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giovedì 6 febbraio 2025

IL PERDONO SECONDO RECALCATI 1



                         Nelson Mandela  " Il perdono libera l' anima e cancella la paura "




(...) Ogni amore, anche il più grande e il più assoluto, può morire. Ogni amore che giura fedeltà può incontrare il suo spergiuro, può conoscere prima o poi la sua agonia.. Il lavoro dell' elaborazione del lutto è penoso, doloroso. Quello del perdono è atroce perché lui / lei che ha tradito è come se fossero morti nella nostra vita, ossia non sono più quell' uomo / donna che avevamo conosciuto, quelli in cui avevamo riposto la nostra fiducia. Il lavoro del perdono è atroce perché implica che l' oggetto del perdono non sia irreversibilmente morto. Eppure l' immagine dell' ideale amato si è rotta per sempre. Ma, in realtà, è ancora qui ; è morta, ma è viva. E' assente ed è presente nello stesso tempo e mette nelle mani di chi deve compiere il lavoro del perdono la possibilità che questo amore possa continuare ad esistere o possa conoscere la propria fine. Questa è la drammaticità del perdono. Non esiste il perdono reattivo, come non esiste il lutto rapido, facile. Come per il lutto, occorre tempo per compiere questo lavoro straziante. A cosa serve il tempo nel lavoro del perdono ? Per dimenticare ? Sarebbe una forma di amnesia. Il perdono implica l' oblio, implica la dimenticanza. Potremmo chiederci : finché non ho dimenticato, non ho perdonato. Ma potremmo anche ribaltare le cose e affermare che possiamo veramente dimenticare solo se abbiamo perdonato.


" Il perdono non è l' effetto di una dimenticanza; è la dimenticanza che è l' effetto del perdono. Perdonare non significa - infatti - dimenticare: non si perdona perché si dimentica, ma si può dimenticare solo se si perdona. E' la logica biblica ben riportata nel libro di Geremia . " Ecco, i giorni vengono" dice il Signore " in cui farò un nuovo patto con la casa di Israele; ma non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal  paese d' Egitto; patto che essi violarono, sebbene io fossi il loro Signore. Ma questo è il patto che farò con la casa di Israele : io metterò la mia legge nell' intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio e tutti mi conosceranno...poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò del loro peccato ". (...)

                                                                                            ( continua )



IL PERDONO SECONDO RECALCATI 2


  Come può prodursi questo effetto? In che cosa consiste ? Il perdono non consiste in una decisione. Se il perdono fosse una decisione, rappresenterebbe una divisione : una parte di me rimarrebbe ferita e l' altra - invece - vorrebbe poter perdonare. Non può essere dunque una cosa che si può decidere: è l' esito di un lavoro. Anche per la psicoanalisi il perdono è possibile se è - innanzitutto - una lavoro sulla nostra imperfezione e non sull' imperfezione di chi ha tradito. Anche perché tra i due è probabile - ma non è una legge - che soffra di più chi ha tradito. In altri termini, il lavoro del perdono necessita di una condizione : si tratta di accogliere l' imperfezione dell' Altro come una rappresentazione della nostra stessa imperfezione. Si può perdonare per amore , " ma si può - con la stessa dignità - non riuscire a perdonare per amore ". Il perdono, per essere tale, deve perdonare l' imperdonabile - spiega Jaques Derrida (  filosofo francese, n.d.r. ). L' imperdonabile con cui il trauma del tradimento ci confronta non è  ( o non solo ) nel tradimento del corpo, "  ma nel tradimento del patto e della parola che il tradimento del corpo comporta ". 

Grazie al perdono, la perdita e la morte dell' amore non sono l' ultima parola sull' amore "; il perdono consente all' amore di ricominciare, come alla vita che si pensava fosse morta, di rinascere. Il perdono afferma che la distruzione e la morte non sono le ultime parole sulla vita ". Un effetto che ci segnala che il lavoro del perdono arriva a compimento è un effetto di alleggerimento della vita stessa. Nei Vangeli il perdono è un dono. Gesù invita a perdonare fino a settanta volte sette, ossia, l' unica misura del perdono è perdonare senza misura. Gesù non alza l' asticella della morale, ma porta la bella notizia che l' amore di Dio non ha misura. E lo racconta con la parabola dei due debitori. ( il primo doveva una cifra iperbolica al suo signore.. allora, gettatosi ai suoi piedi, lo supplicava...). Occorre considerare che il debito - al tempo di Gesù - era una cosa durissima: chi non riusciva a pagare diventava schiavo per sempre. Il perdono è scandaloso perché chiede la conversione non a chi ha commesso il male, ma a chi l' ha subito. Quando, di fronte a un'offesa, penso di riscuotere il mio debito con un'altra offesa, non faccio altro che alzare il livello del dolore e della violenza. Anziché liberare dal debito, aggiungo una sbarra alla prigione. Penso di curare una ferita ferendo a mia volta. Come se il male potesse essere riparato, cicatrizzato mediante un altro male. Ma alla fine saranno non più una, ma due ferite a sanguinare. Il Vangelo sembra voler ricordare  che noi siamo più grandi della storia che ci ha partorito e ferito, che siamo grandi quanto


"il perdono che strappa dai circoli viziosi, spezza le coazioni a ripetere su altri il male subito, rompe la catena della colpa e della vendetta, spezza la simmetria dell' odio "   (   Hanna Arendt  )




      Liberamente tratto dal testo di  Massimo Recalcati    Mantieni il bacio ( Lezioni brevi sull' amore )



                                         frida



lunedì 12 dicembre 2022

RECALCATI ( PSICOANALISI E BIBBIA )



                                                                    Massimo Recalcati



Estratto da un'intervista concessa dallo psicoanalista ad  Antonio Sanfrancesco, dal titolo "   Ho messo Mosè sul lettino dell'analista "


                                                             ***


Una volta, ha detto che da bambino, aveva due eroi: Gesù e Telemaco ed entrami avevano problemi con il padre. Qual è il nesso tra i due ?

" Sono due figure di figlio che hanno vissuto in maniera diversa l'assenza del padre. Telemaco all'inizio della sua vita. Gesù in maniera radicale nel Getsemani e sulla croce. Per entrambi, però, l'esperienza di questa assenza è ciò che li rende pienamente e autenticamente umani."



Cos'è per lei il padre?


" E' il simbolo della Legge, o meglio, di come si possa unire e non opporre la Legge al desiderio. Ma, per certi versi, è anche sempre un'assenza, nel senso che non può essere uno scudo e un rifugio assoluti di fronte alle atrocità della vita. Nella domanda di padre c'è sempre una domanda di senso e di riparo. Gesù ne sperimenta la mancanza nel momento più drammatico nella notte del Getsemani, quando fa esperienza dell'abbandono assoluto non solo del padre, ma anche dei suoi discepoli che non lo sostengono nemmeno nella veglia. Telemaco invece fa esperienza dell'assenza del padre, quando comprende che il padre non può salvaguardare la sua vita di fronte all'arroganza dei Proci.Per questo egli si decide a iniziare il suo viaggio singolare assumendo pienamente la sua solitudine. L' Odissea si inaugura con il viaggio di Telemaco, non di Ulisse ".




La sua lettura sulla Bibbia si concluderà con un'ampia opera. Di cosa si tratta? Una lettura dei Vangeli alla luce della psicoanalisi, sulla scia di Françoise Dolto?

" Dolto ha letto psicanaliticamente la Bibbia. La mia operazione è più scabrosa è, probabilmente, più discutibile perché si tratta di dimostrare che vi sono radici bibliche della psicoanalisi, la quale si è nutrita di alcuni grandi concetti che possiamo reperire nella lettura delle Sacre Scritture, sebbene nella sua storia la psicoanalisi abbia sempre negato questo debito".




In che senso?

" Nessun psicoanalista autorevole riconosce che vi sia un'eredità biblica della psicoanalisi, neanche Jung. La psicoanalisi sarebbe un' emancipazione illuminista, diciamo così, dall'oscurantismo del discorso religioso. Freud è stato un ateo rigoroso, figlio del positivismo scientista del suo tempo. Lacan ha un rapporto più complesso con la tradizione giudaico - cristiana. Un concetto fondamentale come quello di Nome del padre è chiaramente attinto da quella tradizione. Ma nel mio lavoro sulla Bibbia cerco di dimostrare che alcuni grandi temi come quello della Legge, dell'amore, dell'odio e della discendenza provengono direttamente dal logos biblico. Sia la psicoanalisi che la Bibbia affrontano la condizione umana senza mai fare della retorica. Non fanno sconti. E questa condizione ha nell'esilio la sua cifra di fondo. Il problema è come abitare in modo generativo e non depressivo l'esilio. Tutto questo però cerco di mostrarlo non applicando la psicoanalisi alla Bibbia, ma leggendo la Bibbia per comprendere meglio la psicoanalisi stessa. "




Nella difesa dell'umano psicoanalisi e cristianesimo non si trovano oggi dalla stessa parte.

" Sì, condividono un punto fondamentale : la resistenza allo scientismo dilagante, al feticismo del numero che lo caratterizza, al materialismo volgare degli algoritmi, ma anche la resistenza nei confronti del mito del consumo per il consumo, del profitto, del cinismo e del nichilismo che caratterizzano il discorso del capitalista. Contro l'oggettivazione dello scientismo e contro la mercificazione neoliberale, la psicoanalisi e il cristianesimo rivendicano che la verità ha sempre un volto singolare e un nome proprio. Questo è il cuore più profondo della psicoanalisi e del cristianesimo : non dimenticare mai la cura per il nome. Il problema non è tanto quello di dire la verità, ma di fare la verità. Il sistema dei consumi e lo scientismo sono due grandi avversari che cancellano la verità del nome: il primo attraverso un godimento senza limiti e il secondo attraverso la riduzione impersonale del nome al numero. Non a caso il profeta Isaia dice : " Non temere, io ti ho chiamato per nome".



                                          f.



martedì 24 agosto 2021

IL GRIDO DI GIOBBE ( presentazione )

 

Il male che si accanisce contro Giobbe non può più essere concepito come una punizione, perché egli non ha commesso alcun delitto; non può più essere una vendetta poiché egli non ha colpito nessuno.Nel trovarsi esposto alla violenza insensata della sofferenza, Giobbe si trova immerso in una esperienza intraducibile. Resta solo il grido rivolto a Dio come il modo più radicale della domanda. La stessa che egli porta nell'etimo del suo nome: Giobbe significa nella lingua ebraica " dov'è il padre? ". Domanda che sovrasta ogni possibile risposta. Il dolore di Giobbe non può essere ricondotto all'ordine del senso perché nessuna teologia, come nessun'altra forma di sapere, è in grado di spiegare l'eccesso. Il grido di Giobbe accade quando le parole sono costrette al silenzio, spezzate dal trauma del male. Esso non è indice di rassegnazione, ma di lotta e di resistenza.



                                            f.


IL GRIDO DI GIOBBE 1

 


" Sono diventato il sarcasmo dei miei amici, io che grido a Dio perché mi risponda; sarcasmo, io che sono il giusto, l'integro! ( Gb 12, 4 )




(...) Nel racconto biblico, Giobbe appare come un grido. E' la sua postura di fondo. Il grido è il modo più estremo della domanda. Non si articola nelle parole, non risponde alla legge del linguaggio, non è adottato da nessun significante. Esce dal corpo come un altro corpo. E' uno strappo, una lesione, una nuda voce. Quella del bambino inerme innanzitutto. Il grido accompagna la nascita e le prime turbolenti percezioni della vita. Di fronte alla condizione di estrema passività e sconforto nella quale il bambino si trova gettato, il grido appare come una prima invocazione della vita rivolta all' Altro. E' lo stesso che si ripete in coloro che si trovano esposti ad un pericolo o a una condizione di  derelizione. E' lo stesso che sorge dalla sofferenza che intacca alla radice la vita umana. Anche nell'esperienza analitica - in ogni paziente - si palesa il grido come domanda di soccorso. E' questa una delle eredità bibliche della psicanalisi dell'ebreo Freud : rispondere al grido della sofferenza, interrogarne il senso. E' questo ciò che Giobbe insistentemente chiede: qual è il senso del dolore che mi affligge? Di fronte alla lama della sofferenza la sua voce non si adagia remissiva nel silenzio, non sussurra, non dialoga con i suoi amici, non si ripiega in una contemplazione meramente teoretica del dolore del mondo. La voce di Giobbe prende corpo solo nel grido. E' il carattere blasfemo della sua interrogazione. E se Dio fosse l'artefice del male, se fosse un persecutore anziché un padre? Se non fosse il Dio del patto, ma il Dio voluttuoso e inumano della pura potenza? Anche la bestemmia, rompendo le consuetudini della comunicazione umana, tende al grido. Giobbe oscilla tra il grido della bestemmia e quello dell'invocazione : bestemmia il Dio sadico che infligge dolore al giusto, mentre invoca il Dio padre dell'universo. La domanda intorno al senso della sofferenza prevale su ogni possibile risposta. Perché la violenza del male si accanisce sull'innocente? Questa domanda nel Libro di Giobbe è la pietra dello scandalo. La sofferenza che non è stata generata dalla colpa, che non è manifestazione della ritorsione della Legge sul reo, eccede ogni forma di spiegazione. Il dolore dell'innocente sovverte la rappresentazione morale della Legge di Dio poiché nessuna Legge, nemmeno quella di Dio, può giustificarne l'esistenza. Questa Legge, infatti, di fronte alla domanda di Giobbe, resta opaca, illeggibile, indecifrabile. (...)



                          Massimo Recalcati  da   Il grido di Giobbe



IL GRIDO DI GIOBBE 2


(...) La scena che domina il Libro di Giobbe è allora quella di un abbandono: l'uomo retto e giusto, timorato di Dio, viene lasciato cadere, rotola nella " polvere e nella cenere", il suo corpo viene ricoperto di piaghe. La notte di Giobbe assomiglia a quella di Gesù nell' Orto del Getsemani: il padre non si cura del figlio, non lo tutela, lo lascia nella solitudine più assoluta; il silenzio di Dio appare scandaloso di fronte al dolore dell'uomo. Ma costretto a questa solitudine e a questo silenzio, Giobbe non cessa di rivolgersi a Dio. La sua deve insiste nella forma acuta del grido: " Perché ? " Perché la legge di Dio non sanziona il malvagio e azzanna l'innocente? Il dolore di Giobbe non può essere ricondotto all'ordine del senso perché nessuna teologia è in grado di spiegarne l'eccesso. Il grido di Giove accade laddove le parole della teologia sono costrette al silenzio, dove ogni forma di sapere deve rivelare i propri limiti. L'uomo non è padrone del dolore come non è padrone della propria morte. Giobbe però, diversamente dall'uomo greco, non si limita a costatare l'assurdità del dolore, la sua originaria insensatezza e crudeltà, ma insiste nel rivolgersi a Dio, esige di incontrarlo " faccia a faccia", di vederlo in persona. E' per questo suo carattere radicale che la domanda di Giobbe mette sottosopra la Legge di Dio. Il Dio della  Legge di cui Mosè canta le lodi e il rigore nel Deuteronomio mostra un altro volto, quello inquietante di un nemico irriducibile all'uomo. Mentre il Dio di Mosè è il Dio del patto, quello di Giobbe è il Dio della potenza che infrange il patto. Di fronte al destino che si accanisce contro la sua vita, egli non sceglie però la via del sacrificio rassegnato di se stesso, quanto quella del grido. Egli desidera incontrare Dio che ha rotto il patto per chiedere le ragioni di questa disdetta drammatica. Ma quando finalmente, al termine del Libro, avviene l'incontro con Dio in persona, Giobbe si trova di fronte alla dismisura della creazione. La potenza di Dio non è la potenza del male, ma quella ontologica della creazione. Egli deve così rettificare la sua posizione, convertendosi a una nuova versione della fede. (...)



                     Massimo Recalcati  da    Il grido di Giobbe



giovedì 19 marzo 2020

FRATELLANZA

  
                                
  

          I mangiatori di patate ( Van Gogh )

 
                                                                     
                        " La libertà passa dalla fratellanza:
                          da questa situazione
                          nessuno uscirà da solo. "


                                          Massimo  Recalcati


domenica 16 febbraio 2020

LE NUOVE MELANCONIE 1






      " E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce " ( Giovanni, 3, 19 )



(... ) La clinica della melanconia è una clinica della pulsione di 
       morte : il soggetto è preso in una spirale di odio per se stesso
     - di rifiuto della propria vita - che sembra non avere argini e
      che tende a trascinarlo fuori dalla scena del mondo. Nella sua
      versione freudiana più classica, la melanconia è caratterizzata
      da un'incessante ruminazione morale sul senso di colpa : il
    soggetto melanconico è sovrastato dal peso di una Legge sadica
    e inflessibile e da un profondo sentimento di indegnità.
    La tesi qui sviluppata è che nel nostro tempo siamo di fronte a
    nuove forme di melanconia sempre più diffuse. In esse non
    riscontriamo più il corredo sintomatico classico della 
    melanconia codificata da Freud : ritiro libidico, auto -
    denigrazione, auto accusa, senso di colpa inscalfibile, spinta
    suicidaria, delirio di rovina. Di questo corredo sopravvive
    ancora il ritiro libidico come tendenza del soggetto alla 
    chiusura, al rifiuto dei legami sociali, unito a una restrizione
    drastica  della sua pinta vitale. L' elucubrazione delirante sulla
    perdita dell'oggetto e sul senso di colpa sembra però essere
    sostituita da un altro fenomeno:una sorta di pulsione a chiudere
    il legame con la vita, un'inclinazione paradossalmente 
    securitaria che conduce il soggetto a disertare il proprio 
    desiderio. Nelle nuove forme di melanconia - presenti in modo
    preoccupante soprattutto tra le nuove generazioni - in primo
    piano non c'è più l'auto- flagellazione morale e la dimensione
    irrimediabile della perdita dell'oggetto, quanto invece un'
    inclinazione a ritirarsi dalla precarietà e dall' ingovernabilità
    della vita, a ridurre al minimo le tensioni all'interno dell'
    apparato psichico, alla chiusura securitaria. Il punto
    clinicamente più cruciale è,che mentre nella sua versione  
    freudiana il soggetto melanconico viveva l'impossibilità di
    elaborare il lutto per la perdita di un oggetto narcisisticamente
    significativo, nelle nuove melanconie emerge una adesione
    intensa nei confronti di un oggetto sempre presente, tenuto ad 
    agire come una sorta di supporto " iper - anaclitico " che
    penalizza l'emergenza del desiderio nel soggetto .  (...)



Massimo  Recalcati  da  Le nuove melanconie ( Destini del desiderio nel tempo ipermoderno )


 

LE NUOVE MELANCONIE 2




(...) E' questo un tratto davvero contemporaneo: la nuova
      melanconia scaturisce non dall'assenza o dalla perdita dell'
      oggetto, come avveniva nella melanconia freudiana, ma dalla
      presenza  iper- presente dell'oggetto. Se il fallimento dell'
     elaborazione del lutto obbligava il melanconico a sperimentare
     l'adesività dell'oggetto in quanto assente - l'assenza dell'oggetto
     è per il soggetto melanconico sempre presente -, le nuove
     melanconie vivono l'assenza dell'oggetto come insopportabile,
     impossibile da elaborare, incollandosi quindi alla presenza di
     un oggetto che ripara il soggetto dal rischio della perdita
     sottraendolo all'esperienza dell'assenza. Il loro nucleo è 
     autistico non nel senso delle psicosi infantili, ma in quello del
     ritiro regressivo della libido dal mondo: la vita si ritrae dalla
     vita, la libido regredisce e il soggetto si introverte su se stesso.
    Si tratta di una tendenza alla chiusura che definisce in generale
    la spinta oggi dominante non solo nel campo strettamente
    clinico ( anoressie, dipendenze, isolamento, ritiro dai legami,
    depressioni ),ma in quello più apertamente sociale che ha ormai
    configurato un nuovo volto del discorso del capitalista.
    Esaurita l'enfasi esaltata neo- liberale della globalizzazione,
    emergono tendenze apertamente reazionarie e involutive che
    glorificano il muro: nazionalismo, sovranismo illiberale,
    chiusura identitaria.    (...)



 Massimo  Recalcati  da  Le nuove malinconie ( Destini del desiderio nel tempo ipermoderno )

           

domenica 18 agosto 2019

MANTIENI IL BACIO 1

 
 

 " I baci non sono l'anticipo di altre tenerezze, sono il punto più alto "  ( Erri De Luca )


IL BACIO

(…) Il bacio è forse l'immagine che, più di ogni altra, condensa la
       bellezza e la poesia dell'amore. Non a caso non c'è bacio nell'
       amore mercenario e anche nella sessualità pornografica è
       raro. Il bacio è il tempo di un'intimità che unisce in modo
       sorprendente il luogo della parola con quello del corpo.Se non
       c'è amore senza dichiarazione d'amore, non c'è amore senza
       bacio.
       Ogni amore è tenuto a mantenere il bacio. E' solo il bacio a
       coniugare la lingua che dichiara l'amore con il corpo dell'
       amante. Non c'è bacio d'amore che non implichi infatti la
       lingua. Lo sappiamo: è la lingua che distingue un bacio d'
       amore da altri generi di baci. Si può baciare affettuosamente
      un figlio, un amico, un cane, un fratello, un padre o una madre.
      Ma solo la presenza della lingua nel bacio implica l'erotismo
      del desiderio.
      L'amore coniuga questo erotismo - l'erotismo della lingua, del
      bacio " della " o " con la " lingua, che può essere anche solo
      sessuale o sensuale - alla dichiarazione d'amore, alla loro
      dichiarazione: " ti amo". Ogni bacio d'amore dichiara, infatti,
      sempre e silenziosamente " ti amo ". E' dal silenzio della lingua
      che scaturisce la dichiarazione d'amore del bacio. Sentire la
      lingua dell'amato è sentire il suo cuore; è dichiarare il mio
      amore, è far esistere l'amore, è come fare l'amore.
      Mentre mantengo il bacio, tocco la tua lingua, la tua voce, la
      tua parola, il tuo nome. Mentre mantengo il bacio, trasformo
      il tuo corpo in una nuova lingua e in un nuovo alfabeto.
      Sento tutta la storia del tuo corpo depositata sul mistero unico
      della tua lingua. Sento tutta la vita che ho vissuto passare in
      questa nuova lingua che siamo diventati ora.
      Mantengo allora il bacio, lo trattengo nella memoria e nel 
      tempo. La tua lingua rosa o di caramella, di pioggia o di neve,
      di mare o di vento. La tua lingua come una nuova frontiera del
      mondo. Mi allaccio e mi slaccio dalla memoria di tutti i tempi
      e di tutti i baci che ho vissuto. Scopro che il mio corpo è fatto
      per essere aperto,per ospitare una nuova lingua, per mescolare
      le nostre lingue. Scopro che il mio corpo è esposto all'evento
      nuovo della tua lingua impronunciabile.  (…)


Massimo  Recalcati  da   Mantieni il bacio ( Lezioni brevi sull'amore )


 

MANTIENI IL BACIO 2


(…) E' la gioia immensa dell'amore tra i Due quando accade.
       Sentire tutto il tuo corpo nella tua lingua.Apprendere a parlare
       in un altro modo. Apprendere una presenza nuova in me. Fare
      esperienza della lingua che,come il mondo,nasce un'altra volta.
      Il bacio non unifica, non compenetra, non fonde gli amanti in
      un solo corpo.Nel bacio, i corpi restano divisi,separati, distinti.
      L'intimità del bacio fa sprofondare l'Uno nell' Altro, ma i corpi
      restano due. Anzi, è solo perché i corpi restano due che il bacio
      è possibile. Una discesa veloce di scale, di valico di montagna,
      di dirupo sul mare. Il cuore che precipita.
     Come avvolto in un vento di primavera ti bacio,e riverso tutta la
      mia lingua, tutto il mio mondo, tutto il mio essere ,in te. Io sono
      tutto nella lingua che ti bacia e che ti parla. Sono ogni punto
      della tua bocca, della tua voce, del tuo corpo, nelle parole
      sconosciute della tua lingua.
      Mantengo il bacio nel buio della notte e nella luce del giorno.
      Lo mantengo nel tempo che passa. Lo mantengo nel furore
      acceso del mondo, nella sua ferocia. Gli amanti scavano il loro
      nascondiglio, la loro pace nella guerra, nell'infinito dolore
      dell'essere. Quando si baciano spengono il rumore del mondo,
      infrangendo la sua legge, sequestrano il tempo dal suo
      movimento ordinario. Cadono insieme nelle loro lingue distinte
      e abbracciate.  (…)


Massimo  Recalcati  da    Mantieni il bacio ( Lezioni brevi sull'amore )

MANTIENI IL BACIO 3


BRUCIA O DURA ?

(…) Brucia o dura? Se brucia si consuma rapidamente e non può
       durare. Per durare non  deve bruciare, ma deve abbassare,
       affievolire la sua fiamma. Ma cosa diventa un amore che non
       brucia più? Può esistere un amore che non sia più fuoco? Può
       meritare - quell'amore - di essere chiamato ancora " amore "?.
       Ma perché durare sarebbe meglio di bruciare?
       La figura dell'innamorato sarebbe alternativa a quella del
       marito; quella dell'amante sensuale a quella della moglie e
      della madre.Il lessico familiare è la morte del lessico amoroso?
      Da una parte c'è il fuoco dell'innamoramento, dall'altra la
      presenza affettuosa del padre o del marito;da una parte l'
      erotismo dell'amante, dall'altra la cura attenta della moglie o
      della madre. Una parte brucia, l'altra dura.
      Non è forse questo uno dei paradossi più decisivi dell'amore ?
      Ma " come" nasce un amore? Come accade? Come avviene che
     Due si incontrino e dichiarino di amarsi ? Qual è il segreto dell'
      amore? Cosa lo accende, lo sospinge, lo tiene in moto? Cosa lo
      anima? Cosa vuole l'amore ? Cosa significa dichiarare il
      proprio amore?
      E' tutto un inganno, un'illusione,una trappola come ritengono
      in molti?Una perdita di tempo, un dolore inutile o un fastidio
      da sopprimere per i più cinici? E poi: quanto dura un amore?
      Non vive una contraddizione insanabile una dichiarazione d'
      amore che vorrebbe essere per sempre ? O un amore non
      finisce forse necessariamente in merda? Non finisce prima o
      poi nell'odio? Non è questa la verità ultima sull'amore ?
      Credere nell'amore a Due è allora credere a una fiaba?
      Novalis ci avvertiva che il mistero dell'amore non si può
      spiegare e che gli unici autorizzati a parlarne sono i poeti.
      Gli psicoanalisti, invece, sono spesso tra i più decisi avversari
      dell'amore come promessa che esige di durare per sempre.
      Eppure in ogni epoca e ad ogni latitudine la nascita di un
      amore sfida il tempo perché ogni amore degno di questo nome
      vorrebbe sempre essere " per sempre ". 


Massimo Recalcati  da  Mantieni il bacio ( Lezioni brevi sull'amore ) 

 
 



MANTIENI IL BACIO 4



L' ATROCITA' DEL LAVORO DEL PERDONO

(…) E' possibile perdonare un tradimento? E' possibile per un
      amore che ha conosciuto la menzogna,l'impostura,lo spergiuro,
      tornare ad amare lo stesso? Il perdono è un lavoro atroce. Per
      certi versi ricorda quello del lutto. Si tratta di digerire
      psichicamente una perdita. L'immagine ideale dell'amato si è
      rotta per sempre. Il vaso è andato in frantumi. E non si può più
      recuperare, tornare a com'era prima. Ma a differenza del
    carattere penoso del lavoro del lutto,il lavoro atroce del perdono
    implica che l'oggetto non sia irreversibilmente morto. E' morto,
    ma è ancora vivo. E' andato via, ma è ancora qui.
    Possiamo dimenticare un tradimento? Il tempo - come si dice -
    non dovrebbe curare le ferite?Lo si dimentica per indebolimento,
    per estinzione naturale del ricordo del trauma del tradimento?
    Per perdita di memoria? Una sorta di amnesia cerebrale allora
    sulla ferita dell'amante facendo cadere nell'oblio la percossa
    subita ?
    Come nel lavoro del lutto, anche il perdono costeggia la caduta,
    la perdita di una presenza che dava senso al mondo e alla mia
    esistenza. Questa presenza ora non esiste più. E' la doppia
    esperienza della mancanza che accade in ogni lutto: il mondo
    senza quella presenza è svuotato di senso e la mia esperienza è
    un'esistenza perduta com'è perduto il mondo.
    Il perdono non può mai essere una risposta immediata al
    tradimento. Esige tempo, come ogni lavoro del lutto. Non esiste
    lutto rapido o lutto facile, come non esiste perdono reattivo.In
    questo consiste l'atrocità del suo lavoro: ci vuole tempo. Inoltre,
    il lavoro del perdono, come quello del lutto, non cancella il
    trauma della perdita, non può dimenticarlo, ma solo provare a
    rielaborarlo simbolicamente. Perdonare non significa - infatti -
    dimenticare: non si perdona perché si dimentica, ma si può
    dimenticare solo se si perdona. (…)


Massimo Recalcati  da   Mantieni il bacio ( Lezioni brevi sull'amore )

MANTIENI IL BACIO 5



LA FERITA CHE DIVENTA POESIA

(…)Come accade per il lavoro difficile del lutto, anche il lavoro del
      perdono non riesce mai a cancellare la ferita aperta dal trauma
      del tradimento. Nel lutto si tratta della ferita provocata dalla
      perdita di chi non è più tra noi, nel perdono si tratta della ferita
      provocata dalla perdita di fiducia nella parola dell'amato o
      dell'amata. La cicatrice del tradimento resta tatuata sul corpo
    dell'amante.La sua presenza è indelebile.Il vaso non può tornare
    com'era prima della sua rottura. Il perdono non può cancellare
    la ferita.Piuttosto - quando accade - trasforma la ferita
    elevandola alla dignità della poesia.
    Esiste un'antica arte giapponese che può servirci per raffigurare
    il miracolo del perdono. Si chiama Kintsugi. Una leggenda la
    circonda: un mandarino molto potente rompe accidentalmente
    un vaso della sua preziosa collezione. Disperato, cerca un
    artigiano in grado di ricomporre il vaso com'era prima dell'
    incidente.Gli viene fornito un nome, ed egli affida i cocci del suo
    pregiato vaso nelle mani di questo vecchio artigiano. Il quale
    però, anziché provare a nascondere le spaccature del vaso, a
    ricostruirlo com'era prima cancellandone le crepe, le mette
    volutamente in evidenza dipingendole d'oro. Si racconta che altri
    mandarini, venuti a conoscenza della bellezza struggente di
    questo vaso, abbiano rotto apposta i propri, chiedendo che
    fossero ricomposti con lo stesso stile.
    Nell' arte del Kintsugi vediamo in atto una straordinaria
    operazione: il vaso è ancora quello di prima, anche se non è più
    quello di prima. Ha cambiato immagine, è un altro vaso, eppure
    è costruito sui resti del vaso rotto. Nonostante il trauma della
    sua rottura, grazie alle mani sapienti del vecchio artigiano è
    divenuto l'occasione per una nuova creazione: i punti di rottura
    sono stati dipinti d'oro, le cicatrici sono divenute poesie.
    In questo senso l'esperienza del perdono è un'esperienza di
    resurrezione . L' amore che pareva morto, finito, gettato nella
    polvere, senza speranza, ritorna in vita, ricomincia, riparte.
    Grazie al perdono, la perdita e la morte dell'amore non sono
    l'ultima parola sull'amore: il perdono consente all'amore di
    ricominciare, come alla vita che si pensava fosse morta, di
    rinascere. Il perdono afferma che la distruzione e la morte non
    sono le ultime parole sulla vita. (…)


Massimo Recalcati  da  Mantieni il bacio ( Lezioni brevi sull'amore)


lunedì 4 marzo 2019

L'ILLUSIONE DI NARCISO 1

 
 

" Non può esserci un Dio perché - se ce ne fosse uno - non crederei che non sia io "  ( F. Nietzsche )


(…) Caravaggio, seguendo il mito raccontato da Ovidio,ci presenta
       il giovane Narciso affacciato sulle acque che gli restituiscono
      - in una perfetta simmetria avvolta dal buio - la sua immagine
        adorata. La bellezza di Narciso contiene - si capisce - una
      trappola mortale:la fascinazione per se stessi può essere fatale.
      E' quello che accade anche nel mito: nel tentativo di afferrare
      la propria immagine riflessa, il giovane Narciso sprofonda
      nell'abisso delle acque perdendo la propria vita. Freud aveva
      coniato da questo mito una figura fondamentale della clinica
      psicoanalitica : il narcisista è colui che perde la propria vita
      restando alienato nell'infatuazione esaltata ma sterile per la
      propria immagine.Nel mito di Ovidio, Narciso è - infatti - colui
      che suscita ammirazione e amore, ma che non può - a sua volta
     - né provare né ricambiare in nessuna forma. L' anestesia
      affettiva è un tratto anche clinico della personalità narcisistica
      che segnala la sua impossibilità di entrare in una forma di
      legame con l'altro in quanto tutta la sua libido appare
      sequestrata dal proprio Io. Non a caso per Freud, l' Io è il
      primo oggetto di investimento libidico, il suo "serbatoio "
      originario. Il che significa che l'essere umano non nasce
      predisposto all'altruismo ma, casomai, al culto di se stesso. Il
      narcisismo definisce la tendenza dell'uomo che contrasta
      radicalmente con la tesi aristotelica dell'uomo come animale
      sociale. Il nostro Io è il primo grande e insidioso idolo alla cui
      potenza immaginaria la nostra vita si consacra. Il fascino di
     Narciso è lo stesso che troviamo nell'autosufficienza enigmatica
     del gatto - per riprendere una nota immagine di Freud - che
     contrasta con la fedeltà obbediente e servile del cane altruista.
     Si tratta di una differenza che riguarderebbe - sempre per 
     Freud - anche lo sviluppo dei sessi : il bambino tende ad
     accentuare la  dipendenza ( anaclitica ) dalle cure materne 
     sulle quali si appoggia, alla ricerca di un sostegno ( è più cane
     che gatto ); mentre la bambina resta più facilmente attaccata
    ( narcisisticamente ) alla propria immagine ( è più gatto che
     cane ). (…)




            Massimo   Recalcati  da          I Tabù del mondo 





                                                          
 
 
    Narciso   (  Caravaggio )
 
 


L'ILLUSIONE DI NARCISO 2



(…)L' illusione narcisistica vorrebbe cancellare il tabù della
      dipendenza dell'uomo dall' Altro. Il suo fantasma è
      partenogenetico, esclude ogni fecondazione dell' Altro. Il suo
      disegno è quello dell'autocostituzione,dell' autofondazione, dell'
      autorealizzazione. Mai nessun tempo come il nostro ha esaltato
      a dismisura la figura di Narciso come emblema di un soggetto
      che basta a se stesso, indipendente, autonomo. E' una patologia
      non solo individuale. Narciso può - come nel mito di Ovidio -
      innamorarsi solo di ciò che gli assomiglia, solo della propria
     immagine ideale;egli non conosce l'alterità,non conosce l'amore
     come esposizione assoluta verso il dissimile. Il fantasma di
     autoconsistenza che governa la vita di Narciso ispira da capo a
     piedi il mito liberale del " farsi un nome da sé ". Esso domina le
     nostre vite come una vera e propria forma pagana di idolatria.
     L' ideale seduttivo dell'autogenerazione vorrebbe negare ogni
     debito, ogni provenienza dall' Altro, nutrendo la credenza folle
     dell' Io che basta a se stesso. Il culto esasperato dell' autonomia
     individuale vorrebbe recidere ogni forma di dipendenza  
     lasciando solo ai servi, ai soggetti- cani ogni concezione 
     solidaristica dell'esistenza. Ogni concezione fascista e
     aristocratica della vita deriva precisamente da questa ipertrofia
     dell' Io e dalla conseguente cancellazione di ogni forma di
     debito simbolico nei confronti dell' Altro.  (…)

 
                        Massimo Recalcati   da     I Tabù del mondo




L' ILLUSIONE DI NARCISO 3



(…) Tuttavia, il mito di Narciso, non si limita a mostrare la potenza
       seduttiva dell'illusione di farsi un nome da sé, ma ne evidenzia
       anche il rischio mortale. Narciso vorrebbe cancellare la
    distanza che lo separa da se stesso, reintegrare il suo doppio che
       vede riflesso, negare quella divisione che attraversa tutti noi
       impedendoci di credere troppo al nostro Io. Nessuno di noi,
       infatti - salvo i grandi paranoici - può pensare di coincidere
       perfettamente con l' Io che crede di essere. Nel tentativo di
      realizzare questa coincidenza,di annullare lo scarto che sempre
      ci separa da una perfetta coincidenza con noi stessi, Narciso
    perde la sua vita.Per questa ragione Lacan ha messo in evidenza
     il carattere profondamente suicidario del narcisismo umano:
     idolatrando la propria immagine, perseguendo il sogno
     onnipotente di cancellare l'alterità,il sogno di Narciso naufraga
     nell'abisso oscuro delle acque. Credere di essere un Io è - infatti
    - la malattia umana per eccellenza,la follia più grande, la  forma
     più subdola e pericolosa di idolatria.Se la modernità ha segnato
     il tempo della giusta emancipazione dell' Io dagli oscurantismi
     irrazionali della superstizione, se la voce di Kant ha definito la
     stagione dei lumi come l'uscita necessaria dell'uomo dal suo
     stato di minorità, l' epoca ipermoderna, quella in cui viviamo,
     non ha forse trasformato l' Io stesso in un nuovo idolo pagano
     altrettanto superstizioso di quelli che la ragione critica dell'
     Illuminismo ha smascherato nella loro impostura ? (…)



                          Massimo  Recalcati   da    I Tabù del mondo

L' ILLUSIONE DI NARCISO 4



(…) Bisognerebbe forse rileggere in questa luce un testo di
       immutata attualità com'è la  Dialettica dell' Illuminismo di
       Horkheimer e Adorno per cogliere sino in fondo la portata di
       questo ribaltamento epocale:l'Io si emancipa dalle ombre della
      superstizione religiosa per trasformarsi esso stesso in un'ombra
      altrettanto inquietante.Lacan lo diceva a suo modo: il problema
      non è più quello - classicamente illuminista - di distinguere la
      preda dall'ombra, di emanciparsi dall'ombra, ma di essere noi
      tutti prede della nostra stessa ombra. Narciso è l'ombra spessa
      di cui l'uomo ipermoderno è preda. La sua passione furiosa, la
      sua superbia capricciosa vorrebbero annullare lo scarto che lo
      separa da se stesso negando ogni forma di dipendenza dall'
      Altro. Questa è la sua follia mortale che il nostro tempo ha
      elevato a una sorta di nuovo comandamento sociale. Senza
      dimenticare però che le forme forse più nocive del narcisismo -
      come ci ha insegnato Nietzsche - sono quelle passive, quelle
      meno evidenti, quelle della falsa umiltà, del rigetto dell'
      ambizione, della vita schiva, ma avvelenata. Si tratta - in realtà
      - solo del retro di una stessa medaglia: lo sguardo torvo del
      risentito , odia la vita capace di realizzarsi invocando l'umiltà
      e il nascondimento solo come segni grigi della sua impotenza
      rabbiosa. In essa dimora più che mai lo spettro narcisistico che
      anima - al suo fondo - ogni forma di invidia umana . (…)



                Massimo  Recalcati   da            I Tabù del mondo 


domenica 10 febbraio 2019

TESI ANORESSICHE 1

 
 

" Volevo essere una farfalla: come l'anoressia mi ha insegnato a vivere " ( Michela Marzano )


(…) Si dice che l'industria della moda sia il virus dell'anoressia.
       Non è così. Non esiste un virus dell'anoressia. Non lo si può
       identificare né nella madre, è nella moda, né nelle condizioni
       di stress in cui tutti viviamo. L'anoressia racchiude una delle
       chiavi per intendere la condizione umana che risuona nei
       Vangeli : Non di solo pane vive l'uomo . Perché la vita
       biologica si umanizzi, sono necessari il segno d'amore, la
       parola, la presenza della parola dell' Altro. Nell'epoca
      dominata dal discorso del capitalista, il fantasma arcaico della
      fame è stato definitivamente sconfitto. Intere culture e interi
      popoli hanno vissuto nell'incubo della carestia e della penuria
      di cibo. Ora questo incubo governa le altre civiltà, non quelle
      della ricchezza e dell'opulenza. Nell' Occidente ipermoderno
    la paura della fame ha lasciato il posto alla paura di invecchiare
    e alla paura della morte, non per mancanza di cibo sufficiente,
    ma per destino.  (…)



                          Massimo Recalcati    da   Elogio del fallimento

TESI ANORESSICHE 2


(…) Nel mio libro L' ultima cena: anoressia e bulimia , con la
       definizione dell'anoressia- bulimia come malattia d'amore,
       intendevo emancipare i cosiddetti disturbi alimentari da
       semplici disfunzioni della macchina - corpo. Questo legame tra
       anoressia e amore è stato ben colto già da Winnicott quando
     osservava come la presenza nei bambini di disturbi dell'appetito
   andasse ricondotta sempre a un dubbio del bambino nei confronti
    dell'amore materno. Incontriamo del resto molto frequentemente
   situazioni di esordio dell'anoressia chiaramente legate a un lutto,
   a una perdita di un oggetto d'amore significativo, oppure a una
   cattiva, quando addirittura non traumatica, iniziazione ad un
   discorso amoroso.Una mia paziente, divenuta anoressica dopo la
   rottura improvvisa di una sua relazione significativa, interpretò
   da sé la sua scelta dell'anoressia come una risposta al trauma del
   tradimento perché si sarebbe concentrata a senso unico su se
   stessa, sul controllo delle calorie, del peso, etc... escludendo così
   il mondo dei rapporti sentimentali da ogni suo interesse. L'
   anoressia aveva avuto per lei la funzione di una anestesia
   affettiva . Affermava di vivere come " gelata", priva di emozioni.
   Allo stesso modo possiamo verificare facilmente come un segno
   importante di guarigione sia il riattivarsi di un interesse libidico
   verso l'altro sesso o, più in generale, verso il mondo delle
   relazioni affettive. Questo segno è per noi di gran lunga più
   significativo dell'aumento di peso o del ripristino di una
   condizione cosiddetta " normale" dell'appetito e dell'
   alimentazione. Se l'anoressia è una gelificazione della vita, la
   cura dell'anoressia consiste in una sua vivificazione. Si tratta,
   come si esprimeva un'altra paziente, di " recuperare la sensibilità
   degli arti, delle mani, delle gambe, delle dita, del corpo intero
   così come succede a qualcuno che si è assiderato e che deve
  lentamente riacquisire il contatto con il proprio corpo.  (…)



                  Massimo  Recalcati  da    Elogio del fallimento