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martedì 26 agosto 2025

La sfinge nera e altre storie antiche

Nuovo e consistente recupero filologico del grande De Luca che riprende alcune delle sue primissime opere. Vengono antologizzati 11 fumetti un po’ sulla falsariga di quanto già fatto da Nicola Pesce Editore con Dino Battaglia.

Praticamente nessuna di queste storie resiste alla prova del tempo a livello di stile di scrittura e a volte anche di soggetto, tranne forse l’ultima. Del resto parliamo di racconti edificanti che solitamente riprendono storie bibliche o leggende varie piegandole alle necessità divulgative ed ecumeniche delle testate cattoliche in cui apparvero.

Oltre al prolifico Raoul Traverso in arte Roudolph che ne firma la maggior parte, le restanti sono scritte da Danilo Forina, Renata Gelardini (citata anche come Gelardini De Barba nel rispetto dello stato civile e soprattutto della firma originale) e Attilio Monge in ragione di due a testa. Anonimo invece lo sceneggiatore de L’ultima Atlantide, forse a causa della sua lunga e travagliata realizzazione.

Leggere buona parte di questi fumetti è uno stillicidio. La lingua usata da Forina e Traverso risulta oggi desueta (d’altra parte s’era a cavallo degli anni ’40 e ’50) e se leggere «orgasmo» per intendere la frenesia può suscitare un sorriso, spesso sono dovuto andare un po’ a intuito per capire cosa volessero significare gli sceneggiatori (la Gelardini usava «bruttare» invece di sporcare), anche perché le immagini non aiutano molto: il testo è sovrabbondante e spesso riassume sequenze che si svolgono fuori scena. La presentazione delle storie in maniera organica senza la precedente serializzazione rende poi evidenti certi cambi di rotta imprevisti o rattoppi improvvisati: mi è venuto il dubbio che tra le pagine 145 e 146 ne fosse saltata una, visto che viene risposto a una domanda che non era stata fatta nella tavola precedente. Le trame si risolvono quasi sempre con un deus ex machina. In senso letterale, perché è il Dio cristiano a risolvere le situazioni, indifferentemente che le storie siano ambientate nell’antico Egitto, nello Yemen o tra i fiordi vichinghi. E anche quando sarebbe anacronistico immaginarlo, come nell’antica Etruria o ad Atlantide, si avverte comunque il suo zampino.

Anche De Luca però ci mise del suo: aveva il vezzo di inserire le didascalie che segnalano uno stacco o introducono una nuova scena in calce alle vignette e non in alto a sinistra come logica vorrebbe. In questa maniera si crea uno sfasamento temporale per cui il lettore vede una scena prima di “leggerla”, facendo sfumare suspense e sorpresa. Scellerata poi la sua scelta di colorare anche le zone preposte alle didascalie e ai dialoghi (che già di per sé sono degli ineleganti rettangoli posti ai margini delle vignette, quasi a vergognarsi di far fumetti), rendendo di fatto un’impresa ardua decrittare cosa c’è scritto in nero nelle campiture rosse. D’altro canto osservando le tavole originali in bianco e nero ci si accorge di quanto questa scelta fosse probabilmente dettata anche dall’occasionale incapacità di De Luca di contenere tutto il testo dove sarebbe dovuto stare: un colore uniforme forniva una guida per seguire il testo anche se debordava dalle vignette o finiva in quelle sottostanti. Al massimo il fascino di queste storie si può trovare nel confronto tra Il cantico dell’arco e I due amici, che raccontano entrambe la storia di re David.

Poco importa: se in tutta la storia dell’umanità è mai esistito qualcuno che si è avvicinato ai fumetti di De Luca per i testi, non sono certo io.

Come prevedibile dalle date di realizzazione di queste opere e come giustamente anticipato anche nell’introduzione, questo volume permette di vedere concretamente come lo stile di De Luca si sia evoluto nel corso degli anni. È incredibile come già nel 1947, praticamente ventenne, con Nel regno di Kamrasi dimostrasse una straordinaria maturità a livello di composizione, anatomia, espressività, ricchezza di sfondi e dettagli. Ma si trattava di uno stile ancora debitore ai Maestri delle strisce sindacate, e forse memore di alcuni poster o copertine o illustrazioni dell’epoca. Sarà con I due amici del 1955 che comincerà a prendere forma la sua inchiostrazione fluida e decisa integrata da ragionati dettagli. Qui “ragionati” a maggior ragione perché De Luca lesina sul tratteggio e sui neri, probabilmente confidando di riempire poi le tavole con il colore, ma già con la successiva L’ebreo errante (sempre del 1955 e sempre da Il Giornalino) sfoggia uno stile ricco di pennellate, dettagli e profonde campiture a creare volumi e drammaticità. Le sequenze della tempesta marina sono spettacolari e il completamento amodale della croce di Gesù è una raffinatezza aggiuntiva.

Con L’ultima Atlantide giungiamo alla maturità definitiva di De Luca. Ed è un po’ un mistero, perché questa storia che nel 1967 segnò il ritorno dell’autore al fumetto venne realizzata a blocchi a distanza di parecchi anni (quasi 10) ma, come rilevato nell’introduzione, non si percepisce alcuno stacco stilistico tra le tavole. Qui finalmente De Luca esplode: pointillisme, dinamismo, architetture stupefacenti, estrema espressività, chiaroscuro, inquadrature dinamiche... E finalmente i balloon sono tali e non cornici delle vignette.

Purtroppo l’eterogeneità dei formati su cui videro la luce queste opere, in particolare quelle transitate su Il Vittorioso fino al 1950, avrebbe reso necessario in alcuni casi un formato più grande per goderne appieno essendo la diagonale posta molto in basso facendone quindi quasi delle tavole quadrate (una tavola doppia di Prora vichinga è stata riprodotta direttamente in verticale spostandola di 90 gradi). Ma d’altra parte per altri fumetti il formato è adattissimo e non si poteva certo togliere l’uniformità tipografica della collana, comune alle altre di Nicola Pesce Editore.

Il volume si apre con una introduzione a cura di Pier Giuseppe Barbero, che riesce a non spoilerare troppo e soprattutto fornisce degli interessanti retroscena. Dai crediti che introducono i singoli fumetti evinciamo inoltre che Barbero è l’unico essere umano in grado di realizzare delle scansioni perfettamente riproducibili a partire dal materiale stampato e non dagli originali. Addolora dirlo, ma invece Paolo Altibrandi che ha potuto effettuare le scansioni dagli originali messi a disposizione da Laura De Luca non è sempre riuscito a fare un lavoro paragonabile al suo, per quanto dignitoso (e a volte quasi perfetto, a onor del vero).