Sul cavallo di Brunilde può salire anche Faust. Tanti sono gli animali o gli elementi naturali menzionati nella tragedia, sin dalle prime battute. Nella II scena della I parte dell'opera, Mefistofele assume le sembianze di un cane che, il giorno di Pasqua, segue Faust.
La notte precedente Faust aveva attraversato un momento di profondo sconforto che lo aveva portato a desiderare la morte. Pur avendo fama di dotto, pur essendo considerato un maestro, aveva avvertito che, tutto sommato, il suo sapere era inutile, insufficiente.
(…) Come? Ancora qui io carcerato? / Cerchiato da questo cumulo di libri /che ti rodono i tarli, la polvere copre,/ che carte annerite circondano (…)
Già, quel che si chiama sapere. Ma chi /Si rischia a dire pane al pane?/ I pochi che ne hanno saputo qualcosa, /Che hanno dato corso, pazzi, alla piena dell’anima /E fatte palesi alle plebi le proprie passioni e i pensieri,/ Li hanno sempre messi in croce o sul rogo. (…)
Mentre sta per portare alla bocca un calice in cui aveva versato del veleno, un suono di campane a festa gli ricorda l’infanzia, l’età dell’innocenza e lo trattiene dal compiere il gesto estremo.
Nella serena atmosfera della domenica di Pasqua, Faust, rinfrancato, esce e passeggia per le strade in compagnia del suo discepolo Wagner, ricevendo il saluto di chi lo incontra. Il dottore è considerato un sapiente, un uomo generoso ma Faust sente di non meritare niente.
Il dottore torna quindi nel suo studio seguito da un cane: è Mefistofele che subito si trasforma, sbarazzandosi della forma provvisoria assunta.