Scrive Shakespeare da qualche parte: When the light of sense goes out, but with a flash that has revealed the invisible world , cioè, più o meno Quando la luce di senso se ne va, (ma) con un lampo ha rivelato il mondo invisibile.
Da un po' di tempo mi diletto di haiku e più ne leggo e più capisco quanto siano lontani dalla nostra mentalità occidentale. Ultimo trovo in Roland Barthes, L'impero dei segni (uno dei libri miei favoriti e che ho riletto varie volte) un capitolo chiamato TALE che parla appunto di haiku. Cercavo una cosa e ne trovo un'altra che prima non avevo notata o avevo letto con superficialità. E così Barthes mi porta in quell'impero dei segni che tanto ci sconcerta. Come è chiaro, ormai, l'haiku non ha un senso, non esprime sentimenti , non ha scopi didascalici e nemmeno descrive natura ed oggetti. Barthes scrive che è come un "ricciolo grazioso" che si arrotola su se stesso e basta.
L'appropriazione indebita che l'occidente ha fatto dell'haiku, assimilandolo ad un componimento breve, è del tutto gratuita, o meglio, ne ha fatto un'altra cosa.
Eppure rimane questo fascino un po' arcano dell'haiku (anche per noi) e il solo pensiero che una cultura abbia elaborato un segno per descrivere il vuoto , mi inorgoglisce come essere umano, mi fa pensare che c'è qualcosa di grande in noi. Insomma, con Shakespeare, quando il senso se ne va, rimane una scia rivelatrice di un mondo invisibile che per un istante (il tempo del flash) si (ci) illumina.
| Mu, il vuoto |