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martedì 10 gennaio 2017

Esprimere l'inafferrabile

Questo pensiero di Carl Gustav Jung contenuto in Psicologia e alchimia è stato (per me, almeno) illuminante: richiama alla "complessità" che è sempre unione di contrapposti. Ciascuno dei due estremi, preso per conto proprio, sarebbe "debole". Il paradosso e il mito sono le cose che svelano il "profondo" e immutabile che sta in tutti noi. (Sintesi forse un po' brutale, ma perdonerete).



Gli obiettori, particolarmente di parte cristiana, per i quali è impossibile che le enunciazioni più contraddittorie siano vere, devono tollerare a loro volta le seguenti domande: Uno è forse uguale a tre? Com 'è che tre può esser uno? Una madre può esser vergine? E così via. Non ci si è ancora accorti che tutte le enunciazioni religiose contengono contraddizioni logiche e asserzioni impossibili per principio, anzi, che proprio questo costituisce l'essenza delle asserzioni religiose? Tertulliano ha ben ammesso (De carne Christi, n. 5): “E morto è il figlio di Dio, ciò che è credibile proprio perché è assurdo. E sepolto è risorto: ciò che è certo perché è impossibile." Se il cristianesimo invita a credere a tali contraddizioni, non può, mi sembra, disapprovare chi dia diritto d'esistenza a qualche altro paradosso in più. Stranamente il paradosso appartiene ai beni spirituali più preziosi; l'univocità invece è segno di debolezza. Per questa ragione una religione impoverisce nel suo intimo quando perde o diminuisce i suoi paradossi; se invece li aumenta, diventa più ricca, poiché solo il paradosso è capace di abbracciare, anche se soltanto approssimativamente, la pienezza della vita; mentre ciò che è univoco, che non ha contraddizioni, è unilaterale, e quindi inadatto a esprimere l'inafferrabile.

martedì 12 novembre 2013

Tre giorni in Romagna (2). Il Battistero Neoniano e il Mausoleo di Galla Placidia

Due mete a Ravenna sulle tracce di Carl Gustav Jung.

Autore: 
 Giuseppe Muscardini

Nel cinquantesimo della scomparsa di Carl Gustav Jung potrà avere una qualche utilità rievocare un episodio significativo della sua vicenda biografica. A Ravenna ebbe un prodigioso abbaglio che avvalora la concezione da lui teorizzata in diverse pubblicazioni secondo cui nella psiche umana vi sono cose che non sono prodotte dall'Io, ma si producono da sé, e vivono di vita propria.
Si dovrà risalire agli anni Trenta, quando il già affermato psichiatra nativo di Kesswil, autore di numerosi saggi sull'inconscio e all'epoca Presidente della Società internazionale di Psicoterapia, si recò in Italia per dare continuità a quei viaggi e percorsi che erano alla base dei suoi studi sulla psiche umana. A Ravenna, la città cantata da Gabriele d'Annunzio con versi ad alta densità simbolica (glauca notte rutilante d'oro, sepolcro di violenti custoditi da terribili sguardi), gli aspetti misteriosi della nostra mente emersero con inquietante evidenza, e Jung ne registrò personalmente gli effetti.
Affascinato dallo splendore dell'arte musiva che richiama da secoli i viaggiatori di tutto il mondo, lo psichiatra svizzero entrò insieme alla sua compagna di viaggio all'interno del Battistero Neoniano, rivestito di preziosi mosaici. Qui fu attirato dall'immagine di Cristo che allunga la mano a Pietro per salvarlo dalle acque del fiume in cui rischia di annegare, e ne tentò in loco l'interpretazione, disquisendo con la donna sul significato della morte e della rinascita, a suo parere ben manifestato nella raffigurazione. Ma la sorpresa l'ebbe al ritorno dal viaggio, quando a Zurigo decise di approfondire le ricerche richiedendo a Ravenna una riproduzione fotografica di quel particolare del mosaico. Scoprì così che una rappresentazione di Cristo nell’atto di soccorrere Pietro, sulle pareti del Battistero Neoniano in realtà non esisteva. Jung l'aveva solo percepita: si era trattato di un’illusoria parvenza originata in lui dall'incontro fra coscienza e inconscio, in una commistione di impressioni difficili da spiegare sul piano sensoriale.

Il turbamento di Jung a Ravenna non era un fatto nuovo. Già vent’anni prima, nel 1914, aveva avvertito un senso di smarrimento davanti alla tomba di Galla Placidia, l’imperatrice romana figlia di Teodosio I. Mettendo in relazione le due analoghe esperienze, fu naturale per lui richiamare alla mente il leggendario racconto sulla tempesta che nel 424 sorprese Galla Placidia quando da Costantinopoli attraversò il mare per raggiungere l’Occidente. La promessa e il voto di erigere una chiesa a Ravenna e di abbellirla con splendidi mosaici se fosse sopravvissuta ai flutti turbinosi, fu mantenuta dalla raffinata regnante e sorse così la basilica di San Giovanni Evangelista. Ma in epoca successiva un incendio devastò la chiesa e i mosaici andarono distrutti. L’associazione fra la perdita dei mosaici e la mancanza di qualcosa già visibile in precedenza, acquisiva la valenza di una privazione che dovette influenzare la sfera sensoriale di un individuo dotato di conoscenze storico-artistiche. Questa può essere la causa psichica della momentanea percezione visiva di Jung, tanto più credibile se si considera la condivisione dell’esperienza da parte della sua compagna di viaggio, che pure credette di vedere all’interno del Battistero Neoniano lo stesso mosaico. Anche quando una spiegazione fosse stata possibile, lo psichiatra risolse di annoverare il fatto tra i fenomeni e lecose della psiche che emergono spontaneamente dall'inconscio, seppure in assenza di condizioni plausibili per richiamarle. Nel volume autobiografico Ricordi, sogni, riflessioni, si legge testualmente: Il mio caso non è certo l'unico, di questo genere, ma quando ci capitano cose simili, non si può fare a meno di prenderle più sul serio di quando si sono solo sentite dire o si sono lette. In genere, di fronte a racconti di cose simili, si hanno pronte tutte le spiegazioni possibili: io, per parte mia, sono invece giunto alla conclusione che prima che si possa definire qualsiasi teoria nei riguardi dell'inconscio, ci sia ancora bisogno di farne molte, moltissime esperienze.


Di esperienze Carl Gustav Jung ne ebbe molte, come viaggiatore, come studioso, come individuo dedito ai misteri della mente. Il rifiuto di una visione dogmatica della religione e dei fatti dell’esistenza, il suo graduale allontanamento dalle teorie di Sigmund Freud, su cui peraltro si era formato nel tentativo di interpretare i sogni dei pazienti, non gli consentirono di dare al curioso episodio di Ravenna spiegazioni certe. Restava un mistero dell’anima, uno dei tanti, una visione onirica mai sfuocata in ambiguità, ma ben definita e presente in lui anche a distanza di tempo. Tanto definita da poterne descrivere, come in un sogno di cui si conserva viva memoria, perfino i dettagli, i colori (l’azzurro del mare, riferisce Jung) l’ampiezza della raffigurazione e i cartigli riempiti con le parole di Pietro e di Cristo.

martedì 30 giugno 2009

Bene e male


Scrive Rom in commento al post su Jung.
Quella della copresenza di bene e male è una delle idee più confuse che esistano. Ha anche una sua pericolosità, quando si tratta di far fronte a realtà in cui devi essere deciso e salvare il bene contro il male - per le quali, per esempio, il massimo che puoi fare è tener conto della possibilità di non uccidere la vita biologica, visto che quella psichica non c'è più. Provo a farmi capire ma tanto so che non ci riesco, figuriamoci a convincerti, se tu non sei già d'accordo con me...

Hai presente il simbolo del tao? Quello con le due onde, una bianca e una nera, in cui la bianca ha un pallino nero e la nera un pallino bianco? Sembra semplice: il bene è la copresenza delle due entità, dimensioni, qualità, componenti; il male è l'assenza delle due, cioè un tondo tutto bianco o tutto nero - sparisce pure il pallino.
Se le due sono copresenti, man mano che una va in minoranza accresce il suo potere e frena, dà misura, provoca un movimento di correzione dello squilibrio - come nei meccanismi a retroazione, per intenderci.
Non c'è copresenza di bene e di male: c'è copresenza di altre robe, e finché c'è copresenza è bene. Il male, ripeto, è l'assenza dell'altra componente, l'assolutizzazione di una delle due, una qualsiasi delle due.

La stessa cosa vale nella teorizzazione psicoanalitica - la fusione tra sessualità e aggressività è bene; la defusione, la scissione, la dissociazione tra le due componenti è male. Tutto amore-sessualità-avvicinamento-fusione? Male. Tutta aggressività-guerra-allontanamento-sparizione? Male. Entrambi - entrambi, sottolineo per la componente "amore" - assolutizzati sono distruttivi, male, morte.
Non c'è copresenza di bene e male.

E' difficile?

Provo a farti una domanda ancora più difficile, allora, così l'incomprensione cresce e forse si attiva la comprensione...

Se tu potessi far morire in questo stesso istante gli psicopatici criminali che stanno per violentare un bambino e poi ucciderlo - in giro per il mondo in questo stesso momento sta sicuramente avvenendo - e se con la morte del violentatore assassino il bambino non corresse nessun pericolo: lo faresti?
Io sì, lo farei.
Me lo dici dove sta la copresenza di bene e male in un ex umano ora inumano che fa certe cose?
Tu dirai: hai dimenticato le donne? No, le includo subito, nella formula - se vuoi la estendo a tutti i deboli della terra che stanno per essere violentati e uccisi da uno psicopatico criminale: che muoia, ora!, e la vittima si salvi.
Tu dirai, forse, ancora: ma non si può evitare di uccidere? non gli potrebbe venire un colpo, al violentatore, per cui diventa innocuo senza morire, e il bambino, la donna, il debole, scappano in salvo? Certo, era tanto per capirci.

Una non-risposta. Avevo premesso la mia assoluta incapacità a "maneggiare" argomenti così vasti ed importanti. E nemmeno mi sogno di sintetizzare un brano dell'opera di Jung. Mi permetto di fare una sola osservazione alla domande fatte da Rom partendo da una frase di Publio Terenzio Afro : Sono uomo; e di quello che è umano nulla io trovo che mi sia estraneo. Aggiungo: anche le più efferate bestialità? Si anche quelle.
Non riesco a fare di meglio che presentare una lunga citazione del libro di Jung.

Alla luce segue l'ombra, l'altro lato del Creatore. Questa evoluzione giunge al suo culmine nel secolo XX. Il mondo cristiano è ora veramente messo a confronto col principio del Male, con l'ingiustizia palese, la tirannia, la menzogna, la schiavitù, la coercizione della coscienza. Tale manifestazione del Male senza maschera ha assunto apparentemente una forma stabile nella nazione russa [ndr la definizione di
Ronald Reagan "Impero del Male" nasce qui?], ma la sua prima violenta eruzione si ebbe in Germania, e rivelò fino a qual punto il cristianesimo del secolo XX fosse stato svuotato del suo contenuto. Di fronte a ciò, il Male non può essere più oltre minimizzato con l'eufemismo della privatio boni. Il Male è diventato una realtà determinante. Non può essere più eliminato dal mondo con una semplice circonlocuzione; dobbiamo imparare a trattare con esso, perché esso vuole la sua parte nella vita. Come questo sia possibile senza terribili conseguenze, per il momento non è prevedibile.
In ogni caso ci occorre un nuovo orientamento, una metanoia. Avendo a che fare col Male si corre il grave rischio di soggiacergli. Non dobbiamo perciò più soggiacere a nulla, nemmeno al bene. Un cosiddetto bene, al quale si soccombe, perde il carattere etico. Non che diventi cattivo in sé, ma è il fatto di esserne succubi che può avere cattive conseguenze. Ogni forma di intossicazione è un male, non importa se si tratti di alcool o morfina o idealismo. Dobbiamo guardarci dal considerare il male e il bene come due opposti.
Il criterio dell'azione morale non può consistere più nella semplice concezione che il bene ha la forza di un imperativo categorico, e che il cosiddetto male può essere assolutamente evitato. Il riconoscimento della realtà del male necessariamente relativizza sia il bene che il male, tramutandoli entrambi nelle metà di un contrasto, i cui termini formano un tutto paradossale.
Praticamente, ciò significa che il bene e il male perdono il loro carattere assoluto, e noi siamo costretti a riconoscere che ciascuno di essi rappresenta un giudizio.
Tenendo conto della fallibilità di ogni giudizio umano, non possiamo credere di giudicare sempre rettamente: possiamo facilmente essere vittime di un errore di giudizio. Questo concerne il problema etico solo in quanto ci sentiamo incerti nella valutazione morale. Ciononostante siamo obbligati a prendere delle decisioni morali. La relatività di bene e di male, o «cattivo» non significa in nessun modo che queste categorie siano prive di valore, o non esistano. Esiste sempre un giudizio morale con le sue caratteristiche conseguenze psicologiche. Ho sottolineato varie volte che il male che abbiamo fatto, pensato, o voluto, si vendicherà sulle nostre anime anche nel futuro, così come ha fatto finora, indipendentemente dal fatto che il mondo sia cambiato o no per noi. Soltanto i contenuti del giudizio sono sottoposti alle differenti condizioni di spazio e di tempo, e, pertanto, variano in rapporto ad esse. La valutazione morale si fonda sempre sulla apparente certezza di un codice morale, che pretende di stabilire con precisione che cosa è il bene e che cosa è il male; ma una volta che sappiamo quanto ne è incerto il fondamento, la decisione morale diventa un atto soggettivo, creativo. Possiamo convincerci della sua validità solo Deo concedente, deve cioè esserci un impulso spontaneo e decisivo da parte dell'inconscio. La morale in sé, cioè la decisione tra il bene e il male, non è influenzata da questo fatto, solo che per noi diventa più difficile. Nulla può risparmiarci il tormento di una decisione morale. In certe circostanze dobbiamo avere la libertà, per quanto possa esserci duro, di astenerci dal bene morale conosciuto come tale e di fare ciò che è considerato male, se la nostra decisione morale lo richiede. In altre parole, non dobbiamo soccombere a nessuno dei due opposti. Al riguardo un esempio ci è dato dal neti-neti della filosofia indiana in forma morale: in certi casi il codice morale è senz'altro abrogato e la scelta morale è lasciata all'individuo. Questo fatto in sé non è nuovo: prima che esistesse la psicologia tali difficili scelte erano indicate col nome di «conflitto di doveri».

domenica 28 giugno 2009

Carl Gustav Jung, "Ricordi, sogni, riflessioni", BUR, p. 385 e segg.

Non possiamo e non dobbiamo rinunciare a far uso della ragione; e neppure dobbiamo abbandonare la speranza che ci soccorra l'istinto - nel qual caso un Dio ci sostiene contro Dio, così come già comprese Giobbe. Tutto ciò attraverso cui si esprime l'"altra volontà" è materia formata dall'uomo, il suo pensiero, le sue parole, le sue immagini, e tutte le sue limitazioni. Di conseguenza egli ha la tendenza a riferire ogni cosa a se stesso, quando comincia a pensare in termini rozzamente psicologici, e crede che tutto derivi dalle sue intenzioni e da "lui stesso".

Pensierino. Gli Ultimi pensieri della autobiografia di Carl Gustav Jung pubblicata con il titolo "Ricordi, sogni, riflessioni" sono stati una grande scoperta per me. Il mio interesse per la psicologia è di lunga data, intrapreso passando per le fiabe ed il loro simbolismo. L'approdo quasi inevitabile era arrivare a Jung ed i suoi allievi che hanno ampiamente studiato il simbolismo nelle sue più varie accezioni, compreso quello delle fiabe.
Questo ultimo capitolo (che naturalmente consiglio vivamente a chi non l'avesse già letto) sintetizza gli ultimi studi (ultimi anche della sua vita) portati avanti da Jung sulla religione e le simbologie ad essa legate.
Non sono in grado nemmeno sinteticamente di presentare i concetti e le osservazioni fatte da Jung in questo capitolo.
Spero solo di avervi incuriosito.

Pensierino aggiunto. Mi piace questa immagine del Dio razionale contro il Dio dell'istinto. Una battaglia senza esclusione di colpi, sicuramente (Dio ne sa una più del Diavolo!) . Illuminanti sono le riflessioni sul male quale componente "permanente" del bene e quindi com-presente "anche" nella divinità. Mi ricorda un altro libro che ho letto le scorse settimane di Sergio Quinzio, La sconfitta di Dio, anche questo tutto imperniato sulle promesse non mantenute di Dio e sulla incompresibilità del male.

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...