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giovedì 15 gennaio 2009

Giovanni Verga sulla luna. Commedia buffa di Giuseppe Bonaviri

Personaggi (alcuni)

GIOVANNI VERGA dai bianchi baffi arricciati in su, con giacca marrone, gilet, cappello. Porta un bastoncino con un pomo rotondo.

MASTRO-DON GESUALDO con grosse scarpe chiodate da contadino, giacca di tricot, berretto di velluto.

SAILOR-MOON una bella ragazza di 15 anni circa, con vestitino e colletto alla marinara. Gonna a pieghe di organza, alta sulle gambe, gli occhi tondi sono curiosamente brillanti. Si deve chiaramente capire che è un cartone animato, fragile, occorrendo capace di volare; imprecisabili sono le linee del suo corpo.

OLLIO grosso, con bombetta lisa, e il viso tinto di un bianco slavato. Parla storpiando le parole, ogni tanto dice qualche frase in americano.


Antefatto. Nell'anno 3223 non erano rimasti in tutte le terre che si stendevano fra Vizzini, Licodia Eubea, Mineo, Francofonte e Scordia e Palagonia né boschi di ulivi, né solitari noci, né siepi di polverosi fichidindia o mandorli o aranceti, né si vedevano volare falchi e sparvieri sui poggi rocciosi. Estinte per destino biologico le popolazioni di Calabria e di tutta l'Italia Inferiore, nei territori anzidetti era stata costruita una immensa pista di lancio di razzi astrali sotto l'egida di una multinazionale nipponico-americana. Una apparecchiatura laser al carbonio collegava l'Italia col sistema planetario registrando con una ineccepibile precisione fatti umani ed evenienze cosmiche. Quanto stiamo narrando lo abbiamo tratto, noi vissuti molti anni dopo, da cronache de La Sicilia, quotidiano allora esistente.

Atto II Scena IV

OLLIO (guardando nella voragine, stralunato e giallo) O God, I see in this abyss monstruos and shadows (e confondendo le favelle) y terribles sombras.
MASTRO-DON GESUALDO O Ollio, non capisco la tua parlata, io vedo milioni di piccoli fumi, faville, un salir di effluvi neri che si accavallano, si incrociano, si aggrumano. Di cosa si tratta?
GIOVANNI VERGA (fra sé e sé) A me risuonano ancora nelle orecchie le parole di Sailor. Ho tuttora la sensazione del suo bacio e del pulsare, lieve come acqua fra i ciottoli, del suo cuore di carta. Passerà, Giovanni, passerà. Affrontiamo questa nuova realtà e avviciniamoci. Oh, che vedo? Un fumo inessenziale, senza peso, come se si vedesse in trasparenza. Eh, già, sono filiformi essenze, non hanno sagoma, si
sollevano per godere di questa luce cremisi. Non vedete come aggirano i bambini e li inanellano? Nonostante avessi saputo da trattati teologici, o dal mio stesso sodale Luigi Capuana, dell'esistenza di simili fosse abissali, non vi ho mai creduto. Invece me ne trovo davanti agli occhi un esempio. Leggevo che questi grossi buchi neri attraggono quanto è imponderabile, ossia quanto non è fatto di materia. Ho sempre creduto che la grande verità è l'amore, o il lavoro come quello che Gesualdo faceva notte e dì nei campi. Può esistere qualcosa che ci sfugge? O nel nostro caso, si tratta di fenomeni sconosciuti di astri morti, come la luna, da tantissimo tempo?
OLLIO Mio padre, quando mi faceva guardare il ciclo, dalle colline della California, mi parlava spesso dell'esistenza delle anime che per misteriose ragioni si accumulano piangenti in certi luoghi sopraterreni.
MASTRO-DON GESUALDO Vuoi dire che questa buca è il regno dei morti? Uguale alle fosse dei nostri cimiteri dove si buttavano i cadaveri dei poveri. Ricordi, Giovanni? Se si guardava, si intravedevano membra in putrefazione, ossa che vi si accumulavano, ragni, neri scorpioni, serpenti e tanti verminai. Oh, la nostra vita è niente! Di queste fosse ne ho viste a Mineo, Vizzini, Licodia Eubea, Francofonte, e in tutti i paesi dove andavo a vendere ulive, o grano, o senape, od orzo.

Commento. Neretto aggiunto per sottolineare cose e pensieri.

lunedì 1 dicembre 2008

Continua il viaggio ne L'infinito lunare di Bonaviri

Nell'astronave che ha intrapreso un viaggio tra le galassie sembra siano rimasti vivi solo l'Astronomo ed il Dottore. Dopo un tempo indefinito dove ciascuno è rimasto nella propria cabina il Dottore si affaccia alla cabina dell'Astrologo.



«Sono il solo a continuare i calcoli» affermò. «Vado alla ricerca della strada perduta. Temo che abbiamo lasciato la Via Lattea da poco e stiamo per orbitare in una nuova galassia. Se seguiremo l'espandersi, come macchie d'olio, delle nebulose, potremo arrivare al margine dell'universo. Allora potrà essere la fine.»
«Non vi capisco» gli dissi, e notai che trovavo difficoltà a parlare e a coordinare i pensieri. «Come fate a pensare ancora?»
«So soltanto che al limite del cosmo vi dovrebbe essere un'immensità di antimateria che si controbilancia alla forza delle galassie. Se ci si dovesse penetrare anche per poco, sarebbe una conflagrazione mai vista. Fumerebbe soltanto energia dovunque e poi il freddo nulla. Mi capite?»
«No» gli risposi di malavoglia. «Sento un sonno distruttore. Come mai non lo sentite?»
«Sono vortici di sonno. Vengono e passano. Vorrei tornare alla Terra. Ciò mi assilla e mi fa addizionare e sottrarre numeri. Mi concentro in formule che non capite. Guardo anche fuori, per raccogliere dei dati che possono convalidare o no le mie ipotesi. Guardate, ora.»
E si avvicinò ad una finestra di cui aprì un'imposta metallica.
«Venite. Date un'occhiata in basso, alla mia sinistra.»
«Lasciatemi stare, vi prego» gli risposi. «Ho gli occhi bruciati. Sono sempre gli stessi orridi spettacoli.»
L'astronomo mi trascinò con dolcezza, dicendo: «Siete forse il solo compagno con cui posso dividere certe mie ultime sensazioni.»
Fiumi d'alba ci investirono.
«Sorge dai monti» dissi.
«Quali monti? Sragionate forse?»
«E tutta questa dolcezza? questo sentirsi incenerire in argento?»
«Venite» insistette.
Guardai, anche se di controvoglia. Separate da noi, come da un vallo profondissimo, c'erano delle terrazze di stelle che pareva ondeggiassero in strade biancheggianti, in veri grumi fitti che si dilatavano a perdita d'occhio.
«Vedete?» mi disse Senzanome. «Quella nebbia di lumi, per me, è la Via Lattea. Ne siamo usciti da poco e siamo già attratti in un'altra galassia.»

Commento. Perdersi nello spazio e "sentirsi incenerire in argento". La Via Lattea è ormai lontana, da tempo l'abbiamo superata, ma il ricordo delle passeggiate con la fidanzata Anna nei giardini davanti alla stazione di Casalmonferrato sono vicinissimi. Guai della memoria che ci raggiunge nel più lontano anfratto dell'universo dove pensiamo di esserci messi a riparo di tutto. Una memoria bizzarra che seleziona i ricordi, ci fa perdere un sacco di cose e riaffiorare particolari assolutamente secondari, improbabili connessioni, salti logici, che ci colpiscono come flash e ci lasciano senza parole e con gli "occhi bruciati". Ma capiamo che da queste inezie, da queste scorie della memoria non potremo mai allontanarcene abbastanza...

sabato 29 novembre 2008

L'infinito lunare di Giuseppe Bonaviri


L'infinito lunare è una raccolta di racconti. La scrittura di Bonaviri è piana e le vicende raccontate partono sempre da situazioni molto concrete di vita quotidiana. Poi il registro cambia improvviso e ci si trova su un'astronave a fare un viaggio verso l'infinito con un improbabile equipaggio di scienziati e si rimane interdetti. Il medico di provincia, per amor di avventura, abbandona la moglie ed i figli ed accetta di fare un viaggio nello spazio, per una missione che pare oscura. Più l'astronave procede nell'infinito e più tutto l'equipaggio sembra sprofondare nella memoria come se il vero viaggio sia quello che ciascuno fa a ritroso nella sua vita. Ma nello stesso tempo c'è un sentimento di estraniazione che avvolge tutti e che rende il mondo veramente molto lontano.

(da un dialogo sull'astronave tra il medico e Lilì)
«Non mi pare che sia la voce di mia moglie» diceva alle volte «quel soffio indecifrabile di parole che mi ar­riva, quando il capitano mi da la comunicazione. Mi sento solo ed anche voi mi sembrate fantasmi. Che mi succede, dottore? È un distacco troppo forte quello che ci hanno imposto. Mi vien da pensare ai miei due vecchi zii, Michele ed Agrippina, che mi allevarono come un figlio sino a vent'anni. Non li ho forse traditi? Li vedo con grande chiarezza, come se il ricordo nascesse da un soffio luminosissimo. Si sedevano accanto al balcone e vi stavano per ore ed ore, sino a che dalla campagna ve­niva la sera. Parlavano di me e della mia infanzia e a vi­cenda si dicevano: "Ti ricordi del nostro nipotino?" Se vivono ancora saranno vecchi e curvissimi. Foglie sec­che. Bisogna stare vicini a quelli che si ricordano di noi. I miei zii avranno paura anche del canto del gallo, es­sendo troppo vecchi e potrebbero essere spezzati in scaglie. Forse il dio Rajhin li ha raccolti nella sotterra­nea Alcamuch con le cavalle dagli zoccoli di bronzo.»
«Che vale pensare a tutto questo?» lo interrompevo. «Ridiamone, piuttosto.»


Una lettura che ricorda il Calvino delle Cosmicomiche ( mi si perdoni l'azzardo, ma non essendo un critico mi posso permettere un giudizio temerario).

I venti di Mario Vargas Llosa

 Il protagonista di questo libretto di Vargas Llosa si reca una mattina con l'amico Osorio ad una manifestazione contro la chiusura di u...