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mercoledì 11 luglio 2018

IL GIORNO DEI COLOMBI

 
 
 
 
Penso che la cura con cui mi allevarono mi abbia permesso di sopravvivere a me stessa…



( …) Nell'autunno del 1972 i miei genitori mi accompagnarono al
       college. Tutte le cose di cui avevo bisogno, furono stipate in
       un baule di alluminio blu nuovo di zecca: una trapunta di
       pezze irregolari lavorate all'uncinetto da mia madre per il mio
       letto, cento dollari del 4B in vestiti nuovi, il mio Self- Teacher
       della Berlitz, le Meditazioni di Marco Aurelio, una fotografia
       in cornice, una tabacchiera di pelle con perline che Mooshum
       possedeva da tempo immemorabile e che mi aveva regalato
       distrattamente, come fanno i vecchi, e da mio padre un fascio
       di buste con il suo indirizzo, ciascuna delle quali conteneva un
       biglietto da un dollaro nuovo. Aveva appiccicato su ogni busta
       speciali francobolli che voleva far timbrare, alcuni in giorni
       particolari.
       Le altre matricole stavano entrando nelle stanze del dormitorio
       con i genitori che le aiutavano a portare i bagagli. Vidi scatole
       di paperback, impianti stereo,  album di Dylan e chitarre
       acustiche di lucido legno dorato. Trapunte fatte a maglia o
       ricamate, nessuna delle quali bella come la mia. Ma mentre
       portavamo il mio baule su per due rampe di scale, il terrore mi
       assalì. Nonostante la mia determinazione di andare a Parigi,
       in realtà avevo avuto paura a lasciare la famiglia anche solo
       per spingermi fino a  Grand  Forks, e alla fine pure i miei
       genitori non volevano lasciarmi partire. Ma dovevo farlo. Ed
       eccomi qua. Scendemmo le scale. Ero troppo infelice per
       piangere e non ricordo i nostri ultimi abbracci, ma guardai i
       miei genitori quando furono vicini alla macchina. Mi facevano
       gesti di saluto, e quel momento è un'immagine ferma e chiara.
       Posso evocarla come se fosse una fotografia.
       Mio padre, così magro e atletico, sembrava quasi indebolito
       dal colpo, mentre mia madre, la cui bellezza era ancora
       notevole e che era nota nella riserva per il suo silenzio e
       riserbo, aveva perso la sua caratteristica gravità. Il suo viso, e
       quello di mio padre, erano denudati dall'amore. Non era una
       cosa di cui si parlasse - l'amore - e sentirlo esprimere dalle
       labbra stesse dei miei genitori mi terrorizzava. Ma essi mi
       permisero quest'unica, nitida occhiata. L'amore si irradiava e
       splendeva intorno a loro. Poi andarono via. Oggi penso che
       tutto ciò che era concentrato in quell'occhiata - la cura con cui
       mi allevarono, le loro pazienti lezioni in ogni materia che
       sapevano insegnare, gli sforzi penosi che fecero per
       concedermi certe libertà,il loro esempio di fermezza nel lavoro
      - mi abbia permesso di sopravvivere a me stessa.  (…)


                 Louise Erdrick   da     Il giorno dei colombi

I BOSCHI

 
 

                                                 Un tempo il tuo tocco bastava a rivestirmi…



I BOSCHI

Un tempo il tuo tocco bastava a rivestirmi.
Tra questi alberi ora sono diversa.
Ora indosso gli alberi.

Abbasso un copricapo di ramoscelli piegati e l'assicuro.
Mi lego addosso una corazza di scorza graffiata.
Adatto alle mie mani le larghe foglie
dell'acero, come manopole di sangue.

Ora quando dico vieni
e tu entri nei boschi
in caccia di qualche creatura come la donna che ero,
io ti circondo.

La luce sanguina dalla radura. Le radici salgono.
Forme scannellate ardono azzurre nella luce che muore,
e anche tu conosci
la solitudine che mi hai insegnato col tuo corpo.

Quando ti corichi nella fossa di un albero abbattuto,
io ti copro - come ho sempre fatto -
questa volta non te ne vai.


 Louise  Erdrich    da   Sette poeti indiani americani contemporanei