Visualizzazione post con etichetta Antonio Scurati. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Antonio Scurati. Mostra tutti i post

giovedì 7 ottobre 2021

LA FUGA DI ENEA ( presentazione )

 

" E' questo il modo in cui finisce il mondo. Non con uno schianto, ma con un lamento". Quello che Antonio Scurati compie in queste pagine è un grande viaggio d'autore nella crisi italiana che la pandemia ha trasformato in dramma. Un percorso attraverso i commenti scritti in questi ultimi anni che svela il rischio di populismo e di un ritorno al fascismo, la condanna dei pochi nuovi figli e l'assenza di un deciso investimento nell'istruzione e nel futuro dei giovani. Un futuro che ricade sulle spalle di una generazione di adulti, quella cui appartiene l'autore, che sembra quasi vittima di se stessa: incapace di reagire e di difendere i padri, pronta a vivere solo nel presente, schiacciata dalla paura e con un vicino che viene da un altro mondo ancora troppo lontano.

C'è, però, una luce di fiducia e di speranza che illumina il racconto di questo nostro presente, l'indicazione di un cammino per risorgere che parte dal mito : la fuga di Enea in cui c'è la nostra salvezza. Il padre caricato sulle spalle e il figlio per mano: gli esseri umani sono coloro che soccorrono i loro simili più fragili, i malati, gli indifesi. Per preparare un futuro alla prossima generazione. Un atto di accusa al Paese di oggi, sospeso tra decadenza e occasione di redenzione, ma anche un accorato appello all'impegno e alla mobilitazione etica che traccia la strada per la politica, per le istituzioni e per ciascuno di noi.



                                             ( f. )



LA FUGA DI ENEA 1

 





(...) C'è un uomo che arranca. E' nel pieno del vigore fisico eppure barcolla, perché con un braccio deve reggere l'anziano padre infermo e con l'altro sorreggere il figlio infante. Sta fuggendo dalla distruzione : la città è in fiamme alle sue spalle. Triste destino il suo: giunto alla maturità, deve condurre in salvo ciò che più ama e, nel farlo, può salvare soltanto ciò che può caricarsi addosso. Tutto il resto deve essere abbandonato. Quell'uomo siamo noi. Molti lettori avranno riconosciuto in questa eterna allegoria della responsabilità adulta l'eroico Enea che fugge da Troia con  il padre Anchise caricato sulle spalle e il figlio Ascanio tenuto per mano. Rievoco questa immagine nella convinzione che non racchiuda soltanto una potente metafora della condizione umana, ma anche un modello politico. Enea che mette in salvo la città perduta caricandosela sulle spalle è un archetipo, una forma originaria dell'umano. In essa - dunque - è racchiusa non soltanto un'estetica e un'etica, ma anche una politica. Chiamiamolo il progetto Enea. In casa consiste? Per comprenderlo, dobbiamo passare dal mito alla cronaca. E' di ieri la notizia che d'ora in avanti il criterio per le vaccinazioni sarà solo quello dell'età. Ciò significa salvare innanzitutto i più fragili, quelli che stanno legati da un filo sottile alla trama dell'esistenza; significa salvare il vecchio Anchise, a costo di dovercelo caricare sulle spalle. Questo criterio implica niente meno che un'idea di umanità, di quale sia l'essenza dell'umano: gli esseri umani sono coloro che soccorrono i più deboli, gli svantaggiati, i malati, i feriti, gli infermi, gli anziani della specie ( e perfino le forme di vita diverse dalla propria : animali, piante, fiumi ). Tutte le specie animali proteggono i cuccioli ma nessun'altra specie custodisce i propri vecchi. Noi lo facciamo e in questo siamo umani.   
                                                               ( continua )



Antonio Scurati  da  La fuga i Enea ( Salvare la città in fiamme )



LA FUGA DI ENEA 2


(...) L' archetipo non racchiude , però, soltanto un generico ideale umanitario: porta con sé anche un preciso progetto politico. La città ( polis ) che si vuole rifondare, avrà nella cura dei fragili, dei disagiati, nella riconoscenza verso i " nostri vecchi" uno dei suoi pilastri. Troia è perduta, ma Roma custodirà gli anziani padri. In ciò, il fondatore della futura città è figlio del proprio padre. C'è, però, una terza figura nell'archetipo di Enea e non va trascurata anche se, spesso, nelle statue che da secoli tramandano l'archetipo, è quasi nascosta dietro le gambe dell'eroe. Il figlio. Ascanio.

E' recente notizia che i nati nel 2020 sono stati soltanto quattrocentomila, meno della metà dei decessi. L' Italia, ormai lo sappiamo, fa sempre meno figli. In vent'anni c'è stato un decremento del venti per cento. Il saldo demografico è, di anno in anno, sempre più negativo. Se dipendesse da noi italiani odierni, il futuro della specie sarebbe l'estinzione. Qui ci si misura con il punto critico dell'archetipo. Mettersi in salvo abbandonando l'anziano padre è disumano, ma rischiare la propria vita per salvare il genitore senza avere un figlio da condurre per mano, è gesto disperato. Ascanio, non Anchise è, dal punto di vista strutturale, il fattore di sostegno del gruppo scultoreo. Ne momento stesso in cui si scopre figlio, Enea deve sapersi padre. In questo punto precipitano anche le più evidenti implicazioni politiche del progetto Enea. Il mito dice alla cronaca che, mentre con una mano dobbiamo vaccinare i nostri anziani genitori, con l'altra dobbiamo fare tutto il possibile per riaprire le scuole dei nostri figli.  

                                                                   (continua )



   Antonio Scurati  da  La fuga di Enea  ( Salvare la città in fiamme )



LA FUGA DI ENEA 3

 

(...) Questo nell'emergenza. Poi c'è altro, molto altro da fare con la "mano di Ascanio".  Dobbiamo creare le condizioni perché una società infeconda smetta di esserlo. Un minuto dopo averle riaperte - le nostre scuole - dobbiamo progettare le scuole del futuro prossimo, investire su di esse in uomini, mezzi e idee ( l' Italia si ostina  sciaguratamente a rimanere tra le ultime in Europa per investimenti in istruzione ). dobbiamo poi garantire - finalmente - la parità di genere a cominciare dal mondo del lavoro perché, oltre alle fondamentali questioni di equità e giustizia, è ormai certo che la reclusione delle donne nell'ipotetico ruolo di madre contribuisce, fra l'altro, al calo delle nascite ( il mito arcaico presenta solo padri e figli maschi ma è del tutto evidente che la sua versione attuale dovrebbe mettere al centro della scena le femmine ). Le conseguenze politiche dell'archetipo sarebbero numerose. Credo che bastino questi due esempi per comprendere che il tanto sbandierato patto tra le generazioni presuppone una politica che valorizzi e chiami alle loro responsabilità i genitori. Non parlo di politiche della famiglia ( che in Italia recano sempre un'untuosa patina confessionale ) e so bene che i concetti di paternità e di maternità, nel loro significato più pieno, non coincidono affatto con la mera generazione biologica. Ma chi altri potrebbe caricarsi sulle spalle il peso dell'enorme debito pubblico contratto durante la pandemia, senza scaricarlo interamente sulle future generazioni, se non i genitori di quei figli cui guarda il piano europeo per la next generation? Ci sono molti modi di generare, ben oltre la riproduzione biologica. Il mito di Enea ci dice che, di fronte al dramma della distruzione, la politica dovrebbe fare appello a tutti coloro i quali, nelle forme e modalità più svariate, generano o hanno generato. Non si rifonda una città se la mano di Ascanio resta vuota. (...)



  Antonio  Scurati  da  La fuga di Enea  ( Salvare la città in fiamme )



sabato 23 maggio 2020

IL NOSTRO EPITAFFIO...



...PER I FIGLI DEL ' 40.

Milano, 15 Aprile 2020

(...) Erano nati con la Guerra mondiale e sono morti a causa della
      pandemia globale. Erano sopravvissuti alle bombe, alle 
      deportazioni e sono stati finiti da un'infezione polmonare. Si
      erano affacciati alla vita sotto l'oppressione di Hitler e 
      Mussolini e l'hanno lasciata sotto il segno di un acronimo
      impersonale, il Sars-CoV-2. 
      Furono battezzati con il fuoco di un mondo in fiamme e 
      moriranno senza l'estrema unzione in una desolata, asettica
      corsia d'ospedale. Non esistono destini migliori o peggiori di
      altri, esistono solo destini. Quello della generazione falciata in
      questa settimana dal virus merita, esige il nostro compianto, il
      nostro tributo di dolore collettivo. I parenti delle vittime non
      devono essere lasciati soli a piangere i loro morti, perché essi
      sono i nostri morti. Essi sono i compagni di una vita; essi sono
      i padri della nostra gioventù; essi sono i nonni dell'infanzia
      dei nostri figli.Tra le decine di migliaia, i più avevano 80 anni.
      Furono i bimbi del Quaranta, figli dell'apocalisse, nati nell'
      ora " segnata dal destino "; furono i ragazzi della speranza, gli
      uomini della ricostruzione, i vecchi della delusione.
    " Se ne vanno ", si legge su di un appello che circola in rete, " 
      se ne vanno mesti, silenziosi, come magari è stata umile e
      silenziosa la loro vita fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va 
      una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito
      l'odore e le privazioni. Se ne vanno mani indurite dai calli,
      visi segnati da rughe profonde, mani che hanno spostato 
      macerie, impastato cemento, piegato il ferro, in canottiera e
      cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della
      Lambretta, della Fiat 500, dei primi frigoriferi, della 
     televisione in bianco e nero.Ci lasciano avvolti in un lenzuolo,
     come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il
     sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci
     quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se 
     ne va l'esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza,
     il rispetto, pregi ormai dimenticati ".
     Il destino molto ha dato agli uomini e alle donne di questa
     formidabile e sciagurata generazione, e molto ha tolto.
     Appartennero alla leva più ariosa del secolo; scalarono l'
     esistenza con il fiato immenso di un ciclista in fuga, ma hanno
     esalato il loro ultimo respiro spolmonati. Nacquero spesso in
     stanze malsane, mal aerate, poco illuminate, terranei, case di
     ringhiera, poveri cascinali,ma sempre affollate, vocianti, dense
     di vita e poi - però - sono morti da soli, protetti, isolati e al
     tempo stesso abbandonati da un necessario e impietoso
     protocollo sanitario.
    E' terribile andarsene senza un volto amato da poter 
    contemplare. Non si può immaginare morte peggiore. Eppure,
    questo è stato il loro destino in una primavera senza gioia.
    Ci sono parole per piangere i defunti e ci sono parole per
    consolare i viventi. Le seconde non sono possibili se non sono
    state recitate le prime .  (...)



     Antonio  Scurati  da  C'è un posto nel mondo... Siamo noi.