giovedì 26 gennaio 2012

[Re-brand] DC Comics.


Qualche giorno fa, la DC Comics, una delle più importanti e attive case editrici di fumetti al mondo, ha presentato il suo nuovo logo... suscitando tra designer, fumettari e anche tra chi non fregava nulla di design o di fumetti, un piccolo vespaio di polemiche.
E, visto che di design e di fumetti mi interesso pure io, eccomi a parlarne (come se non bastassero già i tanti che sulla Rete dicono la loro).

Come grafico professionista, parte del mio lavoro è quello di osservare il lavoro degli altri, per cercare di capire cosa funziona, cosa non va e ciò che è veramente spazzatura.
Le critiche sono una parte del processo creativo, come dicono quelli bravi… quindi diamo un'occhiata a questo nuovo logo DC.

Anche se non condivido questo trend, nel mondo aziendale l'aggiornamento di un logo ogni cinque anni è un evento sempre meno raro.
A volte, i cambiamenti sono così sottili che sfuggono alla maggior parte dei consumatori, e si parla di aggiustamenti: quanti di voi, ad esempio, si sono accorti che un paio d'anni fa il logo Peugeot è stato ristilizzato?

<La font è apparentemente la stessa, ma ora ha una spaziatura più ampia, la silhouette del leone si è fatta più aggressiva, è scomparsa la lingua dalle fauci, la coda è più piccola.
Altri ammodernamenti sono più marcati, ma sempre rispettosi delle origini: è il caso di Starbucks, che manteneva inalterato il suo logo da quarant'anni, o di Apple, che in vent'anni di storia ha solo perso la colorazione arcobaleno.

Occasionalmente, quando una società vuole essere vista in una luce completamente diversa o quando la sua attenzione si sposta da un settore specifico a un altro (o più ampio), il logo è oggetto di una completa rilettura.
Alcuni di essi, come il recente redesign del logo di Sky, sono un successo… altri, come il tentativo di rebrand di Gap, talmente sbeffeggiato da costringere l'azienda a tornare sui suoi passi, sono dei fallimenti completi.
E DC che strada ha scelto?
Quella del reboot totale.
E io cosa ne penso?
Che poteva andare anche peggio.

Cosa va... e cosa non va.
La prima cosa che mi colpisce è che è un logo abbastanza pulito, che credo possa funzionare piuttosto bene su tutti i media non cartacei, come un'homescreen, un dispositivo e-reader, un'animazione prima di un film… e credo che non sia affatto casuale, considerando che parecchia della produzione DC Comics si stia spostando sul digitale.

Non sono convinto che la "pagina che sta per essere voltata" stilizzata nella D funzioni così bene come i progettisti del logo probabilmente pensavano… personalmente, mi ricorda di più un adesivo mezzo scollato.
La C mi pare troppo coperta dalla D, ma richiama il concetto di "scoperta", di aspettativa. E se a una pagina voltata si voleva sottintendere, l'angolo tondo della D non è proprio il massimo.
Diciamo che alla base c'è un concetto interessante che è un po' inciampato nell'esecuzione.

Sul precedente logo non avevo un'opinione precisa… ma ora, osservandolo meglio, non riesco a non trovarlo privo di personalità (potrebbe andar bene per un dentifricio, un detersivo o anche per delle scarpe per bambini), e di certo il vecchio "bullet" creato da Milton Glaser aveva un fascino che il suo successore non ha mai avuto.
Ma non si può vivere sempre nel passato, giusto? Non ci sarà una nuova stagione di Lost. Non avremo mai più un nuovo film con Marylin Monroe o un nuovo disco dei Beatles. Sono andati. Finiti. E il "bullet " non apparirà mai più sulle copertine di un fumetto di Batman o di Superman: sic transit gloria.

Magari alcuni di voi noteranno che nemmeno il vecchio logo richiamava i fumetti in alcun modo: e avete ragione.
Ma, dando uno sguardo ai loghi di altre note case editrici di fumetti (qui sotto ho raccolto solo alcuni tra quelli circolanti in Italia, ma all'estero è la stessa solfa), non sembra essere una condizione imprenscindibile:
Non ci avevate mai fatto caso, vero? In effetti, il nuovo logo DC è, tra i tanti, quello che più cerca di avvicinarsi a ciò che rappresenta.

Poi abbiamo la font. È il Gotham, prodotto dalla fonderia digitale Hoefler & Frere-Jones (e, no, non ha niente a che vedere con Batman).
Che non sarebbe di per sé una brutta font, ma, per come è stata integrata col resto del logo, sembra più un'aggiunta dell'ultimo momento che non parte di un progetto coerente. Inoltre, nella sua declinazione Entertainment, il blocco di testo appare particolarmente squilibrato:

Quando un logo viene preso in antipatia, le somiglianze degradanti si sprecano.
La confezione di un preservativo che sta per essere aperto o un grande adesivo che viene scollato dal sedile di un water sono solo un paio di quelle che potete trovare in giro.

In conclusione?
In conclusione, non si tratta di un logo entusiasmante, ma neanche della cosa peggiore concepibile (vi invito nuovamente a guardare quelli della concorrenza).
Pur con i suoi limiti, il nuovo logo aziendale DC è pulito, moderno e funziona bene nelle applicazioni digitali… così come in una vasta gamma di prodotti in licenza (abbigliamento, giocattoli, alimentari) dove il logo appare come come detentore dei diritti.
Poi, certo, su ognuno avrà un impatto emotivo diverso… e sarà questo, come in parecchie altre cose, a contare.

Per aiutarvi a farvi un'idea vostra, ecco alcune declinazioni del logo.

martedì 24 gennaio 2012

Global market. Anzi, no.

È il 2012. Torniamo a parlare un po' della pubblicità e dei suoi meccanismi per fregarci a tutti.
Ricordate che per fregare gente diversa, appartenente a posti e culture diverse, non potete usare lo stesso trucco: non funzionerebbe.
Superstizioni, divieti, preferenze cromatiche, comandamenti religiosi o semplici antipatie. Se la Coca Cola che compare nei frigoriferi di tutto il mondo, compreso il vostro è la stessa, state pur certi che a portarcela non è stato lo stesso spot.
Perché, in barba alla favoleggiata sintassi del linguaggio globale, per adattare una pubblicità ad un determinato paese, il pubblicitario deve calibrare tutto daccapo: i colori, gli slogan, i riferimenti, persino i caratteri tipografici delle etichette.
Il DNA del mercato in questione viene monitorato nei minimi particolari, e la campagna viene ricostruita da hoc. Come?
Il primo elemento che deve superare l'esame delle agenzie pubblicitarie è il nome.
Il dentifricio Colgate si chiama così dappertutto, pur se pronunciato in maniera diversa dall'utente finale. Ma l'ammorbidente tedesco Perwoll da noi è diventato Perlana.
E Algida diventa Frigo in Spagna, Eskimo in Austria, Croazia e Slovenia, Miko in Francia, Olà in Portogallo... e ha nomi ancora diversi in Cile, Danimarca, Svezia, Canada, Ecuador.

Il nostro yogurt Vitasnella è diventato Desnatados in Spagna, Shilouette in Canada, Ser in Argentina, Corpos in Portogallo e Dannon Light negli Stati Uniti.
E per reclamizzarlo, in Polonia mettono l'accento sullo sport, in Francia sul benessere e in Argentina sull'estetica.
Ma più che un tocco di finezza spesso è una necessità, pena un imbarazzante flop del prodotto. Negli anni settanta la Fiat, quando esportò la sua Ritmo in Inghilterra dovette commercializzarla col nome di Strada: qualcuno ebbe il buon senso di far notare che nei paesi anglosassoni Ritmo vioene indicato come slang per indicare il ciclo femminile.
E non è un caso isolato: in tempi più recenti, l'Alfa 164 diventò in Cina Alfa 168, perché il 4 laggiù è un simbolo di morte.
In Volkswagen, invece, sottovalutarono il cambio di nome della Jetta sul mercato italiano. Per i tedeschi, Jetta richiamava la velocità e la potenza di un jet, ma da noi sembrò evocare maleauguranti presagi.


Ma non c'è solo il nome.
Adeguamenti delle campagne pubblicitarie vanno da motivazione economiche ad altre più culturali. La campagna Shadow dei diamanti De Beers è apparsa in tutto il mondo, Italia compresa, con un profilo di una mano femminile su cui brillava un semplicissimo solitario.
Tutto il mondo... tranne che in Arabia Saudita e in Giappone.
In Arabia, il solitario non lo regalano nemmeno per il primo dentino.
E così, la shilouette della mano ha lasciato il posto a quella di una donna con un'intera paure di qualche etto.
In Giappone, invece, è stata adottata una versione più colorata di quel layout: a quanto pare, i giapponesi trovavano tutto quel bianco e nero tropo funereo.
E ancora: qualche mio collega ha dovuto mettere le mani anche sulla modella Almudena Fernandez, fotografata per il profumo Organza di Givenchy con un abito bianco scollatissimo e a seni scoperti quel tanto che bastava ad intrigare il pubblico europeo... ma assolutamente inadatta al mercato mediorientale, dove la campagna è apparsa con la modella rivestita fino al collo e con le braccia intrecciate sul petto in una posa castigata.
Sempre restando nei paesi islamici, Swatch ha avuto un grosso problema con la croce svizzera nel suo logo. Niente croci e quindi niente logo sui suoi orologi commercializzati laggiù.
E in Francia, in base alla legge nazionale sulla protezione della lingua, lo slogan universale di Swatch Time is what you make of it è stato diligentemente tradotto in Le temps c'est ce que vous en faites.
E ancora: in un Paese governato da partiti conservatori, bisogna dosare con parsimonia il rosso, che richiama la bandiera comunista. I solari Coppertone negli Stati Uniti puntano sulla salute della pelle mentre in Italia insistono sull'aspetto bellezza. La campagna di Bates italia per il tè Twinnings era composta di spot molto old england, con dialoghi di humor tipicamente britannico, ma che in Inghilterra non avrebbero avuto senso perché là il Twinng è già un'istituzione. La campagna Absolut declinata negli USA prevedeva riferimenti alle tradizioni della Louisiana, del Kentucky, dell'Illinois, dell'Arkansas, mentre quella pensata per l'Europa vedeva la sagoma della bottiglia di vodka comparire in un vicolo di Napoli, in un mosaico di MIrò a Barcellona, davanti una fontana a Roma e così via.
Ma i fattori che influiscono di più sul linguaggio pubblicitario sono i codici di autodisciplina, i dettami religiosi e politici, il comune senso del pudore e - naturalmente - le abitudini di consumo.
Pensate sia facile pubblicizzare uno shampoo in una nazione in cui i capelli della donna non possono essere mostrati?
Lo stesso discorso vale per gli alcolici, le sigarette o l'utilizzo dei bambini negli spot. Esiste una specie di deontologia che influenza l'esecuzione dell'idea creativa. Prendete le campagne delle assicurazioni private: in Italia mostrano scene di vita quotidiana, con un clima sicuro e tranquillo. Spot edulcorati, mai troppo espliciti, men che meno violenti. Perché?
Perché da noi, vecchiaia e malattia sono guardate con angoscia.
Negli Stati Uniti, invece, il messaggio è molto più forte e diretto: vi dice con chiarezza quello che potrebbe succedervi se non provvedete in tempo con una polizza.
Questo porta al tipico sdoppiamento del pubblicitario italiano, spesso costretto a studiare un doppio spot: quello da cliente fondamentalmente buonista dove tutto finisce in gloria, e quello da mostrare ai colleghi stranieri, dove l'eroe rischia almeno un occhio nero.
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