Questo volume è contemporaneamente originale e banalissimo. Da una parte i supereroi devono vedersela con un caso di ostaggi trattenuti in un bar, e non ricordo di aver mai letto una storia simile; dall’altra è la solita scazzottata. Più o meno. Il redivivo Capitan Atom (mai coperto, ma ricordo che anni fa fece da collante per un crossover tra case editrici) libererà le cinque persone che trattiene se saranno soddisfatte le sue richieste. Procurargli un sandwich fatto come dice lui potrebbe non essere troppo problematico, ma la prima condizione è diventare un dio.
In questa nuova incarnazione Jenny Sparks è una specie di controllore super partes della comunità dei supereroi e quindi la Justice League si è rivolta a lei per gestire questa scheggia impazzita metaumana. Nei fatti anche Superman, Batman e compagnia intervengono e provano a risolvere la situazione a modo loro, cioè a mazzate, ma Capitan Atom (pressoché onnipotente) li uccide uno dopo l’altro. In realtà uccide anche Jenny, solo che lei è lo spirito del XX secolo e siccome i guasti del “secolo breve” si propagano ancora negli anni 2000 è impossibile ammazzarla definitivamente. O così ho capito.
La parte portante di Jenny Sparks ha come struttura narrativa quella dello huit clos, che può funzionare bene al cinema o a teatro ma che nel fumetto risulta spesso noiosa. A far da cornice alla trama principale ci sono inizialmente le vicende parallele dei cinque ostaggi che vanno incontro al loro destino e poi dei flashback sull’interazione di Jenny con alcuni degli eventi più significativi degli ultimi 25 anni. E anche le “origini segrete” di Capitan Atom, che ignoro se sia un personaggio della Golden o Silver Age o un’invenzione moderna. Ma in sostanza è solo fumo con cui Tom King cerca di insaporire un arrosto piuttosto misero. È ovvio che i grossi calibri dell’universo DC non possono essere eliminati (anche se poi in realtà lo sono davvero, da un certo punto di vista), soprattutto in una miniserie che non credo sia la prima scelta dei lettori statunitensi, ma è desolante vedere che la soluzione con cui King scioglie la matassa altro non è che l’ennesimo riassestamento del multiverso DC. Non che Jenny Sparks sia da buttare, ci sono anzi delle scene divertenti, ma mi pare che a differenza del modello originale si nutra con eccessiva determinazione dell’humus dei supereroi: d’altra parte il costante ricorso ai simboletti invece delle parolacce e i mezzucci grafici per censurare un po’ di tutto palesano il tipo di pubblico a cui è indirizzato questo fumetto.
Così a memoria mi pare di ricordare che Warren Ellis una volta avesse detto che Chris Claremont non era contento di come aveva gestito la “sua” Kitty Pride ma che quella era la dannazione del lavoro su commissione in cui non mantieni la proprietà dei personaggi che crei: arriva un inglese e li fa inculare da Satana. Questa versione di Jenny Sparks (a proposito: se l’è inventato King che è una pronipote di Darwin?) non è proprio fuori fuoco ma quella di Ellis, e anche di Millar, aveva tutto un altro fascino e non aveva bisogno di ribadire quanto fosse cool per sembrarlo. Brutta bestia, il karma.
Per quel che riguarda i disegni, Jeff Spokes fa un lavoro stupendo. Un po’ sulla scia di Kevin Nowlan, disegna in maniera molto realistica calcando la mano sui contorni delle figure e dandoci dentro magistralmente coi neri. L’espressività dei suoi personaggi è stupefacente. Purtroppo lo huit clos prevede personaggi che parlano parlano parlano parlano e quindi il disegnatore ha scelto di fare abbondante ricorso al computer per ripetere le stesse vignette, dimenticandosi però di far colare le gocce di sudore da una all’altra o non accorgendosi che quando a Baghdad Superman strappa di bocca la sigaretta a Jenny ha quattro dita invece di cinque. Evidentemente gli editor sono rimasti talmente abbacinati dal suo lavoro da non accorgersene. Tanto è il livello di realismo di Spokes da rendere piuttosto ridicoli i costumi dei supereroi, in particolare quelli di Superman e Batman.
A volergli trovare per forza un difetto, che poi non è un difetto ma una scelta stilistica, direi che è la resa della protagonista; non che sia mai stata un sex symbol ma lui ha l’resa un po’ bruttarella con quel fisico molto segaligno e un naso quantomeno “particolare”. Ma avercene, di disegnatori come lui.