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venerdì 14 febbraio 2020

Teatro Franco Parenti: I Promessi Sposi alla prova

E' la prima volta che entro al Teatro Franco Parenti di Milano e quindi l'emozione è forte. Questo è uno dei luoghi "sacri" del teatro milanese. L'occasione di vedere rappresentata qui una riedizione di una classico testo di Giovanni Testori non può essere che un ulteriore motivo di curiosità.

Nel 1984 Andrée Ruth Shammah metteva in scena per la prima volta "I Promessi Sposi alla Prova" di Giovanni Testori.
La rilettura di Testori dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni è basata su un artificio drammaturgico: sotto la direzione di un regista/maestro, i sei attori interpretano tutti i personaggi del libro e ripercorrono la vicenda di Renzo e Lucia, di Don Abbondio e  Don Rodrigo, di Agnese  Perpetua e Gertrude, dell'Innominato e della Monaca di Monza.
Una rilettura che, naturalmente, ha fatto sobbalzare sulle sedie i soliti "custodi puristi della tradizione" del teatro e dell'opera del Manzoni. Ma Testori di queste provocazioni ne ha fatte per tutta la sua carriera. Non è un caso che parteggi spudoratamente per la Monaca di Monza.
La compagnia che ha rappresentato "I Promessi Sposi alla prova" è formata da navigati attori e da giovani allievi della scuola di teatro Franco Parenti e quindi anche in scena si ripropone il rapporto tra allievi e maestri che offre spunti interessanti di teatro nel teatro. Testori poi ci mette del suo decostruendo la storia e sottolineando passaggi dell'opera manzoniana. 
Una lezione di teatro, insomma e per fortuna che la platea era piena di giovani, forse trascinati dalle scuole, ma andare a teatro non ha mai fatto male a nessuno, anzi, forse qualcuno si appassionerà anche.


Teatro Franco Parenti
I Promessi Sposi alla prova
di Giovanni Testori
con Luca Lazzareschi, Laura Marinonie con Filippo Lai, Laura Pasetti, Nina Pons, Sebastiano Spada
e la partecipazione di Carlina Tortaregia Andrée Ruth Shammah 


lunedì 10 febbraio 2020

Una Marchesa ad Assisi

Ippolita Baldini è forse più famosa per le sue uscite a Zelig e Colorado e la partecipazione ai film Quando la notte regia di Cristina Comencini e Ti presento un amico regia di Carlo Vanzina , ma ha un curriculum artistico notevole con partecipazione a spettacoli teatrali e cinematografici.
In questo lavoro che si intitola "Una Marchesa ad Assisi" riprende uno dei suoi personaggi di successo e fa passare un'ora in allegria. Nel 2012 ha aperto una sua attività che si chiama TEATROCASATUA che organizza eventi teatrali in case private. 


Una Marchesa ad Assisi
con Ippolita Baldini
monologo scritto e interpretato da Ippolita Baldini
collaborazione alla drammaturgia Emanuele Aldrovandi
regia Camilla Brison
produzione Teatro della Cooperativa





martedì 4 febbraio 2020

Teatro: "Misericondia" al Piccolo Teatro Grassi di Milano

Anna, Nuzza e Bettina crescono come se fosse figlio loro Arturo, figlio di Lucia morta di parto e di percosse. Tutte fanno il mestiere più vecchio del mondo di notte, mentre di giorno sferruzzano a maglia nel basso fetido, sporco, buio e accudiscono Arturo che è come un burattino cresciuto, un pezzo di legno animato dalla follia. Naturalmente le tre madri di Arturo si contendono Arturo e si rinfacciano di non aver fatto nulla quando vedevano Lucia maltrattata da quella bestia di uomo che l'aveva ingravidata. Ma c'era come un fato che governava le loro vite nei bassi di Palermo, al quale nessuno poteva ribellarsi, come una maledizione. Ma le tre madri vogliono che Arturo viva meglio, gli hanno trovato una sistemazione in un istituto dove sarà accudito e avrà una sua stanza luminosa e riscaldata. Arriva il giorno: Arturo si veste di tutto punto, gli viene preparata una valigia con dentro tutto ciò che ha, un cambio di vestiti e la scatola con i ricordi di mamma Lucia (una foto e una collanina). Arturo deve solo aspettare che arrivi la banda e poi andrà con loro.

Misericordia di Emma Dante, in scena al Teatro Grassi dal 16 gennaio al 14 febbraio 2020, ha per protagonisti gli attori Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi e Simone Zambelli.

Foto di scena di Masiar Pasquali


Pensierino. Entrare nella sala di velluto rosso del Piccolo Teatro Grassi di Milano è sempre una emozione. Turisti da tutta Europa arrivano qui davanti ed entrano nel cortile nel Chiostro Nina Vinchi come se entrassero in chiesa. Fuori lo struscio di Via Dante.

lunedì 20 gennaio 2020

Teatro. La cena delle belve

Roma, 1943, interno di casa borghese, il compleanno della padrona di casa, invitati alcuni amici.
Fuori si sente uno sparo. Si affacciano alla finestra dall'appartamento e vedono a terra due ufficiali delle SS uccisi a pistolettate. Immediata la reazione. Arrivano nella zona militari tedeschi che setacciano il quartiere. L'ufficiale delle SS che dirige l'operazione entra anche nell'appartamento dove si svolge la festa e comunica che come rappresaglia ogni famiglia della casa deve scegliere due persone destinate alla fucilazione. Anche i convenuti a quella festa devono scegliere tra di loro due persone, mente gli altri avranno salva la vita.
Iniziano una serie di tentativi uno più goffo dell'altro di togliersi da questa situazione: prima un tentativo di corruzione dell'ufficiale, poi il tentativo di coinvolgere un altro comandante tedesco che interceda per la liberazione, poi una maldestra fuga attraverso i tetti, infine un tentativo della padrona di casa di circuire lo stesso comandante.
Intanto tra gli amici cominciano a nascere diffidenze, tentativi di ricatto, di svelamento di segreti inconfessati (tradimenti, debiti di gioco non pagati, di avere particolari tendenze sessuali) ed il clima si deteriora sempre più, con palesi tentativi di indurre qualcuno a offrirsi "volontario" per la rappresaglia.
Tutto finisce quando l'ufficiale delle SS entra nella stanza e comunica che un uomo (che era un altro amico che loro aspettavano alla festa) si è consegnato accusandosi dell'omicidio e che quindi loro tutti sono liberi.
Tutti se ne vanno, ma nulla è più come prima.



LA CENA DELLE BELVE
(Le repas des fauves)
di Vahè Katchà
Elaborazione drammaturgica Julien Sibre
Versione italiana Vincenzo Cerami

Regia associata Julien Sibre e Virginia Acqua

Con (in o. a.) Marianella Bargilli, Emanuele Cerman, Alessandro D’Ambrosi, Maurizio Donadoni, Ralph Palka, Gianluca Ramazzotti, Ruben Rigillo, Silvia Siravo

Scene Carlo De Marino
Costumi Francesca Brunori
Disegno luci Giuseppe Filipponio
Foto Luigi Cerati, Benedetta Folena

Produzione Gianluca Ramazzotti per Ginevra Media Production Srl
Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano

venerdì 17 gennaio 2020

Teatro. Il sogno di un uomo ridicolo


14/12/19 Teatro Out Off. IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO di Fëdor Dostoevskij. Traduzione e drammaturgia di Fausto Malcovati e Mario Sala con Mario Sala. Regia Lorenzo Loris.

Tutti lo considerano un “uomo ridicolo” e lui stesso si considera tale. Questa poca considerazione è frutto di una pochezza esistenziale: non c’è più passato ne futuro, non c’è salvezza , rimane solo la colpa.
L’uomo vive in una soffitta e l’arredo è formato da una poltrona sfondata, un tavolo, una candela e una pistola. Da tempo ha deciso di suicidarsi e la visione di una stella lo convince che è arrivato il momento giusto. Mentre rincasa, viene avvicinato da una bambina che piange e si dispera e che gli chiede aiuto, ma lui la caccia in malo modo: come potrebbe aiutare lui una persona se non ha futuro?
Rientra in casa e si siede sulla sua poltrona accanto alla candela, con la pistola davanti e si addormenta. Sogna di spararsi al cuore (non alla testa, il cuore è il suo problema) e di morire e di essere seppellito. Ma all’improvviso si apre uno squarcio nella bara ed ecco che viene sostenuto in volo da un essere di cui ignora la natura. Viene trasportato dalla terra verso un’altra terra, lontana , molto lontana. Quando arriva si rende conto di essere arrivato in un luogo che non conosce la colpa, in cui tutti si amano e si tengono per mano in pace (la guerra non esiste), si aiutano, vivono in sintonia con la natura, non hanno bisogno di chiese e la morte non fa loro paura, l’affrontano serenamente circondati dai loro affetti.
Improvvisamente l’uomo scopre che è lui il virus che farà ammalare questo mondo ideale e infatti, a poco a poco, arriva l’invidia e il rancore, poi l’odio e la guerra: quel mondo lontano comincia ad assomigliare sinistramente al mondo che ha lasciato.
Di colpo l’uomo si sveglia e si trova nella condizione di prima, nella sua stanza, sulla sua poltrona, con la pistola carica davanti a se sul tavolo. Con uno scatto allontana la pistola. Pensa che forse quel terribile rifiuto della bambina e il sogno gli hanno fatto capire che il mondo è terribile, ma lui ha conosciuto un altro mondo che è possibile, un mondo fatto di amore, di speranza, di condivisione, di sintonia con la natura ed ora anche lui può trovare una sua ragione di vivere. Si cambia gli abiti un po’ clouneschi che ha indossato fino ad ora, si veste in modo dignitoso e guarda al suo futuro con speranza. Anche l'uomo ridicolo può riscattarsi.

(Foto di Erica Falcinelli)


giovedì 16 gennaio 2020

Teatro. Il mio nome è Caino

La parabola sanguinosa di un mafioso parte con l'assassinio crudele del suo miglior amico, da qui il soprannome di Caino che spaventa e sottomette. Dal nonno latifondista che ammazza con il suo bastone il contadino che accenna una muta sfida di sguardi, al nipote (Caino) che ammazza con con kalasnikof e P38. Omicidi che hanno una loro logica spietata, non c'è spazio per rimorsi o tentennamenti: sono le regole di un mondo che giustifica se stesso e così si perpetua.
Un testo durissimo di Claudio Fava che vuole farci leggere la mafia dalla parte dei mafiosi.
Sul palco un grande Ninni Bruschetta e al pianoforte Cettina Donato.


Scheda dello spettacolo al Teatro Menotti 14 gennaio 2020

Produzione Maurizio PuglisiDi Claudio FavaRegia Laura GiacobbeCon Ninni BruschettaAl Pianoforte Cettina DonatoAllestimento Mariella BellantoneCostumi Cinzia PreitanoLuci Renzo Di ChioSuono Patrick FischellaProgetto Grafico Riccardo BonaventuraIllustrazione Antonella Arrigo

lunedì 23 dicembre 2019

Divagazioni teatrali


7 Dicembre 2019. Prima della Scala della Tosca di Giacomo Puccini (vista in TV, naturalmente). Pulp Fiction di Tarantino gli fa un baffo a Puccini. La storia si ripete dai tempi andati (quelli ad es. della canzone popolare della Cecilia) fino ai giorni nostri (My too). 





7 Dicembre 2019 RAI 5 "Nati in casa” di Giuliana Musso e Massimo Somaglino. E’ uno spettacolo frutto di una ricerca sul campo intervistando Levatrici del Nord-Est e che gira dal 2011 e che ho visto al Teatro Elfo Puccini due anni fa. Racconta le tecniche del parto di oggi confrontandolo con quello delle Levatrici degli anni ’40 fino agli anni ’70. Da un lato la fredda tecnica con le sue efficienti semplificazioni (l’abuso del cesareo) e dall’altra l’umanità delle Levatrici che non una formazione di base semplice ed efficace riuscivano ad aiutare tante donne a partorire in casa. Della stessa attrice “La fabbrica dei preti”, una ricerca sui seminari e la cultura cattolica dei seminaristi.





8 Dicembre 2019 Teatri i di Milano “L’indifferenza" di Pablo Solari con Luca Mammoli, Woody Neri e Valeria Perdonò. Un reduce da una delle tante guerre nel deserto ( che sia Iraq o Afganistan non importa) riceve una visita inaspettata e misteriosa che lo costringe a fare i conti col passato ed in particolare su un episodio della sua carriera militare: lo stupro e uccisione di una bambina. Il visitatore sostiene che quella era sua figlia, ma non vuole vendetta e venuto lì per ricordare quei fatti. La sedazione con farmaci non è bastata all’ex militare per rimuovere il tragico ricordo di quell’azione di guerra e svela una natura violenta che forse è patrimonio genetico di tutta l’umanità. L’inutilità della guerra è un particolare insignificante, qui conta sopravvivere: alla violenza si risponde solo con la violenza. Succedono altre cose inaspettate: la moglie che si credeva sterile scopre di essere incinta e nello stesso tempo confessa una sua relazione extra-coniugale con il misterioso visitatore. Il marito allora sospetta che il figlio non sia suo, malgrado la moglie lo rassicuri che non è così. In un impeto d’ira il marito capisce che allora il visitatore vuole la sua sottile vendetta chiedendo che ora uccida la moglie e il bambino che ha nel grembo. Ma l’ex militare si ferma in tempo e rivolge la sua violenza omicida verso il visitatore e con la moglie lo uccide.

Marito e moglie forse si sono liberati dal senso di colpa rappresentato dal misterioso visitatore.


lunedì 28 marzo 2016

Un ricordo personale di Paolo Poli

Paolo Poli firma un autografo
al Teatro Elfo Puccini.
Gennaio 2013.
Ho visto Paolo Poli solo due volte, dal vivo, in teatro: la prima è stata al Teatro Gobetti di Torino (bellissimo!) poteva essere il 2004 (+o-) con uno spettacolo chiamato Sillabari, da Goffredo Parise; la seconda volta all'Elfo Puccini di Milano con Aquiloni (gennaio 2013),  due tempi di Paolo Poli liberamente tratti da Giovanni Pascoli, con Paolo Poli, Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco.
Impagabile la leggerezza di Paolo Poli. 

Mi ricordo che il giorno dopo lo spettacolo di Torino, ero entrato in un bar di quelli meravigliosi (tutto specchi e cornici dorate) di Via Po, ad un certo punto spunta questo signore alto e distinto ed ordina un caffè. Era Paolo Poli. Mi guardava con un certo sospetto perché evidentemente non voleva che qualcuno lo riconoscesse per poter bere un caffè in santa pace. Ho fatto finta di nulla e ho continuato a bere il mio cappuccino sotto lo sguardo riconoscente dell'attore.



lunedì 22 giugno 2015

Vorrei esprimermi in maniera degna, ma ...

Vincenzo entra esitante. È come schiacciato dal lusso. Dopo pochi passi si ferma intimidito dallo sguardo scrutatore del Signore, al quale lui non sa dare una precisa definizione, per la continua e confusa sovrapposizione che avviene nella sua mente fra i personaggi che abitavano il paese della sua infanzia e le figure che, secondo la tua ingenua fantasia, popolano il Paradiso.

De Pretore Sono veramente confuso, Signore... Vorrei esprimermi in maniera degna, ma un po' me ne manca il coraggio, e un po' la preparazione... Se fossi morto di malattia... Una di quelle malattie lunghe, che ti danno il tempo di sistemare i fatti tuoi, quattro parole, pulite pulite le avrei messe insieme anch'io, magari me le sarei fatte scrivere da qualcuno che ci sa fare e le avrei imparate a memoria per non fare la figura meschina che sto facendo, ma mi hanno ucciso cosi repentinamente che sono morto e nemmeno me ne sono accorto...
Signore Non importa. Qui le forme convenzionali non contano.
De Pretore Ma vogliamo scherzare? Posso mai pensare di ottenere da voi le stesse agevolazioni che ottengono quelli che si presentano con una bella parlantina, svelta svelta?
Signore E secondo te io mi lascerei infinocchiare?
De Pretore No. Ma con quattro parole bene azzeccate si guadagna la simpatia di chiunque.
Signore Beh, meglio un uomo simpatico che uno antipatico. E tu pretendi di rimanere in Paradiso?
De Pretore San Giuseppe ve l'ha detto. Anzi, mi dispiace di quell'incidente che c'è stato fra voi due per colpa mia. Siate indulgente... Non ve ne pentirete. In fondo sono un buon ragazzo e posso esservi utile in tante cose. So fare di tutto : ho vissuto sempre da solo e ho dovuto arrangiarmi alla meglio. So cucinare gli spaghetti, faccio un sugo! Se avete degli oggetti da vendere, oggetti smessi di cui vi volete disfare, ci penso io! Riuscivo a vendere certi tagli di stoffa scadente per stoffa inglese di prima qualità! Ho fatto pure il barbiere... schiaccio le noci col piede scalzo... canto le canzonette... suono la chitarra... (Traendo dall'involto che ha portato con sé un mazzo di carte, lo porge al Signore, invitante) Scegliete una carta...
Signore Tu ti chiami Vincenzo.
De Pretore Sì.
Signore E di cognome?
De Pretore De Pretore.
Signore Tuo padre?
De Pretore (abbassa gli occhi umiliato. Dopo una lunghissima pausa confessa) De Pretore... era il cognome di mia madre. Sono di padre ignoto.
Signore Che significa: ignoto?
De Pretore Non lo capisco nemmeno io. È un modo per indicare un figlio avuto da una donna che non sia la propria moglie legale. E’ uno sbaglio, secondo me. Perché un padre deve esistere per tutti. In nessun campo la parola « ignoto » dovrebbe trovare la sua applicazione. Di veramente ignoto non esiste niente. Chi cerca trova. La televisione, vent'anni fa, non esisteva. E la bomba atomica? Chi la conosceva. Per questi figli particolari si dovrebbe dire: « Figlio di un padre che si è nascosto per non andare in galera ».
Signore Sarebbe un po' prolisso.
De Pretore Lo credo anch'io. Ma non pensa lei che la ver¬sione più breve incida un po' troppo sulla reputazione dei figli, mentre i padri con la scusa della brevità, riescono a conservare la loro illibata e pulita pulita?
Signore Già.
De Pretore Ognuno poi si difende come può. C'è chi, ragazzo, riesce a farsi riconoscere da un padre falso, per esempio. E tante mamme che, per non mettere al mondo degli infelici...
Signore Che fanno?
De Pretore Se ne liberano. Lei forse mi può togliere una curiosità. Sa, è un problema che mi ha sempre interessato... Tutte queste creature che non riescono ad affacciarsi nel mondo... queste, diciamo... mezze creature, dove finiscono?
Signore (commosso) Qua, in casa mia. (Rivolgendosi a Ciro) È vero, dottore?
Ciro (anche lui commosso) Sì. Faccio quello che posso. Ma sono in tanti che non faccio in tempo a curarli. Vorrei tanto met¬terli alla pari con gli altri angeli... con ritrovati moderni, unguenti speciali... Cospargo loro le spalle di oli e di balsami... ma sono tutti palliativi... Due aluzze embrionali sono riuscito ad ot¬tenere per loro...
Signore Non importa. Non saranno in grado di spiccare il volo. Ma io sono molto paziente, e ho molto tempo da dedicare a loro. Li porto a passeggio, rincorrono le farfalle... I miei possedimenti sono immensi e pieni di tante meraviglie che solo queste « mezze creature » riescono a vedere... E poi la mia tavola è grande e può accogliere tutti. (A Vincenzo) E tu sei stato ladro?
De Pretore Se avessi avuto un padre che m'avesse mandato a scuola... Non so scrivere... leggo appena... Lei capisce, Signore,... ho fatto il ladro per vivere. E tanti come me finiscono per fare i ladri.
Signore (con una decisione improvvisa) Ascoltatemi bene tutti.

I servi si fanno attenti.

De Pretore Vincenzo rimarrà in casa mia. Andate tutti a letto. Domattina all'alba ognuno di voi spiegherà a questo ragazzo come dovrà comportarsi in Paradiso. Mi spiego? È giusto?

Tutti i servi condividono l'affermazione del Signore e riprendono con lena le loro faccende, commentando l'avvenimento con le ultime parole di lui.

Tutti Mi spiego? È giusto?

Piano piano il « mi spiego, è giusto », ripetuto in coro diventa ritmato e scandito. Il commento musicale sottolinea le voci, producendo nell'insieme l'effetto di un maglio che batte ossessivo.

Mutazione a vista.

Pensierino. Una delle commedie più surreali di Eduardo de Filippo scritta mentre metteva in scena Questi fantasmi a Parigi.



domenica 2 novembre 2014

Sabato Domenica e Lunedì



Pensierino. Che c'è di meglio, il sabato sera, di una bella commedia? L'altra settimana è stata la "prima" dell'Elfo con "Il vizio dell'arte" di Allan Bennett con Ferdinando Bruni, Elio de Capitani e Ida Marinelli, questa volta è stato "Sabato Domenica e Lunedì" del grande Eduardo de Filippo con Toni Servillo e Anna Bonaiuto. Lo so, non si fanno confronti, in arte, ma lasciatemelo dire: nel confronto Servillo ne esce due spanne sopra e mi dispiace (non tanto, a dir la verità) per Bennett, ma il nostro Eduardo è un'altra cosa...
Deludente la commedia allestita da Bruni: c'è questo compiacimento sul tema dell'omossessualità sempre ostentata, che mi pare di scarso interesse oggi, sa un po di muffa. Nulla da dire sulla recitazione di tutti, anche dei comprimari che sono parecchi (e bravi), ma tanta bravura andrebbe applicata ad opere un po' più pregnanti.
Servillo invece con la sua maschera è fantastico e il tema del (presunto) triangolo amoroso che fa scattare l'invidia è trattato con la solita profondità da Eduardo che scava nella genesi dei sentimenti più reconditi che scatenano tragedie nelle famiglie della Napoli dei primi anni del boom economico , come in quelle di oggi.  

sabato 18 ottobre 2014

Mamma, vado via. In Mérica. Una storia di emigrazione lombarda a St. Louis

Ecco il trailer del cortometraggio.


DA UN’IDEA DI GUGLIELMO GAVIANI

ATTORI IN ORDINE DI APPARIZIONE 
MAURO MARTINENGHI, LUCIA DUMI, NORA PICETTI, RICCARDO COLOMBINI, ANNALISA RESTELLI, STEFANO SPINIELLO, SARA ZOIA.  

RIPRESE AUDIO E VIDEO. EDITING VIDEO 
CRISTIANO PIATTONI, VALERIA VALLI  

MUSICHE 
“IL SIRIO” È ESEGUITA DAI BARABAN. ARRANGIAMENTO E ADATTAMENTO DI AURELIO CITELLI E PAOLO RONZIO. “MÉRICA, MÉRICA” È UNA REGISTRAZIONE ORIGINALE DI GUGLIELMO GAVIANI E MARISA PISONI EFFETTUATE A BUSCATE NEL DICEMBRE 1980 E GENNAIO 1981, INFORMATRICI ANGELA GIANELLA (PANÖA), GIUSEPPINA MERLOTTI (PINÉTA)  

LOCATION RIPRESE 
CIRCOLO SOCIALE RICREATIVO, BUSCATE MUSEO CIVICO, CUGGIONO CHIESA DI SAN VITTORE, ROBECCHETTO ISTITUTO SANTA MARTA, CASTELLETTO DI CUGGIONO, STRADA VICINALE TRAVERSAGNETTA  

CITAZIONI FOTOGRAFICHE 
ANGELO TOMMASI (1858-1923) “GLI EMIGRANTI”, GALLERIA DI ARTE MODERNA DI ROMA. LEWIS WICKES HINE (1874–1940). FOTO VARIE SULLA CONDIZIONE DEGLI IMMIGRATI ITALIANI IN AMERICA. BIBLIOTECA DEL CONGRESSO.

PROGETTO CULTURALE 
IL PROGETTO COMPLESSIVO PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE E CULTURALE 5 AGOSTO 1991 DI BUSCATE COMPRENDE UNA MOSTRA INTITOLATA “SAN LUI MO” DI 28 PANNELLI DIVULGATIVI E CON LINGUAGGIO ADATTO AD UN PUBBLICO VASTO, IL LIBRO “MI A VÖ VIA” CHE ANALIZZA LE MOTIVAZIONI DELL’EMIGRAZIONE E IL CORTOMETRAGGIO “MAMMA VADO VIA. IN MÉRICA”.

Mamma vado via. In Mérica di Guglielmo Gaviani è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Based on a work at http://adamelk.blogspot.it/2014/07/lultima-follia-un-cortometraggio.html.

Prima visione 28 settembre 2014

domenica 29 giugno 2014

I teatri , una volta


Il teatro delle suore al mio paese
Ricordo da bambino che "facevo il teatro" all'oratorio. Non mi piaceva. Mi metteva addosso un'agitazione tale che non riuscivo a superare l'emozione. Dopo ho saputo che l'emozione faceva parte del gioco. Ma allora mi paralizzava e riuscivo, a stento, a dire due battute. Non è che le mie "parti" fossero chissà che: una volta ho fatto quella, piuttosto impegnativa, di un "vizio capitale"... non ricordo se fosse l'invidia o la lussuria (che non capivo bene cosa fosse). Quel che è certo che questo vizio mi costringeva a trascinare pesanti catene per il palco. 
L'argomento di questi teatri era, come potete immaginare, "morale" o "didascalico", quasi sempre a tema religioso, la farsa era considerata volgare, la commedia esclusa (la realtà era cosa che non poteva essere "rappresentata"). Così le bambine erano sempre vestite di bianco con coroncine di fiori e i maschietti non da meno così da non marcare la sessualità che era cosa da eludere con travestimenti. La generazione appena prima della mia aveva uno strano modo di fare teatro: era un teatro di genere. C'erano le compagnie maschili e quelle femminili nelle quali tutti i ruoli erano svolti da uomini o da donna a meno che , appunto, non ci fossero in ballo bambini e allora era possibile una "angelica" promiscuità. Potete capire quali tare abbiamo avuto noi degli anni '50 sulla sessualità ? Non per altro poi negli anni '60 ne abbiamo fatte più di Bertoldo (o di Moana Pozzi).
Eppure il teatro , anche nei paesi, c'era eccome. Ma fuori dagli oratori, era luogo di perdizione e divertimento volgare. Ho già parlato su questo blog delle compagnie di giro, alcune diventate anche famose come quella dei Rame e del loro repertorio. Ma anche loro dovevano poi "pagare il tributo" al teatro di ispirazione religiosa inscenando commedie di questo genere (vedi manifesti sotto. 

   

E poi c'erano i burattinai...ma loro si salvavano sempre: la loro era una rappresentazione "filtrata" dalla presenza scenica delle marionette. Le marionette nel milanese erano quelle della Famiglia Colla o che arrivavano dalla tradizione bergamasca con i loro tradizionali personaggi.
Forse è proprio questo distacco che crea il teatro con marionette che ha permesso una maggiore libertà di questo genere. 







domenica 16 febbraio 2014

Scoprire per caso un libro dimenticato

Devo dire che nella scelta o scoperta dei libri mi lascio un po' guidare dal caso. Non essendo un bibliofilo ed avendo di fronte solo il mare magnum della produzione libraria, forse questa è una scelta inevitabile. Nel solito teatro di periferia a Milano "incontro"  La terra desolata di T.S. Eliot recitata da una bravissima attrice Annig Raimondi. Così ricordo di avere nella libreria della poesia in camera proprio la traduzione del poeta riconosciuta più "autentica", quella di Roberto Sanesi. Il Sanesi infatti ha avuto (addirittura) la fortuna di avere dallo stesso Eliot il placet per la sua traduzione. 
Il mondo di questo poema è poi quello che sta più nelle mie corde e quando sento parlare di Ramo d'oro, di tarocchi, di Metamorfosi, di miti e via cazzeggiando per strade fantasiose ed impalpabili, vado in estasi.
Il testo è oscuro e non di facile lettura, per di più usa un linguaggio poetico che di per se è tutt'altro che razionale. Un'amica mi sgriderebbe subito dicendomi che la poesia non si deve capire, ma sentire. E' più vicina ad un pezzo musicale che ad un romanzo.
Risultato? Eccomi a casa a rispolverare la raccolta di poesia di Eliot nella traduzione di Sanesi...

Aprile è il mese più crudele, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desidero, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia della primavera.
L'inverno ci mantenne al caldo, ottuse
Con immemore neve la terra, nutrì
Con secchi tuberi una vita misera
.... 

domenica 19 gennaio 2014

La pausa

Piovoso sabato di gennaio. Teatro di periferia (ex cinema parrocchiale recuperato). Pubblico formato da 10 persone che , contro ogni buonsenso, sono uscite di casa per andare (non mettetevi a ridere) a TEATRO. Roba da intellettuali sfigati che non hanno nulla meglio da fare. 
Lo spettacolo poi... Una pièce su Camilla Cederna, si quella borghese che scriveva contro i borghesi, quella che è stata il mandante morale della morte del commissario Calabresi, quella che ha osato parlar male di quel galantuomo del Presidente della Repubblica di Giovanni Leone...


Pensierino. La pausa. Il bello del teatro è l'imprevisto. Lo spettatore non distingue nulla,. Non conosce il testo. Non conosce la drammaturgia. Non conosce le pause. Non le sa distinguere.
Ad un certo punto l'attrice ha fatto una pausa. Si vabbè un po' più lunga delle altre. Non c'era smarrimento nei suoi occhi. Non c'era imbarazzo. Era una pausa per il pubblico. Dice "Un buco". Si avvicina al tavolo (unico arredo di un palco spoglio). legge. Due frasi. Riparte. Non si ferma più. Ci saranno altre pause. Ma non si ferma più.
Fosse solo per quella pausa, il teatro è emozione ed è la forma di spettacolo che non tramonterà mai: finché ci saranno emozioni , chi le racconta e chi le ascolta.

lunedì 13 gennaio 2014

Sik-Sik, l'artefice magico

Questo post è dedicato a tutti gli illusionisti del nostro povero paese.

"Sik-Sik, l'artefice magico" è l'atto unico scritto da De Filippo nel 1929, presentato cinquant'anni dopo al teatro San Ferdinando in una nuova versione. È l'esilarante storia di un illusionista di terz'ordine, alle prese con una sfortunata esibizione. 
Di questa rappresentazione il critico teatrale Giulio Baffi ha conservato su cassetta una registrazione amatoriale che viene pubblicata dall'editore Guida assieme al cd audio (oltre al testo).
Su youtube si trovano versioni audio di questo atto unico che, potete verificare, sono tutt'altro dal testo scritto che pure circola. L'invenzione teatrale e l'improvvisazione di Eduardo sono continue e l'effetto esilarante sul pubblico è contagioso.


(omissis)...ultimo esperimento: la scomparsa di un culombo. (A Giorgetta la moglie vestita con un improbabile kimono che lascia scoperte le gambe e non nasconde l'incipiente gravidanza ndr) Madamigella il culombo! (Giorgetta fa un inchino e sorridente porge il volatile). Io piglio questo culombo...RAFELE (interrompendo con tono di mistero) Pollastro!...SIK-SIK (lanciandogli un'occhiata di ira) Io piglio questo culombo...RAFELE (C. S.) Pollastro!SIK-SIK (guarda il colombo dubbioso dopo l'affermazione di Rafele) Questo è culombo! Io piglio questo culombo e lo vado a chiudere in una gabia, e in meno di un sicondo il culombo sarà sparito. (Va in fondo, prende la gabbia, introduce il colombo, copre tutto con un misterioso panno nero, poi, dopo alcuni gesti di magia e di esorcismo, scopre la gabbia e la mostra vuota. Poi rivolgendosi al pubblico e battendo con aria di sufficienza e di superiorità una mano sulla spalla di Rafele) Lui non sape niente! (Ride).RAFELE E neanche lui sape niente!... (Ride anche lui).SIK-SIK Adesso 'ave la suppresa...RAFELE No, la suppresa l' 'ave lui...SIK-SIK (riprendendo il suo tono di imbonitore da baraccone) Il culombo che si trovava in quella gabbia, signori, si trova adesso nel cappello del signore. (Mostra Rafele. Poi a costui) Fate vedere il culombo!RAFELE Io direi... facciamo il giuoco del pollastro...SIK-SIK Io ho fatto sparire il culombo!RAFELE Ma ognune sape i fatti suoi... Sentite a me, per il bene di tutti quanti è meglio che io faccio vedere il pollastro...SIK-SIK (gli dà un calcio e gli strappa il cappello) Aggio ditto culombo.RAFELE (tirando fuori dal suo cappello a bombetta un nero pollastro) Pollastro!... V''o sto dicenno 'a mez'ora, 'o palummo se n'è scappato, pe' via 'e Nicola che m'ha pigliato a ponie. E m'avissev' 'a ringrazia c'aggi' arremediato accussì.
Sik-Sik e Giorgetta sono costernati, affranti, senza parole. Si scambiano delle occhiate di avvilimento e di interrogazione. Ma Sik-Sik non si avvilisce mai ed anche questa volta risolve come solamente lui può risolvere.
SIK-SIK Il culombo che si trovava in quella gabia l'ho fatto sparire, l'ho fatto trovare nel cappello del signore... (Una breve pausa che basta a ridargli la sua abituate audacia) E l'ho fatto diventare pollastro!... 
Se l'orchestra non lanciasse i suoi ironici accordi di tromba si udrebbe il singhiozzo di Sik-Sik. Ma la tela, piú pietosa, precipita.

mercoledì 18 dicembre 2013

Mia famiglia , una commedia di Eduardo De Filippo

Finita la guerra ed il boom ecco arrivano le disillusioni e la famiglia tradizionale si sgretola.La commedia di De Filippo (messa in scena nel 1955) anticipa molti temi di grande attualità. 

«Poi la guerra; poi la caduta del fascismo. Caduta che ci mise di fronte alla crudezza di una realtà spietata. Perché con il fascismo caddero illusioni, idoli e miti. E l'umanità, giovani e vecchi compresi, capí che gli incrollabili e i potenti si reggono in piedi fino a quando sono le nove e tutto va bene. E questo non è successo solo da noi, ma in tutto il mondo. Allora non crediamo piú a niente, ed ecco che si vive all'arrembaggio...alla giornata: minuto per minuto. Qua nun ce stanno denari che bastano. Si spende quello che guadagni nel mese in corso, quello del mese appresso, e quello che forse guadagnerai. Ed allora, noi ci troviamo di fronte a due specie di disordini: finanziario e morale».

«Quando sposai tua madre… lei sta qua, lo può dire… ne parlavamo da fidanzati, anzi, io ne parlavo sempre, lei meno… Volevo dei figli. E infatti venisti tu: il maschio! Mi sentii un Dio. E pensai: "Nun moro cchiù". Non vedevo più nessuno; non mi occupavo più di tante cose che mi erano sembrate indispensabili fino a quel momento. Dicevo: "Tengo nu figlio… che me mporta d' 'o riesto!" Mi sentivo felice perché capivo che, finalmente, potevo riversare su me stesso… perché un figlio è parte di te stesso… tutto l'affetto che mio padre e mia madre avevano riversato su di me, evidentemente con lo stesso sentimento mio. E faticavo, faticavo cu' na forza e na capacità di resistenza che facevano meraviglia a me stesso. "Nun moro cchiu". Cammenavo p' 'a strada, e parlando solo dicevo: "Nun moro cchiu". Poi venne il periodo delle malattie; sciocchezze, si capisce, malattie che tutti i bambini devono avere; ma ogni volta avevo l'impressione di tornare a casa e di non trovarti più. E vuoi sapere quali erano i pensieri che mi venivano in mente in quei momenti? Uno dei pensieri che più mi torturava era quello che mi faceva credere che se tu morivi la colpa sarebbe stata mia. Non perché ti avevo fatto mancare qualche cura o qualche specialista; ma perché pensavo: "L'ho messo io al mondo, la colpa è mia!" Tu capisci, allora, che un padre, di fronte a un figlio, la responsabilità se la sente; per quello che deve fare, per come deve vivere quando sarà grande. Che Iddio mi fulmini se una sola volta pensai di fare qualche cosa per costringerti a farti prendere la mia stessa strada, e farti avere il mio stesso avvenire. Perché tu lo devi sapere, questo: nemmeno io sono contento di quello che sono! Io pure, da ragazzo, avevo delle aspirazioni superiori alle mie possibilità. Tua madre lo sa. Scrivevo poesie! Ma poi uno si piega, uno capisce che a certe altezze non ci può arrivare; e, secondo te, non sarebbe stata una gioia per me, di vederti emergere, come non era stato possibile a me? Ecco perché quando venisti al mondo, io dicevo: "Nun moro cchiu". Poi venne la seconda: la femmina. Coppia perfetta: maschio e femmina. "Che fortuna! Bene! Bravo! Il maschio e la femmina! Auguri, auguri…" Ma io già mi ero disamorato; già l'entusiasmo non era più quello del primo figlio; già non intervenivo più quando vedevo una cosa sbagliata; già sentivo da molto tempo mia moglie che diceva: "Albe', ma ti sembra il momento?" come ha detto poco fa. E invece voglio parla'. Può darsi che sono ancora in tempo. Voglio parla'! E voglio dire tutti i luoghi comuni, le frasi più vecchie; non mi vergogno! Voglio citare i proverbi più antichi. L'arta 'e tata è meza mparata. Chi va per questi mari questi pesci piglia. Chi te ne fa una te ne fa mille. Chi pratica con lo zoppo impara a zoppicare. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Meglio l'uovo oggi che la gallina domani. E non ridete? Perché non ridete? Io sto dicendo le cose più antiche, e non ridete? Come vedete un passo lo abbiamo fatto: voi mi sentite dire queste cose rancide e non ridete. E io le dico e non mi vergogno… È importante… è importante assai. Questo significa che voi avete tentato di farmi diventare una cosa inutile; ma che non ci siete riusciti; e che io ho creduto di trovarmi di fronte a gente che vedeva con un occhio più aggiornato del mio e non era vero. È importante… è un miracolo!»


Nella commedia c'è un passaggio sull'omosessualità che viene trattata  per la prima volta in modo esplicito. Il giudizio del protagonista Stigliano-Eduardo è sprezzante e figlio del tempo e dimostra che la società italiana era (forse è ancora) impregnata di pregiudizi. Per fare un solo esempio nel 1949 il partito comunista italiano espelle Pier Paolo Pasolini per «indegnità politica e morale». 

«...quante volte avevo predicato che quel disgraziato non doveva mettere piede in casa nostra... da un uomo che appartiene a una categoria di gente che non ha niente da perdere e che una famiglia non se la potrà mai creare che ti puoi aspettare di buono? Una setta diabolica che funziona da un capo all'altro del mondo... S'impongono servendosi dell'Arte per corrompere e distruggere quel tanto di buono che ci serve a credere nella vita... E si servono del gusto "raffinato". Mettono su negozio? e tutti di corsa al negozio dei "raffinati"...In quella strada c'è la sartoria del "raffinato", in quell'altra c'è il parrucchiere "raffinato"». 

(Commedia vista su RAI5 all'alba di mercoledì 18 dicembre 2013)




lunedì 28 ottobre 2013

CHE CI FACCIO QUI?



CHE CI FACCIO QUI?

regia e drammaturgia Marco Baliani | scene e costumi Carlo Sala | disegno luci Andrea Diana | assistenti scene e costumi Chiara Barlassina, Rosa Mariotti | trucco Donatella Mondani | con Filippo Bedeschi, Federica Carra, Emanuela Caruso, Fonte Maria Fantasia, Matteo Ippolito, Sara Marconi, Paolo Mazzanti, Alberto Patriarca, Desirée Proietti Lupi, Marco Rizzo, Vincenzo Romano, Chiara Serangeli, Carla Valente, Simon Waldvogel | produzione Accademia dei Filodrammatici | si ringrazino Olinda, Cooperativa Sociale Alice
Un debutto importante per i neo diplomati della scuola per attori dell’Accademia dei Filodrammatici con un regista d’eccellenza: Marco Baliani.
La domanda che è all’origine dello spettacolo è rubata dal titolo di un libro di Bruce Chatwin, il grande viaggiatore. Che ci faccio qui è la domanda di chi si sente straniero in una terra, anche se ha scelto di andarvi per spirito di avventura. È la domanda che ogni gioventù si è fatta da quando è sorta la modernità.
Prima di allora era una domanda senza senso, il peso della tradizione e delle consuetudini assegnava ruoli e identità di generazione in generazione, senza possibilità di scartare altrove. È quindi una domanda sui ruoli, sul senso di precarietà dell’esistenza, sulla soglia maledetta della giovinezza, sull’attraversamento da un’età biologica all’altra, sulla scoperta dell’alterità, sulle relazioni affettive.
Marco Baliani ha rivolto questa domanda agli allievi attori e attrici dell’Accademia dei Filodrammatici.
(Post tratto dal sito dell'Accademia Filodrammatici Milano) 
Spettacolo visto il 27/10/13

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...