E' sempre basso lo sguardo dell'abbandono…
Non si smette mai di desiderare,
si rinuncia semplicemente a volere.
S'inizia con il bulinare
sulla parte più dura di sé, l'epitaffio
prescelto a murare vivo il fragore
della luce in viaggio,
il gradino che avrebbe atteso
la stanchezza di un sorriso nuovo.
E' sempre basso
lo sguardo dell'abbandono.
Si ferma a terra. O poco più.
frida
"Nel cuore dell'uomo la speranza è come una fiammella: e uno dei più grandi peccati contro lo spirito avviene proprio quando viene cancellata o spenta. Ci vuole molto coraggio per cercare sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, per osare la ricerca del cane che salva l'uomo e non quello che lo azzanna ".
E' questo l'augurio di Antonia Arslan : che la fiammella della speranza non si spenga mai. In tempi troppo spesso bui, la segreta bellezza dell'altro è la sola forma di salvezza, l'unica luce che possa liberarci dalle tenebre dell'intolleranza. E così non esiste crescita interiore senza condivisione; non c'è cammino senza incontro; non c'è amore per il Paese senza memoria delle origini.
Lo sa bene la testimone diretta dello scambio tra popoli, lei che attendeva nella sua casa di Padova i parenti sparsi e divisi dalla diaspora, davanti ai quali spalancava gli occhi incuriosita dai racconti dei cibi armeni o dei colori vivaci delle miniature. O sempre lei, che scopriva che il nonno Yerwant aveva dato ai suoi figli quattro nomi armeni ciascuno, nonostante avesse compreso che l'antica patria era perduta per sempre e avesse deciso di dedicarsi a quella nuova con inesauribile energia.
Dopo esili e diaspore, partenze e abbandoni che hanno segnato indelebilmente il destino di Oriente e Occidente, navigare verso la tregua pare l'unica direzione accettabile, e proprio attraverso queste pagine l'autrice ci conduce - così come si orienta un'imbarcazione che deve essere guidata - verso l'intimo equilibrio degli affetti e la scoperta dell'altro.
( f )
Siamo pochi però ci chiamano Armeni…
(…)" Via dalla montagna sacra: l' Ararat ora sarà per noi un paese
straniero": così piansero gli armeni, in tutti i luoghi del vasto
mondo dove la diaspora successiva al genocidio del 1915 li
aveva portati, quando dall'ottobre 1921 - col trattato di Kars -
la grande montagna, simbolo fortissimo della loro unità di
popolo, venne ceduta da Stalin a quella Assemblea Nazionale
che ben presto sarebbe diventata la Repubblica di Turchia.
Ma l' Ararat ( che gli armeni chiamano " Massis" ), è oggi più
che mai presente nell'immaginario del popolo armeno.
La sua vista incombe sulla capitale Yerevan,ma le sue due cime
perennemente innevate sono drammaticamente lontane, al di là
della chiusa frontiera con la Turchia, oltre il famoso ponte
spezzato sul fiume Akhurian che univa le due parti del regno
d' Armenia. Oggi, dal monastero di Khor Virab, vedi solo
qualche sparso gregge che si aggira nella terra di nessuno che
divide i due paesi; e, lontana, una baracca di soldati.
Nessuno che porti un nome armeno ha il permesso di salire
lassù. Eppure non è sempre stato così. Ben diversi sono i fatti
che la Storia ci racconta. Come un celebre quadro di
Ayvazovsky ci racconta ( La discesa di Noè dal monte Ararat )
dispiega ai nostri occhi con suadente fascino ottocentesco, gli
armeni si sentono legati al monte dove si arenò l' Arca di Noè
da un fortissimo legame spirituale - ma anche carnale. Il vino
fu inventato nella pianura che si stende ai piedi del monte; i
figli di Noè là coprirono i padre ubriaco, là nacque il
cristianesimo armeno con le sue " chiese di cristallo ", le croci
di pietra, i monasteri splendidi annidati in valli romite, dove
schiere di monaci diedero vita a un fiorire di codici miniati di
straordinaria bellezza. (…)
Antonia Arslan da La bellezza sia con te
Monte Ararat visto da un monastero ( frida )
(…) Fino a quel tempo non troppo lontano, la sacra montagna era
abitata, addomesticata da legioni di operose formichine umane
che si erano arrampicate sulle sue coste brulle, spazzate da
venti terribili e da bufere improvvise, fino ai ghiacciai solcati
da crepacci profondissimi. Erano gli armeni di montagna, alti,
massicci e robusti. Andavano in processione dal Caucaso e
dagli altopiani in alcuni giorni solenni, salendo verso un
ghiacciaio che era chiamato il " Luogo dell' Arca ", come
ricordano numerose testimonianze,sino alla fine dell' Ottocento.
Devoti, industriosi, parsimoniosi, essi si erano insediati in ogni
angolo vivibile del monte, fondando numerosi villaggi situati
nelle zone più riparate, anche a quote molto alte: vivevano di
pastorizia e avevano selezionato una razza resistente di pecore
con la coda grassa,capaci di trovare dovunque di che nutrirsi.
I pascoli estivi arrivavano a più di tremila metri di altezza, e una
razza di cani da pastore altrettanto robusti ed estremamente
aggressivi badava alle greggi.
I resti di quei villaggi sono oggi deserti, e i pastori curdi - che
hanno ancora le pecore e i cani,e cent'anni fa spesso accolsero
qualche bambino armeno- li considerano luoghi maledetti.
Parlano le croci sui muri in rovina, resti crollati delle antiche
chiese,le croci di pietra rovesciate,e se qualcuno ti accompagna
a cercarle, le fosse comuni dove si possono ancora contare le
ossa: perché gli armeni dell' Ararat non sono mai stati
deportati, ma eliminati sulla loro stessa montagna.
Sono tutti lì: si tengono compagnia e aspettano la resurrezione.
(…)
Antonia Arslan da La bellezza sia con te
LA GRANDE PARTENZA
(…) Non mi ero mai fermata su quel versetto, alla fine del Vangelo
di Luca, che dice mane nobiscum Domine, quoniam
advesperascit, le parole dette dai discepoli a Cristo risorto che
li ha accompagnati lungo la strada che stavano percorrendo,
ma loro non l'hanno riconosciuto: credono che sia un erudito
compagno di viaggio. Si accorgono che è lui quando spezza il
pane: " Lo riconobbero, ma egli divenne loro invisibile ".
Adesso li lascia, e loro sentono che è l'addio definitivo; da quel
momento in poi dovranno diventare adulti,cavarsela da soli per
le strade del mondo, annunciando la Parola.
E' frequente - mi pare - in tutti i Vangeli l'idea, l'immagine del
camminare in gruppo e del parlare camminando, seguendo e
ascoltando il maestro, quasi a ricordare il peripatòs dei
filosofi ateniesi;e anche senza condividere del tutto le fin troppe
conosciute - e spesso usate a sproposito - sentenze oggi tanto
di moda sul fatto che non è la meta che conta, ma il semplice
fatto di essere in cammino, credo che quell'ultima passeggiata
di Cristo coi suoi contenga uno straziante memento per
ciascuno di noi.
Chi non è mai stato lacerato dalla malinconia nel sentire che
il cammino condiviso con una persona amata sta arrivando
alla fine? Che quello era l'ultimo incontro, l'ultimo saluto?
Che da quel momento in poi " quella " presenza non ci sarebbe
più stata?. Chi non conosce la sensazione che ne segue, di
spazio vuoto, di solitudine agghiacciante ? . (…)
Antonia Arslan da La bellezza sia con te
(…) Così cominciai a ripetermi quella frase come una canzone,
seguendo il ritmo che mi veniva in mente, ossessivo ma pieno
di speranza . " Mane nobiscum Domine, quoniam
advesperascit " ( Rimani con noi, Signore, perché si fa sera ):
la sera del giorno, la sera della vita.
E' in quei momenti che desideriamo le presenze amate, che ne
sentiamo acutamente la mancanza.Ci danno sicurezza, ci danno
sostegno.
Poi mi accadde di ammalarmi, e nella solitudine delle lunghe
ore del reparto di rianimazione che mi ospitava, quella frase mi
tornò in mente con una forza inaspettata; e non solo le parole,
anche il motivo musicale monotono e intenso che nella mia
mente le accompagnava,dandomi una serenità strana,una gioia
sottile e misteriosa.
E allora fu come se improvvisamente riuscissi a capire che a
quella invocazione, l'invocato aveva in realtà risposto, ma
educando i discepoli alla Presenza invisibile.
Non era più necessario vederlo - il Maestro - perché lui era
sempre con loro, sino alla fine dei tempi.
E capii che anche le persone che abbiamo amato sono sempre
con noi, sia che crediamo che la loro essenza vitale resista -
anche se sotto forma diversa - sia che crediamo che la morte le
porti via con sé per sempre. Restano attraverso la dolce forza
della memoria, dei loro gesti e dei loro atti " camminare con
noi", anche se per tutti - prima o poi - " si fa sera…". (…)
Antonia Arslan da La bellezza sia con te
Amal, la bimba yemenita morta di fame
Mi rendo conto che postare questa immagine e il post che la segue potrà non piacere a molti: anzi, potrebbe risultare decisamente spiacevole. Certo, muove le nostre coscienze.
Ma il mio intento non è quello moralistico di fare " la predica " a chichessia. L'ho postato prima di tutto per me, per non dimenticare.
Si fa presto a rimovere dalla mente immagini o scritti che mettono in discussione le nostre coscienze e le nostre scelte di vita.
Ma è solo per rammentare che - al di là dell'orrore momentaneo e della pietà che ne consegue, cè un dovere - per chi si senta e voglia vivere da " umano " che è semplicemente di giustizia.
Nulla di più.
( frida )
(…) Due giorni prima di Natale una notizia ha fatto - per qualche
ora - il giro del mondo: Sam, un bambino nato tre giorni prima
sulla costa libica dopo l'attraversamento del Sahara da parte
della madre e salito con lei su un barcone, è stato salvato dalla
nave di una ONG. Di lì, per le sue precarie condizioni di salute
è stato prelevato con un elicottero insieme alla madre e
trasferito a Malta. Ma gli altri 309 migranti che erano con lui
hanno continuato la loro odissea i mare per una settimana e
duemila chilometri, senza un posto disposto ad accoglierli.
Due mesi prima, il 2 Novembre, Amal è morta di fame a sette
anni.Come centinaia di altri bambini yemeniti travolti da una
guerra combattuta con armi costruite nel nostro Paese. La sua
fotografia, il viso reclinato con gli occhi persi, le ossa a
malapena ricoperte di pelle,le mosche sulle mani, ha provocato
l'indignazione di un giorno. Quelle immagini sono rapidamente
scomparse d quotidiani e telegiornali, lasciando il posto alla
retorica sgangherata dei porti chiusi e agli insulti, crudeli e
volgari, nei confronti dei migranti. Eppure Sam , Amal e altre
centinaia di migliaia come loro non sono dei numeri, ma delle
persone come me, come te che stai leggendo.
E' questa situazione che mi ha spinto a scrivere. Non sono
abituato a farlo. Preferisco i fatti con il loro linguaggio,
silenzioso ma vero. Eppure di fronte all'ingiustizia che monta
intorno a noi n si può più stare zitti.
Ce lo ha ricordato, con la solita forza e chiarezza, il papa che,
il 26 Marzo scorso, in Piazza San Pietro, si è rivolto ai giovani
con queste parole : "Sta a voi non restare zitti. Se gli altri
tacciono, se noi anziani e responsabili, tante volte corrotti,
stiamo zitti,se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi
griderete? Per favore, per favore, decidetevi prima che gridino
le pietre ".
Per questo ho deciso di scrivere. Proprio a te, coinvolto nell'
ubriacatura razzista che attraversa il Paese. Una ubriacatura
a cui partecipi forse per convinzione o forse per l'influenza di
un contesto in cui prevalgono le parole di troppi cattivi maestri
predicatori di odio, che tentano così di coprire l'incapacità
di chi governa ( o ci ha governati ) di assicurare a tutti,
compresi i più poveri, condizioni di vita accettabili.
Secondo te, le difficoltà in cui viviamo e le incertezze sul
presente e sul futuro sono colpa dei migrantii che ci portano
via il lavoro, che sporcano, che rubano, che hanno aggiunto
nuovi problemi a quelli che già avevamo. E che - dunque -
devono starsene a casa loro.
Io non credo che le cose stiano così. Le migrazioni non vanno
sottovalutate, ma governate in un modo intelligente ed è
necessario parlarne senza rimozioni. Ma se non si arresta il
modo di pensare oggi prevalente,gli effetti saranno devastanti.
Ancora piùdevastanti di quelli che già vediamo intorno a noi.
Non mi sento, comodamente e presuntuosamente, dalla parte
giusta. La parte giusta non è un luogo dove stare, è, piuttosto,
un orizzonte da raggiungere. Insieme. Ma nella chiarezza e
nel rispetto delle persone. Non mostrando i muscoli e
accanendosi contro la fragilitàdegli altri.
Luigi Ciotti da Lettera ad un razzista del terzo millennio
(…) In queste pagine,troppo a lungo rimaste inedite per distrazione
editoriale dell'autrice, è scritta la storia morale parallela, a
rovescio, che ha accompagnato per decenni l'opera di uno dei
maggiori poeti contemporanei.
Non propriamente narrativa né saggistica - o le due cose
insieme - la genialità analitica e visionaria, percettiva e
sintattica che qui sorprende il lettore, non ha precedenti nella
letteratura italiana del Novecento, se non forse nella prosa di
Elsa Morante o di Goffredo Parise. Si tratta comunque più di
parziali affinità che di derivazione: perché in ogni suo capitolo
- ognuno a modo suo e con stile diverso - in frammenti auto
biografici, parabole aneddotiche, ritratti e microfilosofie dell'
amore,dell'invidia o dell'estasi sensoriale,questo testo ubbidisce
a un solo comandamento : " Devo capire ".
Se la poesia -come ha detto qualcuno -è la sola scienza possibile
in quanto nella vita non si dà altra scienza,queste prose di poeta
rivelano capacità figurative, speculative e satiriche che nei libri
di versi erano comunque comparse solo occasionalmente.
Fin dal primo testo che dà il titolo al volume, chi legge si trova
a contemplare un mondo comico- tragico, labirintico fino alla
vertigine,in cui entrano in scena passioni senza esito e disperati,
coattivi manierismi sociali in cui la vita si dissangua fingendo
se stessa. (…)
Alfonso Berardinelli ( prefazione a ) Con passi giapponesi
Signore, dammi castità e continenza. Ma non subito… ( Sant' Agostino )
(…) Com'è semplice la verità ! E quanto semplicemente si rivela!
E io che credevo di essere intelligente,consapevole e coraggiosa:
per tutti questi anni e per quasi tutta la mia vita ho vissuto all'
ombra di un malinteso, anzi di un conformismo,la cui elementare
evidenza- ora che mi si svela,-mi fa quasi arrossire di vergogna,
ma anche mi apre un'inattesa, se pur tardiva, inesplorata letizia.
E pensare che stavo per cadere nell'abiezione estrema, vale a
dire che ero sul punto rivolgermi ad un analista, rimettermi
cioè alla noia illusa, all'interpretazione clandestina, a quel
procedere mortale verso la falsa libertà del paziente analizzato,
a quella opaca rinascita grazie alla quale ci sentiamo ben fatti,
ben messi, ben chiari, ben sistemati alla morte. Aver avuto
questa tentazione vuol dire che non sapevo più cosa fare.
La verità, improvvisa e chiara, mi si è mostrata in un giorno di
mal di testa. E sebbene io non creda alla virtù della malattia e
del dolore, devo però riconoscere che c'è in loro una segreta
utilità. Non sempre però. Quel giorno di mal di testa aveva così
svuotato i miei nervi e la mia volontà, che il mio corpo e i miei
pensieri erano diventati un opaco nulla, dove mi era impossibile
non solo immaginare una qualche guarigione, ma persino
desiderarla. E così, ripetendomi le litanie dell'inedia e della
fiacchezza, una sola parte del mio corpo era protervamente
accesa, una solitaria appunto e distante dal resto, quasi un
automatismo primordiale e cieco. Era il mio sesso, la fisica e
solitaria pulsione del mio sesso. Che in quel deserto assoluto si
faceva ancora sentire, mi procurava non una consolazione, ma
ma una stizza oltraggiata. Ma da lì, proprio da lì, venne la mia
salvezza. E che fosse la mia salvezza fu proprio il mal di testa a
decretarlo: questo infatti sparì, sparì insieme alla comparsa del
seguente pensiero. Io desideravo in realtà fare l'amore con gli
uomini, mentre per tutta la vita l'avevo fatto solo con donne,
credendo che questa fosse la mia sola e definitiva ambizione, e
realtà e scelta. Dunque, io mi ero tenuta lontana dalla sola cosa
che mi piacesse davvero e l'avevo fatto per viltà. E che cosa una
siffatta viltà possa produrre e inventare, questa è la sostanza
della mia vita stessa. (…)
Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
(…) Non sono nata per essere ragionevole. Sono nata per amare,
per essere felice,per odiare,per immaginare, per inventare, per
capire e anche - di tanto in tanto - per essere ragionevole, ma
non devo essere ragionevole. Essere ragionevole vuol dire
adattare i propri pensieri a quel che gli è contrario, modificare
e distorcere la propria intelligenza per assecondare i desideri
altrui. La mia ragionevolezza è diversa da quella di un altro.
La ragione pretende la felicità. La ragionevolezza tende al
possibile. La felicità non può essere catturata dal possibile.
La felicità è l'avvento del miracolo. Il miracolo produce la
virtù e la grazia, non viceversa. (…)
Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
(…)Ma a chi parlo quando parlo da sola ? Parlo a qualcuno che
non sono io. In verità non si parla mai da soli. Sì, parlo a
qualcuno che non sono io. E' un'immagine interiore nella quale
convergono velocemente e in modo frammentario tutti. E' una
figura volatile fatta di volti in mutazione.Visti di sbieco, ognuno
di essi raccoglie una parola, e ogni parola si intona a loro.
E' l'interlocutore ideale:passivo, attento,benevolo e disponibile.
Sono in compagnia di tutti e difatti sono allegra quando parlo
da sola.Non vengo contraddetta, non chiedo risposte o
commenti.E' la parola che ridonda,entusiasta del proprio suono,
che saluta tutti e il mattino. (…)
Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
(…)Ecco, se adesso o tra breve o anche domani,ma meglio sarebbe
adesso, io potessi vederti che avanzi da dietro l'angolo, con la
tua borsa in mano, lo sguardo austero, i piedi divaricati, con l'
andatura lenta, considerata, assorta, fingendo di non vedere
nulla di quel che ti circonda, ma in realtà con occhi precisi già
padrona delle strade, già pronta al momento nel quale
sollevando lo sguardo mostrerai la sorpresa cui ti eri già
preparata e che, per pudore, per paura, per orgoglio, vuoi
dissimulare, come se negligentemente, quasi per caso, fossi
comparsa lì, pur sapendo dell'appuntamento, con il cuore
precipitoso; se io non fossi lì in quel momento ad aspettarti, io
stessa muovendoti incontro, fingendomi anch'io distratta per
contenere l'emozione, per non darmi intera alla gioia, sapendo
che la gioia mi prenderà intera, io subito guarirei d'ogni male.
Il mio sangue rapido percorrerebbe le sue strade, senza
languori e ristagni, e come nel miracolo infantile del perdono
o dei terrori simulati per gioco, il mio corpo inavvertito si
aprirebbe lievissimo alla luce. (…)
Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
Le cronachette pensierose e spensierate di una famiglia allargata, messa in scena seguendo il copione di uno svagato cabaret intellettuale e morale; una saga che si dipana in una serie di sketch irriverenti. Il tutto espresso da un lessico familiare di ebrei fanatici, cattolici convertiti, atei cinici.
La matriarca ultranovantenne è nonna Sara, un'ansiosa guerrafondaia che vive in Israele e telefona in continuazione. La sua interlocutrice preferita è Saretta, la più piccola dei nipoti, sagace e sfrontata, dolcissima e imprevedibile. Poi ci sono i fratelli di lei: il maggiore, Isaac, genio della matematica e parimenti totalmente fuori dalla logica del mondo; Davide , maniaco sessuale e juventino compulsivo; lo zio narratore ( Paolo ) e il gatto Ettore. Totalmente assente è la figura del padre, avendo egli abbandonato Ester ( cugina di Paolo ) quando Saretta aveva due anni.
E lo zio è obbligato - suo malgrado - a farne le veci, per lo più al telefono. Da lì cerca di educare i ragazzi, fornisce consigli, risponde a domande surreali. A volte scappa. E' nevrotico, ipocondriaco e immaturo come loro, un adolescente vegliardo, un " puer aeternus " anchilosato che i nipoti hanno eletto a guida sciamanica, salvo prenderne poi in giro l'immaturità. E' l'idiota sapiente, impaurito e tentato dal ruolo di " pater familias ".
Sullo sfondo di una romanità contemporanea, e deridendo il proprio immaginario psicoanalitico, l'autore scrive il suo originalissimo romanzo familiare: l' incontro e lo scontro tra generazioni, l'assenza e l'ignavia dei padri, l'intelligenza dei figli. Una sit- com in cui si incontrano il ghigno cattivo della migliore commedia all'italiana e l'umorismo yiddish, per una piacevolissima lettura che non manca di offrire spunti per una riflessione che ci tocca tutti da vicino.
( f )
Io ( lo zietto ) e l'ipotetica madre…
Mia madre mi ha insegnato la paura. E a rispettare l'angoscia. Era
burbera, fragile e solare. Trepidante. Una volta mi ha svegliato alle sei - la faccia terrea - per dirmi :" Se n'è andato".
Io pensavo fosse appena morto mio padre. Invece era suo il padre che era morto. Quando lei aveva sedici anni. Se lo era sognato. Era così. Lei non si era mai separata del tutto da lui.
Io non mi sono separato del tutto da lei.
***
(…) Mia madre, ebrea marrana, aveva una predilezione per Isaac.
Lui aveva tredici anni quando lei è morta. Una volta li ho visti
insieme in cucina.Isaac, giù muto, immerso in qualche fantasia
numerica, guardava mia madre davanti ai fornelli. Lei
detestava cucinare, si limitava a riscaldare i piatti finchè la
temperatura non arrivava a trasformarli in qualcosa
chimicamente alieno dal cibo. Poi proseguiva lo sterminio con
grandi quantità di aceto " Per disinfettare " diceva. Rivedo
Isaac guardare mia madre con uno sguardo perplesso, di pura
estraneità alla vita come la conosciamo. E mia madre, davanti
a lui, guardava le pietanze con la stessa espressione. Come se
davanti a lei si fosse manifestata una trasformazione alchemica
che rendeva il cibo - finalmente - una cosa inerte, pronta per la
tavola. La tavola di un obitorio. (…)
***
(…) Oggi è l'anniversario della morte di mia madre. Saretta non
era nata. Davide aveva dieci anni e Isaac tredici. Intorno al
suo corpo minuto, un gracile, delicato sparviero denutrito,
c'erano almeno tre generazioni e un miscuglio di religioni che
neanche a Belfast. Dietro l'esibita diplomazia reciproca, si
avvertiva una tensione spessa, come se quella pace fasulla
avesse potuto trasformarsi in un attimo in una dichiarazione
di guerra. Zia Sara, la sorella che non aveva mai digerito la
conversione di mia madre, andava in giro mormorando
sprezzante : " Guarda come l'avete ridotta", e si rivolgeva alla
parte cattolica. I cattolici - più numerosi - difendevano il
corpo di mia madre in cerchio senza dire una parola. Gli atei,
cioè io, piangevano. Il silenzio angusto fu squarciato un attimo
da una garrula, stravagante dichiarazione di Isaac, che
iniziava in tal modo la sua carriera di ragazzo difficile. Disse :
" Sapete che ci vogliono almeno quattordici ore prima che il
corpo di zia scenda a temperatura ambiente ? ". (…)
Paolo Repetti da Esercizi di sepoltura di una madre
(…) Isaac, sei bianco da far spavento. E poi alla tua età bisogna
viaggiare, conoscere le genti, i posti…
- Zio, io conosco a perfezione l' Olanda del Seicento. Quella di
Spinoza e di Palamedes Palamedesz II.
- Io il Nou Camp e l' Old Trafford - aggiunge Davide.
- Ma perché tu, zio, alla nostra età dov'eri stato?
- Beh, insomma…
Mia cugina - A Capri e Santa Marinella. Ah, una volta a
Cagliari per un funerale.
- Ammazza aò, un esploratore! - fa Davide.
- Vabbè, ma che c'entra: io alla loro età c'avevo i sintomi fobici.
- E che so' ?
Ester - Praticamente vomitava ogni volta che si allontanava
da sua madre.
- Sì, però sono stato a New York quando sono guarito !
Saretta - Guarito ???
Clic (…)
***
(…) Ester - Vado via per tre giorni. Ti lascio i nipoti tutti per te.
- Oddio, ma che devo fare?
- Nulla. Devi solo controllare che non muoiano.
- Eh dai. Ma in concreto?
- Ho lasciato il cibo nel freezer. Basta che Isaac mangi l'orzo
almeno una volta al giorno. E che Davide non si ingozzi tutto
in una volta.
- E Saretta ?
- Saretta si occupa di te.
Clic. (… )
***
(…) - Zietto?
Quando Saretta dice " zietto ", io mi metto subito sulle
difensive, disposto anche a rinnegare la parentela.
- Che c'è ?
- In questi tre giorni in cui siamo soli, io mi devo prendere
cura di te e tu devi fare tutto quello che dico io.
- Ma certo, tesoro, le dico con tono infingardo e mellifluo.
- Per prima cosa domani pomeriggio porti me e tre mie
amichette a fare compere da Cos.
- Ok. Ma c'avete le carte di credito ?
Clic. (…)
Paolo Repetti da Esercizi di sepoltura di una madre
(…) Questa storia che Dio ha creato Adamo dall'argilla e poi la
donna da una costola di Adamo, non va proprio giù a Saretta.
Davide - Tanto o l'una o l'altra. O discendi da una scimmia
pelosa o dalla costola di un uomo.
L'espressione " scimmia pelosa "risveglia Isaac dal suo letargo
algebrico.
- Stai parlando degli ominidi estinti circa due milioni di anni fa,
Davide? Linee evolutive intrecciate di cui ancora non si è
riusciti a dipanare il filo che risale all' Homo sapiens.
Posso farti l'albero genealogico.
- No, ti scongiuro, me l'hai disegnato cento volte !
Saretta - E comunque voi siete fatti di argilla e noi di ossa.
Prova a pensare a chi è più resistente. Prrrr !
Clic (…)
***
(…) Come da tradizione, pranzo domenicale con i nipoti, ma oggi
senza la madre. Io sono impettito nel ruolo di " pater familias"
che dispensa saggezza e consigli.
Saretta racconta che la sua chat con le amiche sul suicidio
procede bene e sono già arrivate a più di venti metodi.
- Saretta, ma non è un po' lugubre tutto questo?
- Ma zio, noi siamo un gruppo di post punk: adoriamo parlare
della morte!
- Avrei preferito magari una cosa sul sesso, ma questa no. E' di
una cupezza…
- Ma zio, del sesso abbiamo già discusso l'altr' anno… è roba
vecchia.
- Davide, che ne dici?
- Mah, io non so' contrario, a me ' ste ragazzine mortifere un
po' mi eccitano, zio !
- No, ma voi state male! Isaac al confronto è un esempio di
salute mentale. A proposito - scusate - ma dov'è Isaac?
- Zio, se entri nella sua stanza non ti devi spaventare. E' a testa
in giù da due ore. Dice che sta provando a separare
definitivamente il cervello dal corpo.
- Ah, ok. Ma mamma quando torna? (…)
***
( … ) Mia cugina Ester è tornata a casa.
- Beh, direi che a parte la libidine di Saretta per l'auto
soppressione e la voracità di Davide, ce la siamo cavata !
Lei - Ti ricordi quando in vacanza dormivamo insieme e tu la
sera non mangiavi per paura di vomitare?
- Sì, ma è passato tanto tempo. Perché me lo chiedi?
- Era tipo anoressia ?
- Poteva esserlo. Perché era direttamente collegata alla mia
lontananza da mamma.
- Sono preoccupata per Isaac.
- E te credo !
- Cioè?
- No, scusa, volevo chiederti il motivo.
- Sai che passa molto tempo a digiunare appeso a testa in giù ?
- Lo so. Ieri me ne sono risparmiato la visione.
- Secondo me anche lui soffre di una forma di anoressia.
- Sei gentile ad aver pensato subito a me!Ma io non me ne stavo
come un pipistrello nella semioscurità. Lui è molto più grave.
- Quando si mette il dito su una piaga,hai la sensibilità
psicologica di un ramarro.
- Ester, Isaac è un concentrato di genialità e di follia astrale. E'
tutto.La nostra ombra deforme,la purezza di un intelletto senza
gravità, è l'antilope immaginaria, è il deserto e il fiore. Può
diventare tutto. Ma adesso è incurabile, fidati.
- Scusa, hai detto l'antilope immaginaria… sarebbe ?
- Vabbè, me so' fatto prendere la mano…
Clic (…)
Paolo Repetti da Esercizi di sepoltura di una madre
Frank Dicksee ( Romeo and Juliet )
(…) E' un bel silenzio quello detto dai baci, talmente bello che certi
poeti non direbbero altro.
Non ci basterebbero tutte le labbra del mondo per contare i
baci di Neruda o quelli di Prévert, e sono letteralmente
incalcolabili quelli di Catullo.Forse Dante ne ha cantati meno,
ma gli sono bastate tre terzine per dirli in maniera definitiva e
chiarire in modo decisivo il loro aspetto più importante:leggere
di baci è pericoloso. E' più pericoloso che scriverne.
In certi casi ne va della vita, spalanca le porte dell'inferno,apre
la via del tradimento o della dannazione ( vedi Paolo e
Francesca ); in tutti gli altri casi è pura estasi. un pericolo
anch'essa, a guardar bene.
Ecco allora il pericolo che vi attende : leggere di cento e mille
e " millinfiniti " baci vestiti a festa dalle migliori parole dei
poeti. E quando avrete finito, vi accorgerete che i baci di cui
avrete letto, altro non sono che una piccola onda se confrontata
allo tsunami di baci che squassa e sommerge la poesia
amorosa di ogni tempo.
Insomma, preparate guance e labbra: sarà una lettura a
schiocco, morbida, calda e mordicchiata; ci sarà da frullare,
picchiettare,stampare, arrossire e impallidire e talvolta fuggire,
ma solo per ritardare ancora di un istante l'estasi del bacio
inevitabile.
Aggiungo che, fare una selezione di baci in poesia, è come
chiedere ad un bimbo di entrare in un gigantesco negozio di
giocattoli per sceglierne uno solo: per quanto si possa tentare
di fare le cose bene, molto resterà fuori, e non è detto che quel
che si è scelto di inserire in questa antologia sia il meglio in
assoluto: è solo una scelta.
E le scelte sono scommesse, proprio come i baci. (…)
Alessandro Barbaglia da Che cos'è mai un bacio?
Per un bacio mai dato… per un amore nuovo…
LASCIA COLARE IL TUO BACIO
Lascia colare il tuo bacio
come una fonte -
filo fresco nella tazza
del mio cuore!
Il mio cuore - poi - sognando,
ti restituirà - doppia - l'acqua del tuo bacio,
dal canale del sogno,
da sotto la vita.
E l'acqua del tuo bacio
- oh nuova aurora della fonte ! -
sarà eterna,
perché il mio cuore sarà la sua sorgente.
Juan Ramon Jimenez
***
IL BACIO CON IL VENTO
Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi, ma io sarò lì.
Siamo fatti della stessa materia
di cui sono fatti i sogni.
Vorrei essere una nuvola bianca
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante.
Se sei un sogno non svegliarmi.
Vorrei vivere nel tuo respiro.
( Mentre ti guardo muoio per te.
Il tuo sogno sarà di sognare me.
Ti amo perché ti vedo riflessa
in tutto quello che c'è di bello ).
Dimmi dove sei stanotte,
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso
arrivare fino al cuore.
Vorrei arrivare fino al cielo
e con i raggi del sole scrivere ti amo.
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano
il tuo profumo.
( Vorrei fare con te quello
che la primavera fa con i ciliegi ).
Pablo Neruda
***
SE ORA TU BUSSASSI ALLA MIA PORTA
Se ora tu bussassi alla mia porta
e ti togliessi gli occhiali
e io togliessi i miei che sono uguali
e poi tu entrassi dentro la mia bocca
senza temere baci diseguali
e mi dicessi : " Amore mio,
ma che è successo? "
sarebbe un pezzo
di teatro di successo.
Patrizia Cavalli
***
POESIA D'AMORE
Le grandi notte d'estate
che nulla muove oltre il chiaro
filtro dei baci, il tuo volto
un sogno nelle mie mani.
Lontana come i tuoi occhi
tu sei venuta dal mare
dal vento che pare l'anima.
E baci perdutamente
sino a che l'arida bocca
come la notte è dischiusa,
portata via dal suo soffio.
Tu vivi allora, tu vivi:
il sogno ch'esisti è vero.
Da quanto t'ho cercata!
Ti stringo per dirti che i sogni
sono belli come il tuo volto,
lontani come i tuoi occhi.
E il bacio che cerco è l'anima.
Alfonso Gatto
***
POI LEI SI RIGIRO' SU UN FIANCO
Poi lei si rigirò su un fianco,
posò il capo sul mio braccio.
La guardai.
Tutto il cielo e la terra
si specchiavano nei suoi occhi.
Seguitammo a guardarci.
Mi pareva che avrei potuto
annegarci nei suoi occhi.
Poi l'accarezzai sul viso,
ci baciammo, la trassi a me.
La strinsi.
Con l'altra mano
le frugavo fra i capelli.
Fu un bacio d'amore,
un lungo bacio di puro amore.
Charles Bukovski
***
( A cura di Alessandro Barbaglia ) Che cos'è mai un bacio?
FARO' DELLA MIA ANIMA
Farò della mia anima uno scrigno per la tua anima
del mio cuore una dimora per la tua bellezza
del mio petto un sepolcro per le tue pene.
Ti amerò come le praterie amano la primavera
e vivrò in te la vita di un fiore sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle canta l'eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascoltala storia delle onde.
Kahlil Gibran
***
L'AMORE FA L'UOMO RE
Ma allor che avvinti da due bianche braccia
nella festa dei sensi appare il vero
e ne sembra si fonda ogni mistero
nel mistero d'un bacio,
sentiam che vasto più del vasto cielo
e più forte del fato Amore impera,
che l'uomo è il re per cui vediam - la sera -
steso il sidereo velo.
Luigi Gualdo
***
SI SONO SCAMBIATI UN BACIO NON NOSTRO
Il mio non arrivo alla città di N.
è avvenuto puntualmente.
Sei stato avvertito
con una lettera non spedita.
Hai fatto in tempo a non venire
all'ora prevista.
Il treno è arrivato sul terzo binario.
E' scesa molta gente.
La mia persona assente,
si è avviata all'uscita tra la folla.
Alcune donne mi hanno sostituito
frettolosamente
in quella fretta.
A una è corso incontro
qualcuno che non conoscevo,
ma lei lo ha riconosciuto
immediatamente.
Si sono scambiati
un bacio non nostro
e intanto si è perduta
una valigia non mia.
La stazione della città di N.
a superato bene la prova
di esistenza oggettiva.
L' insieme restava al suo posto.
I particolari si muovevano
sui binari designati.
E' avvenuto perfino
l'incontro fissato.
Fuori dalla portata
della nostra presenza.
Nel paradiso perduto
della probabilità.
Altrove.
Altrove.
Come risuona questa parolina.
Wislaswa Szymborska
***
COME SE OGNI BACIO
Come se ogni bacio
fosse d'addio,
mia Cloe, baciamoci amando.
Che forse già si posa
sulla nostra spalla lamano che chiama
alla barca che non viene se non vuota;
e che in un solo fascio
lega ciò che l'uno per l'altra fummo
all'altrui somma universale della vita.
Fernando Pessoa
***
QUANDO TI BACIO
Quando ti bacio
non è solo la tua bocca
non è solo il tuo ombelico
non è solo il tuo grembo
che bacio.
Io bacio anche le tue domande
e i tuoi desideri
bacio il tuo riflettere
i tuoi dubbi
e il tuo coraggio
il tuo amore per me
e la tua libertà da me
il tuo piede
è giunto qui
e che di nuovo se ne va
io bacio te
così come sei
e come sarai
ai e oltre
e quando il mio tempo sarà trascorso.
Erich Fried
***
( A cura di Alessandro Barbaglia ) Che cos'è mai un bacio ?