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01 marzo 2016

RICORDATI DI NON RICORDARE.


Sì i ricordi.


Non parlo di  scavare nel nostro animo per cercare di pescare il ricordo d'infanzia, il raggio di sole che ci brucia sul filo del passato recente, il sorriso che ci manca ogni giorno (chiaro, quest'ultimo ci viene facile). Almeno non solo. 
Potrebbe essere, molto più semplicemente, l'ultima fetta di torta di mele che abbiamo mangiato da soli spaparanzati sul nostro divano.
La coccola appena fatta al nostro cane.
Insomma, non è che dobbiamo sfrantumarci il cervello per la fotografia più bella, per la serata indimenticabile. Troppo.
Io vorrei parlare del peso che a volte a causa loro sopportiamo.
A causa loro e della memoria.
La memoria del resto, ha questa "simpatica" particolarità:
ci becca all'improvviso quando meno ce lo aspettiamo.
Noi siamo lì beati, col cervello in pappa, seduti (per fortuna) in metropolitana, sfiancati dalla giornata di merda che abbiamo appena lasciato alle nostre spalle e non vorremmo pensare proprio a niente, nulla, nada.
Cervello in corto si chiama. Meraviglioso diritto all'oblio, fantastica catalessi.
E poi vediamo un gesto, come può essere ad esempio il passaggio di una mano tra i capelli.
Lo colleghiamo ad un altro gesto simile, noto e amato.
Ed è tutto un ritornare, lo spazio e il tempo si dilatano, ci inghiottono.
E ci ritroviamo sorridenti come ebeti o tristi,  incuranti della gente, della puzza, della stanchezza.
Ci vediamo, un mese prima, una settimana prima, ieri.
Seduti ad un tavolino di un bar, una tazzina di caffè al lato e una brioche zuccherosa dall'altra parte.
Un mano passata tra i capelli, per tenere in sospeso un concetto da finire, una pausa. O per un pensiero da cercare. Un istante piccolo.Che all'improvviso ci sospende.
L'inizio di una nuova giornata, un momento condiviso. Nulla di eclatante.
Eppure è  stato un momento felice. Allora.  Brevissimo, presto dimenticato. 
Salvo tornare a galla come un ospite inatteso mentre galleggiavamo dentro il grigio nel quale eravamo fino a quel momento. Ma lo volevamo, era necessario?
O avremmo preferito il silenzio, la tabula rasa, per ricompattarci, per avere tempo solo per le cose necessarie.Che è tutto troppo oggi, eccessivo, ingombrante, pure inutile. Anche  il ricordo a volte. Che sia felice o meno.
Posso ancora fidarmi della mia memoria, certo.  Con l'età è diventata più selettiva. Ma c'è, mi da spunti importanti, mi restituisce il passato con gli arretrati. Allo stesso tempo non è che impazzisco al pensiero di avere dimenticato qualcosa. 
Tutto bene alla fine, è bastato ricordarmi di non  ricordare e in un attimo è tutto di nuovo a tavola, bello e apparecchiato. Le caselline al posto giusto.
Io però con i ricordi a volte ci faccio a pugni, vorrei avere giusto il tempo per poterli dimenticare. 
Respirare immobile, al buio.

Grazie a Gabriele Romagnoli per lo spunto.






16 dicembre 2015

I LIBRI DEL MESE: DICEMBRE.




Gabriele Romagnoli: SOLO BAGAGLIO A MANO.




Autore: Gabriele Romagnoli
Titolo: Solo Bagaglio a Mano
Edizioni: Feltrinelli
Pagine: 87
Prezzo: 10 euro














Conosco e stimo l'autore e giornalista bolognese da molto tempo. Seguivo i suoi editoriali su Vanity Fair e il suo blog quando era direttore di GQ. I suoi viaggi attorno al mondo e il suo vagabondare di vita da una nazione all'altra, da un continente all'altro. Ho voluto visitare un po' di mondo dopo averne letto sui suoi articoli; ci sono angoli meravigliosi di Manhattan che ho scoperto e amato grazie a lui. Sempre in perenne movimento, sempre alla ricerca di qualcosa sperando di non ingombrare senza essere ingombranti. Ho letto molti dei suoi libri e apprezzo il suo stile scevro, privo di fronzoli che arriva diretto al punto. Senza sospensioni. Senza incertezze. Nel suo ultimo romanzo riflette sul significato della "dipartita", dell'addio definitivo. E lo fa partecipando ad un bizzarro rito-esperimento in Corea. Quello di fingersi morto e di farsi rinchiudere in una cassa di legno con addosso solo una vestaglia senza tasche (perché, come si dice a Napoli, "l'ultimo vestito è senza tasche") arrivando a storie, riflessioni, pensieri ossessivi che hanno a che fare con la moderazione. 
Il bagaglio a mano per esempio. Un bagaglio che è necessariamente indispensabile, poco propenso a spazio per accessori inutili, alla necessità della parola "senza". Ti chiede di scegliere. E in questo modo ci si stacca dal superfluo di questa nostra pazza cultura occidentale, troppo piena, molto inutile.
Quindi viaggiamo leggeri, per avere una speranza di salvezza. 

"Ogni vita è unica, anche nel non vissuto. E proprio perché unica non può consentirsi di fronte al bivio, di qua o di là, la risposta: in entrambe le direzioni. La non scelta porta alla tragedia. Come nei casi di Ziyad Jarrah e Salvatore Parolisi. Che l'esistenza sia unica non è un limite, ma la sua bellezza. Nel viaggio, eliminare dal bagaglio la "vita di scorta" è un'operazione necessaria e sacrosanta. Non ci sono due vite e una morte: i conti non tornano.
I limiti in generale sono un vantaggio, non un diminuzione delle possibilità.Se decidi di viaggiare leggero ti devi dare delle regole e le regole non complicano la vita, semmai l'opposto." 


Isabel Allende: L'AMANTE GIAPPONESE.



Autore: Isabel Allende
Titolo: L'Amante Giapponese
Traduzione: Elena Liverani
Edizioni: Feltrinelli
Pagine: 281
Prezzo: 18 euro













"Ci sono passioni che divampano come incendi fino a quando il destino non le soffoca con una zampata". Esordisce in questo modo nel suo nuovo romanzo, la mia scrittrice preferita. Mio corazon. Ci aveva lasciato con un thriller mozzafiato, Il gioco di Ripperin cui era stato evidente quanto la sua bravura e il suo coraggio sono incontenibili qualsiasi approccio allo scritto voglia dare. E ora torna nella sua solita veste, raccontando l'amore come solo lei sa fare. A cavallo del tempo e dello spazio, dalla Polonia della Seconda Guerra Mondiale alla San Francisco dei nostri giorni, regalandoci una nuova prova di quanto sia tutto possibile. Se passione c'è. Non è quel gran capolavoro della Casa degli Spiriti. Da tempo ormai non raggiunge più la grandezza di quelle pagine, bisogna riconoscerlo. Ma di sicuro è il genere in cui sguazza nel modo migliore. Chi la ama come me, apprezzerà al solito la sua grande capacità di farci pensare che comunque lo si chiami a volte, l'amore esiste. E arriva a tramortirci quando meno ce lo aspettiamo.

"A otto anni si era innamorata di Ichimei con l'intensità degli amori dell'infanzia e di Nathaniel con l'amore sereno della vecchiaia. Nel suo cuore entrambi ricoprivano funzioni diverse ed erano ugualmente indispensabili: era certa che senza Ichimei e senza Nathaniel non sarebbe sopravvissuta. Aveva amato Ichimei con veemenza, aveva bisogno di vederlo in ogni momento, di sgattaiolare via con lui nel giardino di Sea Cliff, che si estendeva fino alla spiaggia, pieno di stupendi nascondigli in cui scoprire insieme il linguaggio infallibile delle carezze."


Azar Nafisi: LE COSE CHE NON TI HO DETTO.



Autore: Azar Nafisi
Titolo: Le Cose Che Non Ho Detto
Traduzione: Ombretta Giumelli
Edizioni: Adelphi
Pagine: 342
Prezzo: 19,50  euro













"La maggior parte degli uomini tradisce la moglie per avere un'amante. Mio padre tradiva mia madre perché non si sentiva amato".  Se un romanzo parte così, in maniera diretta e amara, rivela dal primo istante che chi ci racconta la storia non ha alcuna intenzione di tralasciare o nascondere qualcosa. Con grande coraggio. Dopo qualche anno da Leggere Lolita a Teheran l'autrice tornò con la seconda parte della storia che racconta la sua vita e la sua famiglia. Nel mezzo la fine di un impero e l'inizio di una dittatura che allungherà i suoi tentacoli fino ai giorni nostri. Proprio accanto al paese in cui è nato quel gran buco nero che rischia di travolgerci tutti. Mi piace parlavene proprio ora, non è difficile immaginare perché.
Bisogna leggerla, per capire, per cercare di trovare alcune risposte ai nostri perché di oggi. Quel regredire che ci spaventa diventato il futuro di un intero popolo. L'unico? O possiamo ancora sperare?

"Raccontare era una passione di famiglia. Mio padre scrisse due libri di memorie, il meno interessante dei quali venne pubblicato e più di millecinquecento pagine di diari. Mia madre invece, ci raccontava le storie del suo passato, che di solito finivano così: Io però non ho detto una parola, sono rimasta zitta. Credeva di essere molto riservata sulla sua vita privata ma, a suo modo, non parlava d'altro. Non avrebbe approvato che io scrivessi un libro di memorie, soprattutto di famiglia, e del resto nemmeno io avrei mai immaginato che un giorno avrei raccontato dei miei genitori. Fa parte della cultura iraniana non rivelare le faccende private-non si lavano i panni sporchi in pubblico avrebbe detto mia madre; inoltre, spesso sono banali e non vale la pena di scriverne. Io non credo che si debba rimanere zitti. De resto, non restiamo mai davvero zitti, perché, in un modo o nell'altro, ci raccontiamo le persone che diventiamo".

















23 novembre 2013

Gabriele Romagnoli:Ogni giorno sapersi riconoscere, ogni giorno scegliersi



Gabriele Romagnoli - immagine presa dal web

Gabriele Romagnoli  è un grande giornalista. Non solo.
Uno scrittore e autore  che fa riflettere grazie alla sua capacità di sapere raccontare in una maniera unica, attraverso parole che sembrano uno scatto di polaroid.
Lo seguo da anni. Sulle pagine del mio settimanale preferito e grazie ai libri che ha pubblicato.
Nella breve parentesi in cui è stato direttore di GQ e per un breve periodo anche sul suo blog.

Fino a pochissimo tempo fa non sapevo che avesse esordito nel 1987 pubblicando un racconto nell'ambito del  progetto "Under 25" ideato da Pier Vittorio Tondelli. Mentre mi avvicinavo al grande scrittore emiliano mi sono resa conto che incredibilmente, c'è un filo invisibile che lega lui a Ligabue e Romagnoli. Del mio amore per il primo conoscete tutto. Della stima per il  secondo sto per parlarvi adesso.Ma è un  ulteriore dimostrazione per me che, niente è per caso.
Leggerlo è familiare, intenso. Mi immergo nel suo mondo, nella sua vita. E' estremamente sincero a volte duro, mai finto. Ha raccontato di sè attraverso i mille luoghi in cui è stato.
New York City, Egitto, Libano per fare alcuni esempi. Ma poichè da sempre ho la fissa per la Grande Mela, è stato naturale per me, apprezzare le dodici puntate o meglio i dodici articoli che scrisse su Vanity Fair nel 2010,  dalla città ombelico del mondo. Dodici articoli per i dodici mesi trascorsi nel posto più bello del mondo. Second me.
Gli articoli avevano un titolo: Il mondo in una strada. Strada che poi è stata un punto cardinale da raggiungere una volta che ci sono arrivata ed ero finalmente, esattamente, nel luogo dove avrei voluto nascere. La città dei miei sogni.

E così, partendo da Fulton Street in Lower Manhattan, che chissà perché mi ha ricordato Fellini e la magia dei suoi film affreschi di quel tempo, ha narrato delle persone che lo hanno attraversato e di tutto un universo incredibile di personaggi che pur reali, ha saputo avvolgere con un'aurea surreale.

Dall'angelo di Victoria's Secret soprannominata "Wannabe" incontrata sulle scale di casa, al giorno in cui tra colazione, pranzo e cena ha mangiato con un rabbino, un iman e un prete. Lui che credeva fosse possibile solo a Gerusalemme si è reso conto che no, NYC è anche questo. Anzi Fulton Street, sulla coda di Manhattan, è anche questo.

Come la storia dei tre fratelli equadoregni arrivati nel 1985, entrati in un negozio e mai più usciti. Arrivati come clandestini e divenuti sciuscià. Immagini da cinema neorealista italiano, che si sovrappongono quasi in automatico alla storia. Bianco e nero e titoli di coda.
Ha celebrato lo "spirito dell'umanità"ascoltando gli "StoryCorps".  Gente che gira l'America raccogliendo storie. E lo fanno in camper, cabine telefoniche e addirittura scatole.Niente di più giusto per uno come lui.
Avanti storia dopo storia, fino all'ultima. Quella in cui ci parla di una strada Fulton,  che sembra ogni volta morire e rinascere. Una serranda dopo l'altra che si abbassa, definitivamente. I caffè come quello in cui aveva fatto colazione con il rabbino che è stato tra i primi a chiudere. Luoghi aperti per anni che lasciano il posto al nuovo.
Solo pop up store però. Negozi che oggi ci sono e domani beh, domani ci sarà qualcosa d'altro.
La strada come la città è un fiume che si svuota e si riempie. Diversa ogni volta eppure sempre uguale. Cercando di resistere fino a che ci sarà qualcuno che vorrà costruire qualcosa partendo da lì.
La tristezza di un ciclo che si chiude mi fece desiderare di conoscerla. Del resto l'avevo vissuta puntata dopo puntata grazie a lui, per un anno intero. Disse che non aveva più storie da raccontare da quel posto. Eppure.
Io non ci ho creduto e sono andata a ficcare il naso. Due volte.


Fulton Street all'angolo ( foto MS)

Fulton Street nel 2011 ( foto MS)


Dopo gli articoli e tra gli articoli che continuo a leggere come un'assetata ad una fonte sempre fresca, ho continuato a conoscerlo attraverso i suoi romanzi. Ne ho letti due.
Domanda di Grazia e L'Artista.

Il primo racconta una storia di cronaca italiana. Coinvolto un suo vecchio amico. Nonostante l'amicizia, non cerca compromessi o giustificazioni da dare. In realtà ci parla di giustizia e di come le carceri in realtà siano delle dure scatole senza senso. Forse.

Il secondo è una storia che lo riguarda da molto vicino. Partendo da Bologna, città natale. E dai personaggi tutti simili ai suoi familiari.Ho amato il modo in cui parla del padre del protagonista. Attraverso quaranta e passa anni di vita, dall'Italia della seconda guerra mondiale agli anni '80,lui ci racconta anche come è nata la storia. E come, dopo un po' che scrive, si stanchi dei personaggi che crea tanto da volerli uccidere. Combatte per tutto il tempo della stesura del romanzo questa tentazione. Ora mi diverte pensare che, ad ogni passo avanti che faccio nelle sue storie magari nel punto esatto in cui mi sono soffermata, sia stato spinto dall'impulso costante di terminarle con un finale crudele. Eppure trova sempre un escamotage per continuare. L'espediente che utilizza ne L'Artista è  di rendere i personaggi  simili in parte ai componenti della sua famiglia e questo  gli consente di tenerli in vita.

Il titolo del mio post nasce da un momento cruciale della storia. Il padre lo dedica al figlio. Essere padri e figli in realtà non sarebbe nulla di speciale, ci vuole qualcosa in più. Bisogna come in ogni rapporto d'amore, riconoscersi ogni giorno. E scegliersi ogni giorno.
Mi piace, lo condivido.
Non sono genitore però sono figlia e non smetterò mai di esserlo. Dall'altra parte della barricata ci si rende conto che i nostri anni sono stati scanditi da ere. La prima è stata l'infanzia e allora tutto era perfetto, soprattutto loro ai nostri occhi. La seconda è stata l'adolescenza, era di rifiuto e di lotta. Niente andava bene, nulla era come volevamo. La terza è stata quella della lontananza.Eravamo giovani dovevamo cavarcela da soli. E' servita a trovare il nostro mondo e a riscoprirli poco a poco. La quarta la maturità detta anche l'età dell'oro, è quella che la maggior parte di noi sta vivendo ora. Siamo tornati ad amarli con tutti i loro difetti, esattamente come da sempre fanno loro con noi. E ogni volta, in ogni situazione, ci siamo scelti. In guerra e in pace.
E poi se ci riflettete bene, mica vale solo per il rapporto genitori-figli non sembra anche a voi?

Resta che tutto questo è davvero speciale.

Come lui. Che riesce con le sue parole a rendere straordinario, l'ordinario.

In occasione di BookCity 2013 Gabriele Romagnoli sarà a Milano.
Lascio il link con la data dell'incontro. 

Storie di ordinaria malagiustizia


Io sarò in giro saltando da un posto all'altro come un grillo. Per il 2013 la manifestazione si presenta ricchissima di incontri. 
E' solo il secondo anno. Chissà cosa ci riserverà il futuro.






















18 maggio 2013

Forza ragazza, domani farà bel tempo.





E' venerdì sera, circa le diciannove, linea uno della metropolitana, direzione Sesto San Giovanni.
La mia solita strada verso casa.
Sono distratta, sto leggendo l'articolo di Gabriele Romagnoli su VF di questa settimana.
La rivista è uscita con due giorni di ritardo.
Problemi a livello editoriale, è qualche mese ormai che azienda e sindacato giornalisti, sono sul piede di guerra.
Come al solito, mi faccio trascinare dalla poesia delle parole dello scrittore, che racconta il suo incontro con il regista Paolo Sorrentino, in vista della presentazione in gara a Cannes del suo ultimo film " La Grande Bellezza".

Ma come mai, mi chiedo, riesce ad interessarmi così tanto a tutto quello che scrive? Per anni, ho conservato i suoi articoli, pubblicati su VF e dedicati a NYC.
Mi ha fatto innamorare di una strada, Fulton Street, a tal punto, che è stato uno dei primi posti che ho voluto visitare, quando andai, due anni fa.

Fulton Street e Ground Zero (foto MS)
Una strada che sembrava condannata a sparire, bruciata dopo Ground Zero. Negozi che chiudevano, famiglie che traslocavano e si perdevano, lasciando che il loro passato e la loro storia scomparissero.
Ora sta risorgendo, proprio come sta risorgendo il simbolo della rinascita statunitense.
Ci tornerò e la fotograferò nuovamente, sicura di un ritorno al suo antico splendore.
La risposta alla domanda è che, quando si scrive con la purezza di un fanciullo e la sapienza di un poeta, la magia che appare tra le righe è impossibile non coglierla. Romagnoli ti insegna che qualunque cosa ti sfiori, ogni giorno, è unico, prezioso. La normalità di una passeggiata, il sorriso dell'edicolante che ti vende la tua rivista preferita, la risata della tua barista che la mattina, per far scomparire il buio visto nei tuoi occhi, ti prepara una fettona di tarte tatin con panna e cannella, facendoti ritrovare il sorriso all'istante.

TARTE TATINNNNNNNN

Ecco, apri gli occhi, dopo averlo letto e, tutto quello che ti circonda ti appare in maniera diversa, speciale.
Vago con lo sguardo e incuriosita, tra la gente  seduta e in piedi nei vagoni, alla ricerca di persone e di storie.
C'è chi sta leggendo, e allora sbircio curiosa il libro, per capire se è svago o riflessione. C'è chi smanetta sul telefonino, in un botta e risposta di whatsapp (maledetto, io sono completamente tossica ormai) chi ascolta musica, con il suo melafonino e mi somiglia tanto, chi dorme curvo su se stesso, appesantito dopo una giornata tanto lunga.
Poi in un angolo, lontano da me, vedo una ragazza. Sta leggendo qualcosa sul cellulare o guardando delle foto, mi sembra. Noto che ha il naso arrossato. In un primo momento penso ad un raffreddore in corso. Poi vedo che il corpo non trattiene i singhiozzi e lacrime le scendono sul viso. Non fa alcun rumore il suo pianto è copioso. Continua ad osservare lo schermo davanti a sè e a piangere.
Mi addolora profondamente. E' così disperata. Raccoglie tanto dolore.
Una sofferenza quasi insopportabile. Se le fossi stata seduta vicino, so già che le avrei preso la mano e non me ne sarebbe fregato nulla. La ragazza accanto a lei invece, la ignora.
Io devo alzarmi, è la mia fermata. 
Scendo, ma avrei voluto fermarmi. Accarezzarle i capelli e stringerla. Dirle che qualcuna di quelle lacrime è arrivata fino a me. Che tutto quel dolore mi è parso terribile. Ma una via d'uscita c'è.
C'è sempre.
E che domani farà bel tempo, anche per lei.