giovedì 26 aprile 2012

Di Photoshop, della realtà e della verità.


La fotografia è verità.
Questa frase di Jean Luc Godard riassume la percezione che ha caratterizzato questa forma d'arte fin dalla sua invenzione, nel 1826.
Rispetto alla pittura, la fotografia è sempre stata considerata uno strumento che restituisce la realtà inalterata.
In realtà, la fotografia si è sempre basata sulla mistificazione.

Fin dalla prima fotografia (scattata da Nicéphore Niepce in un cortile francese) agli spettatori è sempre stato un punto di vista confezionato dall'artista.
Potrà anche non piacervi, ma questa è la prima fotografia della storia, o almeno quella ritenuta tale. E no, non c'era Christina Aguilera discinta sottomano, Purtroppo.

In ogni fase della procedura, dalla composizione alla stampa, i fotografi affermano la loro personale versione di ciò che è accaduto davanti l'obiettivo.
Illuminazione. Trucco. Inquadrature studiate. Modelli. Fino a ieri, questi strumenti erano utilizzati dai fotografi per ottenere un determinato impatto nell'immagine finale. Photoshop non è che l'ennesimo, definitivo strumento che va aggiungersi al loro arsenale.

Già durante la Guerra di Secessione americana si intimava ai fotografi di ritrarre l'una o l'altra parte in una luce più favorevole, e Stalin fece rimuovere interamente Trotsky da una fotografia allo scopo di allontanare il suo avversario da Lenin.

Trotski? Trotski chi?

Oggi l'utilizzo di Photoshop nel settore è onnipresente.
La tecnologia digitale viene utilizzata per la presentazione di qualsiasi immagine. È raro (e lo sarà sempre di più) imbattersi in una fotografia non ritoccata. Scattare le fotografie è solo metà della procedura: Photoshop è parte integrante del metodo di lavoro. Inoltre la sua trasformazione da strumento professionale a software di massa (quanti di voi là fuori possedete una copia pirata di Photoshop sul vostro hard disk pur senza essere professionisti del settore?) ha rappresentato una vera e propria pietra miliare nella democratizzazione della tecnologia.

E ora che chiunque possiede un computer e disponga di un filo di manualità e di buona volontà e ha scoperto la relativa facilità di ritoccare le foto di famiglia, ci si comincia ad interrogare sull'entità degli interventi utilizzati dai professionisti.

Da taluni, Photoshop viene considerato un'arma per ingannare la società... e in parecchi casi, questa gente ha le sue ragioni. Ma ritoccare una foto non significa necessariamente allungare di cinque centimetri la coscia di una modella per farla apparire più slanciata e migliorare così l'effetto dell'abito che indossa e che quando lo andiamo a comprare noi non ci fa quell'effetto da semidea. Può significare anche esaltare dei dettagli che un'esposizione sbagliata aveva mandato perduti, raddrizzare un'inquadratura sbilenca, correggere un taglio che includeva elementi di disturbo o inserire l'immagine di un prodotto.

La posizione di chi si oppone al ritocco delle immagini si ricollega, se vogliamo, all'idea modernista della fotografia "pura", in base alla quale l'immagine – caratterizzata da una veridicità e da una bellezza senza tempo – nasce in qualche modo "dentro" la macchina fotografia e non può e non deve essere ritoccata in seguito.

Potete essere d'accordo o meno con quest'idea dell'immagine intoccabile, ma sappiate che è un dilemma ben antecedente alla tecnologia digitale.

Nel corso della storia, molti prestigiosi fotografi hanno impiegato il fotoritocco a fini creativi. John Heartfield creava micidiali fotomontaggi satirici antinazisti e Man Ray si costruì un'intera carriera basata sulla tecnica di solarizzazione.

QUI trovate un breve tutorial su come replicare in Photoshop la tecnica che Ray inventò in camera oscura: stesso fine, strumenti diversi.
Heartfield e Ray non facevano altro che manipolare le immagini, esattamente come facciamo oggi con Photoshop. Chiunque riconoscerebbe che le loro tecniche ebbero effetti straordinariamente espressivi e illuminanti: eppure, all'epoca erano considerate eresie.

Naturalmente, esiste una differenza tra la fotografia artistica e il fotoritocco ai fini meramente estetici che tanto manda in bestia le femministe meno illuminate.
Gruppi come Bodywhys hanno messo in piedi campagne contro quella che considerano la rappresentazione irreale di modelli irraggiungibili: ciò che gli adolescenti vedono nelle fotografie pubblicitarie (ma anche non) non è l'immagine reale, quindi non devono tentare di imitarlo nella propria vita, sostengono.
Il che è un punto di vista sensato, ma, da sempre, la pubblicità è mistificazione, e non è un segreto. Onestamente, non bisogna essere troppo smaliziati per sapere che è la comunicazione pubblicitaria basa parecchi dei suoi meccanismi di persuasione sulla finzione.
Tanto più quando il trucco è talmente esasperato da renderlo impossibile da accostare con la realtà.

A volte i clienti vogliono esagerare deliberatamente. Nel 2000, o giù di lì, realizzai il calendario dell'ormai defunto gruppo delle Lollipop, e applicai, più per gioco che per altro, un effetto di sfocatura sulla pelle di una delle ragazze, fino a darle un effetto di plastica levigata. Alle Lollipop piacque così tanto che mi chiesero di applicarlo a tutte le fotografie del calendario.
Rughe? impefezioni? Occhiaie? Donne: è arrivato Photoshop. 

Forse esistono dei casi in cui il ritocco è eccessivo... ma generalmente, l'etica non c'entra nulla. Per noi è soltanto un lavoro.
A sentire altri miei colleghi, invece, l'impiego massiccio di Photoshop nella pubblicità ha eroso la fiducia del pubblico e sta influendo sulla sua capacità di distinguere tra realtà e finzione... e questo temo sia vero se riferito alla fotografia giornalistica. Se ormai parecchi di noi si rendono conto che la pubblicità dei prodotti di bellezza impieghi immagini pesantemente ritoccate (e qui, sì che servirebbe un limite), in altri campi non siamo affatto consapevoli dell'entità della manipolazione.

E quindi?
Qualcuno ha proposto l'introduzione di una filigrana digitale che segnala chiaramente a chi guarda che l'immagine è stata ritoccata. Un simbolo per distinguere, ad esempio sui giornali ma anche sul web, le immagini "autentiche" da quelle manipolate.

Ma quanti hanno interesse nel farlo? I giornali preferiscono che questo confine sia sfumato, per avere maggiore flessibilità nel layout. Il reparto fotografico di qualsiasi quotidiano si ritroverebbe con un grosso carico (e di responsabilità) di lavoro in più. Senza contare l'impatto che avrebbe sulla pubblicità: se ci abituassimo a fidarci solo delle immagini contrassegnate come reali, quale potrebbe essere il futuro delle campagne con fotografie ultra-ritoccate?

Una soluzione potrebbe consistere nel distorcere le immagini in modo talmente massiccio da lasciare solo un tenue legame con la realtà... e conquistare il pubblico proprio con al stranezza delle immagini digitali.
Noi pubblicitari utilizziamo ogni stimolo possibile per suscitare una reazione. Nel giro di pochissimi decenni, abbiamo condotto una vera e propria escalation di alterazioni digitali producendo immagini sempre più slegate dalla realtà... al fine di affascinare e stimolare reazioni inconscie che portano all'acquisto di beni o servizi.

E la psicologia ci ha aiutato in tutto questo. Ci ha suggerito che occhi grandi fanno apparire una donna vulnerabile, che una bocca piccola la fa sembrare carina.
Va bene, qui ho esagerato. Ma il concetto è questo.

Quasi nessuno, ormai, presenta la realtà in pubblicità, ma un'interpretazione riveduta e corretta: invita chi guarda ad entrare in un altro mondo, dove è tutto perfetto, coerente, funzionante.
Uno degli effetti collaterali indesiderati di questo modo di approcciarsi, è la convinzione crescente che tutto può essere realizzato in fase di post-produzione, a discapito dell'idea originaria alla base di uno scatto fotografico.
Mi è capitato di vedermi arrivare fotografie assolutamente ordinarie e di sentirmi chiedere di ambientarle in posti esotici. Alcune composizioni di questo tipo sono ridicole e tutt'altro che convincenti.
Senza contare che Photoshop viene spesso erroneamente considerato una facile scorciatoia per risparmiare denaro. Invece di commissionare un costoso servizio fotografico in esterni, ai designer viene chiesto di rielaborare immagini di repertorio acquistate sugli stock image un tanto al chilo.
Io sono il primo a riconoscere la comodità degli stock image... ma anche che possono ridurre la fotografia ad un supermarket, dove entri, ti fai un giro per le corsie, metti nel carrello quello che ti serve e poi passi in cassa.
E la professionalità? Un optional.
Le opportunità di lavoro? Drasticamente ridotte.

Come ogni altra tecnologia, l'impiego massivo di Photoshop ha aperto nuove strade ma ne ha chiuse altre.
Si può tornare indietro? Io non credo.
E anche: signora mia, ma allora dove andremo a finire?
In un mondo dove l'utilizzo di Photoshop sarà dato per scontato: esattamente come adesso diamo per scontato l'uso di Google per cercare qualsiasi cosa, pratica che ha rivoluzionato le nostre vite ancor più che cancellare gli occhi rossi da una fotografia.
Il fatto è che molte di queste polemiche sono legate al nostro concetto di "realtà" e "verità", e (giustamente) drizziamo le antenne ogni volta che appare una minaccia, reale o presunta, all'integrità di questi concetti.
Poi, dovremmo stabilire cos'è veramente la realtà o la verità... ma questa è materia per filosofi, e io, che sono solo un designer e neanche tra i più bravi, non ci addentro.

Buonanotte.
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