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venerdì 14 febbraio 2020

Teatro Franco Parenti: I Promessi Sposi alla prova

E' la prima volta che entro al Teatro Franco Parenti di Milano e quindi l'emozione è forte. Questo è uno dei luoghi "sacri" del teatro milanese. L'occasione di vedere rappresentata qui una riedizione di una classico testo di Giovanni Testori non può essere che un ulteriore motivo di curiosità.

Nel 1984 Andrée Ruth Shammah metteva in scena per la prima volta "I Promessi Sposi alla Prova" di Giovanni Testori.
La rilettura di Testori dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni è basata su un artificio drammaturgico: sotto la direzione di un regista/maestro, i sei attori interpretano tutti i personaggi del libro e ripercorrono la vicenda di Renzo e Lucia, di Don Abbondio e  Don Rodrigo, di Agnese  Perpetua e Gertrude, dell'Innominato e della Monaca di Monza.
Una rilettura che, naturalmente, ha fatto sobbalzare sulle sedie i soliti "custodi puristi della tradizione" del teatro e dell'opera del Manzoni. Ma Testori di queste provocazioni ne ha fatte per tutta la sua carriera. Non è un caso che parteggi spudoratamente per la Monaca di Monza.
La compagnia che ha rappresentato "I Promessi Sposi alla prova" è formata da navigati attori e da giovani allievi della scuola di teatro Franco Parenti e quindi anche in scena si ripropone il rapporto tra allievi e maestri che offre spunti interessanti di teatro nel teatro. Testori poi ci mette del suo decostruendo la storia e sottolineando passaggi dell'opera manzoniana. 
Una lezione di teatro, insomma e per fortuna che la platea era piena di giovani, forse trascinati dalle scuole, ma andare a teatro non ha mai fatto male a nessuno, anzi, forse qualcuno si appassionerà anche.


Teatro Franco Parenti
I Promessi Sposi alla prova
di Giovanni Testori
con Luca Lazzareschi, Laura Marinonie con Filippo Lai, Laura Pasetti, Nina Pons, Sebastiano Spada
e la partecipazione di Carlina Tortaregia Andrée Ruth Shammah 


martedì 13 novembre 2018

Urla Innocenzo

Il movimento lirico N° 8 delle “Suite per Francis Bacon” di Giovanni Testori.

Urla,
Innocenzo;
graffia
l’insulsa paternità dei secoli;
batti le nocche,
gli zoccoli di capra
contro la lastra immobile,
il cristallo che t’approssima
e allontana;
ansimando
la larva episcopale
riaffondi per secoli
e millenni;
tarme sataniche
sui lustri dei velluti,
denti di rospo,
avori.
Il dentifricio t’impasta;
ti sdoppia il fotogramma
guance e mani.
Dietro di te
trema il verbo derelitto
-anima dei cristiani,
amore cieco, sanguinante,
chi t’ha deviato,
in quale cisterna
sei crollato?
Il dominio ha stroncato
le palme egiziache di viola;
attorno alla sedia gestatoria
pende la carcassa umana,
ventre divaricato,
vano.
Urla:
trapassa dall’immemore del tempo
all’ardente, irrisolvibile presente;
getta
dal Sigillo, ancora chiuso
l’ancora dell’unica follia
nel viscere lurido,
demente.

sabato 1 settembre 2012

In exitu


da “In exitu” di Giovanni Testori, Garzanti, 1988

Franco Branciaroli recita In exitu alla Stazione Centrale di Milano (1989)

[...]
Mi manca. La forsa mi. Forsitam. Scarlìgo. Et sepùl. Sepultus erim. Indove? Un’oppiata est. Est. Me. Ego. Te. Tu. Lui. La sacra unziò. L’ostia! L’ost! L’ost! Nel corteo gh’eva delli angeli. Et arcangelos. Mamma, ‘scolti no el to’ Gì? Et verbum. Mai et. Più ammò mai. Di dubitabil no. I. Gli. Los. Les. I. I. I. Et i. Et sepulcra. Et arum della. Della. Della. Della, cosa? Sepulcrarum ruina. Et gloria. La qual’è: merda. Cagata. Immerdàta sbora. Anca, anca dòpu. ‘Lora. Avarànno gli angeli inzuppate l’ali. Di farinetta san. Santìs. Di sbora. I eroì. La vagina dell’esistere no. Et nòsingh. Fà l’istès. D’acqua dei piasciatoi, et orì, averànno. Inzuppate averànno. Anca. L’ali lor. Di tuttissime, anca, le evacuazioni e di tutte, anche, le esalazion e le diòs. Le diòs. Le dios. Le sine. O come si nominano nell’ecologica, nei ecologichi, ansi, et sepulcra? Sborarum sepulcra. Esaltazion dei miti fabbricanti il destì, o i destì, dell anonpiù carna-carna, del nonpiù osso-osso, della nonpiù merda-merda, della nonpiù, gnanca, sbora-sbora, o viscidità glandea. Cagheremo artificiàl. E non mente. Il testo de il. Ancorchè. Fatt’è. Il più fu. Nel dervire ch’ho fatto. La bocca ho. E i làber. No al vicì di qui, de la Gar. Remèmber, ignoto violator dell’oral mia juventute. No de lì.
Bensì…
Bensì, cosa?
De un altare.
Cosa vai dicendo, ‘desso, Ribò?
De un altare-altare.
Puoi specificar meglio?
Certo.
Specifica, allora.
De un altare di lei. D’una gièsa.
Sarai. Esecrato sarai. Sputato. Vomì. Vomìtat.
Lo son digiamò.
Ma, io…
Te?
Io, qual scrittore…
Te, qual scrittore?
Non possim.
Te, te pòdi no? E, ‘lora, tira via la stilo d’in del quaderno e ferma el lìber.
Fèrmel. Sù! Fèrmel!
Al punto questo?
A queschì! Sì! A queschì!
Ma, tu sei. Lì, sei. Su del tavolo. Di marmore. Nudo, sei.
Come se già defù.
Megli’è. Vedràmmi per quel ch’io son. Et vàlsi.
Conciato così? Trivellato così? Da tutti? I buchi i? Da tutte le sirìn? Disuman’è. Quei coaguli d’emato. Violàstr. Quelle. Lor, ecco. Quelle lacerate crost. Et. Infette et. M’oppongo. Anzi: oppòngomi.
Con la forza, tutta. Cioè niènt. Con la che mi rès. Resto. Su del marmore del. Come potrei come? Del rest, come? Muovermi, come? In attesa stò. Rèst. Hic. Sto. Hic. Hic. E in attesa di che e di chi?
Di quel che tu et omnes. Anca i. Anca i. I atei anca. Ciamàte, voi, Jesus. Et giuntate, poi: Cristo. Lui, ecco…
Lui?
Lui.
Così. Esattamente. Lui. Ello. In lumine. Il Lui che sarè.
[...]

Pensierino. Cosa può fare la lingua! Cosa può fare il pensiero!
Travolgere e farti perdere i sensi per ritrovare il senso, o perderlo, definitivamente.

martedì 28 agosto 2012

Milano inizio anni '60, sotto al boom economico ce n'è uno letterario

Come post-fazione all'edizione Oscar Mondadori del libro di Giovanni Testori Il ponte della Ghisolfa, è stato pubblicato un articolo di Camilla Cederna apparso sull'Espresso del 27/05/1960. La Cederna sostiene una tesi contro-corrente: la Milano del boom economico, degli emigrati con la valigia di cartone che arrivano alla Stazione Centrale, delle squallide periferie, della speculazione edilizia selvaggia, delle campagne violentate, delle fabbriche fumose ed impregnate di un sudore sporco, è stata una grande fonte di ispirazione per scrittori, commediografi, pittori e registi che ne hanno esaltato la vita che pure riusciva ad esprimersi nelle balere, nelle polisportive, nei bar e quartieri. La Cederna quindi ribalta l'idea che la Milano degli anni '50 e '60 fosse quella più blasonata de La Scala, della Galleria, del Biffi, del Carcano e di Via Montenapoleone ecc. Le periferie, questo micidiale impasto di fabbriche e casermoni circondato da una campagna ridotta a discarica, rappresentano la "vitalità" alla quale attingono artisti di grande fama.
Questa Milano delle periferie è rappresentata da un evento dirompente che è la commedia di Giovanni Testori La Maria Brasca interpretata da una debuttante Franca Valeri. Il mondo è quello delle operaie di Niguarda.

«Ci si slarga il cuore››, dicono i veri milanesi negli intervalli della commedia, e gli si slarga il cuore perché in scena ogni tanto sentono parlare come piace a loro, «linosare» per stare ozioso, «faccende del lèlla›› per cose di poco conto, «magone›› per malinconia, «morosata» per amoreggiamento, «terronia» per dire meridione, «romper le glorie» per seccare, e «sgammellare» per far fatica. Riconoscono quindi con soddisfazione un tipo di donna che esiste nella realtà, un po' per il carattere e un po' per come s'esprime quando parla in italiano, emettendo spessissimo come fanno le milanesi, proverbi e frasi fatte. «Tanto, finché c'è vita c'è speranza››; «Già che ha fatto trenta faccia trentuno››; «adesso come adesso», e «Perché, si sa, l'occhio vuole la sua parte».

Prima di Giovanni Testori a parlare dell'ambiente operaio dell'Ortica era stato il milanese di adozione Ottiero Ottieri con il suo libro Tempi stretti.
Poi i tentativi sono stati molti: da Franco Fortini che con l'aiuto del musicista Fiorenzo Carpi compone Quella cosa in Lombardia che entrerà nel repertorio di Laura Betti
Poi arriva il tifone Dario Fo con Hanno ammazzato il Mario in bicicletta, Senti come la vossa la sirènna, Quand seri giuina e Ma mì.

Einaudi sulla rivista Menabò Uno pubblica nel 1959 pubblica il libro in dialetto milanese di Lucio Mastronardi Il calzolaio di Vigevano al quale seguiranno nel 1962 Il maestro di Vigevano e nel 1964, Il meridionale di Vigevano, che concluderà una sorta di trilogia.

Sempre su Manabò Due il poeta Elio Pagliarani (anche lui emigrato a Milano) scrive un racconto in versi intitolato La ragazza Carla.

A Milano Pier Paolo Pasolini ambienta la sua sceneggiatura de La vita urlata che poi sarà un film di Luchino Visconti che poi finirà di girare Rocco e i suoi fratelli proprio a Milano.

Camilla Cederna si ferma qui, ma ci sono altri nomi attivi in Milano e molto attenti a quel mondo popolare.
Mi riferisco al grandissimo poeta dialettale Franco Loi che, seguendo il padre ferroviere si trasferisce nel 1937 a Milano dove frequenta gli studi diplomandosi in ragioneria. Successivamente lavorerà come contabile allo scalo merci di Lambrate. La sua "fortuna" letteraria comincerà negli anni '70 (basta solo ricordare il poema Stròlegh), ma è nella città meneghina la sua formazione ed ispirazione (oltra al suo dialetto).

E poi Vitaliano Bianciardi arriva a Milano (anche lui è immigrato) con la sua Vita agra.

Infine mi sembra importante citare Giorgio Scerbanenco (un emigrato, guarda caso!) che aveva già una lunga carriera alle spalle negli anni '60 e che col suo occhio indaga la criminalità minuta ed i vizi delle periferie. Lui inventa il noir meneghino con i personaggi come  Duca Lamberti, un giovane medico radiato dall'Ordine e condannato al carcere per aver praticato l'eutanasia su una donna in agonia e che in seguito diventa un investigatore privato che collabora con la questura di via Fatebenefratelli a Milano, Il suo successo poi arriva con Venere privata nel 1966, anche questa una torbida storia di prostituzione e ricatti.

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...