Non ricordo, onestamente, che i grattacieli di NY mi abbiano mai procurato vertigini... ma il complesso delle Cuatro Torres, all'estremità nord del Paseo de la Castellana a Madrid al quale dedicai un pomeriggio dello scorso luglio, caldo e asciutto come un pezzo di ferro lasciato sotto il sole, sì.
Non sono altro che quattro palazzi che ospitano uffici e un albergo... eppure, mi hanno fatto un'impressione che nessun altro edificio mi aveva mai procurato.
Ogni volta che le guardo, tanto più che mi ci avvicino, muovono qualche corda nascosta dentro me, e una parte di me che neanche sapevo esistere, inizia a vacillare e ad accendere segnali d'allarme.
Nessun giramento di testa... ma solo irrazionale, incontrollabile timore.
I giganti di vetro e cemento hanno personalità ben definite, e si spalleggiano, anche otticamente, a vicenda.
Sono disumani e taglienti.
Ostici e monolitici.
Ma hanno una loro sinistra bellezza, ed è quella che mi spinge ad avvicinarmici sempre di più.
All'inizio, immersi nella calura domenicale, sembrano far parte di qualche progetto ancora da completarsi, tanta è la mancanza di vita che li avvolge.
Gli giro intorno alla lontana, come si farebbe con un animale pericoloso, come si accostavano i proto-uomini al monolito in 2001. Cerco di scorgere un qualsiasi movimento umano dietro i cristalli azzurrati, ma non si muove niente.
E poi penso: non è l'idea di qualcuno che possa osservarmi da dietro i vetri che mi inquieta. È l'edificio stesso che mi osserva.
Cammino in uno scenario urbano privo di connotazioni, in pieno sole, accorgendomi di quanto le quattro torri cambiano in continuazione aspetto col variare del mio angolo di visuale.
Li aggiro, li fotografo, mi apposto a distanza su una collinetta di un parco che qualcuno ha voluto costruire proprio qui, popolato da corridori della domenica e occasionali passeggiatori.
Quindi decido di affrontarli di petto, e mi incammino deciso verso le loro fondamenta.
E scopro un habitat che sembra pensato per attirare l'uomo: gazebo d'alluminio e marmo nero, spianate di cemento con aiuole perfettamente curate, fontane geometriche e sculture, stendardi che sbattono furiosamente nell'aria surriscaldata del primo pomeriggio e che rompono il silenzio irreale.
Guardo uno dei giganti che svetta immenso sopra di me e mi viene – del tutto irrazionalmente – da pensare: è una trappola.
Ma se di trappola si tratta, sembra disattivata. Arrivo fino alla base dei giganti, appoggio le mani e la fronte alle grandi porte di vetro e sbircio dentro atri luminosi, ingressi regolati da lucenti tornelli elettronici, pavimenti lucidati a specchio, ascensori dalle porte levigate d'alluminio... e neanche la più risicata presenza umana.
Le altre tre torri si lasciano avvicinare con la stessa facilità, qualche altro mio simile è venuto qui a fare la sua passeggiata domenicale, un uomo con una piccola compatta digitale, due belle ragazze dalle gambe nude venute a parlare qui sotto sicure di non venire importunate.
Le mie scarpe non producono praticamente nessun rumore sulla spianata d'asfalto resa lucente dal sole – aliena da qualsiasi cicca di sigaretta o altri segni di passaggio umano – mentre, naso in aria, scatto le mie foto e socchiudo gli occhi per il riverbero e che le facce di vetro delle torri riflettono e moltiplicano.
Salvo sulla memory card tagli e prospettive e linee che nessuno mostra di Madrid, ma che io vi riporto qui, perché le guide possono anche far finta che questi giganti non esistano, ma ci sono... e osservano tutta Madrid come quattro sentinelle di vetro e acciaio.