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mercoledì 6 maggio 2020

Florian Schneider, 1947-2020.

Il suo naso dritto e altero, il suo portamento da professore pazzo, il suo contegno statuario, il sorriso che sembrava sempre sul punto di comparire sul suo viso, Florian Esleben Schneider trasmetteva ai Kraftwerk (anche) una buona dose di humor, un tocco di bizzarria e di assurdità – assieme qualcosa di vagamente sinistro.
In una band che si è sempre presentata come incarnazione dell'efficienza meccanica, Florian ricordava ai fan che i Kraftwerk dopotutto erano umani.
Non posso quasi credere che l'abbiamo perso.

giovedì 22 ottobre 2015

Wolfgang Flur. Eloquence.


Se io fossi un ex membro dei Kraftwerk, credo che me lo farei stampare pure sull'elastico delle mutande. E invece, Wolfgang Flur non sembra padroneggiare bene l'arte dell'autopromozione: in vent'anni ha prodotto appena due album da solista, dei quali molto probabilmente non avete mai sentito palare.
La sua pagina Wikipedia è scarna, poco aggiornata e con un link ad un sito defunto da chissà quanto. Potete raggiungerlo a QUESTA pagina rimasta stilisticamente ferma agli anni novanta, o a QUESTA, creata per il lancio di Eloquence.

Eloquence è il cd uscito proprio in questi giorni, e raccoglie materiale che Flur sembra aver scritto e poi buttato nel cassetto un po' alla rinfusa nel corso degli ultimi dodici o quindici anni... ma basta grattare un poco sotto la vernice per scoprire un disco raffinato, di nicchia e che è riuscito a stupirmi più di una volta.
Pur conservando pesanti influenze del suo passato con la band di musica elettronica più importante della storia, Flur sovrappone melodie lounge, elementi di jazz, krautrock e dance a trovate sonore e vocali assolutamente originali.

Tutto questo reso più interessante da alcune collaborazioni di quelle che sembrano proprio essere state capate dal mazzo, come quella con Bon Harris degli Nitzer Ebb, Anni Hogan dei Marc & The Mambas, Jack Dangers dei Meat Beat Manifesto o Ramón Amezcua della band messicana Nortec Collective. Nomi che potranno non dirvi nulla, ma che tra gli addetti ai lavori godono del massimo rispetto... col risultato che se c'è un difetto che proprio non si può ascrivere a questo disco, è di essere monotono.
Per carità, niente di innovativo o che esca più di tanto dal solco di un'elettronica ben strutturata, ma rispetto i lavori dei Kraftwerk c'è respiro, sensibilità e un certo bizzarro umorismo.

Il disco include dodici tracce originali (Moda Makina è entrata immediatamente nelle mie grazie) e sei bonus track, tra le quali spicca una versione giapponese di On The Beam cantata dall'ex vocalist Pizzicato Five Nomiya Maki.
La confezione grafica è ricercata, e quanto di più lontano possa esserci da un album dei Kraftwerk: calda, organica, priva di gabbie, quasi naif.
Lo trovate anche in vinile, se volete giocare a fare quelli vintage, o in digital download se non ve ne frega niente della plastica e del cartoncino: a voi la scelta.

In tempi di magra come questi (ma lo avete sentito quanto è inutile l'ultimo album di Skrillex?) un disco come questo è consigliatissimo.


mercoledì 16 luglio 2014

"Io sono il tuo servo, io sono il tuo schiavo". (Kraftwerk, Die Roboter,1978)

Ogni volta che vado a vedere i Kraftwerk dal vivo, penso: questa volta sarà l'ultima.
E non perché so che, sostanzialmente mi propineranno sempre la stessa scaletta, identica da un decennio e forse più, con poche variazioni distribuite qua e là che solo pochi malati di mente come me riescono a cogliere (e per le quali si gasano come quattordicenni in piena esplosione ormonale), ma più semplicemente perché questo signore che vedete qui sotto aveva quest'aspetto la prima volta che ebbi l'occasione di vederlo dal vivo al Tendastrisce di Roma qualcosa come trentatré anni fa… 
…e adesso è così:

...a ricordarmi che il tempo, forse galantuomo ma sotto sotto infame come un celerino, non risparmia neanche quelli che da sempre hanno cantato con la voce delle macchine, così diverse da noi, che siamo ogni giorno diversi da quello prima e quelle invece al massimo fanno un upgrade e ci sopravviveranno finché avranno qualcuno di noialtri a cambiargli le batterie e a stringergli i bulloni.

Ma, dicevo, del signore qui sopra. 
Che poi è Ralf Hutter, classe 1946, ultimo superstite della line-up originaria dei Kraftwerk, che pure lunedì scorso se n'è stato due ore tonde, impassibile e immobile come una macchina sul palco dell'Auditorium di Roma (colmo fino all'ultimo posto andato venduto poche ore dopo l'inizio delle prevendite), nell'ennesima replica di uno show che io, come tanti altri, conosceva a memoria, ma che di certo non si sarebbe perso (e non certo per quegli stupidi occhialini per vedere in 3D i video proiettati sul gigantesco schermo dietro le loro spalle)… e che, tutto sommato, si è goduto, una volta di più pensando fanno ancora questo live e poi si ritirano dalle scene.

O magari, chissà.
Sarà la volta che ci stupiranno ancora tutti e, stando un passo avanti chiunque altro, Ralf manderà definitivamente sul palco la sua copia robotica, efficiente, inossidabile, ubbidiente, eterna.
Che canterà per lui.
E per noialtri, che nel frattempo avvizziremo e saremo sostituiti da nuove generazioni di noi stessi.
I Kraftwerk diventeranno il primo gruppo transumano e la musica continuerà.
Per sempre.

sabato 31 gennaio 2009

[TOP TEN] 10 CD senza cui non si può vivere

Premetto che confezionare questa Top Ten è stato complicato e non del tutto indolore.
Si trattava di raccogliere degli album interi e non delle singole canzoni, album in cui ogni pezzo presente o quasi doveva essere un piccolo gioiello da riascoltare all'infinito.
Non ci sono, a mio avviso, parecchi album così riusciti.
Questi sono i miei, aspetto i vostri... chissà che non mi facciate scoprire qualche perla.

Sinfonia n°9 "Corale" - Ludwig Van Beethoven, 1824
Capolavoro assoluto della storia dell'umanità.
Cinque tempi, cinque pietre preziose incastonate in un unico, inestimabile gioiello senza età.
La Nona, più che dalla mente di un uomo sembra venire giù direttamente dai cieli, da un Regno che non è mortale, composta di armonie incomparabili e incommensurabili, che riempiono lo spazio come l'aria, riempiono il cuore come il sangue, stordiscono i sensi come le emozioni.
Irripetibile.

The Man-Machine - Kraftwerk, 1978
Il disco ideale per tutte le tribù del villaggio globale è già uscito trent'anni fa, ed era The Man-Machine.
Compiuto e perfetto come un'onda sinusoidale.
La sublimazione di tutto il messaggio dei Kraftwerk, e, probabilmente, di un intero genere musicale.
Sei tracce per poco più di trenta minuti di musica senza nessuna concessione all'umanità. Un disco scritto per far innamorare delle macchine.
Semplicemente perfetto.

Never For Ever - Kate Bush, 1980
Il capolavoro tascabile di un genio precoce. Un enorme balzo in avanti rispetto al pop pianistico dei due primi, seppur bellissimi, album.
Never For Ever splende di una feroce sete di sperimentazione: l'elettronica e le drum machine si sposano a meraviglia con l'orchestra ed entrambe vestono a meraviglia le storie fantastiche di Kate.
È il disco di Babooshka, ma è soprattutto un disco che lascia stupefatti per la facilità con cui si passa da un genere all'altro. Violin è puro rock, Army Dreamers è un valzer commovente, storia di una mamma che va a riprendersi il corpo del figlio morto in guerra. Breathing, scandita dal basso di John Giblin, è un pamphlet alla Cassandra sui pericoli del nucleare. The infant kiss, morbosa storia di passione fra una donna e un bambino. E altro ancora.
Sognante.
Communication - Karl Bartos, 2003
Ascoltare Bartos, per anni percussionista e co-autore dei Kraftwerk, è un pò come rivivere questi ultimi, ma con un'anima pop che lo diversifica significativamente dai lavori che componeva con i quattro di Dusseldorf.
Communication è più votato al dancefloor, con una ritmica che a volte diventa una cassa dritta, vocoder imperante in tutte le tracce, dieci pezzi intelligenti, calibrati e mai banali.
Trascinante.

Please - Pet Shop Boys, 1986
Il primo album dei Pet Shop Boys, e, di fatto, una raccolta di singoli.
Uno stile esistenziale pervaso da un senso di decadenza morale. Orchestrazioni eleganti e un'elettronica sofisticata e mai invadente, e su tutto il canticchiare di Tennant, forbito e un po' snob.
Contiene capolavori come West End Girls, Oppurtunities, Love Come Quickly.
Sublime.

The Turn Of A Friendly Card - The Alan Parsons Project, 1980
Concept album del maestro del prog anni 70 e 80.
Possiede una rara magia: diventa sempre più bello ad ogni nuovo ascolto.
A cavallo tra almeno una decina di stili diversi, arrangiato alla perfezione, vellutato, solenne, ispirato, vertiginoso.
Cantato e suonato come mai più gli è riuscito, nemmeno col conclamato Eye in the sky.
Un faro illuminante.

Hanno Ucciso L'Uomo Ragno - 883, 1992
Un signor disco che, pur prodotto da mr. Cecchetto (noto per la sua mancanza di buon gusto), è assai meno commerciale di quanto oggi non si voglia riconoscere; questi erano i veri 883 Pezzali-Repetto diretti e schietti e con il portafoglio ancora vuoto.
Dimenticate sonorità ruffiane, canzoni melense o tamarrate da discoteca; qui ci sono solo Max e Mauro che raccontano con schiettezza esperienze e momenti che tutti (sì, belli, anche voi) abbiamo vissuto.
Otto pezzi indimenticabili (tra tutti, Con un deca, Sei uno sfigato, Te la tiri) e una variazione sul tema.
Nostalgico.

The Wall - Pink Floyd, 1979
Attuale come trent'anni fa.
Un'opera colossale e del tutto autonoma.
È il solo disco dei Pink Floyd che posseggo, ma è più che sufficiente.
Dopo questo album, potevano anche chiudere bottega e salutare, perché meglio non avrebbero potuto fare. Difatti.
Comfortably Numb, Mother, Another Brick in the wall sono delle urla a cui non è possibile restare indifferenti.
Completo.

Communards - The Communards, 1985
Lotta durissima con Age Of Consent dello stesso Jimmy Somerville.
Apparentemente destinato alle dancefloor gay, è un disco magistralmente suonato e che integra pop, dance, jazz, critica sociale e impegno politico.
I Communards si autoestinguono appena tre anni dopo, ma lasciano dietro di sé questo indimenticato, piccolo capolavoro.
Disenchanted, You Are My World, Heavens Above sono tracce che qualsiasi autore pop avrebbe voluto incidere.
Sentimentale.

Quadrophenia - The Who, 1973
Concept album maturo, solido e sfaccettato.
Ribolle di pura energia rock (The punk and the Godfather, 5.15, The Real me), vive di ballate poetiche (I'm one, Cut my hair), a volte mirabilmente fuse all'interno dello stesso brano (Sea and Sand, Doctor Jimmy).
Geniale il ricorso a quattro temi musicali ripetuti che esprimono la poliedrica (anzi, quadruplice) personalità di Jimmy, il protagonista di questa storia mod.
Irraggiungibile.

venerdì 29 agosto 2008

Wir fahr’n fahr’n fahr’n auf der Autobahn


Chiudo gli occhi e li vedo.
Ralf Hutter e Florian Schndeider da piccoli, seduti sui sedili posteriori delle rispettive Volkswagen dei risperttivi papà.
Capelli cortissimi e camicie bianche.
Ascoltano le cassette Stereo8 di Wunderlich nei lunghi viaggi in autostrada verso i nonni di Monaco o verso le vacanze in Adria.
Poi, un balzo di vent’anni. Eccoli poverizzare Goethe, anche lui con quell’antico vizio tedesco di raccontare ogni proprio spostamento, e raccontare solo della striscia della mezzeria, del sole e delle banchine laterali verdi d’erba.
Ripetono wir fahr’n fahr’n fahr’n auf der Autobahn, senza mai dire dove stanno andando, senza mai dichiarare una meta.
A un certo punto del non-viaggio, nel bel mezzo della loro sublime suite tecnoautomobilistica, i Kraftwerk hanno un colpo di genio e accendono l’autoradio e l’autoradio sta trasmettendo, circolarmente, il loro stesso brano così i quattro (tra i quali spiccava, come un cane in chiesa, il barbuto e lungocrinito Klaus Roeder) possono godere doppiamente del consumo di chilometri e benzina lungo un’autostrada senza fine, narrata nei suoi tratti salienti con forme basilari: linea retta della mezzeria, cerchio del sole, rettangolo del frontalino dell’autoradio.
Una rappresentazione talmente involuta che non riesce nemmeno a considerare (né se ne preoccupa) il mondo ulteriore, quello che c’è al di là delle banchine erbose e al di fuori della Germania Ovest.
Come dalla copertina, sull’autostrada viaggiano solo una Mercedes e una Volkswagen.
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