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domenica 15 marzo 2020

[the art of] Hiroto Ikeuchi

Hiroto Ikeuchi è un designer giapponese che crea pezzi di moda cyberpunk.
Mescola per lo più parti di tecnologia di recupero assemblandoli in cuffie, respiratori, maschere dalla dubbia utilità – ma dal formidabile impatto estetico.
Continuo a pensare che indossati da una persona comune, magari caucasica, questa roba ha un aspetto un po' ridicolo. Ma addosso questi modelli giapponesi sembrano fighissimi.

mercoledì 8 febbraio 2017

Tecnoretrorevival.

L'iPhone ha appena compiuto dieci anni, come vi avranno già ricordato tanti redazionali e articoli un po' inutili che magari si saranno soffermati su quanto fu dirompente l'impatto che la creatura del compianto Jobs ebbe sul mercato della telefonia cellulare (e della comunicazione mobile più in generale)... ma non è di questo di cui volevo parlarvi.
È che uno degli effetti collaterali dell’introduzione di iPhone (e del suo affermarsi come standard de facto), è stato un inevitabile allineamento dell’estetica di tutti gli smartphone, sostanzialmente dei grossi display neri con un po’ di plastica e di metallo intorno: da spenti e coi loghi rimossi, vi sfido a riconoscere, a colpo d’occhio, uno di questi:

Nei primi anni duemila, invece, era praticamente impossibile confondere una marca con un’altra: i designer di tutto il mondo lavorarono su una quantità incredibile di modelli, forme, dimensioni e finiture. Tastiere, schermi, pulsantini, mascherine, antenne, cerniere, sportellini, grigi, neri, metallizzati, bicolori, stondati, squadrati, a conchiglia, a saponetta, a mattonella, oblunghi, asimmetrici: anche rimuovendo qualsiasi logo, se guardate i quattro cellulari qua sotto sono sicuro che riuscite a distinguere se non il modello almeno la marca.


Ora, veniamo alla trovata dei ragazzi di Curved.
I creativi del sito tedesco (che, tra le altre cose, presentarono uno dei concept basati su Macintosh più belli di sempre, e nessuno che fosse uno a Cupertino pensò di sganciare un centesimo per acquistarlo, produrlo in serie e farci qualche altro milione di dollari), hanno pensato: se Nokia ed Ericsson, che fino all'avvento dell'iPhone dominavano il mercato della telefonia mobile coi loro telefoni cellulari con tastiera fisica e display più o meno monocromatici per qualche bizzarro transfert temporale avessero potuto gettare uno sguardo agli attuali sistemi operativi (Android e Windows Phone) e sulle loro incredibili capacità (connessione veloce al web, un parco sterminato di applicazioni installabili a piacimento, GPS, fotocamere evolute e sensori di novimento)... cosa avrebbero inventato pur di infilarli dentro i loro modelli più venduti dell’epoca (l’immortale Nokia 3310 e l’Ericsson T28)?
La risposta sono stati questo smart Ericsson T28 con sistema operativo Android e un Nokia 3310 con Windows Phone OS (a scelta con un enorme display monocromatico o uno degli attuali OLED che equipaggiano i Lumia): e anche così, confonderli è impossibile.

Il Nokia 3310 smart è stato immaginato equipaggiato con la stessa fotocamera ad altissima risoluzione montata sul Lumia 1020, e, a giudicare dallo spessore della scocca (dai render, identica a quella del 3310 originale), direi che c'è ampiamente spazio per una batteria perfettamente in grado di fornire tutta l'energia necessaria al device anche per più giorni di seguito, specialmente nel caso del modello con display monocromatico (anche se sai che bellezza scattare fotografie da 41 megapixel con un display di quel tipo).

Per quanto riguarda l'Ericsson T28 smart, tutta la parte frontale è sparita ad ospitare uno schermo touch, con spazio a volontà per le applicazioni, i widget e la barra di navigazione Android, mantenendo la caratteristica dello sportellino – che quando è chiuso lo protegge parzialmente mantenendo visibili l'ora, la data e lo stato della batteria.
Naturalmente, la curvatura della scocca ha richiesto un display di vetro sagomato che ne segue lo scalino, e, giusto in alto a sinistra, è possibile notare l'obiettivo della fotocamera frontale per gli inevitabili selfie, ancora non entrati nel fare comune dei primi anni duemila.


Ora, prima di concludere che tutta l'operazione messa in atto da Curved sia poco più che un divertissement un po' fine a se stesso, pensate che lo stesso concetto, in realtà, nell'industria automobilistica, nella moda e nell'interior design è applicato da decenni... e, facendo leva sull'effetto nostalgia, funziona alla grande.
Certo... poi, pochi o nessuno, oggi, sarebbero disposti a rinunciare a uno schermo a colori ad alta risoluzione, fosse pure per godere di una prolungata durata della batteria, ma il concept prevede anche moderni schermi OLED, quindi, in un periodo storico come quello attuale, in cui design e prestazioni sembrano aver raggiunto un livellamento tale in cui è davvero difficile preferire un modello a un altro, un'operazione simile potrebbe funzionare.
Nokia, tanto gli stampi del 3310 ce li hai ancora, no?

giovedì 27 ottobre 2016

L'iMac di Microsoft. E ora vediamo che presenta Apple stasera.


E mentre Apple, giusto stasera cercherà di risollevare le sorti dei suoi computer (siamo al quarto trimestre in calo di seguito, dovuto principalmente alle ormai croniche mancanze di aggiornamento su tutti i Macintosh in listino) – e comunque si concentrerà sui portatili –Microsoft presenta il Surface Studio, un all-in one che non avrà, ve lo concedo, l'eleganza di un iMac, ma che integra tante e tali di quelle soluzioni per il mercato desktop publishing che potrebbe benissimo essere uscito dal team Jobs-Ive.
Surface Studio monta quello che Microsoft dichiara essere il display LCD ad alta risoluzione (28 pollici 4.5k ultra HD per 13,5 milioni di pixel) più sottile sul mercato, 1,3 mm di spessore, ed è accompagnato da Surface Dial, una manopola digitale con feedback aptico studiata per essere appoggiata sul display touch per fornire funzionalità aggiuntive.
Il display, che integra tecnologie come PixelSense e TrueColor per assicurare una precisione elevatissima nella riproduzione dei colori, può essere inclinato con un cerniera a “gravità zero” che lo trasforma in un piano da disegno (utilizzabile tra l’altro con Microsoft Surface Pen) e che promette di sopportare anche il peso di un braccio.






Surface Studio è pilotato da un processore Intel Core i7, GPU Nvidia GTX 980, può montare fino a 32 GB di RAM e ha 2 TB di spazio di archiviazione su disco.

QUI trovate la scheda tecnica completa, e il prezzo per portarsene a casa uno: circa tremila dollari, il doppio di un iMac, e questa è una cosa che pesa come un macigno, pur considerando i contenuti tecnologici e il fatto che è chiaramente orientato ad un'utenza professionale.

Certo, gli iMac hanno uno schermo quasi altrettanto spettacolare, e sopratutto, hanno una mela morsicata sul retro, cosa che per molti è ancora un valore aggiunto a prescindere. E che costoro abbiano ragione o meno, per Microsoft questo è ancora un handicap, per lo meno in certi ambienti.
Il Surface Dial sembra un complemento interessante, ma, per quanto figo, se non verrà pesantemente supportato dai produttori di software (Adobe in prima istanza) rischia di diventare solo un simpatico aggeggillo di contorno.

Microsoft ha indicato che, per il momento, la produzione sarà limitata e che i Surface Studio in pronta consegna per Natale non saranno molti.
Nel frattempo, guardatevi il video di presentazione, e ditemi se non vi viene in mente: cavolo, ma perché non l'ha presentato Apple? 


martedì 2 agosto 2016

Come NON si incrementa il mercato degli eBook.


Ieri ero in libreria, e stavo sfogliando un volume.
Nulla di che, un romanzo del ciclo di Star Wars, senza pretese ma discretamente scritto, una perfetta lettura estiva, trecento pagine e filare.
Lo volto e noto che il prezzo di copertina è un pelo più alto della media, considerando anche il tipo di edizione (copertina morbida senza sovraccoperta). Controllo al volo sullo smartphone, e sul primo dei risultati di Google, leggo che è anche disponibile in ebook a 7,99 euro.


Rifletto: potrei portarmelo in giro assieme l'iPad, del proverbiale profumo della carta posso anche fare a meno (ho tanti altri bei libri a casa, da sniffare in caso di astinenza), risparmio qualche euro su quello che è sostanzialmente un libro "di consumo", quindi perché no.
Così memorizzo la casa editrice (Multiplayer, un nome che dovrebbe essere una garanzia di reperirlo facilmente sul loro store on line), e me ne torno a casa, deciso a comprarne l'eBook appena sono davanti il Mac.
Infilandomi in un percorso a ostacoli, con partenza la mia decisione di acquistare e con arrivo il momento in cui posso iniziare a leggere il libro, che vi vado velocemente a riassumere.

1) Cerco lo store sul sito Multiplayer (che non è, come possiate credere, multiplayer.it.

2) Scopro che è, invece, edizioni.multiplayer.it.
 È uno di quei siti fatti con un template, non brutto, eh, ma, come tutti i siti fati con i template, non un capolavoro di usabilità, e gli strumenti integrati non mi aiutano: per dire, la ricerca effettuata nel campo "cerca" mi porta alla lettura di capitoli singoli del libro, e anche a cliccarci sopra, non c’è modo di comprare l’ebook né ci sono rimandi al suo acquisto.
3) Trovo comunque la pagina col libro che mi interessa, e c’è anche un pulsante “Acquista su”.
 Ci clicco sopra e vengo rimandato alla pagina di uno store, con grafica completamente diversa (tanto che per qualche momento credo di essere finito su un sito farlocco) e leggo che è possibile effettuare solo l’acquisto della copia cartacea.


Ricontrollo: mi trovo sullo store online della casa editrice.
Possibile? Più che possibile: leggo, proprio sotto, la domanda di un cliente che chiede se è disponibile anche una versione ebook, e leggo la risposta di Multiplayer.com: Ciao, mi dicono di no.

Eppure, basta googlare per scoprire che ibs.it – invece – ha in vendita l’ebook di Multiplayer, e mi vedo costretto a concludere che chi risponde a quelle domande non sa neanche cosa abbiano in catalogo.

4) Ad ogni modo, eccomi sullo store di ibs. Leggo sotto la voce “compatibilità”: Tutti i dispositivi.
Il che suona parecchio bene, ma basta spostare il cursore sulla piccola “i” accanto che questo “tutti” NON include, ad esempio, il Kindle... che, diciamo, non è esattamente un e-reader di nicchia che usano una ristretta cerchia di geek, ma uno dei lettori più diffusi al mondo. Ma, dopotutto, io ho un iPad, e quindi decido di procedere all’acquisto.

Anzi, no.
Prima, devo registrarmi sul sito di ibs.it. Tediosa procedura che non si limita a chiedermi il solito username e password, ma anche un mucchio di informazioni personali come codice fiscale e telefono cellulare.

Senza uno di questi dati, niente registrazione, niente acquisto, niente ebook.
5) Accedo al mio conto Paypal per confermare il pagamento, immettendo la mia password, sentendomi privilegiato rispetto chi deve concludere la transazione attraverso la sua carta di credito e deve inserire nome, cognome, numero, data di scadenza, numero di sicurezza, insomma, conoscete la trafila.
6) Scarico l’ebook. Realizzando, pochi istanti dopo, che in realtà non ho scaricato un bel niente sul mio Mac: lo sto solo visualizzando. In altre parole, lo posso leggere sul mio browser, più o meno come un pdf piratato.
7) Quindi, mi metto alla ricerca di una qualsiasi opzione di scaricamento, in un'interfaccia così minimale che alla fine trovo un'iconcina, che appare solo se clicco col tasto destro e solo sulla copertina, che mi suggerisce che posso effettuare il download da lì.

8) Ecco, finalmente ho il dannato eBook, mi dico. Ravano nella cartella download. Non c'è il mio ebook, ma un file con l’estensione .acsm. Di 4Kb.
Che non viene aperto da iBooks, né sul Mac, né sull’iPad... né con nessun altra applicazione.
9) Lancio una nuova ricerca e scopro che i file .acsm sono solo “collegamenti” al vero ebook, o, meglio, una "licenza" per poter scaricare un ebook protetto da DRM (acronimo di Digital Right Management, in sostanza un sistema anticopia).
Adobe lo fa per contrastare la pirateria. Ed è giusto. Peccato che io, pur non essendo un pirata, per poter leggere il mio ebook legalmente acquistato sul mio iPad profumatamente pagato, devo ancora faticare parecchio. 
10) Scarico il software (free) Adobe Digital Editions, e lo installo sul mio Mac.
E potrei anche pensare di iniziare ad usarlo, ma in realtà l'uso di questo programma va autorizzato. E sono sicuro che c'è un motivo anche per questo, ma, insomma, avete capito, non fatemi commentare.

11) Per autorizzare Adobe Digital Editions, Adobe pretende un account aperto sul suo sito. O così, o niente.
Così apro un account Adobe, e autorizzo la mia copia di Adobe Digital Editions con l'account appena creato (Help>Autorize Computer).
12) Sto vedendo la luce in fondo il tunnel. O, meglio, credo di vederla. Apro il file .acsm con Digital Editions, e scarico il mio ebook.

13) Cerco il file ePub generato da Adobe Digital Editions (Su Windows: \My Documents>Documents>My Digital Editions, su Mac: Users>[Nome utente]>Documenti>Digital Editions).
14) Adesso ho un file ePub, dalla familiare, rassicurante iconcina. Provo a darlo in pasto ad iBooks o all'iPad, ma, oltre il fastidioso dettaglio di avere perso la copertina per strada, scopro che l'ebook è illeggibile, ancora chiuso a doppia mandata. Questa faccenda della protezione anticopia è presa dannatamente sul serio, e io, che ho pagato in anticipo senza fiatare, comincio a perdere la pazienza.
15) Il problema degli ebook scaricati da file .acsm è che poi possono essere letti solo su dispositivi autorizzati da Adobe, come Sony eReader, devices Android (BlueFire app) e gli eReader Tolino. 
QUI isb vi racconta perché è cosa buona e giusta blindare la sua roba e costringere gli utenti a tutto questo balletto (vedi anche alla voce: presunzione di colpevolezza).
Ad ogni modo, esistono vari modi software per rimuovere il DRM di Adobe da ePub o PDF, rendendoli di fatto leggibili dal mio iPad e altri dispositivi iOS (o su un Kindle, se ne avessi uno). Il migliore in circolazione è QUESTO.
E vi avviso subito che costa 36 dollari, ma ha un periodo di prova gratuito di un mese.
La legalità dell'uso di questo software, per inciso, varia da Paese a Paese... e, sostanzialmente, serve a sbloccare una cosa che è già vostra, anche se le clausole scritte in corpo piccolo – che nessuno legge mai ma che tutti accettano – dicono che non è così, che voi avete torto e che il DRM salverà il mondo.
Non voglio prendere una posizione. Ognuno si faccia un'idea sua.
16) Ora, grazie al mio periodo di prova gratuito (ma pare che si possa fare gratuitamente pure con Calibre, anche se io non l'ho provato) converto il file ePub generato da Adobe Digital Editions e, finalmente, posso caricarlo sul mio iPad.
17) Apro l’ebook. Non c'è più la copertina e ho idea che non la recupererò mai, ma arrivato a questo punto mi sento già come se avessi raggiunto la vetta.

Ora, potreste (anche legittimamente, in un certo senso) aspettarvi che finisca questo post con la solita frasetta stizzita del tipo "la prossima volta, compro direttamente la versione cartacea, vaffanculo te e l'ebook e il DRM e mi risparmio una quindicina di questi 17 passaggi, saltando direttamente dal passare alla cassa, pagare e iniziare a leggere"... ma non lo farò.
Sono ancora convinto che l'ebook sia un gran cosa, di una praticità incomparabile e che abbia dato nuova linfa a tutto un mercato di editoria emergente e di scrittori autoprodotti che possono, finalmente, svincolarsi dal supporto fisico e dai suoi costi e proporsi a un pubblico sempre più digitalizzato.
Però.
PERÒ.
Rendere un pelo più semplice la vita all'utente finale, quello che sceglie, paga e magari vorrebbe anche dare una spintarella a un mercato nascente... ecco, quello non guasterebbe, cara Adobe o chi per te.
Ma non voglio dirti come fare il tuo lavoro, pensaci tu.

EDIT. Anzi, un suggerimento voglio darlo, non solo ad Adobe, ma a chiunque produca e commercializzi eBook al mondo e voglia mostrare un po' di rispetto e di lungimiranza verso il suo pubblico: cari editori digitali, al momento dell'acquisto inviate tre versioni del vostro eBook.
Uno nel vostro preziosissimo formato proprietario. Uno in formato mobi, per Kindle, l'ultimo in ePub per iOS. E con pochi Kb in più avrete accontentato il 90% dell'utenza.
Poi, sì, certo, l'utente finale può anche arrangiarsi con Calibre o altri strumenti per leggere quello che ha comprato... ma avete mai sentito parlare di soddisfazione del cliente e del suo magico ritorno? 

lunedì 15 giugno 2015

Di Windows Phone 8.1, e se dovreste aggiornare o no.


Poco tempo fa il mio telefono (un Nokia con Windows Phone) mi ha proposto l’aggiornamento alla versione 8.1.
Con il solito misto di incoscienza totale e curiosità, ho cliccato su “installa!”
Me ne sono pentito?
Lo scoprirete leggendo questo post.

Prima di iniziare a scassare il cazzo sulla scelta di NON assoggettarsi a uno dei due sistemi operativi mobili largamente più diffusi in circolazione (iOS e Android), lasciatevi dire una cosa, e lasciatevela dire in tutta onestà. Un terminale Windows Phone, con le app di servizio e una dozzina di aggiunte (ad esempio Whatsapp, Skype, Facebook, eBay), può tranquillamente soddisfare le esigenze del 90% di tutti voi.
Sì, parlo con voi che avete bisogno di uno smartphone per fare foto, inviare messaggi, usare i social network, navigare su Internet, leggere le mail e ovviamente, telefonare.
Windows Phone fa tutto questo e moltissime altre cose, alcune delle quali pensate proprio per venire incontro alle esigenze di chi magari ha un approccio più basico alla tecnologia.
Dove non può competere con iOS e Android è sul numero di applicazioni disponibili, tuttavia, se guarderete nel suo Store, scoprirete che non manca proprio niente. Il mio consiglio è di concentrarvi più sull’usabilità del sistema operativo che sull’ecosistema, la cui valutazione è sempre soggettiva.

Tutto nuovo? Seriously?
La nuova versione di Windows Phone (per brevità WP8.1), è stata rinnovata in ogni singolo aspetto. O così almeno dicono a Redmond.
L’interfaccia resta simile a quella di WP8 ma si arricchisce di qualche particolare: l'orario, l'intensità del segnale e la batteria ora sono sempre visibili, è possibile cambiare la quantità di icone scegliendo un layout a tre colonne e la lockscreen può essere personalizzata anche con dei live background derivati dalle app (ad esempio, quella dell’app Meteo).
Ora si può assegnare una foto di sfondo alla schermata delle Tile: se sceglierete quest’opzione, le Tile diventano trasparenti e lasciano intravedere la foto di sfondo. L’effetto di parallasse non è suggestivo come quello di iOS7, ma è piacevole.

Da adesso si possono creare cartelle all'interno della schermata home, come già facevano iOS e Android. Possono contenere tiles di diverse dimensioni e vengono mantenute le animazioni che consentono di tenere sotto controllo l'arrivo di nuovi contenuti per le singole applicazioni (non tutte le tiles sono animate, e qualcuna lo è diventata proprio in occasione di questo aggiornamento, come lo Store che ogni tot ore mostra gli arrivi più rilevanti per il parco apps).


Un nuovo Centro Notifiche
Per quanto le file funzionino piuttosto bene e siano reattive, un vero Centro Notifiche è un’altra cosa. Ora WP 8.1 ne ha uno simile a quelli di iOS e Android, e si richiama scorrendo il dito sulla parte alta dello schermo.
Sulla lockscreen si possono aggiungere notifiche brevi e, per alcune applicazioni, anche le notifiche approfondite... il tutto nella grafica essenziale ed elegante a cui gli utenti di Windows Phone sono abituati.

Parlami, sono Cortana
Cortana è l’assistente virtuale di Windows Phone. Prende il nome dall'entità virtuale del videogame Halo, parla correttamente italiano e ha una voce migliore di Siri.
Esattamente come Siri e Google Now, non ha niente a che vedere con l’intelligenza artificiale. Ha un buon riconoscimento del linguaggio umano, è molto comoda in qualche frangente e del tutto inutile in altri.
Rispetto a Google Now, che impara dalle ricerche e analizzando la vostra posizione usando il GPS del telefono, Cortana si basa sulle informazioni contenute in quello che Microsoft chiama Notebook, una specie di diario utente configurabile. Diciamo che si sono sforzati... ma il suo apporto reale nel quotidiano è minimo.
Semplifica parecchio alcune operazioni come puntare una sveglia o creare un itinerario sul navigatore, ma è incapace di rispondere anche alle domande più semplici, dirottandovi direttamente sui risultati del suo motore di ricerca, che vanno consultati alla vecchia maniera.
In altre parole, scordatevi un’interazione tipo HAL 9000: Cortana è un software che fa finta di essere umano, non possiede un briciolo di intelligenza e va usato come un’estensione del’interfaccia utente. Niente di più, niente di meno.


Tutto il resto
Naturalmente c'è tutta una serie di altre migliorie, o anche solo semplici cambiamenti. 
Del tipo, Xbox Music adesso ha maggiori funzionalità, si avvia più in fretta e scorre più rapidamente la libreria brani. In Messaggi si possono selezionare più sms per la rimozione o l'inoltro contemporaneo. Per la gestione delle reti Wi-Fi ora è disponibile un'opzione per utilizzare una VPN (Virtual Private Network), che consente – in presenza di hotspot pubblici – di avere maggiore riservatezza e protezione per i dati personali.
Infine, tra i nuovi requisiti hardware è arrivato il supporto a dispositivi fino a 7" o con risoluzione 1280x800, supporto VoLTE (Voice over LTE) per effettuare chiamate sulle reti mobili di quarta generazione e a Quick Charge per la ricarica rapida e altre robe sparse.

Insomma, conviene aggiornare?
Che poi, è l'unica, vera domanda sensata. E la risposta è semplice, e pure un po' scontata.
Se vi interessa tutta la roba che vi ho elencato o descritto qua sopra, aggiornate pure.
Il prezzo da pagare, come sempre, non lo pagherete a Microsoft, o meglio, indirettamente sì, perché potrà venirvi la voglia di cambiare il terminale.
Perché, se nessuno ve lo ha detto o non lo trovate scritto da altre parti (forse perché si vergognano a scrivere una cosa tanto ovvia), il vostro telefono andrà più lentamente.
È tutto rallentato. Tutto. 
Lancio delle app, risposta delle medesime, ritardo nella fluidità dell'interfaccia – che prima era un piacere vederla muoversi, cento volte più elegante di qualsiasi iPhone o terminale Android-based.
Passate a Windows Phone 8.1 e vi ritroverete tra le mani un device di certo con un mucchio di feature in più, ma anche meno performante (parlo di qualsiasi telefono con più di un anno di vita anagrafica, ovviamente).
A seconda dei casi (dotazione di ram e velocità del processore), questo rallentamento sarà più o meno evidente.


L'acqua calda.
Prima che me lo diciate voi, sì: ho scoperto l'acqua calda. E già che ci siete, potete anche mettere via tutte le vostre stronzate da fanboys, perché Microsoft non è certo la sola ad adottare questo tipo di politica. Apple fa esattamente la stessa cosa (sì, parlo per esperienza diretta), e provate a chiedere a un utente Android e vediamo se ha la faccia di cascare dalle nuvole.

Il software dei telefoni cellulari, proprio come quello che gira sui vostri PC e i vostri Macintosh, a questo serve: a farli diventare vecchi, quando vecchi non sono.
Perché Microsoft, Apple, Google, Acer, Sony,Toshiba, Asus, una sola cosa devono fare per sopravvivere: vendere.
Di continuo. 
E per Apple, Google, Acer, Sony, Toshiba, Asus, lavorano milioni di persone, che domani stesso perderebbero il loro impiego, in catena di montaggio come dietro una scrivania, se smettessimo di aggiornare i nostri device, accorgerci che sono diventati più lenti e rimpiazzarli con altri nuovi di zecca.
Spesso, Apple, Google, Acer, Sony, Toshiba, Asus siete voi o un vostro fornitore o un vostro cliente. Non ne possiamo venire fuori.
Vedi anche alle voci: consumismo, fordismo, obsolescenza programmata.

E ora, valutate voi.

mercoledì 11 marzo 2015

Il computer più bello e più inusabile del mondo.



Parlo del nuovo Macbook presentato ieri, naturalmente.
Che sembra un esercizio di stile più che un computer vero, che il termine "computer" neanche gli si addice più di tanto, abituati come siamo a considerare quello che è e quello che fa un computer.
Il nuovo Macbook è un oggetto incredibile che pesa meno di un chilo ed è spesso tredici millimetri nel suo punto più alto.
Una sottiletta d'alluminio, con una scheda logica che neanche ora che l'hanno mostrata ci credo.
Una batteria di concezione nuova, progettata a "scalini" per riempire ogni millimetro libero della scocca. Dentro, oltre la RAM a 1600MHz su scheda, c'è l’unità di memoria a stato solido e nient'altro.
Niente ventole, nessuna parte in movimento, niente di niente.
C'è uno schermo Retina da 12 pollici spesso meno di un millimetro, un nuovo trackpad che implementa una nuova tecnologia sensibile alla forza con cui viene premuto, una tastiera di nuova concezione con un led che retroillumina ogni tasto, e una sola, unica porta (chiamata USB-C) che
carica la batteria, serve da output video e trasferisce i dati. 
È un oggetto assurdo, talmente estremo e minimalista da sembrare un concept.
Eppure sarà disponibile, a partire da da 1500 euro, da aprile. Di quest'anno. Non del 2025.

Perché guardandolo, leggendo le sue caratteristiche snocciolate sull'apposita pagina del sito Apple, sembra davvero di osservare un oggetto fuori dei tempi.
Un oggetto che, per inciso, io non comprerei mai e poi mai.

In primo luogo, naturalmente, perché non mi è mai servito un computer portatile (per tutta una serie di ragioni che ora non elencherò)... ma anche perché l'evoluzione di queste macchine ha portato all'estinzione del connettore MagSafe (una delle trovate più intelligenti mai applicate a un dispositivo ricaricabile), perché adottare una singola porta è di certo una soluzione elegante ma incontrovertibilmente pessima se vi interessa anche solo un minimo la versatilità, o perché chi ha provato la nuova tastiera e il nuovo trackpad (ad esempio Dieter Bohn di The Verge) dice che hanno un feedback quasi inesistente. Una volta di più, la sensazione di aver rinunciato a qualcosa di importante e di funzionale per guadagnare qualche millimetro (vedi anche alla voce: gli iMac di settima generazione) si è fatta sentire forte, chiara e inquietante.


Detto questo, il nuovo Macbook è il computer più bello del mondo.
È bello persino senza più la meletta retroilluminata, è bello persino in quell'assurdo color oro in cui si può avere oltre che in argento o grigio.
Una specie di blocco note costosissimo, un iPad con tastiera, un oggetto "condannato" ad essere usato sempre superconnesso a una rete per avere un senso... figlio di un tempo futuro che ancora non c'è, dove i fili, gli hard disk esterni o le chiavette USB sono già spariti da anni.


Se vi interessa, troverete praticamente ovunque tutte le specifiche tecniche dell'oggettino in questione, ma ricordate... alla fine, la questione è solo se vi piace o no.
Se, a guardarlo, vorreste averlo sulla vostra scrivania o dentro il vostro zainetto oppure no.
Indipendentemente dalle vostre necessità.
È quello che fa Apple: rendere desiderabili i suoi prodotti le viene meglio persino dei prodotti stessi.

Quella porcheria dell'Apple Watch, naturalmente, è una sfortunata eccezione.
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