Visualizzazione post con etichetta storie di grafici. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta storie di grafici. Mostra tutti i post

venerdì 16 dicembre 2011

Graphic Wars!

Sono le sette di sera, sono seduto dietro la mia scrivania in agenzia e sto pensando che forse, per una volta, riuscirò ad uscire di qui ad un'ora decente... quando si affaccia il boss nella mia stanza.
"Aspetta ad andartene. Hai presente la convention di [nome gigantesco cliente]?"
Io (alzando un sopracciglio): “Quella che ci sarà tra due settimane, a ridosso di Natale?”
Boss: “Quella. Solo che non ci sarà tra due settimane, ma la prossima. Chiudono anticipatamente gli uffici e così dobbiamo consegnare le grafiche stasera allo stampatore
.
Io: “Ammiro sempre la disinvoltura con la quale dici dobbiamo quando in realtà sono io che devo farmi tutto il culo".
Boss: “Quale segno di buona volontà voglio offrirti un regalo: questo stagista
.
E introduce nella stanza un giovane grafico di belle speranze che abbiamo preso per essere iniziato ai segreti di questo ingrato mestiere.
Giovane Apprendista: “Che cosa ha detto?”
Boss: “È un buon lavoratore e ti servirà bene”.
Giovane Apprendista: “Non è possibile! Questo è il messaggio sbagliato!”
Io: “Ah, bene. Nuove acquisizioni. Sei un co.co.pro, non è vero?
Giovane Apprendista: “Sono Matteo
.
Io: “Rispondi solo "sì" o "no”.
Giovane Apprendista: “Oh be', sì”.
Io: “Bravo! Adesso usa la Forza!”
Giovane Apprendista: “?? In che senso??”
Io: “Dammi una mano a preparare 'ste cavolo di grafiche. Mi pareva troppo bello che erano le sette e il telefono non squillava più".


Dopo un po', si affaccia la centralinista e ci fa: "Noi andiamo a fare l'aperitivo. Venite con noi?"
Io: “No. Abbiamo da fare. E comunque, non ci sarei venuto in quel bar di fighetti con voialtri”.
Segretaria: Brutto idiota, presuntuoso, strapezzente e cafone!”
Io: “Chi è strapezzente?!!”
Sentiamo la porta sbattere e restiamo soli nell'agenzia.
Giovane Apprendista: “Iniziamo subito? Se posso usare il MacPro, dovremmo sbrigarcela in un paio d'ore…”
Io: “Non essere troppo fiero della meraviglia tecnologica che hai sulla scrivania, mio giovane apprendista. La velocità di un MacPro è insignificante in confronto alla potenza della Forza. Come prima cosa, assicuriamoci di avere sulla nostra email un brief che noi stamperemo, possibilmente in doppia copia, con nomi e date ben in evidenza”.
Il discepolo inizia a stampare le email e a spillarle diligentemente, mentre il maestro richiama dal suo hard disk numerosi documenti di Photoshop e di Illustrator.
Giovane Apprendista: “Ehmmm… ma com'è che avere un brief scritto è così importante?”
Io: “Perché il brief scritto dà sicurezza. Esso riempie tutti gli anfratti disponibili ed assicura la continuità tra te e il tuo posto di lavoro, attorno ad ogni layout grafico, fin dentro i desideri del cliente!”
Giovane Apprendista: “Ed è importante?”
Io: “Certo che sì. Senza il brief scritto c’è la paura. La paura porta alla rabbia, la rabbia all’odio e l’odio porta ad usare Windows”.
Giovane Apprendista: “…Ehmmm… pensavo che fosse “porta alla sofferenza”...
Io: “Perché usare Windows non è soffrire?”
Giovane Apprendista: “Uhmmm… Ok...”

I nuovi layout vengono lentamente preparati… quando, all’improvviso l'icona di Entourage nel dock a forma di Morte Nera inizia a saltellare.
Giovane Apprendista: “Aaaaaagh! Adesso che succede?”
Io: “Eccola, è un'email del perfido Darth Account!”
Giovane Apprendista: “Eh?”
Io: “Un account scemo e leccaculo che asseconda ogni ingiustificato capriccio del cliente e lo fa esaudire da noi grafici”.
Giovane Apprendista: “Ed è grave?”
Io: “No, se non ti lasci traviare dal Lato Oscuro e resisti alla sua richiesta di ingrandire ancora il logo”.
Apro l'email e leggo il suo contenuto.
”Hanno cambiato ancora la data della convention. Bisogna correggerla su tutti i materiali declinati. Inviti, cartelline, slide powerpoint, scenografie. Tutto”.
Giovane Apprendista: “Oh, no! Ora non usciremo di qui prima di mezzanotte!”
Io: “Così sicuro sei tu. Sempre per te non può essere fatto. Tu non senti ciò che dico!”
Giovane Apprendista: “Maestro, creare una grafica è una cosa: questo è del tutto diverso!”
Io: “No! Non diverso! Solo diverso in tua mente. Devi disimparare ciò che hai imparato”.
Giovane Apprendista: “D'accordo, ci proverò”.
Io: “No! Provare no. Fare! O non fare. Non c'è provare!”

In un gran aprire e chiudere di documenti e finestre, le correzioni vengono completate su tutte le declinazioni.
Giovane Apprendista: “Sento una vibrazione negativa nella Forza...
Io: “Per forza! Ti sei scordato di ri-tracciare tutte le font sui documenti che abbiamo corretto!”
Giovane Apprendista: “E dobbiamo ritracciarle tutte uno per uno? Non ci riesco, sono troppi!”
Io: “Il numero non conta. Guarda me, giudichi forse me dal numero degli zeri del mio stipendio? Non dovresti farlo infatti, perché mio alleato è la Forza, ed un potente alleato essa è! Illuminati noi siamo, non questo vile denaro!”
Giovane Apprendista: “Tu vuoi l'impossibile! Non posso crederci!”
Io (annuendo grave): “Ecco perché hai fallito”.

Dopo un'altra ora e mezza di attività mouse-Illustrator i pdf sono a posto.
Giovane Apprendista: “Ecco! Abbiamo finito!”
Io: “Aspetta... sento qualcosa... come se tanti file stessero gridando tutti insieme...
Giovane Apprendista (fissando il monitor): “Cacchio! MAILER-DAEMON!! Sono tornati indietro!! La loro casella di posta è piena!!!”
Io: “Non fidarti del computer, segui il tuo istinto...”
Giovane Apprendista: “Ehmmm… (controlla l'indirizzo email e si accorge che era sbagliato. Li rimanda a quello giusto e tutto arriva a destinazione”.
Giovane Apprendista: “Ehi! Ha funzionato!”

A questo punto lo stagista afferra il giubbotto e il casco e si avvia verso l'uscita.
Io: “Giovane apprendista…”
Lui si blocca e si volta a guardarmi.
Io: “Il boss non ti ha mai detto chi sarà il tuo capo per il resto del tuo stage da noi”.
Giovane Apprendista: “Mi ha detto abbastanza: che sarà (nome di altro art)”.
Io (con aria solenne): “No. Io sarò il tuo capo!”
Giovane Apprendista (impallidendo): “No! Non è vero! NON È POSSIBILE!”
Io: “Cerca dentro di te! Tu sai che è vero!”
Giovane Apprendista: “NOOOOOOOO!”

lunedì 24 ottobre 2011

(soprav)Vivere da freelance - parte tre

(segue dai post precedenti)
Nonostante i segnali ricevuti, grossi come l'insegna al neon della Coin sul tetto dell'edificio, accettammo il lavoro e ci mettemmo di buona lena per costruire un preventivo credibile: indicare un unico prezzo finale è poco professionale, fa sembrare la cifra esagerata e il lavoro creativo poca cosa.
Così dividemmo, scomponemmo, scindemmo tutto nei passaggi chiave, usammo termini come "ideazione" e "progettazione" e alla fine arrivammo a un totale di dieci milioni di lire... una cifra che avevamo paura solo a pronunciare, ma solo per l'inesperienza che avevamo.
Alla fine, dopo mille ripensamenti, chiamammo il cliente per comunicargli la nostra cifra.
Ma prima di mostrargli il preventivo, gli dicemmo che volevamo capire se eravamo sulla stessa lunghezza d'onda, perché se lui pensava ad una cifra e noi un'altra allora era inutile mettersi a contrattare, avrebbe trovato di sicuro creativi che si vendevano per la somma che diceva lui.
Mi ero anche preparato la frasetta ad effetto: "In fondo, si può andare a Parigi anche con una Cinquecento, ma se uno vuole la BMW..."
Il paragone elementare serve molto spesso con questo tipo di clienti, e negli anni successivi me lo riciclai più di una volta.
Il tizio, infatti, ci spiazzò rispondendoci "So benissimo quanto sia decisivo il lavoro di un art e di un copy, per questo se mi chiedete dieci vi dò dieci, se mi chiedete venti vi dò venti".
Io e il mio copy ci affrettammo a rispondere con tutta la professionalità di cui eravamo capaci: "Bene, allora ne possiamo discutere perché siamo sulla stessa lunghezza d'onda, al prossimo incontro ti portiamo il preventivo".
Magari anche i Cartier veri si perdono le coroncine di carica, pensai.
Alla fine gli presentammo un preventivo di ventidue milioni, un po' di più dei suoi "venti", tanto per non far vedere che il prezzo lo aveva deciso lui.
Il tizio studiò il preventivo e lo accettò.
"È fatta" dissi al mio collega quando il tizio si allontanò per andare in bagno, "dò fuoco alla Y10 e mi compro la Golf nuova".
"Altro che Golf, io me ne vado alle Maldive con Francesca", aveva ridacchiato lui di rimando.
Altro che vivere del proprio stipendio, la strada era quella.
Però poi scattò un altro campanello d'allarme, che noi due facemmo finta di non sentire: eravamo troppo euforici.
Eravamo nella mia macchina, il cliente seduto accanto a me e dietro il mio collega.
A un certo punto, il tipo mi chiese se avevo il lettore CD nell'auto, perché aveva con sé giusto l'ultimo cd di Sting. Masterizzato. Si girò verso il mio collega e, strizzandogli l'occhio, facendogli "anche se non dovrei dirlo proprio a te".
All'inizio non capimmo, mica eravamo della Finanza. Ma lui si spiegò: "Sai, per via del copyright".
"Sì... beh, ma io sono un copywriter, non c'entro nulla col copyright"... iniziò il mio collega, mentre con un rapido sguardo attraverso lo specchietto retrovisore mi trasmise il primo, vero, gelido dubbio.
Sì, lo so, era abbastanza chiaro il soggetto: ma vorrei vedere voi, con ventidue milioni di buoni motivi a volerlo ammettere.
Non lo ammettemmo e ci mettemmo a lavorare su cinque proposte di campagna, contattammo un'illustratrice che ancora ci ha sul suo libro nero, pensammo, confrontammo, facemmo riunioni e a due giorni dalla consegna del lavoro – e a due giorni dal pagamento – il "Fantoni", indovinate?, si dileguò.
Uscì di scena poco alla volta, un po' piangendo miseria, un po' dicendosi imbarazzato, un po' scaricando la colpa sulla ex moglie – una new entry nei suoi racconti – diventata all'improvviso esosa di alimenti arretrati, un po' pigliandoci per il culo.
E quindi?
Lavoro fatto, ma non consegnato, cliente sparito.
Peccato, anche perché le idee erano buone e avrebbero avuto un buon impatto sul pubblico (un paio me le riciclai anni più tardi, così com'erano senza cambiare nulla tranne il logo).

Per fortuna, non è sempre così.
Quando clienti molto in vista (tipo le banche) vi commissionano lavori anche dai preventivi importanti, siete certamente più tutelati.
Ciò non significa che anche loro non cercheranno di abbassare la vostra parcella: e anche in questi casi professionalità e precisione dovranno essere la merce che venderete, senza eccezioni.
Abozzate un primo preventivo che ricalibrerete solo dopo aver visionato il lavoro, pretendete un rimborso spese nel caso in cui il lavoro non vada in porto, restate a disposizione per lievi modifiche e aggiustamenti se una delle proposte passa.
In ogni caso, non fate mai sconti: la vostra disponibilità potrebbe essere interpretata male. Il cliente potrebbe credere che avete gonfiato il primo prezzo... o che può insistere ogni volta per ottenere cifre più contenute.

venerdì 21 ottobre 2011

(soprav)Vivere da freelance - parte due.

Continua la mia veloce carrellata sul duro mondo del freelance.
Una volta fu un mio collega a propormi un lavoro extra, il primo freelance che mi capitava bello grosso e il primo che non dovevo fare da solo... perché era una campagna vera e serviva una coppia creativa al completo.
Io e il mio copy avremmo dovuto incontrare il cliente (uno che aveva conosciuto in palestra) per un aperitivo alle 21.
Il tempo faceva schifo. Diluviava e l'appuntamento era davanti Gusto.
Arrivammo in contemporanea: io parcheggiai la mia Y10 di seconda mano e l'altro una Volvo familiare da cui scese con l'ombrello aperto raggiungendo con veloci falcate l'interno del locale.
Io mi tirai sulla testa la cartella di pelle imitazione Prada per ripararmi alla meglio; il mio copy, invece, si inzuppò.
Dentro Gusto, superammo lo sbarramento dei camerieri che ci chiesero in coro se avevamo prenotato, facemmo le presentazioni e ci accomodammo a un tavolo.
Il tizio, sulla quarantina portati piuttosto bene, iniziò il suo spettacolo: ci tenne fino a mezzanotte e oltre a raccontarci del suo viaggio negli States, degli eventi che organizzava con università e college, della decisione di comperare casa lì, visto che metà della sua attività si svolgeva oltreoceano, e naturalmente scattò l'invito prima ancora di avercela, la casa in America.
Ci raccontò del suo passato da "giocatore scientifico" di casinò.
Si spacciò per sistemista che non aveva mai perso e che, giocando dieci milioni a sera, era sempre tornato a casa con non meno di sedici testoni, "un sessanta per cento di guadagno netto, avete un'idea?", tanto che ancora oggi diversi casinò gli vietavano l'ingresso e altri provavano ad offrirgli centinaia di milioni per avere il sistema in tasca e lui fuori dalle palle.
Ci confessò che, col socio, non avevano mai valutato ne' proposte ne' minacce.
Ci disse che amava quel mondo non tanto per i soldi, ma per le conoscenze e le amicizie che si facevano e che ora erano il nucleo della sua attività: citò con familiarità attori e calciatori, veline, registi e un paio di politici della maggioranza di governo dell'epoca.
Insomma, una specie di Manuel Fantoni, anche se con un pelo in più di classe.
Io ogni tanto guardavo il mio collega, chiedendomi quanto si stesse bevendo di quell'oceano di cazzate.
In cinque minuti, finalmente, il Fantoni ci parlò del nostro incarico e ci chiese il preventivo.
Era mezzanotte e mezza, ci alzammo e il nostro cliente, ora lo vedevo bene sotto un'alogena puntata su di lui, controllò il Cartier che portava al polso e a cui mancava una delle corone di carica. Esattamente come l'imitazione da venticinquemila lire che avevo comprato io a Porta Portese la domenica prima e a cui era caduta dopo mezza giornata.
"Scusi, ci fa il conto?", fece alla cameriera.
"Certo, ecco qua, sono 30.000 lire".
"Bene", sorrise lui, rivolto a noi "giusto diecimila a testa".
Scambiai una lunga occhiata col mio collega.

Da ricordare: quando una situazione puzza così tanto dall'inizio, non illudetevi che col tempo prenderà di violetta.
(continua)

giovedì 20 ottobre 2011

(soprav)Vivere da freelance - parte uno.

Ogni tanto mi chiedono se, in questo mestiere, renda più vendersi come freelance – e non aver del domani certezza – o cercare di accaparrarsi un posto più stabile possibile – e rassegnarsi a uno stipendio mensile magari non esaltante.
Naturalmente, non c'è una risposta sempre valida a questa domanda, ma essendomi fatto una certa esperienza in tutte e due le condizioni, qualche buon suggerimento mi sento di potervelo dare... anche se essendo poco incline a salire in cattedra e pontificare, preferisco spargerli qua e là in una breve serie di post a tema, a iniziare proprio da una delle più comune (e spesso ingrate) delle incarnazioni del graphic designer: il freelance che ha già un lavoro, ma cerca di arrotondare, o, magari, anche solo di vivere piuttosto che sopravvivere.

Quando i vostri amici o la vostra ragazza vi chiedono perché diavolo quando tornate a casa riaccendete il Mac e vi rimettete a lavorare, voi rispondete che è perché siete voi che scegliete il cliente, non avete un account con cui interagire (tra le palle), potete sfogare la vostra creatività repressa e avere quelle soddisfazioni che spesso non ottenete "sull'altro" lavoro.
I lavori freelance sono una boccata d'ossigeno, dite, anche a voi stessi. Un'iniezione d'estro. Sono la ciliegina su una torta che non c'è.
In realtà, il lavoro freelance si fa per i soldi.
Soldi extra non si rifiutano mai, specie se lavorate come co.co.pro e siete sottopagati.
E dato che in genere tutti sono sottopagati, tutti ricorrono a questi lavoretti. Il mio primo lavoro freelance me lo passò un amico di mio padre, lui ne aveva per le mani uno molto più grosso. Per me era comunque una gran figata: a conti fatti, mi ci pagavo l'assicurazione della moto per un anno intero.
All'inizio ero disponibile e pure un po' imbarazzato.
Disponibile perché temevo di perdere la commissione. E imbarazzato perché non sapevo quanto chiedere.
Qualunque cifra mi veniva in mente, un minuto dopo pensavo: "Non sarà troppo?"
Dall'altra parte, invece, avrebbero pagato bene il mio sudore, e per questo non erano loro i primi a farmi un'offerta. Io sparai basso per non uccidere nessuno e alla fine eravamo tutti soddisfatti.
Mi resi conto dopo un attimo che mi avrebbero pagato anche il doppio, però ormai era andata: era il mio primo free lance, lo feci quasi tutto di nascosto sul computer dell'agenzia durante le pause pranzo e tutto sommato non me l'ero cavata male. Un annuncio stampa, un po' di fotoritocco e un headline azzeccato mi avevano fruttato quasi quanto un mese di stipendio.
L'amico di mio padre mi raccomandò il pagamento in contanti alla consegna del lavoro, e questa era la parte più difficile, più del preventivo, più del lavoro stesso.
Le parti si studiano perché ognuno teme che l'altro possa dileguarsi col bottino.
Ci demmo appuntamento in un caffé del centro, un rapido scambio di buste, sorrisi un po' di circostanza e fu fatta. Con la promessa da parte mia di restare a disposizione per eventuali modifiche o aggiustamenti.
In seguito, le cose andarono anche meglio di così, come quella volta che vendetti un logo alla prima proposta, duemila euro per un pomeriggio di lavoro, ma anche decisamente peggio.
Dai casi disastrosi in cui ho lavorato per settimane tutti i weekend senza poi vedere un soldo a quelli semplicemente fastidiosi, dove i clienti mi telefonano sul lavoro chiedendomi modifiche più urgenti di una trasfusione di sangue e io mi metto a lavorare sul Mac dell'agenzia senza poter aspettare di farlo a casa. Usare il computer dell'ufficio per le proprie robe è una cosa che fanno tutti, presto o tardi... e ad alcuni mette più ansia che ad altri.
Poi anche questi guardano la loro busta paga, a fine mese. E dopo, si sentono autorizzati a tutto.
(continua)

venerdì 18 settembre 2009

Storie di grafici, 7 - Alla ricerca del tempo perduto.

È un bel pezzo che non vi racconto qualche bella Storia Di Grafici (controllate i tag), non perché non continuino ad accaderne, anzi... semplicemente, sapete com'è, mi sono preso una piccola pausa.
Ma oggi ne ho una per voi assolutamente tipica, un classico oserei dire.
Scommetto che vi è già capitato di lavorare con scadenze impossibili.
Spesso, però, è tutta colpa degli account: gli account hanno sempre colpa di qualcosa.
Probabilmente è da imputare a loro anche il buco nell'ozono (non immaginate quanta lacca spray usano) e l'estinzione dei dinosauri (ok, la faccenda è ancora allo studio).
Ad ogni modo...
Sono le 9.30 di mattina e il Mac si sta pigramente avviando quando un'account viola la mia privacy (alle 9.30 ??? che fa qui? chi l’'ha fatta entrare?).
"Ho un problema!”
"Benvenuta nel club più grande del mondo...”
"Non fare lo spiritoso!”
"Non era mia intenzione”.
“Ci è appena entrata una gara per [nomeimmensasocietà]".
“Aspetta, aspetta. Fammi indovinare le tue prossime parole”. Socchiudo gli occhi e protendo le mani in avanti con fare teatrale. “Ecco... vedo... vedo... Tu... stai...per dirmi... che vuoi un visual... entro... l’'ora di pranzo”.
“No! Mi serve tra un’'ora!"
(sempre con gli occhi socchiusi) “E ora... vedo... un AD... che dice... attàccati al cazzo...”
“Non puoi farcela tra due ore?”
“Non ci pensare nemmeno. Ho già abbastanza da fare con [elencosenzafinediclienti]".
“Quando me lo puoi fare?”
“Ecco una domanda sensata. Diciamo per stasera, e comunque aspetto un brief sulla mia email”.
“Ma È TROPPO TARDI!!”
“Senti, non puoi entrare qui la mattina con un lavoro nuovo di cui, per inciso, non so assolutamente niente e pretendere di avere un visual sfornato di fresco in un’'ora. Vedi qui cassetti con su scritto visual geniali già pronti?”
L’'account emette un gemito. “È che non vorrei perdere un cliente così importante”.
“Va bene. Allora cerca di guadagnare un pò di tempo col tuo prezioso cliente”.
“E come faccio?”
“Mi prendi in giro? Telefona al tuo referente, raccontagli qualche panzana – che voi account l’'unica cosa che sapete fare è aprire la bocca e dargli fiato – e posticipa la presentazione a stasera”.
“Ma non so se ce la farò...”
“Questo è un problema tuo, se ci pensavi prima di cinguettare ‘okay, tutto ciò che volete’ al tuo cliente non ti mettevi nella posizione di dover elemosinare qualche ora”.
L’'account se ne va a pensare a quale balla può raccontare al suo preziosissimo cliente senza scatenare incubi terrificanti, ed io vado avanti con il lavoro solito.
Circa un quarto d’ora dopo suona il telefono...
Hola, hai qualcosa da farmi vedere?”
“Sei scema? Sei appena uscita di qui. E poi, mi hai mandato il brief?”
“Ehhhhhmmm.... ma certo"”.
Ancora mentre sta parlando, clicco su Invia e ricevi di Entourage. Non c'è niente.
“Stai mentendo”.
“Eerr... guarda, dovresti averlo ora”.
“Come se non sapessi che me lo stai inviando adesso”.
Dopo un’'ora circa le mando un primo visual.
Hellò, non è male, certo che se gliene presentassi un altro paio sarebbe veramente figo!”
“No. Non ho abbastanza tempo”.
“Ma questo è un cliente veramente importante...”
“Allora digli di aspettare un pò e avrà più visual da cui scegliere”.
“Ma tu ci metti troppo tempo”.
“Devo riaprire il mio cassetto ‘visual geniali già pronti’?”
“Hemmm... non si può riciclare qualcosa di già fatto?”
“Eh?”
“Voglio dire... qualcosa che un altro cliente ha scartato ma che potrebbe andar bene per [nomeimmensasocietà]...”
“L'idea è di certo seducente, ma molto poco professionale, tu cosa ne dici?”
“Il fatto è che abbiamo poco tempo”...
“No, tu hai poco tempo, perché non ne hai preso abbastanza. Diciamo che avresti dovuto consultarti con me, prima di promettere cose che non puoi mantenere”.
“Vabbé, ma, che succede ricicliamo un vecchio visual?”
“Che il mio lavoro ne verrà svilito. Che il cliente se ne accorgerà e non ci darà più lavoro. Che [nomeimmensasocietà] subirà un brusco calo d'’immagine. Fallirà e trascinerà con se migliaia di persone e centinaia di società che si reggevano sul suo indotto. Ci saranno ripercussioni sull'economia mondiale. Il caos dilagherà e il mondo così come lo conosciamo avrà fine”.
“Cerco di ottenere altro tempo”.
“...io e te fineremo entrambi sul marciapiede, io a disegnare Madonne e tu a mercificare il tuo corpo per sopravvivere”.
“Ho detto che ora li chiamo”.
“Brava"”.

mercoledì 9 settembre 2009

Space designer.

Ho letto in uno di questi siti di gossip improbabili che qualcuno manderà nello spazio dodici dj a sperimentare il mix in assenza di gravità.
Saranno spediti in orbita su uno Ilyushin russo e lì si batteranno virilmente per il predominio nella hit-parade cosmica.
Dopo il giornalista spaziale, il miliardario spaziale, ecco il dj spaziale.
E allora io che sono un designer ho pensato al grafico spaziale. Il design in assenza di gravità.
Venti tra grafici e grafiche, solo i più bravi, solo quelli che usano il mouse come una terza mano, che manovrano la tavoletta grafica con la grazia di un Raffaello del ventiduesimo secolo, riacquisteranno ispirazione e creatività, avvieranno Photoshop CS20 e creeranno il Design Defintivo, geniale, senza tempo, in uno stanzone enorme col pavimento luminoso come la stanza Luigi XIV di 2001: Odissea nello spazio e venti Macintosh bianco latte su due file, uno contro l'altro, con venti webcam attraverso cui gli abitanti dello spazio vedranno combinarsi sui monitor colori, font e immagini.
Allora io capirò che i grafici dentro lo stanzone bianco sono gli ultimi esseri umani sulla Terra rimasti a fare questo mestiere ingrato, stremati dai pagamenti a centottanta giorni, dalle Partite IVA inique, dalle assurde e infinite richieste dei clienti e dai siti che vendono loghi a quarantanove euro e novanta.
E quando Ingeborg, grafica ventisettenne di Aarlanderveen, bionda cenere e con gli occhialini, cliccherà su "save" sul suo Mac e salverà sull'hard disk da mille terabyte un manifesto semplice, composto in Helvetica Neue 75, geometrico e perfetto, e gli altri grafici, in maglietta nera e pantaloni sformati coi tasconi si alzeranno unisoni ad applaudire, io capirò che sì: aver fatto questo mestiere, in fondo, era valsa la pena.

giovedì 19 marzo 2009

Storie di grafici, 6 - Non sono stato io, è stato lui

Arrivo in studio abbastanza presto (si fa per dire), mi siedo davanti al Mac e comincio a controllare la posta elettronica e la situazione in generale.
Alle 10.05, ancora prima di essermi potuto sorbire il cappuccino mattutino, arriva l’account A.
Account A: “Ehmmmm... bisognerebbe fare delle modifiche al layout di nomeclientevergognosamentegrande”.
Io:”...e?...”
Account A: “Ehmmm... so che l’aveva fatto Gianluca, ma oggi non c’è...”
Io: “...e?...”
Account A: “Ehmmmmm... mi domandavo se non potessi farle tu...”
Io: “E perché dovrei?”
Account A: “Ehmmmmm... perché sappiamo che sei bravo...”
Io: “...e?...”
Account A: “Ehmmm... e perché in questo momento sei l’unico che può farci rispettare la scadenza.”
Io: (sospirando) “Mandami ‘ste modifiche, appena ho tempo le farò.”
Account A: “Ehmmmmm... veramente bisognava farle ieri...”
Io: (poco impressionato) “Se siete sopravvissuti fino a stamattina, immagino che sopravviverete ancora un po’.”
L’account se ne va non del tutto soddisfatta, ma se n’è appena andata che ne arriva un’altro, che chiamerò, nel rispetto della privacy, Account B.
Account B: (sventolando un fascio di fogli) “Ho bisogno che mi ristampi queste label con un carattere più grande, queste non si leggono bene”.
Io: (stendo la mano)
Account B: (mi dà le label)
Io: (senza parlare getto le label nel cestino)
Account B: (mi osserva esterefatto)
Io: “La lezione di oggi è: ‘sei un mio collega non il mio capo’. Fuori dai piedi.”
Account B: (esce senza proferire una parola)
Ritorna l’Account A.
Account A: “Ti ho mandato una mail...”
Io: “Ma per quale perverso motivo ogni volta che mi mandi un’email poi ti alzi dalla tua sedia e ti prendi il disturbo di farti il corridoio, entrare nella mia stanza e dirmi che mi hai mandato un’email, esponendoti ai miei peraltro giustificatissimi maltrattamenti verbali?”
Account A: “Ma... volevo solo essere sicura che...”
Io: “L’ho ricevuta. L’ho ricevuta. Ecco qua, Entourage ha fatto “ding” prima ancora che tu alzassi il culo dalla tua sedia.”
Account A: (ansiosa) “Vabbè... quanto ci metti?”
Io: “Quanto ci devo mettere. Fuori dalle balle, quando ho finito ti chiamo.”
Dopo un paio d’ore, ho fatto tutte le correzioni, ingrandito qua, rimpicciolito là, ritoccato qua, aggiunto là, tolto qua. Dò uno squillo ad Account A che controlli se va tutto bene.
Dopo un po’ arriva Account A.
Account A: “C’è qualche cosa che non va...”
Io:”Definisci ‘qualcosa che non va’.”
Account A: “Bè, per esempio questo testo contiene dei refusi che mi sembra di ricordare di avere già corretto...
Io: “Non l’ho letto. Ho solo copiato e incollato il file che mi hai mandato. (all’improvviso, sospettoso) Non è che mi hai mandato un vecchio file?”
Account A: (imbarazzata): “Beh... non lo so per certo...”
Io: “Come fai a dire che non lo sai per certo?”
Account A: “Ehmmmmm.... dunque...”
Io: “Non hai una pidocchiosa cronologia dei file che nomeclientevergognosamentegrande ti ha mandato?”
Account A: “non credo...”
Io: “Fammi capire... questa ca**o di brochure ci avete messo quattro mesi a svilupparla, con un fuori-budget e un fuori-tempo secco di un mese, e non c’è modo di risalire ad un fetentissimo file di testo corretto?”
Account A: “non era mio il cliente, era di Account C.”
Io: “E lei dov’è?”
Account A: “Ehmmmm... si sta occupando di un altro cliente.”
Io: “Forse è meglio che prima si occupi di questo, no?”
Account A: (sollevata al pensiero di poter scaricare la patata) “Vado a chiamarla.”
Dopo un po’, arrivano tutte e due.
Account C: “Qual è il problema?”
Io: “Domandalo a lei.”
Account A: “Secondo me, questo è un vecchio testo.”
Account C: “Vedo.”
Account A: “Non credi?”
Le due account guardano me.
Io: “Perché guardate me?”
Account C: “Beh, vorremmo la tua opinione”.
Io: “La mia opinione è questa brochure, che per inciso avrebbe dovuto essere finita già prima di Natale, è un ammasso di testo e tabelle senza nessuna coerenza grafica e priva di scopo. Le account dovrebbero essere sterilizzate per impedirne la riproduzione e il capo progetto eliminato fisicamente.”
Account C: “Veramente al cliente è piaciuta molto”.
Io: “Notoriamente i clienti sono privi di qualsivoglia gusto estetico, esattamente come gli esseri umani nascono privi di branchie.”
Account A: “Restiamo in tema... possiamo riavere il testo nuovo?”
Io: “Certo che no. Ci ho salvato sopra, dando per scontato che tu sapessi cosa stessi facendo quando mi hai mandato stamattina quel file di correzioni”.
Account A: “Cosa comporta?”
Io: “Solo una gran rottura di balle per me, a condizione che Account C abbia conservato il file di testo corretto da qualche parte “.
Account C: (con espressione corrucciata) “Non so con certezza...”
Io: “Ma non sei tu il capo progetto di ‘sta roba?”
Account C: “Sì, ma non ricordo tutti i dettagli...”
Account A: “Vabbé, se ne te occupi tu...” (si dilegua in un nanosecondo)
Account C: “Uhmmmmm... non potremmo controllare sulla posta elettronica di Gianluca?”
Io: “No.”
Account C: “E perché no?”
Io: “Vuoi un motivo? Te ne dò tre. Uno, non è compito mio ravanare tra le centinaia di email che Gianluca notoriamente non archivia in nessun modo e non butta mai niente, catene di sant’Antonio e offerte di Viagra in stock comprese. Due, l’account dell’email di Gianluca è protetto da password e io non conosco la password, e mi sembra anche logico, se no che cacchio di password sarebbe. Tre, Gianluca è in ferie e a quanto ne so, ha spento il cellulare.”
Account C: (visibilmente sofferente) “E allora che facciamo?”
Io: “Dico che il capo progetto sei tu. Tu sei il capo. Prendi una decisione.”
Account C: “È che non vorrei fare una figura del ca**o con nomeclientevergognosamentegrande.”
Io: “Mi stai forse per dire che la Tua Grande Decisione è telefonare a nomeclientevergognosamentegrande e implorare che ci rimandino il file di correzioni ammettendo così che non sappiamo fare il nostro lavoro e pregiudicandoci così commesse future? È questo che stai per dirmi?”
Account C: (sofferente al pensiero che ciò che sto paventando è la pura verità) “Beh... potrei dire che (account A) si è persa per sbaglio il file”...
Io: “Caspita, ottima politica! ‘Non sono stato io, è stato lui’. Sei nata per fare questo lavoro.”
Account C: “Senti, io... vado a parlare con (Account A).”
Io: “Come vuoi. Ma non vi venisse in mente, a voi due vipere, di stabilire di comune accordo che la colpa è dell’ufficio grafico, perché lo verrei a sapere e un attimo dopo sarei nella stanza di (nomeboss) a rovesciare una tonnellata di letame su di voi”.
Account C: (mi guarda come se le avessi letto nel pensiero) “Macché, figurati, ora penseremo a qualcosa”.
Io: “Sarebbe la prima volta in vita vostra”.
L’Account non mi risponde e se ne va ticchettando.
Esito della giornata: la brochure, la cui pubblicazione immediata sembrava questione di vita o di morte, è rimasta ferma un’ altra settimana. Anche dopo che Gianluca è tornato fresco fresco dalle ferie.
In compenso, le account A e B mi evitano ancora più di prima. Almeno questo.

giovedì 6 novembre 2008

Storie di grafici, 3 - Non riproducetevi

Le account non sono stupide: è che le disegnano così. 
Il brutto è che a volte si riproducono. Cioè, fanno figli.
E finché li tengono a casa, chi se ne frega. Ma talvolta, hanno l'infausta idea di portarli in studio, perché quel giorno “propriononsannoachilasciarlo” e “poiècosìpiccoloecarinochenondànessunfastidio”.
Ora, non fraintendetemi.
Non torcerei un capello ad un bambino.
Ma non mi piace che gironzolino in giro mentre lavoro.
Ancor meno sentire le altre account che se ne escono in gridolini tipo ooooohhhhhmachebellinoquestobambinoquiiiii!!!!!
E cominciano a parlargli con la vocina come se fossero dei perfetti idioti.
Uno studio di design non è un posto per un bambino, tutto qui.
Ma a volte, per fortuna di rado, càpitano.
Tempo fa mi è sembrato di vedere qualcosa alto meno di un metro trotterellare per la mia stanza.
Ho subito pensato: oddio, un Gremlin. Allora esistono davvero.
Invece era un bambino.
Un attimo dopo, entra anche l'account-mamma.
“Ti sta dando fastidio?”
“Non lo so ancora. Cosa fa qui?”
“Niente. Dà un'occhiata in giro”.
Lo guardo con sospetto. “Che cosa mangia?”
“Non dovresti chiedermi queste cose. Perché non chiedi come tutti gli altri 'come si chiama' o 'quanti anni ha' o 'che classe fa'?”
“Sì, sì, va bene. Scusa, ho da fare”.
“Certo” fa l'account, con la faccia di chi vuol dire: 'so benissimo che non stai facendo un tubo e ti dai solo delle arie da AD'.
Però esce.
Il bambino no.
Lo guardo e lui ricambia il mio guardo con indicibile sfrontatezza. Mi rimetto al lavoro, e lo ignoro. Prima o poi si annoierà e se ne andrà.
Click, click. click.
Alzo gli occhi e il piccolo essere è ancora là che mi guarda.
“Cosa vuoi?”, gli dico, la faccia di pietra.
“Che stai facendo?”
“Quello che tu non sei tenuto a fare: lavoro”.
“Che stai facendo?”
“Faccio click col mio mouse”.
“Anch'io ho un mouse”.
“Hmm.”
“Ma il mio è meglio di quello là”.
“Ah sì? E perché?”
“Il mio ha un sacco di bottoncini”.
“Ma non mi dire”.
“Però il mio schermo non è così grosso”.
“Finalmente qualcosa in cui ti batto”.
“Che stai facendo?” ripete, e spiaccica la sua mano sul monitor.
“NON toccare il monitor... ti PREGO”.
“E che sarà mai”.
“Scommetto che anche tuo padre fa l'account”.
“Mio papà lavora in ufficio. Mica come te”.
(conto fino a dieci) 
“Ah davvero? E dov'è adesso tuo papà?”
“Boh. In ufficio”.
“Probabilmente sta flirtando con la sua segretaria”.
“Flirrrrtando?”
“Niente, niente, lascia perdere. Ciao”.
“Vuoi vedere cos'ho in tasca?”
“Non me fr... va bene, fammi vedere”.
Tira fuori una gomma mezza masticata. “La vuoi?”
“No. No, grazie.”
“Ne ho un'altra”.
“E dov'è l'altra?”
“Qui”. E la stacca da dietro il mio monitor. 
Spalanco gli occhi tipo Vil Coyote.
Afferro il telefono. “(nomeaccount urlato), vieni SUBITO qui!!!”
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...