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venerdì 15 agosto 2025

lunedì 2 giugno 2025

Già Giugno...

Già Giugno / Inutile illudersi / Un uomo / Genera gigantesche / Nuvole nere / Ovunque ottunde /
Stimolato da un gioco del blog di Eletta Senso.

sabato 2 luglio 2022

Conosco le barche

 CONOSCO DELLE BARCHE — Jacques Brel


 Conosco delle barche che restano nel porto per paura

che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto

per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire

hanno paura del mare a furia di invecchiare

e le onde non le hanno mai portate altrove,

il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate

che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare

per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo

ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’

sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche

che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,

ogni giorno della loro vita

e che non hanno paura a volte di lanciarsi

fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche

che tornano in porto lacerate dappertutto,

ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole

perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche

che tornano sempre quando hanno navigato.

Fino al loro ultimo giorno,

e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti

perché hanno un cuore a misura di oceano.




mercoledì 4 agosto 2021

Forse sarei più sola

 Forse sarei più sola senza la mia solitudine. Emily Dickinson


Pensierino. Eugenio Borgna, psichiatra di Novara, dice in una intervista di essersi ispirato a questo verso della poetessa statunitense per la scrittura del suo libro "La solitudine dell'anima". Mi ha sempre fatto una positiva impressione che uno psichiatra, primario in un grande manicomio specializzato nella cura della malattia mentale in particolare delle donne, avesse una grande cultura letteraria e filosofica. Il suo metodo di cura della malattia psichiatrica è sempre stato incentrato sul dialogo e l'ascolto. L'unico farmaco che ha usato è stato l'empatia tra il medico e il paziente.

mercoledì 23 giugno 2021

letture estive

Massimo Recalcati, Il grido di Giobbe, Einaudi, 2021 


Che dire di questo libro ? 

Ci pone di fronte a quelle domande "ultime" che spesso non hanno una risposta. Si intravede nelle tenebre in cui viviamo un piccolo spiraglio di luce, ma non è certo che sia solo un abbaglio, una (ennesima) illusioni, il tentativo di dare senso alla propria finitezza.

Ben altri "uomini di fede" hanno tremato di fronte al Nulla che ci assale, tutti. Mi viene sempre alla mente quella raccolta poetica straziante di David Maria Turoldo intitolata Canti ultimi...

Misteriosa origine di astri 

e di lombrichi 

il settimo giorno 

pure per te 

è un sogno. 

Il Nulla da ogni parte ti assale, 

tu sai di essere la fonte 

anche dei virus 

e di tarli 

e di tignole: 

e noi 

coscienza di pensarti 

senza sapere mai 

chi tu sia. 

Con Giobbe saltano le certezze di una fede "retributiva" che ricompensa il giusto e castiga il malvagio e si rimane di fronte al mistero inspiegabile del male e al silenzio dell'Inconoscibile.

venerdì 15 gennaio 2021

La beatitudine dei poeti

 Poesia di Umberto Saba



Il poeta 


Il poeta ha le sue giornate

contate,

come tutti gli uomini; ma quanto, 

quanto variate!

L'ore del giorno e le quattro stagioni,

un po' meno di sole o più di vento,

sono lo svago e l'accompagnamento

sempre diverso per le sue passioni

sempre le stesse; ed il tempo che fa

quando si leva, è il grande avvenimento

del giorno, la sua gioia appena desto.

Sovra ogni aspetto lo rallegra questo

d'avverse luci, le belle giornate

movimentate

come la folla in una lunga storia, 

dove azzurro e tempesta poco dura, 

e si alternano messi di sventura 

e di vittoria. 

Con un rosso di sera fa ritorno, 

 e con le nubi cangia di colore 

la sua felicità, 

se non cangia il suo cuore. 

Il poeta ha le sue giornate 

contate, 

come tutti gli uomini; ma quanto, 

quanto beate!


Pensierino. Mi tocca divertar poeta.

lunedì 16 novembre 2020

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia/verità


Ciò che ho scritto di noi

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia

è la mia nostalgia

cresciuta sul ramo inaccessibile

è la mia sete

tirata su dal pozzo dei miei sogni

è il disegno

tracciato su un raggio di sole

ciò che ho scritto di noi è tutta verità

è la tua grazia

cesta colma di frutti rovesciata sull’erba

è la tua assenza

quando divento l’ultima luce all’ultimo angolo della via

è la mia gelosia

quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati

è la mia felicità

fiume soleggiato che irrompe sulle dighe

ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia

ciò che ho scritto di noi è tutta verità.


Nazim Hikmet,



Pensierino. C'è sempre qualcosa di ambiguo nell'amore. Ciò che all'impronta fa innamorare è la stessa cosa che fa disamorare. E' la nostalgia di un sentimento idealizzato che ci fa prendere degli abbagli.



martedì 20 ottobre 2020

Paese

---Paés paés ---


di Elio Pisoni




Paés paés

Paés paés

tré cö un paés

da bocia t'ho lasòo

da végiu sun turnòo

a stòla a mé casina ho cercòo

ma nanca a cò ho pü truòo.

Citò citò scurtés

dòmi indrée ul mé paés

paées curtés.





Paese paese

tre case un paese

da ragazzo ti ho lasciato

da vecchio son tornato

la stalla, la mia cascina ho cercato

ma neanche la casa ho trovato.

Città città scortese

dammi indietro il mio paese

paese cortese.

domenica 10 maggio 2020

Tradimento

Intorbidi, se tocchi
l'acqua chiara.

Appena esci nel sole
tracci un'ombra.

Perciò se invochi dio
ti viene male.

Fabrizia Ramondino, Avvertimento, da Per un sentiero chiaro, Einaudi, 2004

Pensierino. Chissà perché rileggendo questa poesia ho pensato alla trasmissione di ieri sera di Roberto Benigni che raccontava i Dieci Comandamenti.




giovedì 23 aprile 2020

Arrivano i barbari

Arrivano i barbari di Costantino Kavafis



Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia nel Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?

Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?

Oggi arrivano i barbari
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei caselli tutti d’oro e argento?

Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?

Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?

S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.


(Tratto da Poesie, Oscar Mondadori editori, Milano, 1961. A cura di Filippo Maria Pantani.)

Pensierino. Ora che i "barbari" non premono più alle nostre porte, che sarà di noi? Cosa sarà di quelli che avevano tanto confidato in loro per giustificare muri e blocchi navali ?. 

mercoledì 18 marzo 2020

Come si sente, signor Campana?

"Come si sente, signor Campana?" mi domanda il dottore quando viene a trovarmi. Con la voce monotona che sempre usa con me. E le sue parole sembrano arrivarmi molto da lontano.
Io al solito rispondo "Non mi sento". E anche se lui storce la bocca in un falso sorriso, io ribatto che è la pura verità. Non è infatti questione di sentirsi bene o male. Non sento me stesso. Quel "signor Campana" a cui allude, non so chi sia.
Laura Pariani, Questo viaggio chiamavano amore, Einaudi, 2015

Questo è un dialogo tra Dino Campana e lo psichiatra Carlo Pariani in una delle visite nell'Ospedale Psichiatrico di Castel Pulci dove il poeta è stato ricoverato. Dino Campana morirà in questo luogo nel 1932.

Laura Pariani ricostruisce a suo modo il viaggio di Dino Campana in Argentina avvenuto presumibilmente tra l'autunno del 1907 e la primavera del 1909. Un viaggio di cui non si hanno tracce se non un timbro sul passaporto del poeta ed un imbarco da Genova per Montevideo, dove il poeta scompare nella pampa. Qualcuno sostiene (Ungaretti) che questo viaggio non ci sia mai stato. Certamente Dino Campana ha cercato sempre di fuggire, vivendo di espedienti e piccoli lavori e girando il mondo, pur di andare altrove, pur di allontanarsi dalla madre e dalle delusioni di un ambiente letterario che non lo capiva (l'esperienza di Firenze con la rivista Lacerba diretta da Giovanni Papini e Ardengo Soffici). 
Questa voglia di "evadere" è così radicale da lo fa evadere anche da se stesso: "Non mi sento" fa dire la Pariani a Campana. 

Pensierino. Quante volte abbiamo avuto la sensazione di "non sentirci", come se la vita fosse di qualcun altro ? Forse è un auspicio, per qualcuno una maledizione.



lunedì 4 novembre 2019

A madonna d' 'e mandarine




"A madonna d' 'e mandarine" di Ferdinando Russo recitata da Gianni Caputo.

Quanno ncielo n'angiulillo
nun fa chello c'ha da fà,
'o Signore int'a na cella
scura scura 'o fa nzerrà.

Po' se vota a n'ato e dice:
-Fa venì San Pietro ccà!
E San Pietro cumparisce:
-Neh, Signò, che nuvità?

-Dint' 'a cella scura scura
n'angiulillo sta nzerrato:
miettammillo a pane e acqua
pecche ha fatto nu peccato!

E San Pietro acala 'a capa
e risponne: -Sissignore!
Dice Dio: -Ma statt'attiento
ch'ha da stà vintiquatt'ore!

L 'angiulillo, da llà dinto,
fa sentì tanta lamiente....
-Meh, Signò, dice San Pietro,
pè sta vota... nun fa niente.

-Nonzignore! Accussì voglio!
Statte zitto! Dice Dio;
si no ognuno se ne piglia!
'N Paraviso cumann 'io!

E San Pietro avota 'e spalle.
Da la cella scura scura
l'angiulillo chiagne e sbatte,
dice 'e metterse paura!

Ma 'a Madonna, quanno ognuno
sta durmenno a suonne chine,
annascuso 'e tuttequante
va e lle porta 'e mandarinè.
Poesie vernacolari - da PensieriParole.it

lunedì 9 settembre 2019

Leggere l'infinito

L'INFINITO
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.



Un libro per capire o, meglio, per entrare in sintonia con questa poesia che conosciamo tutti, ma che riserva molte sorprese.
















martedì 9 luglio 2019

Alfonsina, el dulce daño

DOS PALABRAS
Esta noche al oído me has dicho dos palabras
comunes. Dos palabras cansadas
de ser dichas. Palabras
que de viejas son nuevas.

Dos palabras tan dulces, que la luna que andaba
filtrando entre las ramas
se detuvo en mi boca. Tan dulces dos palabras
que una hormiga pasea por mi cuello y no intento
moverme para echarla.

Tan dulces dos palabras
que digo sin quererlo -¡oh, qué bella, la vida!-
Tan dulces y tan mansas
que aceites olorosos sobre el cuerpo derraman.

Tan dulces y tan bellas
que nerviosos, mis dedos,
se mueven hacia el cielo imitando tijeras.

Oh, mis dedos quisieran
cortar estrellas.

(de El dulce daño, 1918)


DUE PAROLE
All’orecchio questa notte mi hai detto due parole
comuni. Due parole stanche
di essere dette. Parole
che da vecchie si son fatte nuove.

Due parole così dolci, che la luna che passava 
filtrando tra i rami
nella mia bocca si è fermata. Due parole così dolci
che una formica mi cammina sul collo e resto immobile
non provo nemmeno a scacciarla.

Due parole così dolci
che senza volerlo esclamo: oh, che bella, la vita!
Così dolci e così mansuete
che oli profumati scorrono sul corpo.

Così dolci e così belle
che nervose, le mie dita,
si muovono verso il cielo imitando una forbice.

Vorrebbero le mie dita
tagliare stelle.

(da Il dolce danno, 1918)


Alfonsina Storni, nata il 29 maggio 1892 in Svizzera, nel Canton Ticino (Sala Capriasca), emigra con la famiglia in Argentina (San Juan, poi Rosario) quando aveva solo quattro anni. Nell’ottobre 1938, all’età di quarantasei anni, preso atto che la malattia che le era stata diagnosticata tre anni prima non si arresta e non lascia speranze e che il dolore le impedisce di scrivere, si suicida affogando nel Mar del Plata, davanti la spiaggia La Perla. 

Pensierino. Vorrei conoscerle quelle due parole comuni, stanche e vecchie che si son fatte nuove.

Musica. Questa canzone composta dagli autori argentini Ariel Ramírez e Félix Luna, è un omaggio alla connazionale e poetessa Alfonsina Storni.

venerdì 5 luglio 2019

La mia sera (anche di Pascoli s'intende...)

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.

È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.

O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.

Che voli di rondini intorno!
che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Nè io... e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don... Don... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.


Pensierino. Riconoscersi in un paesaggio, in una emozione e sperare che ci sia un don don anche per me...

martedì 11 giugno 2019

Rimanemmo senza soffio

[Il vecchio marinaio ha abbattuto con la balestra l'albatro che da tempo guidava la nave nella nebbia].

La nave improvvisamente cade in bonaccia.

La brezza cadde, caddero le vele:
fu triste, non poteva esserci cosa più triste;
e noi parlavamo soltanto per spezzare
il silenzio del mare!

Dritto in un rovente cielo di rame
il sanguinario sole, a mezzogiorno,
stava sull'albero maestro
non più grande della luna.

Giorno dopo giorno, giorni e giorni
rimanemmo senza soffio, senza movimento:
immobili come una nave dipinta
su un oceano dipinto.

E l'albatro comincia ad essere vendicato.

Acqua, acqua, dappertutto,
e le fiancate che si contraevano;
acqua, acqua, dappertutto,
neanche una goccia da bere.

Anche  gli abissi si decomponevano: O Cristo!
Che questo dovesse accaderci!
Viscide cose su zampe si trascinavano
sul viscido mare.

Vicino, vicino, di fuochi fatui
una folla in rollìo danzava nella notte;
e l'acqua, come olio di streghe,
ardeva verde e azzurra e bianca.

(Samuel Taylor Coleridge, La Ballata del Vecchio Marinaio, Feltrinelli, 2007)


Pensierino. Il Vecchio Marinaio, inutilmente e senza ragione, abbatte l'albatro che accompagnava la nave alla deriva tra nebbie e ghiacci. La ciurma legge questo fatto come il presagio di una disgrazia. Poi la nave esce dalle nebbie e la ciurma acclama il vecchio marinaio per quello stesso fatto. Il vecchio marinaio non si spiega quello che ha fatto e non si spiega quello che prova la ciurma.

martedì 16 aprile 2019

Come un angioletto

Un  angiarin

Cume  te  suridi  ai pra
fiuin  che  te  pari un angiarin

te  credi  che ul  mundu
a  l’é  un  giogu
i fati  di castii
i fati  celesti
i fati  rumpiball
e  Pinocchi  con la  voia
 d'un legn  sempar  verdi
L'usignò prufundo  che  te  se
che  te  buti  via
ul lasas  andàa  di grandi parol
Però sa  dis  che  luntan
la  fatina  scundu
la  suta  murmurà

Antonio Marchiori (1932-2018)

Un angioletto. Come sorridi ai prati / fanciullo che sembri un angioletto / credi che il mondo / sia un gioco / le fate dei castelli / le fate celesti / le fate rompiballe / e Pinocchi con la voglia / di un legno sempreverde. / L’usignolo profondo che sei / che butti via / il salasso andato di grandi parole. / Però si dice che lontano / la fatina nascosta / continua a mormorare.

Pensierino. Chissà cosa mormora la fatina nascosta. E noi Pinocchi non sentiamo nulla con le nostre orecchie di legno.

venerdì 12 aprile 2019

In debito

In debito

Quello con te è un debito
che mai potrò saldare: mi hai
offerto casa nella vita e vita
nella casa. Esiste forse modo,
per me, di ricambiare?

Franco Marcoaldi




Pensierino. No, non vuoi che ricambio nulla e così mi devo arrendere al fatto che quel tuo gesto era gratuito e la cosa mi pesa ancora oggi.

giovedì 17 gennaio 2019

La Lumachella de la Vanagloria




La Lumachella de la Vanagloria,
ch'era strisciata sopra un obbelisco,
guardò la bava e disse: "Già capisco
che lascerò un'impronta ne la Storia". 

(Trilussa)


Pensierino. Ogni riferimento non è casuale

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...