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martedì 22 settembre 2020

Della vita


Little Fly,
thy summer's play
my thoughtless hand
has brush'd away.
Am not I
a fly like thee ?
Or art thou not
a man like me ?
For I dance
and drink and sing,
till some blind hand
shall brush my wing.
If thought is life
and strength and breath,
and the want
of thought is death,
then am I
a happy fly
if I live
or if I die.
(William Blake, The fly)

Piccola mosca, i tuoi giochi estivi sono stati spazzati via dalla mia mano senza nemmeno pensarci. Ma non sono forse anch'io, come te, una mosca? O non sei forse tu un umano come me? Perché anch'io danzo, e bevo e canto, fino a quando qualche cieca mano spazzerà via le mie ali. Se il pensiero è vita, e forza e respiro, e la volontà di pensiero è morte, allora io sono una mosca felice sia ch'io viva sia ch'io muoia.


(disegno di Beatrix Potter)


venerdì 28 agosto 2020

Una mosca shakespeariana


Marco colpisce il piatto con un coltello.
TITO: A cosa dai colpi, Marco, con il tuo coltello?
MARCO: A ciò che ho ucciso, mio signore: una mosca.
TITO: Maledizione, assassino! tu uccidi il mio cuore. I miei occhi sono sazi di spettacoli di violenza: un atto di morte commesso sugli innocenti non si addice al fratello di Tito. Vattene, vedo che non sei fatto per la mia compagnia.
MARCO: Ahimè, mio signore, ho ucciso solo una mosca.
TITO: «Solo?» e se quella mosca aveva un padre e una madre? Come stenderà le fragili ali dorate
ronzando per l'aria lamentosi fatti? Povera mosca innocente, con la graziosa melodia del suo ronzio era venuta qui a rallegrarci, e tu l’hai uccisa.
MARCO: Perdonami, signore: era una brutta mosca nera come il Moro dell'imperatrice, e perciò l'ho uccisa.
TITO: Oh! Oh! Oh! Perdonami allora per averti rimproverato, perché hai fatto un atto misericordioso. Dammi il coltello, infierirò su di lei illudendomi che sia il Moro venuto qui apposta per avvelenarmi. Questo è per te, e questo è per Tamora. Ah, marrano! Ma spero che non siamo caduti così in basso da non poter uccidere, insieme, una mosca che ci viene davanti a somiglianza d’un Moro nero come il carbone.
MARCO: Ahimè, pover’uomo! il dolore l'ha così sconvolto che prende ombre false per sostanze vere.
TITO: Su, sparecchiate. Lavinia, accompagnami; verrò nella tua stanza a leggere con te tristi storie accadute in tempi passati. Vieni con me, ragazzo: la tua vista è giovane, leggerai tu quando la mia comincerà ad annebbiarsi.
Escono.
(William Shakespeare, Tito Andronico, finale atto terzo, traduzione di Alessandro Serpieri, ed. Garzanti 1989)

Quando ho letto per la prima volta Tito Andronico, tanti anni fa, ho trovato questa pagina e non credevo ai miei occhi. Possibile che Shakespeare abbia scritto questa cosa? Oltretutto, Tito Andronico è un dramma di una crudeltà inaudita, con torture, mutilazioni, stragi, violenze; in questo contesto, trovare qualcuno che si commuove per una mosca (sia pure per pochi istanti) è davvero singolare. Mi sono tenuto le mie perplessità per anni, pensando che si tratta di un dramma giovanile e che i manoscritti di Shakespeare sono, come insegnano gli esperti, pieni di inserti e di improvvisazioni degli attori. Poi mi è capitato di vedere questa scena interpretata da Anthony Hopkins, nel film del 1999, e ho capito che a un grande interprete è possibile rendere alla grande anche pagine come questa. La regista Julie Taymor si prende qualche libertà e fa interpretare la parte che qui spetta a Marco (un adulto) a un bambino, nipote di Tito. Così, la faccenda della mosca diventa un affare tra nonno e nipote e tutto riesce a diventare credibile (francamente, io pensavo che l'avrebbero tagliata).
Il Moro, per chi non conoscesse la tragedia, è un personaggio importante. Un cattivo a tutto tondo, ma il suo discorso sulla sua provenienza è memorabile e anticipa Shylock (Il Mercante di Venezia).

PS: non ho trovato on line il momento esatto del film con Hopkins, per questo motivo il fotogramma qui sopra è tratto da "Mystery train" di Jim Jarmusch (notare il fermacarte in mezzo alla scrivania)

venerdì 16 febbraio 2018

Mucca e mosca (e bambini)

(Benozzo Gozzoli)

(...) allora Brigid Beg afferrò la mano destra della Donna Magra, e poco dopo Seumas le strinse gentilmente la sinistra, e questa muta richiesta di protezione e di conforto richiamò ancora una volta la donna da quelle vallate della collera che stava così impetuosamente attraversando.
Mentre proseguivano senza fretta, scorsero una mucca che se ne stava accosciata in un campo, e alla vista di quell’animale la Donna Magra si fermò pensierosa.
- Tutto - disse - appartiene al viandante.
E inoltratasi nel campo, munse la mucca e ne raccolse il latte in un secchio che aveva con sé.
- Chi sa chi è il padrone di questa mucca - disse Seumas.
- Forse - disse Brigid Beg - non ha padroni.
- La mucca è padrona di se stessa, - disse la Donna Magra - perché nessuno può essere padrone di una cosa viva. Sono sicura che ci dà il suo latte molto volentieri, perché noi siamo gente modesta e sobria, senza ingordigia e senza pretese.
Non appena libera, la mucca tornò ad accosciarsi nell'erba e riprese il suo ruminare. Poiché cominciava a far freddo, la Donna Magra e i bambini si raggomitolarono contro il corpo caldo della bestia. Tirarono fuori dalle bisacce qualche pezzo di pane e si misero a mangiare, bevendo tutti contenti il latte dal secchio. Ogni tanto la mucca si voltava a guardarli benevolmente, dando loro il benvenuto nel nido dei suoi fianchi ospitali. Aveva uno sguardo mansueto, materno, e le piacevano molto i bambini. I due piccoli smettevano continuamente di mangiare per stringere tra le braccia il collo della mucca, per ringraziarla, far le lodi della sua bontà, e per mostrarsi a vicenda le molte meraviglie del suo aspetto.
- Mucca, - disse Brigid Beg in estasi - ti amo.
- Anch’io - disse Seumas. - Hai visto come ha gli occhi?
- Perché la mucca ha le corna? - disse Brigid.
Allora lo domandarono alla mucca, ma quella sorrise e non disse niente.
- Se una mucca parlasse, - osservò Brigid - che cosa direbbe?
- Facciamo le mucche, - rispose Seumas - così lo sapremo.
Allora diventarono mucche e mangiarono qualche stelo d’erba, ma si accorsero che quando erano mucche non avevano voglia di dire nient'altro che «muuhh», e conclusero che anche le mucche non avevano voglia di dire altro che quello, e li colpì il pensiero che forse non valeva la pena di dire altro.

(dipinto di Rosa Bonheur, 1822-1899)
 
Una mosca gialla, di forma allungata e sottile, era in viaggio da quelle parti, e si posò sul naso della
mucca per rilassarsi un momento.
- Benvenuta - disse la mucca.
- E una notte magnifica per viaggiare, - disse l’insetto - ma da soli ci si annoia. Non hai visto in giro nessuno dei miei?
- No, - rispose la mucca - stanotte non si vedono che scarabei, ed é difficile che quelli si fermino a far due chiacchiere. Tu sì che devi fare una bella vita, sempre in volo a divertirti di qua e di là.
- Tutti abbiamo i nostri guai - disse l’insetto con voce malinconica, e cominciò a pulirsi l’ala destra con le zampe.
- Succede anche a te che qualcuno si appoggi contro la tua schiena, come stanno facendo questi tre contro la mia, o che ti rubi il latte?
- Ci sono troppi ragni in giro - disse l’insetto. - Li trovi sempre dappertutto: se ne stanno acquattati nell'erba e ti balzano addosso. A furia di aguzzare la vista mi sono venuti gli occhi storti. Sono brutti tipi, voraci, screanzati e intrattabili, tremendi, veramente tremendi.
- Li ho visti, - disse la mucca - ma a me non hanno mai dato fastidio. Spostati un po’ più in su per favore, che voglio leccarmi il muso: è strano, questo pizzicorino che non mi dà pace. -
La mosca si spostò un po' più su.
- Se tu fossi rimasta dov’eri, continuò la mucca - e io ti avessi colpito con la lingua, credo proprio che saresti bell’e andata.
- Non mi avresti potuto colpire con la lingua - disse la mosca. - Lo sai che mi muovo in fretta.
Al che la mucca, sorniona, si passo la lingua sul muso. Non vide muoversi l’insetto, ma già quello svolazzava sano e salvo a qualche centimetro dal suo naso.
- Hai visto? - disse la mosca.
- Ho visto - rispose la mucca, e scoppio in un muggito di ilarità cosi improvviso e potente che l’insetto fu soffiato lontano da quella raffica, e non tornò mai più.

(James Stephens, La pentola dell'oro, cap.XVII traduzione Adriana Motti, ed. Adelphi)

(Van Gogh, 1883) 

mercoledì 5 ottobre 2016

Zeno e la mosca


Italo Svevo, da La Coscienza di Zeno (capitolo quinto)

Qualche segno su un foglio di carta che conservai, mi ricorda un’altra strana avventura di quei giorni. Oltre all’annotazione di un’ultima sigaretta accompagnata dall’espressione della fiducia di poter guarire della malattia dei cinquantaquattro movimenti, v’è un tentativo di poesia... su una mosca. Se non sapessi altrimenti, crederei che quei versi provengano da una signorina dabbene che dà del tu agl’insetti di cui canta, ma visto che sono stati stesi da me, devo credere che poiché io sono passato per di là, tutti possano capitare dappertutto. Ecco come quei versi nacquero. A tarda notte ero ritornato a casa e invece che coricarmi m’ero recato nel mio studiolo ove avevo acceso il gas. Alla luce una mosca si mise a tormentarmi. Riuscii a darle un colpo, lieve però per non insudiciarmi. La dimenticai, ma poi la rividi in mezzo al tavolo come lentamente si rimetteva. Era ferma, eretta e pareva più alta di prima perché una delle sue zampine era stata anchilosata e non poteva flettersi. Con le due zampine posteriori si lisciava assiduamente le ali. Tentò di moversi, ma si ribaltò sulla schiena. Si rizzò e ritornò ostinata al suo assiduo lavoro. Scrissi allora quei versi, stupito di aver scoperto che quel piccolo organismo pervaso da tanto dolore, fosse diretto nel suo sforzo immane da due errori: prima di tutto lisciando con tanta ostinazione le ali che non erano lese, l’insetto rivelava di non sapere da quale organo venisse il suo dolore; poi l’assiduità del suo sforzo dimostrava che c’era nella sua minuscola mente la fede fondamentale che la salute spetti a tutti e che debba certamente ritornare quando ci ha lasciato. Erano errori che si possono facilmente scusare in un insetto che non vive che la vita di una sola stagione, e non ha tempo di far dell’esperienza.




(Petrus Christus, pittore fiammingo, anno 1446, ritratto di certosino: il dipinto intero e un dettaglio)


martedì 13 settembre 2016

Mosche




Così ogni uomo, prima o dopo, prova invidia della mosca, che ha davanti a sè tutta l'estate.
(Samuel Beckett, Watt; pag.169 ed.Sugarco 1994)
(la mosca fra i topini è di Beatrix Potter)