Per quegli strani ed imperscrutabili scherzi della tecnologia, mi è arrivata una mail ieri da … me stesso. Già l’evento si manifestava in modo sospetto, ma quando ho letto che era un commento al mio piccolo racconto della scorsa domenica ho capito che la cosa si faceva seria. Infatti le aspettative (negative) si sono concretizzate all'apertura di questa missiva misteriosa in modo puntuale. Campeggiava una sola parola nel testo del messaggio: “banale” , seguita da quattro punti sospensivi (una sospensione accentuata e minacciosa).
Ora non bisogna sempre ascoltare le voci che ci arrivano dall'esterno, tanto più quando arrivano da misteriosi buchi neri del web: per fortuna la natura ci aiuta e facciamo già una discreta selezione fin dall'ascolto delle migliaia di messaggi diretti o indiretti ai quali siamo sottoposti quotidianamente, poi abbiamo affinato (dovremmo averlo fatto, almeno) una tecnica di selezione critica che ci porta a prendere in considerazione quelli più significativi, vagliarli, farci sopra qualche ragionamento ecc ecc. Questo almeno è il meccanismo che ci fa sopportare la pressione, a volte enorme, che viene dall’esterno e trasformarla in stimoli positivi. Un'amica, interpellata in proposito, sentenziava (saggiamente) di non prendere in considerazioni quel vigliacco "banale", frutto amaro, a suo dire, di una lettrice astiosa.
Ma una voce sibilata dal nostro alter ego mette in difficoltà perché è subdola e la cosa rende irrimediabilmente ansiosi. Prima, naturalmente, ho cercato scappatoie tecniche dispiegando ogni conoscenza informatica per rintracciare la provenienza della mail importuna, poi, non avendo raggiunto alcun risultato, mi sono messo a guardare quell'unica parola ricambiando il sentimento di astio che emanava. Già, ma il dubbio si era ormai insinuato come un tarlo nel legno tenero, e allora non rimaneva che rileggere quel “pezzo” e vagliarlo con l'occhio non già benevolo del padre che guarda il figlio, ma con quello accigliato del maestro che legge il componimento dell'allievo, anzi di uno degli allievi meno dotati.
Il verdetto finale, l’avevo sospettato fin dall’inizio ma non volevo rassegnarmi, è stato coincidente con quello del misterioso alter ego: “banale”. Giudizio in appello non impugnabile (non esiste la cassazione nel giudizio letterario).
Così per cercare un pannicello caldo da mettere sulla ferita sanguinante del mio ego [contrazione primordiale dell’invadente io] non è rimasto che rituffarmi nell’avventura della scrittura, ma ora la prospettiva era diversa, decisamente diversa.
Non mi potevo muovere che verso una scrittura “per sottrazione”: una specie di distillato di parole da sorseggiare a dosi infinitesimali, dosi omeopatiche. Questa tecnica ha degli innegabili vantaggi non tanto sul fronte della scrittura, che anzi è assai più intensa e macchinosa (cancellare le proprie parole già scritte è faticoso), ma sul fronte dell’utilizzatore finale (l’Avvocato Ghedini mi perdonerà l’appropriazione indebita di questa sua felice locuzione): il giudizio è praticamente immediato, senza appello e nello stesso tempo è anche, per la natura stessa dell’opera valutata, più indulgente. Rimane solo nel lettore il sospetto, non del tutto infondato, che l’autore si sia sforzato poco per partorire questa piccola cosa, ma gli sarà grato del fatto che comunque non gli ha fatto perdere molto tempo [sembra quest’ultimo l’unico vero problema di oggi].
Non continuo oltre perché, come si dice da noi, diventerebbe più la bagna dello stufato e quindi passo alla piccola “opera” odierna che è nata nell’occasione di un concorso de La Feltrinelli intitolato 128 battute al quale ho partecipato con questa cosa [poesia? short story?]…
Meglio essere cane
insospettabile intelligenza
nascondersi al temporale
essere amato per questa paura
ricevere una benevola carezza.
© Guglielmo Gaviani 17/11/09
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domenica 24 gennaio 2010
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