Visualizzazione post con etichetta Angelo Villa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Angelo Villa. Mostra tutti i post

venerdì 1 dicembre 2017

PINK FREUD ( Van De Sfroos ) 1

 
 

 " E quest'unda - vagabunda - l'è una lèngua che bagna i paròll..."
   ( E quest'onda - vagabonda - è una lingua che bagna le parole...)


(...)  "Il dialetto non ha grammatiche" sosteneva Andrea Zanzotto.
        A tal punto che, secondo il poeta veneto, " si può dire - anzi -
        che nemmeno esistono i dialetti, ma esistono gli idioletti,
        perché all'interno di uno stesso dialetto di un paese, una
        contrada parla in un modo, e un'altra in un altro. E ogni
        persona si scava quasi un idioletto proprio, magari credendo
        di usare una parola che anche gli altri dicono con lo stesso
        significato, ma in realtà si scopre poi un uso abbastanza
        diverso."
       " Akuaduulza"  ( Acqua dolce ) esce nel 2005, canzone che dà
        il titolo all'omonimo CD, uno dei più belli e intensi usciti
        negli ultimi anni a firma di Davide Van De Sfroos, alias
        Davide Bernasconi. L'acqua dolce è l'acqua di lago, nella
        fattispecie quella di Como. La canzone è una ballata lenta,
        struggente, dove l'intreccio tra dialetto, testo, voce e musica
        mi pare perfetto.
        Dopo il lieve fruscìo delle acque che apre il brano, il violino
        introduce una melodia nostalgica , come se invitasse l'
        ascoltatore a prendere le distanze da quel rumore naturale.
        Quelle sono le onde del lago, dice " Akuaduulza",ma una
        canzone non è il suo prolungamento descrittivo. E' un'altra
        cosa. La canzone, la vera canzone, non imita: prende a
        prestito quel che trova vicino, quel che le serve. Ma lo usa
        per ricreare, per riproporre qualcosa che è solo suo e che
        non subisce come un ricatto impostogli dalla realtà.
        La canzone partecipa dei significati che esprime, ma di questi
        ne coglie l'essenza più profonda ed enigmatica per il tramite
        di un mistero, di una fascinazione che restituisce a chi
        ascolta. (...)

Angelo Villa  da   Pink Freud ( Psicoanalisi della canzone d'autore da Bob Dylan a Van De Sfroos ) 

PINK FREUD ( Van De Sfroos ) 2



(...) Di che cosa ci narra " Akuaduulza?". Di un'acqua, quella del
      lago. Un catino, tutto sommato. Non è l'oceano e nemmeno il
      mare. L' orizzonte di un lago, di un piccolo lago come quello di
      Como, che appare limitato, chiuso dalla riva che gli sta di
      fronte, quasi un disincentivo per l'immaginazione.
      Ciò non autorizza a concedergli un'eccessiva confidenza a
      prenderlo sottogamba. Potrebbe rivelarsi fatale. Il lago
      circoscrive un luogo che, per sua natura, designa un punto
      indefinibile, insituabile come gli oggetti dell'inconscio.E' vicino
      troppo vicino, a portata di mano, ma cela oscurità e profondità
      lontane. Una spendida ballata di Van De Sfroos che rende bene
      l'idea è " Brèva e Tivàn" che dà il titolo all'album omonimo
      pubblicato nel '99. Brèva e Tivano sono i nomi dei due venti
      che spirano sul lago, il primo da sul a nord, il secondo da nord
      a sud.
      Il protagonista della canzone prende la barca : "  sòlti in soe
      l'unda e po me làssi nà..( salto sull'onda e poi mi lascio andare)
      Guarda verso nord, verso la Valtellina dove si preannuncia un
      tempo minaccioso. Tra poco inizierà una tempesta e sarebbe
      consigliabile restarsene a casa. Ma lui, ben conscio del rischio
      che si assume, non desiste dal suo intento. Si avventura  nel
      lago, in quel lago che "  l'è baloss " ( che è furbo ), in quel
      lago " chel tradiss " ( che tradisce ).
      Lucrezio descriveva chi osservava un naufragio da un sicuro
      riparo e prova raccapriccio e piacere nel medesimo tempo. Ad
      anticipare quel sentimento che i moderni denominarono come
      sublime, intendendo con ciò la più forte emozione che sia data
      provare. Il dolore per la tragedia osservata si unisce al piacere
      per l'esserne fuori: un godimento che somma soddisfazione e
      orrore. In un piccolo lago - però - tutto questo potrebbe forse
      apparire eccessivo.
      Il sublime inclina all'ironico, ad una provocazione, a un'
      invettiva degna di Brassens. (...)

Angelo Villa da   Pink Freud  ( Psicoanalisi della canzone d'autore da Bob Dylan a Van De Sfroos )

PINK FREUD ( Van De Sfroos ) 3



(...) Il pericolo esiste, effettivamente. Ma il tragico è come
      dissimulato in questo luogo - il lago per l'appunto - che è nel
      contempo un altrove e la sua negazione, il sogno di una fuga e
      il suo impedimento. Sulla riva - il protagonista lo sa - sono tutti
      lì a pregare : " me ciàpen per un matt che veul dumà negà...
     ( mi prendono per un matto che vuole solo annegare ...).
      Perseguendo il suo obiettivo, lui si lascia, vuole lasciarsi
      trasportare dal vento:" la spùnda la ciàma, ma la barca la và.."
     ( la sponda chiama, ma la barca va...). E finalmente il
      protagonista è con la sua barca in mezzo al temporale :" tui-
      vess foe di ball che a me me piaa inscé..." ( toglietevi dalle
      scatole che a me piace così ...). Lontano dalla riva, in balìa dei
      venti e delle onde, in preda alle forze di madre natura, il
      protagonista sembra un bambino felice di farsi cullare da
      questo movimento. Quel che mette paura conserva al suo
      interno un cuore familiare, mitico e agognato in cui perdersi,
      dove leopardianamente o - anche il naufragare - è dolce.
      Quest'acqua di lago - da una sospettosa diffidenza - spalanca
      le sue porte e il suo grembo a un'accoglienza - in definitiva -
      non meno preoccupante. Un'inquietante estraneità, direbbe
      Freud. L' alterità, l'imprevedibilità si rovescia nel simile, nel
      ricercato. E l'acqua corrobora immagini regressive di
      natalità, di un luogo nostalgico al quale tornare, ma dove,
      trascinato fatalisticamente da quegli stessi movimenti, è facile
      perdersi, addormentarsi, scivolare nell'eterno non nato come
      Pinocchio o Jona nel ventre della balena. Il lago e le sue acque
      così care ai romantici, sembrano fatti apposta per incarnare
      una malinconia soffusa e claustrofobica che forse vorrebbe, che
      forse ambirebbe a qualcosa che nemmeno lei stessa saprebbe
      indicare con precisione..Una sensazione che , in " Akuaduulza"
      come in " Brèva e Tivàn " l'incedere della melodia, quasi
      strascicato e stanco , consegna all'ascoltatore. (...)

Angelo Villa  da  Pink Freud ( Psicoanalisi della canzone d'autore da Bob Dylan a Van De sfroos "


                       
                                         la spùnda la ciàma ma la barca la và...      
     

mercoledì 29 novembre 2017

PINK FREUD ( De André ) 1

 


                                                      amore che fuggi, da me tornerai...


(...) L'amore va, l'amore viene, dipende... Com'è noto, Faber
      scrisse nel '66 " Amore che vieni, amore che vai", un brano che
      nel suo insieme potrebbe benissimo suonare come una canzone
      d' Oltralpe, stile Brel, ad esempio. La canzone ricorda una
      macchina teatrale barocca che solo in alcuni momenti e in
      alcune sfumature lascia cogliere all'ascoltatore l'intera
      prospettiva, l'orizzonte in tutta la sua complessità. Sembra -
      infatti - una canzone greve, dall'andatura pesante, all'
      apparenza forzata. L'incedere della musica unita alla voce di
      Faber offrono un'immagine di tragica solennità, di sofferta e
      ineluttibile nostalgia. L' una intrecciata all'altra contribuiscono
      ad evocare un atto, quello proprio alla confessione di una
      verità, incommensurabilmente sconfortante perché figlia dell'
      evidenza di una costatazione: è così e non altrimenti, è così e
      non poteva e non potrà mai essere diversamente. Si scrive
      amore ma si pronuncia delusione. Tuttavia, il brano è
      attraversato al suo interno da un movimento melodico che
      costituisce una sorta di controcanto nei confronti di quell'
      entrata ridondante e massiccia con cui la canzone si presenta
      e, per certi versi, si sviluppa. " Amore che vieni, amore che vai"
      mima l'oscillare cadenzato di un cullare antico, come se
      ripetesse in questa parola non espressa, trascinata lungo tutto
      l'arco del pezzo, quella risposta che insistentemente  il testo
      insegue.
     " Le canzoni le ho scritte così, come mi hanno aggredito, per
       incontenibile riaffiorare di memoria ", commentava a riguardo
       De André. E " Amore che vieni, amore che vai", sembra il
       manifesto di quell'affetto che si consuma tra la domanda e
       l'intenzione, tra l'aspirazione e una rabbia rivendicativa a
       stento trattenuta. Il protagonista  vorrebbe - forse - ardire a
       giocare la carta di chi è desiderato. Un osare che - tuttavia -
       potrebbe restituirgli la sua tristezza, raddoppiata. In quel
       momento, infatti, sarebbe difficile sottrarlo all'incontro con la
       crudeltà di un disinteresse che lo lascerebbe ulteriormente
       ferito. L' Altro sfaterebbe ogni malinteso, dissolverebbe ogni
       equivoco, palesando che se lui non può vivere senza di lei, lei
      - invece - può farne benissimo a meno. O - anche - viceversa .
       Rimane solo una profezia, fragile e frustrata, un rancore
       minaccioso appena dissimulato " amore che fuggi, da me 
       tornerai..." .  (...)


            Angelo Villa  da  Pink Freud ( Psicoanalisi della canzone d'autore da Bob Dylan a Van De Sfroos )

PINK FREUD ( De André ) 2



(...) Il lamento pare così senza scampo. Un vicolo cieco nel quale
      la domanda d'amore si consuma. Il testo - in fondo - consegna
      all'ascoltatore un'ulteriore sorpresa, la più significativa. L'
      eredità della passante si è trasformata in un testamento per l'
      osservatore. Come scrive Freud parlando della melanconia, l'
      ombra dell'oggetto si è depositata sull ' Io. Tra chi passa e chi
      guarda, tra chi fugge e chi rimane aggrappato a un'attesa che,
      nell'indecisione che coltiva, funge da alibi per il proprio
      desiderio, scorre il fiume caotico dell'identificazione. Le parti
      si confondono, si scambiano,dietro le finestre dalle tende tirate,
      dalle persiane socchiuse, dove solo si mette in mostra
      rivendicazione e sconfitta. L' uomo che guarda assomiglia
      eccessivamente alla passante, il soggetto all'oggetto della sua
      attenzione. Entrambi soffrono del medesimo male, condividono
      l'identica noia. L'uno è l'altra, e viceversa.
      Ci si chiedeva un bacio, non a caso. " amore che vieni, amore
      che vai... / a chiederci un bacio e volerne altri cento...". Quel
      noi che  il " ci" sottende, rende bene - al fondo - l'idea.
     " Io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai..." canta Faber.
       Sembra rinfacciare all' Altro quel che ha ricevuto,
       restituendogli la pariglia. E' tanto preso dal gesto, da
       dimenticare - mentre lo richiama - che lui stesso è divenuto
       quella passante contro cui si rivolta. Ne ha fatto proprie le
       sembianze, le ha tolto di bocca, le ha rubato le sue parole.
       Quelle che - per la verità - l' Altro non gli ha forse mai detto
       con chiarezza, ma che giacevano lì - silenti - nel suo sottrarsi.
       (...)


     Angelo Villa  da  Pink Freud ( Psicoanalisi della canzone d'autore da Bob Dylan a Van De Sfroos )