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lunedì 31 luglio 2017
STRUTTURA DEL CONFLITTO AMBIVALENTE 1
(...) Si è ripetutamente detto che l'ambivalenza affettiva traduce un
conflitto esistente tra un individuo e un altro all'interno di una
relazione affettiva di particolare intensità e a valenza
simbiotica ( RAI ). Per Freud si tratta di un conflitto tra
relazione d'oggetto e pulsioni di autoconservazione, ovvero tra
necessità e timore della dipendenza, tra l'urgenza di soddisfare
i propri bisogni relazionale e quella di preservare la propria
autonomia. L'effetto paradossale dell'ambivalenza è che finisce
per distruggere il rapporto con un partner che si ama e il cui
amore ci mantiene vivi. Non in tutte le relazioni d'amore si
instaurano dinamiche ambivalenti: alcuni attaccamenti intensi
- per esempio - possono esaurirsi nel tempo per le loro stesse
caratteristiche oggettive, consentendo ai due partner di
distaccarsi senza che emerga nessun effetto contropolare all'
amore . In quelle in cui si introduce l'ambivalenza, queste
risoluzioni non patologiche non sono possibili: la relazione non
finisce, viene interrotta e si colloca in una temporalità
particolare, priva di termine, benché il legame " da un certo
punto in poi " sia mantenuto da effetti negativi e non più da
effetti positivi e cooperativi.
Per comprendere che cosa avvenga in questi legami intensissimi
e reciproci, bisogna recuperare alcune teorizzazioni
psicoanalitiche, ad esempio la metafora del rapporto col seno,
centrale nella metapsicologia kleiniana. Questi modelli, che si
rifanno tutti agli stadi più o meno precoci del rapporto di
dipendenza/ bisogno che ogni essere umano attraversa in fase
evolutiva, sono nello stesso tempo pertinenti e no. Infatti
ciascuno di essi presuppone un'asimmetria in cui l'oggetto
( d' amore ) è necessario alla sopravvivenza del bambino più
di quanto non lo sia il contrario : la dipendenza, cioè, non è
tanto simbiotica quanto parassitaria, dove chi è nella posizione
di bisogno ( parassitaria ) attacca l'oggetto da cui dipende ogni
volta che è sottoposto ad una frustrazione, quando esso viene
percepito come separato, distinto, non fuso, non alimentante.
L'attacco ambivalente, secondo questo classico modello
freudiano, avviene ogni volta che nella coppia si genera
discontinuità. Nella variante kleiniana, l'attacco
" invidioso" avviene anche in assenza di una frustrazione,
semplicemente perché l'oggetto d'amore è percepito avere
qualcosa che il soggetto non ha. L'aggressività, proiettata sull'
oggetto, lo scinde in " buono e cattivo" e, oscillando tra le due
posizioni, dà vita alla relazione ambivalente. L'oggetto cattivo
viene espulso dal soggetto che non può che appoggiarsi ad
altri oggetti ( buoni ) non potendo contare completamente su
se stesso per restare in vita. (...)
Riccardo Delle Luche & Simone Bertacca da L' ambivalenza e l' ambiguità nelle rotture affettive
STRUTTTURA DEL CONFLITTO AMBIVALENTE 2
(...) Un aspetto estremamente importante che, sebbene sia implicito
nella teoria kleiniana, non è stato finora messo sufficientemente
in chiaro nella letteratura, è che il processo di scissione dell'
oggetto in buono/ cattivo è concomitante a , e sovente implica
tre altri ordini di fenomeni: il primo è l' elusione di ogni
colpa da parte del soggetto ambivalente, in quanto essa potrà
facilmente essere proiettata sull'immagine cattiva dell' oggetto
partendo da un qualsiasi difetto o dettaglio negativo; la
scissione ambivalente consente cioè di trasformare l'
affermazione " ti odio ( infantilmente ) perché non sopporto che
tu non mi ami", oppure " perché hai quello che io non ho", in
"ti odio ( a buon diritto ) perché sei cattivo e spregevole".
In questa sostituzione oltre al ribaltamento del rapporto di
dipendenza o subalternità, l'immagine di sé non solo viene
preservata, ma addirittura magnificata. Il secondo punto è che
questa operazione di scissione implica necessariamente una
ristrutturazione narrativa fondata su una
falsificazione della realtà: perché il partner venga percepito
oggettivamente come cattivo è necessario avere delle
prove e dei punti di appiglio. Tutto ciò che di buono è stato
fatto da lui non ha più nessun valore rispetto a " quella volta
che ( mi ha trattato male, mi ha risposto male, si è dimenticato
di me, mi ha umiliato, mi ha fatto sentire inferiore...):il
dettaglio diventa la leva con cui l'ambivalente riscrive il
proprio romanzo finalizzato all'elusione di ogni personale
responsabilità.
Il terzo punto è che il processo di scissione non avviene - per
così dire - razionalmente o a tavolino, ma concomita con
imponenti fenomeni di turbolenza emotiva
(scoppi di rabbia, sensazioni di angoscia, disturbi di
conversione etc ), cioè, come si è già detto, con le
manifestazioni della regressione dallo psichico al fisico. (...)
Riccardo Dalle Luche & Simone Bertacca da L' ambivalenza e
l'ambiguità nelle rotture affettive
L' AMORE VERO 3
(...) Ogni amore degno di questo nome, comunemente indicato
come " amore- passione" e in letteratura a volte come " amore
romantico, o amore malinconico ", presuppone una sequenza
universale:
Una fase preliminare di avvicinamento e creazione di
sentimenti di simpatia tra due persone che instaurano un
legame non anonimo e non necessariamente utilitaristico;
una fase della scoperta di essere innamorati, un evento
sempre discreto che sorge a distanza variabile dall'incontro
(dai " colpi di fulmine" alla rivelazione nel corso di un'amicizia
o di una frequentazione più duratura );
una fase fusionale dell'innamoramento nella quale
l'identificazione proiettiva sembra annullare le differenza tra i
partner e la diffusione dei confini corporei estende le
potenzialità erogene della coppia; l'innamoramento ha
caratteristiche ben descrivibili, ricorrenti e in ultima analisi
comuni a tutti gli uomini;
una progressiva defusione che porta allo stabilirsi di una
relazione duratura in cui i due partner si riconoscono diversi
e separati anche se uniti da sentimenti fondamentalmente
positivi e coesivi. E' in questa fase di differenziazione che i
diversi individui ritrovano ed evidenziano la propria peculiarità
Il passaggio dall'innamoramento all'amore richiede la capacità
di stare soli, di vivere i sentimenti in assenza dell'oggetto e
indipendentemente dalla componente sensuale; insomma di
tollerare la frustrazione dovuta al rarefarsi dei momenti
emozionali apicali e l'eventuale emergenza di componenti
ambivalenti e distanzianti;
infine - prima o poi - la separazione , evento ineluttabile se
non altro perché la coincidenza della morte è un evento
decisamente raro. Non diversamente dalla fase successiva all'
innamoramento, ma in modo più intenso e definitivo, il lavoro
del lutto testimonia della potenzialità personologiche dell'
individuo ( si potrebbe dire " dimmi come elabori il lutto e ti dirò
chi sei " ).
La sequenza, pur nell'indeterminatezza della durata delle diverse
fasi, mostra come ogni dinamica amorosa si svolga secondo una
temporalità lineare rispetto alla quale il soggetto " normale" si
sincronizza evitando così ogni complicanza psicopatologica. La
" normalità" presuppone dunque la persistenza dell'
incorporazione dell'oggetto, la capacità di modulare l'
ambivalenza ( cioè di accettare i lati negativi dell'oggetto ), di
evitare per quanto possibile l'ambiguità nella relazione, di
riattivare periodicamente e spesso solo simbolicamente momenti
di apicalità affettiva, in un costante rinnovamento senza cui la
relazione si spegne e si esaurisce.
La normalità dell'amore, un tempo fortemente sostenuta anche
dalle norme morali e sociali, è oggi molto più dipendente dalle
scelte e dalla volontà individuale, per questo forse è diventata
così rara. (...)
Riccardo Dalle Luche & Simone Bertacca da L' ambivalenza e l'ambiguità nelle rotture affettive
LA VENDICATIVITA' 4
(...) L' ostilità verso l'oggetto di attaccamento prende talora la
forma più specifica della vendicatività, una difesa che trae
origine dall'ansia di separazione rimossa, e anche da altri
affetti rimossi ( il dolore, ad esempio ). Infatti essa consente di
mantenere un legame con l'oggetto d' amore: è una forma di
ostilità che esprime " la giusta collera" verso l'abbandono e
mira a ripristinare l'orgoglio offeso e ad offrire la speranza o
la sensazione di un trionfo vendicatore che mira - insomma -
a pareggiare i conti.
Il fine degli impulsi vendicativi è quello di distruggere un
oggetto interiorizzato precedentemente idealizzato, il quale -
mentre in passato dispensava forza e piacere - è divenuto
persecutorio. La vendicatività riemerge nella vita adulta come
reazione al dolore e alla rabbia successivi ad una situazione di
perdita. Le sue manifestazioni esteriori sono tipiche: il soggetto
è in preda ad un forte malumore, appare implacabile, spietato,
crudele, insensibile, inesorabile e inflessibile; cerca di sfruttare
qualsiasi occasione per dar luogo ad azioni punitive o di
ritorsione. Non mostra di avere alcun senso di colpa, né alcuna
preoccupazione circa le conseguenze morali e sociali delle sue
azioni. Il fine del soggetto vendicativo è quello di tenere
nascosto un danno ancora più disastroso e sofferto dal suo Io,
un danno sperimentato durante i primissimi anni di vita e che
costituisce la base di tutte le altre offese specifiche delle quali
si lamenta. L'intensità delle spinte vendicative nasce -
ovviamente - da una precedente idealizzazione dell'oggetto d'
amore incorporato, che ora è percepito come un persecutore su
cui sono proiettati invidia, avidità, ostilità, rabbia e
atteggiamenti vendicativi. Il suo fine è quello di derubare l'
oggetto amato di ciò che possiede, e di distruggerlo.
Paradossalmente è questo l'unico modo per possederlo e
mettere a tacere la sua presenza disturbante.
La vendicatività non nasce dall'opposizione fra amore e odio
( l'odio essendo già per lui un sentimento che consente la
liberazione e l'allontanamento dall'oggetto svalutato ), ma
quella tra amore e risentimento. La vendetta - infatti - è una
manovra rivolta non alla distruzione dell'oggetto, ma alla sua
punizione, a ingenerargli rimorso, cioè finalizzata al
mantenimento di una dinamica ambivalente che tiene l'oggetto
in una dimensione di vivo/ morto per rinviare all'infinito il
lavoro del lutto. Per questo motivo le dinamiche vendicative
sono così tenaci : possono infatti divenire " progetti di vita" a
lungo termine, che " tengono in vita" chi le attiva . (...)
Riccardo Dalle Luche & Simone Bertacca da L'ambivalenza e l'ambiguità nelle rotture affettive
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