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domenica 5 giugno 2022

IL SENSO DEL RITORNO



                                                                       Il ritorno


(...) Qualcosa è già accaduto, in un tempo e in un luogo precedenti e noi dobbiamo tornare perché è lì che è iniziato il nostro cammino. Ma a che punto siamo di questo cammino? Quale  distanza abbiamo percorso ? E soprattutto che cosa abbiamo visto e cosa ci è sfuggito? E ancora: che cosa  ha spinto anticamente i nostri passi fino al punto in cui adesso ci troviamo?

Per saperlo dobbiamo ritornare. Non abbiamo altro modo, non abbiamo altra bussola, altra mappa, altra lanterna per questo viaggio, che è un viaggio notturno tra le ombre e la memoria. Il ritorno è una forma estrema di conoscenza e di riconoscenza verso i luoghi che abbiamo abitato e che abbiamo amato e dove è stata scritta la profezia che ci riguarda e che troverà il suo compimento attraverso la nostra vita.

Solo nel ritorno si attua la nostra attesa più urgente: sapere ciò che ci è veramente accaduto, cosa è accaduto dietro le quinte, nel fondo assoluto e misterioso che sostiene la nostra esperienza.

C'è un porto in fondo al nostro essere e noi, scendendo a picco, liberandoci dai passatempi della vita quotidiana, concentrandoci interamente sull'essenziale, possiamo indirizzare il cammino verso questo porto, che è la meta ultima della nostra vita. Ma perché ciò avvenga, dobbiamo capire dove siamo. E  per capirlo dobbiamo ritornare.

Questo viaggio in avanti verso il nostro porto è nel medesimo tempo un viaggio all'indietro verso ciò che siamo stati, verso i luoghi che abbiamo amato.

I luoghi amati ci parlano, si rivolgono a noi, proprio a noi, fanno cenni, sorridono come delle donne, sono donne. E  ci chiamano, ci chiamano a sé, ci chiamano a giudizio. E noi, là, dove ci viene indicato, andiamo. Seguiamo una traccia, uno slargo, una vetrina, il muro identico di un palazzo, un citofono, il rumore di un camion : tutto, nella commozione assoluta del ritorno si deposita in noi, attende di essere nominato.

I luoghi che abbiamo amato sono lì, a portata di sguardo e a perdita d'occhio. Più noi li guardiamo da vicino, e più loro ci guardano da lontano. All'inizio, di fronte a loro, sentiamo un abbraccio acceso e brancolante, che cerca ancora la sua precisione. Poi una messa a fuoco dello sguardo, un avvicinamento più nitido del luogo al suo aggettivo, portano vicino al compimento, alla pienezza dell' udito.

Sì, in questo ritorno c'è un luccichìo di tutto l'essere, un risveglio che sta per avverarsi, il senso di una rivelazione imminente. E noi iniziamo ad ascoltare. Una volta i luoghi ci avevano detto qualcosa che non siamo riusciti ad afferrare, qualcosa che non abbiamo udito fino in fondo e che poi è andato perso, qualcosa che ora dobbiamo - ad ogni costo - sapere.

Nei luoghi amati, e nel ritorno che li accende, c'è qualcosa di improsciugabile: più li nomini, e più ti parlano, più li saccheggi e più si arricchiscono di nuovi significati, ombre, chiaroscuri, dettagli, toni e semitoni. Il ritorno nei luoghi sfugge alle leggi consuete della fisica: più attingi a loro e più li alimenti.

Non a tutti è dato ritornare. Non sempre è dato ritornare. Ci sono giorni e luoghi che non ammettono repliche, sono incomparabili - letteralmente - si rifiutano al paragone, chiedono di restare nel loro atto unico. Altri invece ci chiamano, perché lì è avvenuto qualcosa di essenziale, ed è una convocazione perentoria, una chiamata a giudizio.

Il poeta del ritorno - più di ogni altro - ha orecchie per ascoltare questo richiamo, per tornare proprio lì, per dare volto e parola a ciò che prima era solo una presenza muta. Ha saputo ascoltare le voci dei luoghi amati, le loro uniche voci. Ha saputo decifrare questo alfabeto che era lì, in attesa che un poeta lo traducesse. Ed è allora che noi conosciamo, nella seconda volta, nel ritorno, quando le cose che rimanevano in fondo a noi assumono il loro vero nome. Perché non si tratta tanto di esprimere qualcosa, ma di chiamarla col suo giusto nome, con il nome sepolto dai nomi convenzionali.  (...)




                 Milo De Angelis   da    Ritorno

 


giovedì 24 giugno 2021

LA LINEA INTERA E SPEZZATA DI MILO


                                                                   Chet Za  -  Mostri






NEMINI

Sali sul tram numero quattordici e sei destinato a scendere

in un tempo che hai misurato mille volte

ma non conosci veramente,

osservi in alto lo scorrere dei fili e in basso l'asfalto bagnato,

l'asfalto che riceve la pioggia e ci chiama dal profondo,

ci raccoglie in un respiro che non è di questa terra, e tu allora

guardi l'orologio, saluti il guidatore. Tutto è come sempre

ma non è di questa terra e con il palmo della mano

pulisci il vetro dal vapore, scruti gli spettri che corrono

sulle rotaie e quando sorridi a lei vestita di amaranto

che scende in fretta i due scalini, fai con la mano un gesto

che sembrava un saluto ma è un addio.


***

DOPPIO PASSO

Qui, fra le trottole e il gatto parlante, in questa camera

dove ondeggiavano i vetri e la fiaba ci proteggeva,

proprio qui si svuota più veloce la clessidra

nel pavimento rosso delle sette capriole

si asciuga all'improvviso l'oceano dell'infanzia

balbetta una lingua morta nelle nostre mani calcinate

che ieri furono sorgente e primavera, foglio e inchiostro,

proprio qui irrompe la fine che scruta solo noi e tace,

tace in un respiro di salgemma.



E allora facciamo silenzio, mio piccolo amore, slacciamo

i sandali, togliamo il braccialetto di cuoio:

chiuderemo la porta e scenderemo, scenderemo

con i nostri pochissimi anni nell'occulto che ci chiama,

mentre il pavimento prende il colore della notte,

scenderemo noi due, scenderemo noi soli, perderemo

la vita.


***

IL PENULTIMO DISCORSO DI DANIELE ZANIN

Le antenne si muovono nel vento

il corpo ondeggia ma è deciso a pronunciare

ad alta voce le sue accuse. E tutto il quartiere,

con il fiato sospeso, scruta quel ragazzo alto e magro

in piedi sul tetto, con il golf bianco e le dita

coperte di farina. Ognuno attende la sentenza.

Ognuno affonda nel mistero

di se stesso, guarda in alto e non sa

dove si trova esattamente

ma sa che quelle parole sono per lui

e lui, mentre ascolta, le sta pronunciando.



" Mi chiamo Daniele e ho pensato seriamente alla vita.

La vita ed io siamo state due creature

che si accusavano a vicenda, finché un'energia furiosa

ci ha spinti l'una contro l'altro e ho cominciato

a vedere l'altra faccia di ogni foglio, ho cominciato

a nuotare nei laghi del tramonto ed ora sono qui

con gli occhi forati e le lacrime di piombo

e vi ho chiamati ogni mattina, vi ho chiamati

uno per uno per nome e per cognome

finché non vi ho più visti e cominciò

questo mio sempre

di ore deserte e istanti morti".



" State attenti, tutti voi, perché non parlerò due volte.

Sono nato alla fine di una festa, al Gallaratese,

quando la bocciofila restò senza luci e tutti

se ne andarono.

Gridai che era tardi, ed era tardi.

La musica delle sfere precipitò in una zattera,

il mio pianto ammutolì e allagò tutta la vita,

mi divisi per sempre da me stesso, persi la mano

della fata e a tutti voi scagliai in faccia

il mio sacchetto di canditi".



" Nella vasca dove entrai un pomeriggio

vidi la fine separata dal suo inizio, vidi 

le prime crepe del sorriso e divenni un istante ossidato,

una mezza notizia che nessuno raccoglie, vidi

la folla disegnata sulle mie unghie, vidi

per la prima volta i miei amati cavalli

fermi in una giostra di pietra,

mi aggiravo fra spigoli di buio, avevo un piede

immerso nella calce, studiavo i libri

degli antichi e dei moderni, riempivo la cucina

di appunti e foglietti. Poi l'artiglio di un gattino grigio

lacerò tutto il pensiero do Hegel".



" Cominciai a vedere nelle lampadine spente

il viso di mio padre, cominciai con la mia cannuccia

a succhiare veleno, mi immersi

nell'acqua passata

e apparve l'ombra dei lupi, entrò come un arpione

nella bocca, mi tolse la parola: sentivo le urla

dei pazzi in una culla di catrame

finché di colpo appassì l'ibisco e mi accorsi

che ormai da sette giorni sotto il mio cuscino

dormiva la morte ".


***

UDIENZA

Ormai sta pulsando, nelle parole che hai detto, il respiro

di quelle taciute.E sono lì, sono lì, bussano alla porta

non se ne vogliono andare, restano ferme fino a sera,

ti sfiorano il viso e si allontaneranno solo all'alba.

Restano lì e la stanza diventa un'aula di tribunale e tu

sei l'imputato.L'accusa è sempre la stessa: il silenzio.

Le attenuanti non contano: dovevi parlare, dovevi

tirare fuori la bestia, esporre il demone nero al pubblico giudizio,

mostrarlo alla primavera, spargerlo per il mondo, guarire.





Milo De Angelis    da   Linea intera, linea spezzata




sabato 21 luglio 2018

QUELL' ANDARSENE NEL BUIO DEI CORTILI

 
 

                                                  L' amore era silenzioso come una congiura...



L' amore era silenzioso come una congiura
nessuno sapeva se la vita era immensa
oppure niente, se il tempo dilagava
oltre le colline oppure un dio venerando
impediva al gesto la sua crescita o impediva
alle more di restare sulle labbra.


                           ***


A volte, sull'orlo della notte, si rimane sospesi
e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro,
- a lungo - nel giorno mai compiuto, si vede
la porta spalancata da un grido. La mano feriva
con precisione vicino alla dolcezza. Così
si trascorre ignoti dal primo sangue fino a qui,
fino agli attimi che tornano a capire e restano
imperfetti e interrogati.


    
     Milo De Angelis   da    Quell'andarsene nel buio dei cortili        



lunedì 17 luglio 2017

SCENA MUTA ( Tema dell'addio )



L'essenza della carne ferita
vagava tra due muri;
l'amore usciva
dal presente e il lenzuolo
dei volti era lì, ed era cemento
tra le dita ed era buio
tutta la luce era chiusa
nel petto, tutte le parvenze
della rosa, tutta la forza
dell'ora persa.




Un improvviso ci porta nel dolore
che tutto ha preparato in noi, nell'attimo
strappato al suo ritmo, nel suono
dei tacchi, nel respiro
che si estingue: era un pomeriggio
d'agosto tra le ombre della tangenziale,
il nostro niente
da dire, filo di voce, scena muta.



Eri l'ultima
donna della vita, eri il temporale
e la quiete, il luogo
dove la luce è insanguinata
e il sangue fiorisce: pochi minuti,
pochi metri, sempre lì,
nel cemento che parla, nella città
degli amanti, nel silenzio
dei lavandini; il bacio
avvenne
e noi non abbiamo
voluto più uscire.

Si muore così, all'ingresso
di una scuola, un cerchio perfetto.




Noi che abbiamo conosciuto
il cuore di ogni giorno e il cuore senza età,
l'idea che illumina la carne,
la sapienza delle misure
e il lampo, noi ci lasciamo
qui, in due metri di cemento, con un atto
di presenza, un battito
estivo, uno scambio di persona.


        Milo De Angelis    da     Tema dell'addio




VISITE SERALI ( Tema dell'addio )

 
 

                  
                                            a te una sola dedica, cenere che si fa respiro...



A te, amore, una semplice
poesia, quel sorriso umano
e trascorso che vedevi in ogni
sillaba, a te una sola
dedica, cenere che si fa
respiro, atto unico.



Nella tua estrema voce
la vita fu simultanea. Un semplice
attimo e un sempre insanguinato
confondevano le sillabe
nella tua estrema gola
bambina che cerca un viso
qualsiasi, lo bacia, lo fa suo,
gli crede, gli cede.




Camminavi con la coscienza del sangue
e l'attimo strappato al suo giorno,
mia arciera, mia trafitta
che ogni notte ti accendi nel cielo
ora che il corpo si è fatto musica
delle sfere, voce consacrata, silenzio.



Sotto la camicetta verde c'era un vuoto
di secoli, un atto di bestemmia
e perdono che andavano intrecciati nei viali
di ogni cellula. Sei felice - forse - cammini
verso un punto che ti chiama,
che ti ama senza una parola, con la sola
certezza del tuo piangere.



Ora si è spezzato l'ordine, ora
ti avvicini alla stanza e resti
nuda per tutta l'estate, con la mano
che gira all'infinito la maniglia.


         Milo De Angelis    da      Tema dell'addio

domenica 16 luglio 2017

CI TENIAMO VICINI ALL ' URLO

 
 

    ...ma più ancora del tempo che non ha età, siamo noi che ce ne andiamo...



Ci teniamo vicini
all'urlo, mentre passa il dodici
e l'attimo separato
dal suo vortice resta qui, nel cuore
buio dell'estate, nell'annuncio
di una volta sola. Tu
non ci sei. Resta la tua assoluta
voce nella segreteria, questa
morte che non ha luogo.


       Milo De Angelis   da      Tema dell'addio


domenica 19 marzo 2017

A PROPOSITO DEL PADRE...


  ...due poesie da due diversi punti di osservazione: una poesia
     scritta da un figlio in ricordo del padre ( Rondoni ) e una scritta
     da un padre per il figlio piccolo...( De Angelis )


  
                         IO NON VOGLIO DIVENTARE VECCHIO

                         Io non voglio diventare vecchio
                         perché lo sono già stato mille volte
                         e so già il buio e quella vile tempesta.

                         Ora che piango come vidi
                         piangere mio padre,
                         la stessa ruga e la testa
                         abbattuta, piena di sgomento,
                         imparo che la giovinezza non corre
                         nelle sorprese del sangue
                         ma nello sguardo che un vento
                         strappa da terra

                         per vedere in questo duro paese
                         l'infinita somiglianza fra Dio
                         e il viso di lei tutte le sere, i rami
                         mudi contro il cielo, il vino
                         fermo nel bicchiere...


                              Davide  Rondoni    da   Il bar del tempo



                                                           ***



  QUESTA SERA RUOTA LA VENA

Questa sera ruota la vena
dell'universo e io esco - come vedi -
dalla mia pietra per parlarti ancora
della vita, di me e di te, della tua vita
che osservo dai grandi notturni e ti scruto e sento
un vuoto mai esistito nella fronte, un vuoto
torrenziale che ti agita nel rosso dei giochi
e adesso ritorna e ancora ritorna
e arresta la danza delle sillabe
dove accadevi ritmicamente e tu
sei offeso da una voce monocorde e tu
perdi il gomitolo dei giorni e spezzi
la tua sola clessidra e ristagni e vorrei
aiutarti come sempre ma non posso
fare altro che una fuga partigiana da questo cerchio
e guardare il buio che ti oscilla tra le tempie e ti castiga,
figlio mio.


         Milo De Angelis   da         Terra del viso