quando una storia finisce...



Lo spunto per questo post mi è venuto da Dario Tonani che ha fatto pubblicamente questa domanda: 

CHE COSA PROVATE a venti pagine dalla fine di un vostro romanzo? Ve lo chiedo, perché per ognuno di noi è diverso. Per me è come aprire gli occhi, svegliarsi, accorgersi che è mattina. Voler infilare di nuovo la testa sotto le coperte. Riavvolgere il nastro: trenta pagine, cinquanta, cento... Ma anche la gioia del profumo di caffè, la spremuta d'arancia, la colazione, la giornata di sole. Nel weekend, se tutto fila come deve, mi appresto ad affrontare proprio le ultime venti pagine del mio nuovo romanzo. Dubito che le finirò tutte, tra chiusura del capitolo finale, epilogo e prologo (che scrivo sempre per ultimo). Nel caso, il profumo di caffè durerà qualche giorno in più. E per voi, com'è?

Domanda in apparenza facile. È sufficiente fare qualche osservazione sulla vicenda perduta (vero), sui personaggi perduti (vero, anche se solo in parte), sulla sensazione di felice stanchezza che coglie (vero)… ma anche sui mille e mille dubbi su ciò che si è scritto (avrò reso bene quel personaggio, avrò reso bene quella svolta della vicenda, ma sarà credibile il Feroce Millanta o è soltanto una sagoma di cartone… e la società immaginata sarà possibile o è solo un teatro dei burattini…?) Mille e mille insufficienze, carenze, mancanze che ti perseguitano mentre paghi un caffé, acquisti una rivista o vai in banca.  
«Ma quanti lettori pensi di avere, sciocco!»
No, il numero di lettori è del tutto secondario,  è sufficiente sapere che non li conosci tutti. Al limite è sufficiente un solo lettore che non ti sia congiunto in qualche modo a creare panico, insicurezza, dubbi. Senza contare il tuo personale SuperIo, quello che è sempre pronto a ridere dei tuoi sforzi, a trovarli pietosi, vani, ridicoli. 


Sicché essere verso il finale di una storia può renderti insicuro quanto soddisfatto, malinconicamente felice quanto sottilmente disperato, dal momento che man mano che si avvicina il momento della pubblicazione un testo sarà perduto per sempre e di questo tuo figlio, comunque sia nato, dovrai prenderti cura e difenderlo e il massimo che potrai fare sarà provare a immaginare le critiche, dando per scontato che comunque quelle che ti verranno in mente sono solo una frazione minima di quelle che ti perverranno. 
Ovviamente esiste la possibilità, essendo al soldo – detto in senso realista (o fattuale) – di un editore di grandi nome o di grandi tirature, di valersi del suo patronage per sorridere alle critiche, sogghignare davanti alle stroncature e in qualche occasione giungere ad adirarsi davanti a qualche osservazione particolarmente ottusa. Ma si tratta semplicemente di una mascheratura, sia pure ingegnosa, qualsiasi scrittore serio – quindi non bariccoforme né bariccoinvaso – sarà disposto ad ammettere, in solitudine e con qualche bicchierino in corpo, che il suo ultimo libro non lo soddisfa pienamente. Il bello è che proprio questo il senso del suo lavorare, il lavorare su un libro pensando intanto a quello che seguirà e a tutti quelli che non si sono nemmeno iniziati ma che hanno comunque lasciato un segno nel proprio immaginario, a quelli iniziati e mai finiti, ai generi sfiorati, alle ambientazioni promettenti ma non riprese… Le ultime pagine di un libro che si sta scrivendo sono tutto ciò, un grumo di sogni e incubi interrotti a metà che almeno in un caso hanno trovato un proprio finale. Ed è normale ci sia una certa soddisfazione – che sarebbe più giusto definire sollievo – nel giungere a scrivere FINE  al termine delle temporanee fatiche.   


Quella dello scrittore in crisi e tormentato – magari anche alcolista – è divenuto un luogo comune ed è onestamente difficile non ridere davanti a individui affannati che ripetono con grottesche variazioni frasi poco significative di per sé, si tormentano fino a fuggire nella loro stanza per scriverne. Ma entro certi limiti non si tratta completamente di un'invenzione: a chi tra noi scriventi non è accaduto di frugarsi addosso cercando una penna e un pezzetto di carta per prendere nota di un'idea improvvisamente balenata in mente? O chiedere al vostro accompagnatore / accompagnatrice se per caso hanno qualcosa per scrivere, qualunque siano le circostanze in cui questo avviene, durante una salita alpinistica o mentre si deve salire su un treno. 
In ogni caso resto convinto che esista il finale di un racconto o di un romanzo unicamente come sosta in un viaggio che avrà termine soltanto con l'exitus. Si potrà godere del caffé e della spremuta d'arancia, ma pagine non scritte ci seguiranno e ci perseguiteranno: scrivere vuol dire anche questo. 


24.3.18

Editore ed editor


In inglese va molto meglio. Esiste una parola per editore (publisher) e una per editor, per l'appunto editor. Un po' come library (biblioteca) e bookshop (libreria). 
Ma che cos'è un editor?
Bella domanda, come dice chi non ha idea di come rispondere. Leggendo sui giornali-che-contano ce se ne può fare un'idea. Sono editor gente come Antonio Franchini, recentemente passato da Mondadori alla Giunti, o Alberto Gelsumini, sempre della Mondadori, o Joy Terekiev editor della Fiction Mondadori o Nicola Strazzeri della Longanesi o ancora Gemma Trevisani, editor della narrativa italiana per Rizzoli o Nicola Lagioia, editor e scrittore per Minimum Fax fino a Franco Forte, editor ed autore. In sostanza un editor è un soggetto polivalente, capace, in teoria, di fare del romanzo di un sconosciuto un best-seller (o quasi), ma anche – forse – decidere la frequenza delle virgole a pagina o se le parole straniere devono essere scritte in corsivo o meno e dove inserire i testi in maiuscoletto. 
In sostanza (e teoricamente) un buon editor sarebbe colui che fa in modo che la lettura di un libro proceda bella liscia, senza sussulti o impedimenti. Un buon editor dovrebbe essere come un arbitro di calcio, ovvero come colui che non si fa notare in campo.
Ma questo può valere, immagino, per i piccoli e medi editori mentre per i grandi suppongo debba esistere una divisione dei compiti per la quale dei corsivi e degli errori di ortografia si occuperà qualcun altro e non sua maestà l'editor. Suppongo, anche se non ne sono affatto certo, dal momento i refusi anche sui libri anche di alta tiratura non sono poi così impossibili, anzi. 


Il problema è ciò che è accaduto negli ultimi vent'anni al vertice dei grandi editori, con la progressiva scomparsa di molte figure intermedie, i cui compiti sono stati gradualmente affidati a studi professionali, secondo la logica squisitamente capitalista per la quale le spese per creare qualsiasi cosa, dalle guarnizioni in gomma fino ai libri illustrati, devono essere prodotti al prezzo più basso possibile. Il che, probabilmente, è anche la ragione per i refusi che è possibile trovare persino in libri di case editrici di fama come Einaudi o Guanda. 
A questo punto, tuttavia, la nostra immagine dell'editor si è quantomeno appannata o è almeno mossa. 
Ma proviamo a fare un passo indietro. 
Un testo che arriva in lettura a un piccolo editore – se è quantomeno leggibile – viene girato all'editor (ma anche correttore di bozze e millanta altre cose), che da quel momento comincia a girare con un brogliaccio o, più recentemente, con una pendrive al collo, sfruttando ogni minuto disponibile per penetrare nel testo. 
Supponendo che il testo sia considerato leggibile e persino pubblicabile la prima cosa che farà l'editor sarà leggere un paio di volte il libro, cercando di afferrare non solo ciò che l'autore ha scritto, ma anche ciò che non ha scritto, lasciandolo non detto volontariamente o involontariamente. Una volta presa confidenza con il testo, nascono le domande. Poteva andare diversamente? Ha fatto bene a far comparire Calibano a pagina 22? E Miranda fa bene a cedere così tardi alla corte serrata di Ferdinando[1]? Non avrebbe fatto bene a cedere prima o a non cedere affatto? In tutto ciò, tuttavia, non può mancare un'attenzione pressoché patologica per la struttura fine del romanzo: le virgole, i punti esclamativi, i rimandi a capo, gli inserti, i corsivi dei monologhi interiori, tutto ciò che, più o meno consapevolmente, determina il ritmo del testo. 


In  sostanza, e a mio personalissimo parere, il vero compito di un editor è quello di riuscire a suscitare – o ri-suscitare – ciò che di profondo il testo contiene, interrogarsi sulla vita dei personaggi, meditare sulle scene centrali, sull'incipit – non credo agli incipit emotivi ma agli incipit che, sornioni, fanno entrare nel libro – e alle scene finali, spesso sottovalutate ma viceversa essenziali nel giudizio definitivo di un testo. 
Un buon finale discende (quasi) matematicamente dalla buona organizzazione interna del romanzo e ne raccoglie tutti i motivi profondi di esso, sia quelli enunciati che quelli volontariamente taciuti. Un buon finale può non essere in calando ma, paradossalmente, in crescendo. 
Se è vero che i romanzi non si fanno con il computer – a meno di produzioni assolutamente seriali – è altrettanto vero che non è nemmeno possibile farli con i programmi di natura finanziaria che stabiliscono i margini di ogni operazione economica. Ma questo è un elemento che ripeto da prima del 2001: i libri sono qualcosa di profondamente diverso da un qualunque elemento di svago o di arredo e penso che lo ripeterò fino alla (mia) morte. 
Ultimo elemento per completare il quadro il mio particolare rapporto con il mestiere di editor. Un mestiere che ho iniziato a fare controvoglia, lavorando sulle centinaia di racconti che giungevano per il concorso Fata Morgana, con testi sottoposti che non sempre erano all'altezza della tenzone. Ma non posso che dirmi felice di quel difficile apprendistato che mi mise contemporaneamente di fronte all'intreccio, alle forma grammaticali, alla punteggiatura, al lessico, agli stili, alle forme paratattiche (troppe) e a quelle ipotattiche (poche), ai birignao degli autori innamorati di se stessi, al dramma/ cartoon che propone morti in successione, al gore, allo splatter – normale o dopato –, alle sofferenze di giovani soli e talmente sfigati che sicuramente sarebbero stati scartati anche in un concorso letterario – appunto – alle descrizioni inesistenti e a personaggi a una o al massimo a due dimensioni. Io e la mia disgraziata moglie eravamo chiamato a intervenire sui pochi racconti leggibili per renderli lucidi, potenti, autosufficienti. Non ci siamo riusciti sempre, sia chiaro, ma in buon numero di casi sì. 


Così ho imparato a leggere profondamente – un termine ovvio, ma non me ne vengono di migliori –, a cercare di capire dove voleva arrivare l'autore e se ci era riuscito o, come certi guidatori con 0,9 di valore alcolemico, ci erano passati vicini senza vederlo o l'avevano centrato in pieno distruggendolo come una pianta sui lati della strada.
L'aspetto fondamentale del mestiere di editor è che, di fatto, non lo si è mai imparato fino in fondo e che ogni nuovo testo è una sfida che è sempre possibile perdere. 
Io non gioco a gratta-e-vinci, mi basta e avanza fare editing.

[1] Il riferimento ai personaggi de La Tempesta di Shakespeare è semplicemente dovuto al fatto che i primi a venirmi in mente sono stati Prospero, Calibano e Miranda, Ariel, Gonzalo e Trinculo.



 

21.2.18

Museo, poco seriamente


Domenica scorsa, il 19 di febbraio, abbiamo presentato presso il Mu.Fant. (Museo del fantastico e della fantascienza di Torino) la nuova ALIA, ALIA Evo 3.0. 
Com'è andata? Beh, bene. È stato piacevole e divertente, anche perché abbiamo evitato di leggere «brani scelti» (dagli autori) dell'antologia – pratica troppo simile a una cerimonia ecclesiastica – preferendo chiedere a ciascuno di essi com'è nato il racconto che presentavano, in quale insieme di testi andava inserito, gli eventuali errori, i ripensamenti, i dubbi, il lavoro di documentazione compiuto, i rifiuti o i piazzamenti (o i fiaschi) ottenuti in qualche concorso, insomma tutto ciò che poteva invogliare a imbarcarsi nella lettura del proprio brano. 
L'esperienza si è rivelata divertente anche perché ai cinque autori presenti che hanno doverosamente presentato il proprio cahier de doléances si sono aggiunti altri cinque autori che, non potendo intervenire, hanno presentato le proprie tribolazioni in forma scritta – letta dall'ottima Morgana –  e altri due che hanno scelto di apparire di persona, grazie a un messaggio video. 

Caterina, il sottoscritto e Silvia, probabilmente allarmata per l'arrivo di un barbapapà

Ma il risultato non è stato soltanto divertente ma, come si sarebbe detto un tempo, anche istruttivo, dal momento che per lo meno gli autori presenti sono stati bersagliati da domande varie, in qualche caso anche molto lontane dal racconto presentato. Sicché il buon Paolo S. Cavazza è stato lungamente interrogato su un suo vecchio racconto pubblicato su ALIA Evo 1.0, F come Frankenstein – pubblicato nella semplice veste di Paolo Cavazza, senza «S.» – che egli ha deprecato sinceramente, rammaricandosi per il modo di averlo impostato (o rivisto dall'editor, ovvero dal sottoscritto) e per la mancanza di note esplicative. La discussione in proposito si è rivelata probabilmente useful, come scrive Scribd, dal momento che il buon Cavazza ha dedicato se non altro qualche momento a riguardare il suo testo nei giorni successivi. 
Per quanto mi riguarda la discussione è finita, giustificatamente, sulla propulsione ultraluce, l'unico elemento reale che può tenere unita un'entità multisistemi come la Corrente, mentre per quanto riguarda Silvia il tema emerso è la qualità psicoanalitica e curativa della scrittura. Per Caterina Mortillaro, ci si è soffermati sull'inevitabilità, date certe condizioni iniziali, di perdere le condizioni di partenza di esploratori e/o colonizzatori per finire con il condividere la sorte dei nativi. 
Consolata Lanza ha dovuto affrontare i pruriginosi commenti relativi alla pasoliniana franchezza sessuale di alcuni passaggi del suo La masca. Ma nessun puritanesimo nelle domande e nelle risposte, con una punta di tenerezza verso il personaggio dell'inconsueta masca bambina del racconto, un modo personalissimo di unire storie passate e sensibilità presente. 
Ultimo a intervenire il buon Maz, ovvero Massimo Soumaré, che ha raccontato le vicissitudini delle sue produzioni letterarie, scartate dall'editoria italiana e viceversa apprezzate dall'editoria giapponese, descrivendo ai presenti l'evidente differenza di  competenza e soprattutto di tiratura – un rapporto di 1:100 – tra l'editoria italiana e quella nipponica.

Centamore orizzontale…

La presentazioni lette sono state accolte con curiosità dai presenti e particolare ilarità ha suscitato l'autopresentazione di Eugenio R.R.Saguatti che riporto poco oltre. In quanto alle due autopresentazioni video ha suscitato particolare partecipazione quella di Fabio Centamore – nonostante la proiezione in orizzontale, dovuta all'incompatibilità tra il programma con il quale era stato inciso il video e i programmi letti dal PC del videoproiettore, mentre il video di Valeria è invece apparso senza problemi.
Problemi? 
Il principale è stato senz'altro un tempo acquerugioloso e umidiccio che toglieva la voglia di uscire anche a chi in altre condizioni metereologiche avrebbe partecipato. Ma pazienza, il nostro esperimento di presentazione hellzapoppinesca  ha comunque funzionato e di questo siamo particolarmente soddisfatti. Come siamo stati felici della collaborazione e della simpatia di tutta la banda del MuFant che ringraziamo di cuore.
Da sinistra: Elena, Davide, Silvia, Caterina, il sottoscritto e (di nuovo) Silvia.

Resta l'inevitabile domanda: ma ha ancora un senso una presentazione libraria? (…soprattutto se condotta da una legione di Carneadi…) 
Credo che alle nostre condizioni – ovvero di un libero confronto con i lettori e con gli altri autori  – possa avere un significato non trascurabile. 
In ogni caso nei prossimi mesi lavoreremo per presentare il nuovo ALIA Evo a Torino e altrove, fino al prossimo StraniMondi che ci vedrà inevitabilmente presenti.  
«E l'autopresentazione di Saguatti?»
Giusto, eccola qui:

«Mi piacevano le parole "interruttore inerziale”»

Un grande, ammettiamolo.
Alla prossima!