Fine della corsa: questo volume è del 1999 e ormai Felix Meynet è diventato quello che tutti conosciamo. Caricaturale (l’inchiostrazione molto modulata mi ha ricordato Angiolini) ma anche sintetico, espressivo e sexy: dopo la scarsa grazia degli esordi Mirabelle riluce in tutta la sua bellezza. La copia che mi sono procurato annuncia in quarta di copertina un ipotetico settimo volume che però non è mai uscito, peccato.
Arrivati a questo punto della serie Pascal Roman deve ricorrere a una specie di retcon per imbastire una nuova storia. Apprendiamo così che Mel è amico di tal Simon (mai citato prima) e frequentava sua sorella Marinette (mai citata prima) e che il loro rapporto è un riflesso di quello di odio-amore che intercorreva tra i rispettivi padri (mai citati prima), innamorati della stessa donna (mai citata prima). Il loro particolare rapporto si concretizza con l’annuale caccia al camoscio bianco, un esemplare albino che anni prima Mel aveva impedito a suo padre di uccidere temendo che abbatterlo portasse sfortuna. Nell’arco di pochi giorni c’è sia l’anniversario della morte del padre di Mel che il suo compleanno; guarda caso, Mirabelle giunge in zona proprio in questo periodo perché ovviamente deve scrivere un articolo, mica per consegnare il suo regalo a Mel. Dovrà però accontentarsi di guardarlo da lontano con un telescopio visto che i due rivali stanno nuovamente inscenando il rito della caccia al camoscio bianco: Simon lo vuole uccidere, Mel che è contrario alla caccia vuole impedirglielo. Non so se i camosci, bianchi o meno, possano vivere più di 13 anni, ma forse l’esemplare che Mel vide da bambino non è necessariamente lo stesso di adesso: ma alla fine ciò che conta è quello che rappresenta.
Tra flashback e rivelazioni, si scopre un torbido passato il cui custode (e parziale responsabile) è l’insospettabile Matafan. Fanfoué è ormai parte fissa del cast.
Anche se non mancano le situazioni umoristiche (in certi frangenti si ride di gusto) questa ultima storia è venata da una certa patina malinconica. La storia è molto lineare e non c’è quasi intrigo, ma dalla dedica di Meynet capiamo che lo scopo del volume era anche e soprattutto rendere omaggio a suo padre.
Ottimi i colori dati nuovamente dallo stesso Meynet.