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domenica 17 dicembre 2017

I Sonetti di William Shakespeare un confronto

Cimentarsi almeno una volta nella vita con i Sonetti di William Shakespeare è inevitabile o forse no. Comunque, con le dovute precauzioni e una buona dose di imprudenza ecco cosa ne ho ricavato. Non parlo del contenuto che vola altissimo su tutta la gamma dei sentimenti e delle passioni umane, ma sulla forma. Mi spiego. Leggo che i Sonetti sono scritti in "14 pentametri giambici disposti in tre quartine in rima alternata più un distico conclusivo in rima baciata". Ok. Si tratta dunque di poesia in rima con una struttura rigida. Subito mi sono chiesto come avessero fatto i traduttori a rendere non solo il senso, ma anche la struttura poetica di quest'opera. Le traduzioni dei Sonetti (iniziate con la prima versione in prosa di Angelo Olivieri del 1890 e dalla prima traduzione in versi del 1897 di Ettore Sanfelice)  sono state molteplici e tantissimi autori si sono cimentati come Mario Praz, Gabriele Baldini (con Lucifero Darchini), Pietro Rebora, Eugenio Montale,  Giuseppe Ungaretti e più recentemente da Roberto Piumini.

Mi sono divertito a confrontare gli esiti di queste traduzione prendendo due testi considerati tra i più "blasonati": la versione in prosa a cura di Gabriele Baldini con il traduttore Lucifero Darchini e la traduzione poetica di Roberto Piumini.

Devo dichiarare che questo confronto ha avuto un esito categorico: la versione poetica di Roberto Piumini ne esce nettamente vincitrice.

Cerco di dare una spiegazione a questo verdetto.
La versione di Piumini è asciutta, affilata come una lama, si destreggia per mantenere una sonorità del verso e della rima, forse è meno aderente alla testo, ma non ne perde lo spirito. Insomma , non c'è niente da fare, i poeti di capiscono tra loro e, quel che più importa, ci fanno capire meglio.

Sonetto XII (Baldini-Darchini)

Quando conto le ore che segnano il tempo e vedo il valoroso giorno sprofondare nell'orrida notte; quando miro la violetta sfiorita e i riccioli neri inargentati di fili bianchi;
Quando vedo spogli di foglie gli alberi superbi che già furono baldacchino alla greggia durante la calura, e le verdi piante dell'estate, legate in covoni, portate su barelle con barba ispida e bianca,
Allora medito sulla tua bellezza e penso che dovrai andar tra le rovine del tempo, poiché le dolci cose e belle trapassano e muoiono man mano che vedon crescere le altre.
E nulla può difendere dalla falce del tempo, tranne la procreazione di una prole con cui tu ne sfidi il potere pur mentre essa ti toglie di quaggiù.

Sonetto XII (Piumini)

Quando il conto i battiti dell'ora
e vedo il giorno in notte sprofondare,
e la violetta andarsene in malora
e vedo i neri ricci inagentare,
e grandi piante perdere foglie
che furono freschezza per gli armenti,
e il verde che in mazzi si raccoglie
sui carri, in barbe pallide e pungenti,
allora penso alla tua bellezza,
a te che alla rovina devi andare,
giacché si sciupa ogni cara dolcezza,
morendo quando una nuova appare,
e solo avere figli ti difende
dalla falce del Tempo, quando scende.




mercoledì 4 giugno 2014

Benedetto il primo dolce affanno


Benedetto sia'l giorno
Pace non trovo
I vidi in terra angelici costumi

Jonas Kaufmann, tenor
Helmut Deutsch, piano

Paris, 2008

lunedì 14 ottobre 2013

Attualità


SONETTO LXVI

Morte sarebbe molto meno amara
del povero destino di chi vale,
della trionfante nullità somara,
dello spergiuro usato a chi è leale,
di tanta simonìa, tanta vergogna,
del mercimonio di persone pure,
dell’ideale in mano alla carogna,
del genio imbavagliato da censure,
del forte che ha ceduto a corruzione,
del vero ch’è spacciato per banale,
della follia maestra d’ogni azione,
del bene schiavo d’un perverso male.
Morte sarebbe molto meno ingrata –
ma lascerebbe sola la mia amata.



SONNET LXVI

Tired with all these, for restful death I cry,
As, to behold desert a beggar born,
And needy nothing trimm'd in jollity,
And purest faith unhappilly forsworn,
And gilded honour shamefully misplac’d,
And maiden virtue rudely strumpeted
And right perfection wrongfully disgrac’d,
And strength by limping sway disabled,
And art made tongue-tied by authority,
And folly, doctor-like, controlling skill,
And simple truth miscall’d simplicity,
And captive good attending captain ill:
Tir’d with all these, from these would I be gone,
Save that, to die, I leave my love alone.


Pensierino. William è passato dall'Italia, recentemente ?

sabato 6 novembre 2010

Non fare che l'Inverno (dedicato a chi so io)

Non fare che l'Inverno, dura mano,
cancelli la tua estate indistillata:
proteggine una fiala, via, lontano,
prima che la bellezza sia annullata.
...
(Sonetto di William Shakespeare)



domenica 27 giugno 2010

Immagini e poesia

Viene la stagione dei grandi silenzi, anche nei blog. E' un bene: ci riconciliamo con la natura e forse stiamo un po' più all'aperto, non perdiamo tempo a leggere e scrivere davanti ad un caldo monitor.
Per i pochi affezionati che sono rimasti (pigri, sfaccendati, ecc) non rimane che scrivere di poesia. La poesia rinfresca l'aria.
Un'estate di immagini e poesia.


Quanto più bella appare una bellezza 
quando s’adorna d’una vita piena: 
bella la rosa, e più bella s’apprezza 
per quel dolce profumo che l’invena. 
Rosa canina ha fiamma d’ugual fuoco 
quant’è nel fior di serra, più odoroso: 
pari le spine, pari il lieto gioco 
d’alito estivo al bocciolo ritroso. 
Rosa di campo è bella né pregiata, 
vien disamata in boccio, umile in fiore, 
sfiorisce a sé. La rosa coltivata 
muore soave in suo soave odore: 
così di te, giovane bell’amica, 
sfiorito il boccio, la poesia ridica.

(Sonetto 53 W. Shakespeare)

P.S. Non è una rosa, ma un melograno: licenza fotografica. Il tutto è nato da una lettura dei Sonetti di Shakespeare al Teatro dell'Elfo a Milano con Elena Russo Arman con musiche di John Dowland suonate dalla chitarrista Alessandra Novaga. 

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...