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venerdì 30 maggio 2025

Una sonata imperfetta

 

Da " Kafka sulla spiaggia" di Haruki Murakami



"Le sonate di Schubert, e in particolare la Sonata in re maggiore, se vengono eseguite senza uno sforzo interpretativo, limitandosi a seguire la partitura, non arrivano a essere opere d'arte. Come ha fatto notare Schumann, questa sonata è troppo idilliaca, lunga, e troppo semplice dal punto di vista tecnico. Se viene eseguita senza estro, diventa qualcosa di insipido e sciatto, un pezzo da antiquariato. Quindi ogni pianista si ingegna per trovare una propria chiave interpretativa. Ad esempio, come qui - ascolta -, enfatizzando un passaggio. Introducendo un rubato. Lavorando sui tempi, sulla modulazione. Se non si fa questo, subentra la noia. Però, se non si presta una grande attenzione questi stratagemmi possono distruggere la qualità dell'opera, che non sembrerebbe più una composizione di Schubert. Tutti i pianisti che eseguono la Sonata in re maggiore lottano con questa contraddizione."

sabato 22 marzo 2025

Un’officina

 da  Padri e figli di  I.S.Turgenev


"... L'importante è che due più due fa quattro, il resto sono tutte sciocchezze"

"Anche la natura è una sciocchezza?" fece Arkàdij, guardando pensieroso in lontananza i campi variopinti, illuminati soavemente e dolcemente dal sole ormai basso.

" Anche la natura è una sciocchezza nel senso in cui la intendi tu. La natura non è un tempio, ma un'officina in cui l'uomo è un operaio."

In quello stesso istante dalla casa volarono fino a loro le lente note di un violoncello. Qualcuno stava suonando con sentimento, anche se con mano inesperta, L'attesa di Schubert e nell'aria si diffondeva una dolce melodia.

" Cos'è?" fece stupito Bazarov.

"E' mio padre."

"Tuo padre suona il violoncello ?"

" Si."

domenica 22 dicembre 2024

Due John

 



John Renbourn
John Donne

                                                                ... a Song

  ( qui  Giuliano a proposito dei due John e della canzone che li lega  )
 

giovedì 27 gennaio 2022

Rapsodia op.53, Brahms

                                                                                                                     Dal blog L'opera al cinema 


(...) Ad uno ad uno, nel buio, si avvicinano i fantasmi che sono i nostri compagni. La nostra squadra è una buona squadra: abbiamo un certo spirito di corpo, non ci sono novellini maldestri e piagnucolosi, e fra noi corre una ruvida amicizia. Al mattino, fra noi, è usanza salutarsi con etichetta: buongiorno Herr Doktor, salute a Lei signor Avvocato, come ha passato la notte signor Presidente? Le è piaciuta la prima colazione? Arrivò Lomnitz, antiquario di Francoforte; arrivò Joulty, matematico di Parigi; arrivò Hirsch, misterioso affarista di Copenaghen; arrivò Janek l’Ariano, gigantesco ferroviere di Cracovia; arrivò Elias, nano di Varsavia, rozzo, matto e probabilmente spia. Da ultimo come sempre, arrivò Wolf, farmacista di Berlino, curvo adunco ed occhialuto, mugolando un motivo musicale. Il suo naso giudaico fendeva l’aria torbida come la prua di una nave: lui lo chiamava, in ebraico, "Hutménu", "il nostro sigillo".

- Ecco che viene l’incantatore, l’ungitore delle scabbie, - annunciò cerimoniosamente Elias: - Benvenuto fra noi, Eccellenza Illustrissima, Hochwohlgeborener. Ha dormito bene? Quali sono le notizie della notte? Hitler è morto? Sono sbarcati gli inglesi?

lunedì 2 agosto 2021

La barcarola d'Offenbach


"Ballarono un poco al suono di pezzi facili che egli sottopose al microfono, vollero udire un altro numero di canto, il duetto di un'opera, la barcarola graziosamente orecchiabile tolta dai Racconti di Hoffmann, e quand'egli richiuse il coperchio, se ne andarono un po' eccitati e chiacchierando verso le loro stanze, alla cura sullo sdraio, al riposo. Era l'esodo che Castorp aspettava. Lasciarono tutto quanto come stava: le scatole dalle puntine aperte, gli albi e i dischi sparsi qua e là. Era nel loro carattere. Il giovanotto finse di seguirli, ma giunto sulla scala abbandonò di soppiatto la fila, tornò in sala, richiuse tutte le porte , e rimase là per metà della notte, in profonda occupazione."

Thomas Mann, La montagna incantata 

traduzione di Bice Giachetti-Sorteni





La Barcarola ( qui ) di cui si parla ne "La montagna incantata" è nel terzo atto di “Les Contes d’Hoffmann” di Jacques Offenbach. 

Nel 1951 Michael Powell e Emeric Pressburger con "The Tales of Hoffmann"  riscrissero in chiave cinematografica " Les Contes d'Hoffmann", l’opera lirica di Offenbach. 

Chi abbia voglia di seguire il filo dei rimandi e delle riscritture a partire dai racconti di Hoffmann, potrà trovare nel blog di Giuliano ( giulianocinema ) materia sufficiente:-) Giuliano, descrivendo il  film di Powell e Pressburger, parla anche di Hoffmann e Offenbach...

 qui (post introduttivo ) qui, qui, qui , qui, qui ( post in cui si fa menzione della barcarola ), qui



Le immagini sono fotogrammi di  "The Tales of Hoffmann" di Powell e Pressburger

venerdì 27 marzo 2020

Indugiante bellezza


dipinto di Camille Corot

 Lontano, sì senti il richiamo del cuculo; un colombo selvatico stava tubando sull’olmo più vicino al campo, e come erano spuntate le margherite e i ranuncoli dopo l’ultimo falciatura! Inoltre, il vento aveva preso a soffiare verso sud-ovest ... un’aria deliziosa, piena di vita! Spinse all’indietro il cappello e lasciò che il sole gli cadesse sul mento e le guance. In un modo o nell’altro, oggi, voleva  compagnia… voleva un volto grazioso da guardare. La gente trattava i vecchi come se non volessero nulla. E con la filosofia non forsytiana che sempre si intrufolava nella sua anima, pensò : “ Non se ne ha mai abbastanza! Con un piede nella tomba si vorrà ancora qualcosa, non ne sarei sorpreso!“. Quaggiù… Lontano da da impegni d’affari, i nipoti, e i fiori, gli alberi, gli uccelli del suo piccolo dominio, per tacere del sole, della luna e delle stelle su di loro, mi dicevano, giorno e notte, “Apriti, sesamo”. Il sesamo si era aperto… Quanto, forse, non sapeva. E non sempre stato sensibile a ciò che adesso si cominciava a chiamare “ Natura”, sensibile in modo genuino, quasi religioso, sebbene non avesse mai perso l’abitudine di chiamare tramonto un tramonto di questi giorni meravigliosi il semplice amore di tutto ciò gli causava un po’ di dolore, sentendo forse, giù nel profondo, che non ne avrebbe goduto molto a lungo. Il pensiero che un giorno di questi… forse tra meno di dieci anni, forse neanche tra cinque, tutto questo mondo gli sarebbe portato via,  prima che avesse esaurito la capacità di goderne, gli appariva come un' ingiustizia che incombee panorama un panorama, per quanto profondamente potessero commuoverlo. Ma adesso la Natura gli faceva male, tanto l'ammirava. In ognuno di questi giorni calmi, splendenti, lunghi, con la mano di Holly nella sua, e il cane Balthazar davanti a cercare zelantemente qualcosa che non trovava mai, egli avrebbe passeggiato sostando a guardare le rose che si aprivano, i frutti che crescevano sulle spalliere, la luce del sole che faceva brillare le foglie della quercia e gli alberelli del boschetto, le  foglie delle ninfee aprirsi splendenti, e l'argenteo colore del grano novello nel campo; ascoltando gli storni e le allodole, e le mucche Alderney che ruminavano, agitando lentamente la coda a ciuffo; e in ognuno va all’orizzonte. Se vi era qualcosa dopo questa vita, non sarebbe stato ciò che voleva; non Robin Hill, e i fiori e e gli uccelli e i visi graziosi… troppo pochi, anche adesso, di chi gli stava intorno! Con gli anni la sua antipatia per gli inganni era aumentata; il conformismo che aveva sopportato negli anni Sessanta come aveva sopportato le lunghe basette per semplice esuberanza, se ne era andato da tempo, lasciandolo rispettoso  di tre cose soltanto…  la bellezza, la rettitudine e il senso della proprietà; e di queste la più importante era la bellezza. Aveva sempre avuto ampi interessi, e, invero, poteva ancora leggere il Times sebbene fosse capace in ogni momento di posarlo se sentiva cantare un merlo. La rettitudine… la proprietà,  in un modo o nell’altro,  erano stancanti; i merli e tramonti non lo stancavano mai, solo che gli davano la sgradevole sensazione di non poterne godere abbastanza. Guardando intensamente il silenzioso fulgore del tardo pomeriggio e tutti piccoli fiori dorati e bianchi sul prato, pensò: “Questo tempo era come la musica dell'Orfeo, che aveva ascoltato recentemente al Covent Garden, un 'opera bella, non come Meyerbeer, neanche esattamente come Mozart, ma, nel suo genere, forse ancora più armoniosa; qualcosa di classico e della sua "Epoca d'oro", casta e dolce, e la Ravogli "quasi degna del tempo passato"… La lode più alta che poteva immaginare. Il desiderio struggente di Orfeo per la bellezza perduta, per il suo amore che scendeva nell'Ade, come nella vita facevano l'amore e la bellezza...il desiderio struggente che cantava e palpitava in quella musica d'oro, fremeva anche nell'indugiante bellezza del mondo quella sera.

John Galsworthy, Quattro interludi
Ed. Robin

nota:
 penso che John Galsworthy si riferisca all'opera di Gluck e non a quella di Lully o di Monteverdi. ( qui )

giovedì 29 agosto 2019

Adieu old England


Da Middle England di Jonathan Coe ( qui )


                                                                                                 Qui il brano musicale di Shirley Collins 



Faceva ancora abbastanza caldo per lasciare aperta la finestra del soggiorno. A Benjamin piaceva, quando il tempo lo permetteva, restare seduto da solo al buio, ad ascoltare i rumori della notte, il richiamo di un gufo, l’ululato di una volpe predatrice e soprattutto il mormorio immutabile e senza tempo del fiume Severn (che, in quel punto, da straniero, aveva appena messo piede nel Paese, visto che aveva oltrepassato il confine con il Galles solo da pochi chilometri). Ma quella sera era diverso: c’era Doug a fargli compagnia, anche se non sembravano particolarmente desiderosi di fare conversazione. Erano amici da quasi quarant’anni e c’era ben poco che non sapessero l’uno dell’altro. Per Benjamin sarebbe stato sufficiente se fossero restati lì, seduti ai lati opposti del camino con un bicchiere di Laphroaig in mano, lasciando che le emozioni suscitate dalla giornata si placassero per essere sostituite da un clima di tranquillità.
Alla fine, invece, fu proprio lui a rompere il silenzio.
«Sei contento del tuo articolo?», chiese.
La risposta di Doug fu sorprendentemente umile.
«Dovrebbe funzionare», disse. «Anche se per la verità mi sento un imbroglione di questi tempi».
 Di fronte allo sguardo sorpreso di Benjamin, Doug si raddrizzò e cominciò a spiegare. «Sono convinto che siamo arrivati a una svolta. Il Labour è finito, lo penso sul serio. C’è una gran rabbia in giro e nessuno sa che cosa fare. Me ne sono accorto in questi ultimi giorni di campagna elettorale. La gente vede gli uomini della City, persone che hanno mandato a gambe all’aria l’economia due anni fa senza patirne le conseguenze; nessuno di loro è andato in galera e tutti continuano a riscuotere i loro bonus, mentre a noi altri si chiede invece di stringere la cinghia. Gli stipendi sono bloccati, non esistono più lavori sicuri o piani pensionistici, la gente non può più permettersi di portare la famiglia in vacanza o di far riparare la macchina. Quelli che, fino a qualche anno fa, avevano l’impressione di essere benestanti, ora si sentono in miseria».


Doug si stava animando. Benjamin sapeva quanto gli piacesse parlare, come, persino ora, dopo venticinque anni di giornalismo militante, niente lo eccitasse tanto quanto le schermaglie della politica nazionale. Lui non condivideva l’entusiasmo dell’amico, ma era contento di dargli corda.
«Pensavo che ad essere detestati fossero i Tories», disse in tono compunto. «Per via degli scandali legati alle spese. Le ipoteche sulle seconde case e tutto il resto...».
«La gente non salva nessuno, e forse è questa la cosa peggiore. C’è tanto di quel cinismo in giro. “Fanno tutti schifo” è il ritornello. Ecco perché i candidati erano praticamente alla pari... fino a oggi».
«Pensi che farà tutta questa differenza? Si è trattato solo di un errore. Di una momentanea perdita di controllo».
«Basta e avanza di questi tempi. A dimostrazione di quanto sia esplosiva la situazione».
«Dev’essere un buon momento per uno come te. C’è un sacco di materiale su cui scrivere».
«Sì, ma io sono lontano da tutto questo. Il risentimento, il peso delle difficoltà... sono sentimenti che non provo. Sono solo uno spettatore. Vivo in una sorta di nido protettivo. Abito a Chelsea in una casa che vale milioni. La famiglia di mia moglie possiede metà delle contee che stanno attorno a Londra. Parlo senza sapere bene quello di cui sto parlando, il che è evidente in quello che scrivo. D’altronde non sarebbe possibile il contrario».



(...)
 Rimasto solo, si versò un altro drink e andò a sedersi sulla panca di legno che correva attorno al vano della finestra. Spalancò i vetri e si lasciò avvolgere dall’aria fresca. La ruota del mulino era fuori uso da molti decenni e ora il fiume, senza più ostacoli e impedimenti, scorreva libero e tranquillo, in un flusso continuo, increspato e vivace. Si era alzata la luna e Benjamin vedeva i pipistrelli che sfrecciavano avanti e indietro, stagliandosi contro lo sfondo luminoso del cielo grigio. All’improvviso si sentì invadere da una profonda tristezza. Le riflessioni a cui aveva cercato di resistere per tutto il giorno, sulla morte di sua madre, l’agonia delle ultime settimane, non potevano più essere represse.

Gli tornò in mente un brano musicale e capì che doveva riascoltarlo. Si trattava di una canzone. Si avvicinò allo scaffale su cui era stato sistemato il suo iPod, lo tolse dal supporto in cui era inserito e cominciò a scorrere la lista degli artisti. A quanto pareva, l’ultimo che aveva ascoltato erano gli Xtc. Superò Wilson Pickett, Vaughan Williams, i Van der Graaf Generator, Stravinsky, Steve Swallow, gli Steely Dan, gli Stackridge, e i Soft Machine prima di arrivare al nome che stava cercando, quello di Shirley Collins, la cantante folk del Sussex di cui aveva iniziato a collezionare i dischi negli anni Ottanta. Gli piaceva tutta la sua musica, ma c’era una canzone in particolare che, durante le ultime settimane, aveva assunto un significato speciale. La scelse, cliccò Play, e nel momento in cui raggiunse la finestra per tornare a sedersi e guardare il fiume illuminato dalla luna, la voce forte, austera, piena di risonanze, che si levava senza accompagnamento dall’altoparlante, riempì la stanza con una delle più inquietanti e malinconiche melodie mai scritte.


Adieu to old England, adieu 
And adieu to some hundreds of pounds 
If the world had been ended when 
I had been young 
My sorrows I’d never have known.






Benjamin chiuse gli occhi e buttò giù un altro sorso. Che giornata era stata quella, piena di ricordi, incontri, conversazioni difficili. Emily, la sua ex moglie, era venuta al funerale con i due bambini e il marito, Andrew. Suo fratello Paul, con cui non parlava da tempo, era arrivato dal Giappone. Lui non era nemmeno riuscito a incrociare il suo sguardo, né durante la funzione né al ricevimento successivo. Aveva incontrato zii e zie, amici dimenticati e lontani cugini. Era venuto Philip Chase, l’amico fedele con cui aveva frequentato la King William’s School, era comparso Doug, del tutto inatteso, e Cicely gli aveva persino mandato un messaggio dall’Australia, più di quanto lui si sarebbe aspettato. E soprattutto c’era stata Lois. Lois, la sorella su cui poteva contare, che aveva per lui un attaccamento assoluto, i cui occhi si velavano di lacrime quando era certa che nessuno la stesse guardando. I ventotto anni di matrimonio che aveva alle spalle restavano per lui un mistero, anche perché suo marito, che le era rimasto devotamente al fianco per tutto il giorno, poteva ritenersi fortunato se veniva premiato con un’occhiata di tanto in tanto.

Once I could drink of the best 
The very best brandy and rum 
Now I am glad of a cup of spring water 
That flows from town to town.

La melodia lo riportò indietro, alle due ultime settimane di vita di sua madre, quando, senza più riuscire a parlare, se ne stava seduta nel letto e lui le restava accanto per ore, prima impegnandosi in un monologo faticoso, poi, quando si rendeva conto che il compito era superiore alle sue forze, decidendo di creare una playlist musicale per riempire il silenzio. E così aveva fatto la playlist, aveva cliccato su avvio e per il resto del tempo, quello che le restava da vivere, le aveva parlato solo di rado ma era rimasto seduto sul bordo del letto tenendole la mano mentre ascoltavano Ravel e Vaughan Williams, Finzi e Back, la musica più tranquillizzante a cui potesse pensare, con l’obiettivo che sua madre si spegnesse su una nota di bellezza. La playlist conteneva più di cinquecento canzoni e questa era arrivata tardi, nell’ultimo giorno di vita...

Once I could eat of good bread 
Good bread that was made of good wheat 
Now I am glad with a hard mouldy crust
And glad that I’ve got it to eat.




Anche Lois e suo padre erano in casa, ma a loro mancava la sua tenacia, entravano e uscivano dalla stanza da letto, cercavano di tenersi occupati in ogni modo al piano di sotto, preparando il tè, cucinando il pranzo. Benjamin, invece, non aveva mai avuto alcun problema con l’inattività, a lui andava benissimo restare lì seduto, così come andava bene a sua madre. A entrambi bastava guardare il cielo che quel giorno, se lo ricordava bene, era grigio scuro, plumbeo, basso, opprimente, forse in sintonia con quell’orribile aprile o forse, pensava, ridotto così dalla nube di ceneri vulcaniche proveniente dall’Islanda che riempiva le pagine dei giornali e aveva creato lo scompiglio nei voli aerei in tutto il continente. Era stato a metà mattina, mentre contemplava quel cielo e la sua sovrannaturale oscurità, che la canzone di Shirley Collins, scelta a caso dall’algoritmo dell’iPod, aveva preso a raccontare la sua storia dolente di antiche sventure...

Once I could lie on a good bed
A good bed that was made of soft down
Now I am glad of a clot of clean straw
To keep myself from the cold ground.

Ascoltando le parole, Benjamin pensò che la canzone doveva risalire al diciottesimo secolo o ai primi anni del diciannovesimo: il canto dava voce all'infelicità di un prigioniero che attendeva di essere trasportato altrove, ma ciò che gli si era presentato alla mente non aveva niente a che fare con una cella dalle mura cadenti o con un materasso infestato dai topi. (...) Sì, era possibile (...) che le parole si riferissero a una perdita di privilegi che riecheggiava nei secoli...



Traduzione di Mariagiulia Castagnone
Le immagini sono fotogrammi del film "The Party " di Sally Potter