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sabato 24 ottobre 2009

L'On. Mario Baccini e i lavoratori a termine

L'On Mario Baccini della Federazione dei Cristiano Popolari (non chiedetemi chi siano!) intervenendo su La7 al solito incontro mattutino di politica che aveva come tema le ultime sparate incrociate del Premier e del suo Ministro del Bilancio, ha sostenuto che "In Italia non ci sono stati licenziamenti, ma fine naturale dei contratti a termine". Alle rimostranze del sindacalista Cremaschi che lo richiamava al rispetto di chi perde il lavoro e rimane "naturalmente" senza salario, l'On. Baccini ha tirato dritto senza fare una piega anzi pretendendo rispetto per le proprie opinioni.

Ora, senza entrare nel merito di che fine abbia fatto nel pensiero di questo Onorevole l'insegnamento sociale della Chiesa, mi chiedo : è possibile che persone del genere abbiano un qualsiasi credito da parte di qualcuno, in particolare se è disoccupato?

giovedì 12 febbraio 2009

I piccoli paesi e la politica

Dunque sapete che la confusione politica è grande sotto il cielo. Ma nei piccoli paesi lo è ancora di più. Principalmente per la nascita di una miriade di liste civiche dai contorni politici assai sfumati che non di rado si reggono su ben collaudati gruppi di potere (non trovo un termine più adatto) che gestiscono i piccoli-grandi interessi locali.
I partiti "tradizionali" sono tramontati ed ora vediamo situazioni come quella che vi descrivo.
Dunque. La sede del Partito Democratico sta esattamente nella sede della vecchia D.C. e questo, lasciatemelo dire, in un paese che nel dopoguerra fino agli anni '90 aveva una maggioranza democristiana schiacciante, ha un effetto straniante. Forza Italia e A.N. non hanno una sede, non si sa se alla nascita del nuovo partito del Popolo delle Libertà a Marzo qualcuno sentirà la necessità di fare anche in questo paesello una sede. Vi chiederete dove si trovano ora a discutere di questioni amministrative (visto che reggono, in perfetta continuità col passato democristiano e socialista, anche il Comune). Non si sa. O meglio lo sanno solo i soliti noti e discutono nei salotti privati in perfetto stile berlusconiano. Anche la Lega Nord non ha una sede pur avendo quasi il 15 % dei voti. Il "radicamento" sul territorio secondo i seguaci di Bossi è questo: un "presidio" (così militarmente lo chiamano) c'è in un solo paese vicino e si fa capo lì. Di discussioni politiche locali neanche a parlarne. Altri partiti non ce n'è e quindi la semplificazione è già in atto.
Le segreterie provinciali o regionali direttamente mandano degli emissari a dettare la linea ai fantomatici "segretari" locali (quasi sempre cooptati dai gruppi dirigenti centralizzati) e questa è la democrazia dei partiti nel nostro paese.
Pensiamo seriamente che in un quadro così a qualcuno (onesto e amante della cosa pubblica) venga voglia di fare politica?

mercoledì 12 novembre 2008

Destra e sinistra (terzo ed ultimo intervento sull'A, B, C della politica)

Premessa/commento. Propongo o ri-propongo (per chi l'avesse già letto) il capitolo finale del libro di Norberto Bobbio intitolato Destra e sinistra. Nella prima parte del libro Bobbio confuta tutte le tesi che vorrebbero "superata" questa che rimane una delle dicotomie più importanti della politica. In particolare contesta coloro che parlano di "morte delle ideologie", ma che in realtà vorrebbero che le altre ideologie dalla propria siano morte e seppellite. Il problema è che spesso si sono persi di vista alcuni grandi ideali per inseguire convenienze contingenti, difese corporative di apparati, furbesche scorciatoie.
Non è un caso che Bobbio intitoli questo capitolo "La stella polare" e che indichi nell'egualitarismo la principale discriminante tra destra e sinistra. Naturalmente è una tesi che farà sobbalzare coloro che per anni (nei partiti di sinistra e nel sindacato) hanno sostenuto che proprio questo fosse la causa di tutti mali della nostra società.



Norberto Bobbio, Cap. VII . La stella polare in Destra e Sinistra, Donzelli Editore, 1994

1. Una politica egualitaria è caratterizzata dalla tendenza a rimuovere gli ostacoli (per riprendere l'espressione del già citato articolo 3 della nostra Costituzione) che rendono gli uomini e le donne meno eguali. Una delle più convincenti prove storiche della tesi sin qui sostenuta secondo cui il carattere distintivo della sinistra è l'egualitarismo, si può dedurre dal fatto che uno dei temi principali, se non il principale, della sinistra storica, comune tanto ai comunisti quanto ai socialisti, è stato la rimozione di quello che è stato considerato, non solo nel secolo scorso ma sin dall'antichità, uno dei maggiori, se non il maggiore, ostacolo all'eguaglianza tra gli uomini, la proprietà individuale, il «terribile diritto». Giusta o sbagliata che sia questa tesi, è noto che in genere le descrizioni utopiche di società ideali, che muovono da un'aspirazione egualitaria, descrivono e insieme prescrivono una società collettivistica; che Jean-Jacques Rousseau, quando s'interroga sull'origine della diseguaglianza degli uomini, esce nella famosa invettiva contro il primo uomo che, cintando il suo podere, ha dichiarato «questo è mio!»; che da Rousseau trae ispirazione il movimento che da vita alla Congiura degli Eguali, spietatamente contrario ad ogni forma di proprietà individuale; che tutte le società di eguali che si vanno formando nel secolo scorso, in cui la sinistra spesso si è riconosciuta, considerano la proprietà individuale come l'iniqua istituzione che deve essere abbattuta; che sono egualitari e collettivisti tutti i partiti che escono dalla matrice marxista; che una delle prime misure della rivoluzione trionfante nella terra degli zar fu l'abolizione della proprietà individuale della terra e delle imprese; che le due opere principali di storia e di critica del" socialismo, Les systemes socialistes di Vilfredo Pareto e Socialism di Ludwig von Mises sono, il primo, una rassegna critica, l'altro un'analisi e critica economica delle varie forme di collcttivismo. La lotta per l'abolizione della proprietà in­dividuale, per la collettivizzazione, ancorché non integrale, dei mezzi di produzione, è sempre stata, per la sinistra, una lotta per l'eguaglianza, per la rimozione dell'ostacolo principale all'attuazione di una società di eguali. Persino la politica delle nazionalizzazioni che ha caratterizzato per un lungo tratto di tempo la politica economica dei partiti socialisti, venne condotta in nome di un ideale egualitario, se pure non nel senso positivo di aumentare l'eguaglianza, ma nel senso negativo di diminuire una fonte di diseguaglianza.
Che la discriminazione tra ricchi e poveri, introdotta e perpetuata dalla persistenza del diritto considerato inalienabile della proprietà individuale, sia considerata la principale causa della diseguaglianza, non esclude il riconoscimento di altre ragioni di discriminazione, come quella tra uomini e donne, tra lavoro manuale e intellettuale, tra popoli superiori e popoli inferiori.

2. Non ho difficoltà ad ammettere quali e quanti siano stati gli effetti perversi dei modi con cui si è cercato di realizzare l'ideale. Mi è accaduto non molto tempo fa di parlare a questo proposito di «utopia capovolta» ovvero del capovolgimento totale di una grandiosa utopia egualitaria nel suo contrario. Nessuna delle città ideali descritte dai filosofi era stata mai proposta come un modello da volgere in pratica. Platone sapeva che la repubblica ideale, di cui aveva parlato coi suoi amici e discepoli, non era destinata a esistere in nessun luogo, ma era vera soltanto, come dice Glaucone a Socrate, «nei nostri discorsi». E, invece, è avvenuto che la prima volta che un'utopia egualitaria è entrata nella storia, passando dal regno dei «discorsi» a quello delle cose, si è rovesciata nel suo contrario.
Ma, aggiungevo, il grande problema della diseguaglianza tra gli uomini e i popoli di questo mondo è rimasto in tutta la sua gravita e insopportabilità (perché non dire, anche, nella sua minacciosa pericolosità per coloro che si ritengono soddisfatti?). Anzi, nella accresciuta coscienza che andiamo ogni giorno di più acquistando delle condizioni del Terzo e del Quarto mondo, di quello che Latouche ha chiamato «il pianeta dei naufraghi», le dimensioni del problema si sono smisuratamente e drammaticamente allargate. Il comunismo storico è fallito. Ma la sfida che esso aveva lanciato è rimasta. Se per consolarci, andiamo dicendo che in questa parte del mondo abbiamo dato vita alla società dei due terzi, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla maggior parte dei paesi ove la società dei due terzi, o addirittura dei quattro quinti o dei nove decimi, è quell'altra.
Di fronte a questa realtà, la distinzione fra la destra e la sinistra, per la quale l'ideale dell'eguaglianza è sempre stato la stella polare cui ha guardato e continua a guardare, è nettissima. Basta spostare lo sguardo dalla questione sociale all'interno dei singoli stati, da cui nacque la sinistra nel secolo scorso, alla questione sociale internazionale, per rendersi conto che la sinistra non solo non ha compiuto il proprio cammino ma lo ha appena cominciato.

domenica 14 settembre 2008

Fini e il fascismo

Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, prende posizione dopo le polemiche scatenate dal ministro Ignazio La Russa e dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, su Salò e sulle leggi razziali: "E' doveroso dire che, se non è in discussione la buonafede, non si può equiparare chi stava da una parte e combatteva per una causa giusta di uguaglianza e libertà e chi, fatta salva la buonafede, stava dalla parte sbagliata".

"Chi è democratico cioé si riconosce nei valori della libertà, dell'uguaglianza e della giustizia sociale è antifascista, ma non tutti gli antifascisti in Italia erano democratici", dice Fini dal palco della festa dei giovani di An.

"Sono convinto non da oggi - spiega Fini - che la destra italiana debba senza ambiguità e reticenze dire che si riconosce in alcuni valori certamente presenti nella Costituzione: la libertà, l'uguaglianza e la giustizia sociale. Valori che hanno guidato e ancora guidano il cammino della destra e che sono valori di ogni democrazia e che a pieno titolo sono antifascisti".

Commento. Chi ha strillato contro queste dichiarazioni che sono la svolta che veramente potrebbe chiudere un'epoca? La moglie di Almirante, Storace e Borghezio. Non avevo dubbi sulle nostalgie fasciste di questi tre personaggi. I campioni della "democrazia dal basso" della Lega navigano guidati da questi personaggi (parlo di Borghezio -deputato europeo, addirittura!- e "stretto collaboratore" di Umberto Bossi) che non nascondono un passato ed un presente di razzismo e fascismo. Chissà quanto tempo ancora il "popolo padano" si farà prendere in giro da questi signori.

giovedì 15 maggio 2008

Gian Enrico Rusconi, La battaglia di Novara, La stampa, oggi

È grottesco pensare che oggi proprio a Novara il sindaco leghista conduca un’altra battaglia, simbolica ma non meno significativa, per rinnegare l’idea dell’unità nazionale, parlando di «disunità d’Italia» e mettendosi in contrasto con il comitato che prepara le celebrazioni del 2011.

Dietro questo atteggiamento non c’è alcuna seria rivisitazione o revisione storica ma una pura manipolazione politica. È la storia usata come mazza politica senza alcuna giustificazione. È singolare poi che questo avvenga nel momento in cui - almeno apparentemente - a livello nazionale si stanno facendo sforzi per far convivere in modo civile due memorie antagoniste dell’ultima lacerante esperienza collettiva (Resistenza e guerra civile 1943-‘45).

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...